Attrezzi (in)utili per il vino


Per il wine blogger che vuole avere le mani libere per scrivere ciò che sente nel vino


Dispensatore di vino?


Un decanter...moderno?



Areare il vino...prima di soggiornare...


Mito!


Per il  motociclista che non deve chiedere mai....

Vino in fialetta? Pare piaccia....



Devo dire che inizialmente, vedendo il packaging, la mia mente più che in enoteca è volata presso la Diagnostika sotto casa mia dove regolarmente mi succhiano il sangue. La fialetta da studio medico piena di liquido rosso evoca sanguinosi ricordi.
Sicuramente Laurent de Crasto, enologo e Bruno Mautès, sommelier, non hanno questi fantasmi nelle loro menti visto che nel 2007, zitti zitti, hanno aperto la WIT (Wine in Tube) al fine di fornire una modalità ai vignaioli di mandare campioni del loro vino in giro senza troppi costi.
L'idea di per sè è abbastanza originale: si prende una fialetta di vetro da 6 o 10 cc brevettata, si scrive il marchio e la si chiude con un tappetto in alluminio con la garanzia che il vino conserva al suo interno tutte le caratteristiche del terroir di provenienza.

Assortimento Terroir Roussillon

Il successo, spiegano i due soci, è stato talmente forte che due anni dopo, nel 2009, questo servizio è stato lanciato su vasta scala cosicchè oggi queste fialette non sono più usate solo per fini di marketing ma rappresentano vere e proprie mini bottiglie di vino che posso essere vendute ad enoteche, ristoranti e privati.

Dicono, perchè io non frequento, che così c'è la possibilità di poter degustare a casa un grande vino senza aprirsi una classica bottiglia di vino da 0.75.

Se andate sul loro sito, clicca qua, è possibile acquistare oltre 80 vini diversi suddivisi tra Bordeaux, Borgogna, Jura, Languedoc Roussillon, Loira, Provenza e Rodano.

Qualche azienda interessante ci sarebbe pure come, ad esempio, Château Guiraud che vende 15 fiale del suo Sauternes 2002, in pratica una  magnum spezzettata, a circa 172 euro, spedizione esclusa.


La domanda del giorno è: comprereste e berreste il vostro vino preferito in fiala senza che questo comporti differenze di costo rispetto ad una bottiglia normale?

Mentre ci pensate vi dico che Wine in Tube pare sia talmente un successo che la società ha venduto nel mondo circa 1.6 milioni di fialette. Ah, però....

Foto tratte dal sito ufficiale

I migliori wine bar di New York!?!?

The Drink Business spesso propone interessanti classifiche sul vino. Stavolta sono stati individuati i migliori (?) wine bar di New York. 


Non poteva mancare un'enoteca "tipicamente" italiana, adiacente all'omonimo ristorante gestito dalla famiglia Marzovilla. La wine list copre più o meno tutte le Regioni italiane con riferimento particolare alle principali tipologie di vino. Dando una letta alla lista, con alcune chicche tipo il Taurasi Riserva 1971 Mastroberardino, spiccano i ricarichi non proprio light applicati. Per il Rosso del Frusinate 2007 di Casale della Ioria, che qua te li tirano appresso, bisogna sborsare la cifra di 48$. 

Enoteca I Trulli


Wine bar di Brooklyn molto kitsch col suo salone pieno di carta da parati, soffitti in oro lucido e candelabri dovunque. Da queste parti, come scrivono sul sito, venerano la Francia. Vabbè i migliori produttori però non li conoscono a quanto pare....

The Bourgeois Pig

E' un wine bar recentemente rinnovato dove, lo dice la parola stessa, mangiare al volo piatti espressi della cucina italiana accompagnati da vini nostrani come  il centesimino Ancarani venduto a 12$ al bicchiere. C'è anche pane e Nutella nel menù!

Bar Veloce


Si descrive come un "accogliente ristorante e wine bar dove trovare cucina italiana e vini di livello superiore". A dire la verità, frugando nel menù e nella lista dei vini, non ho avuto un grande riscontro di quanto scritto nella home del ristorante. Si trova, in un mare di vini del Nuovo Mondo, qualche etichetta italiana tipo il Roero Arneis di Giacosa a 18$!! Tra i piatti di ispirazione italiana il "migliore" mi sembra la salame rosa Framani venduto a 8$ a porzione.

Bin 71


Il nome si riferisce alle anfore greche e romane con le quali veniva bevuto il vino in antichità. Apparentemente sembra più un cocktail bar ma scorrendo bene tra i vari menù ci trovi la sorpresona: la lista dei c.d. Anfora Aged Wine. Cavolo, trovare il Breg 2003 di Gravner è fantastico così come vedere che è presente anche COS, Foradori, Cornelissen e qualche altro vino della Georgia. Peccato per i prezzi proibitivi: 171$ per il Breg di Gravner....

Anfora - Fonte: Drink Business


Situato a Rockefeller Plaza, centro di Manhattan, questo wine bar fa parte del Morrell’s Wine Store, un'enoteca storica che da oltre 60 anni vende vino a New York. La lista dei vini è molto ampia, di italiano troviamo Prosecco venduto ad oltre 40$ a bottiglia (ora capisco perchè sti produttori vogliono tutto esportare) e molti Supertuscan che da queste parti sembra che ancora si vendano bene. Il Masseto 2000 è prezzato 485$.



Il nome deriva dal locale londinese dove Jack lo Squartatore sceglieva le sue vittime. Questo locale statunitense è specializzato in ostriche e in formaggi. Se siete da quelle parti non perdetevi, ad esempio, l'happy hour a partire dalle 19 dove degusterete ostriche ad 1$ l'una. La carta dei vini contiene alcune chicche naturali come il Frappato di Arianna Occhipinti o I Masieri di Angiolino Maule. Io, se fossi là, mi farei fuori il Rioja Tondonia 73 "Lopez de Heredia" a 300$ la bottiglia. Fino ad ora la carta dei vini più interessante di tutte!

The ten bells


Davanti è un bel negozio dove trovare ottimo formaggio e prodotti gourmet, dietro è un wine bar estremamente intimo dove mangiare le speciali fondute della casa a lume di candela. Certo, la lista dei vini non è di quelle da ricordare. Insomma, non vado a New York e non mi faccio una fonduta accompagnando il tutto con un Orvieto Classico Abboccato Barbi 2009 da oltre 30$ la bottiglia. Un pò di pudore, suvvia!

Kashkaval


Questo wine bar di origine sudafricane, Kaia significa "Capanna", è uno dei pochi locali che serve vino alla spina e, in generale, è specializzato in vini del Nuovo Mondo poco conosciuti. La wine list è piena zeppa di nomi "esotici" come il Riesling - Kung Fu Girl della Columbia Valley. Manca il prezzo per cui attenzione alle sorprese. A mio parere, sulla carta, non vale assolutamente il secondo posto.

 

E' uno dei locali piu trendy del West Side di Manhattan tanto che il New York Times ha scritto che "il Tangled Vine ha messo assieme una lista di referenze ampia, dettagliata ed intelligente senza andare nell'esoterico".
I vini, da accompagnare ai piatti mediterranei dello chef David Seigal, godono di una buona selezione. Nella carta è possibile trovare molti vini biologici e biodinamici, compresi gli "orange wine" che godono di una sezione dedicata conla Ribolla Gialla di  Radikone Movia a farla da padrone. 
Scorrendo la lista, e questo problema non riguarda solo questo wine bar, è difficile capire perchè la Falanghina "Vandari" 2010 di Nicola Venditti con i suoi 80$ per bottiglia costi quasi quanto il Brunello 2004 di Le Chiuse o il Barolo 2007 di Parusso (entrambi stanno a circa 90$) e circa 1/3 del Monprivato di Mascarello. Quella Falanghina, buona non c'è dubbio, in Italia sta a circa 10 euro....
Ah, il Tangled Vine è stato anche premiato da Wine Spectator ma in Italia ce ne freghiamo!!!

Tangled Vine
Tangled Vine

Chi glielo dice a Jonathan Nossiter che il Domaine de Montille non è più quello di Mondovino?

Il tempo fugge e certe convinzioni, certe promesse, magari oggi si dimenticano o, semplicemente, vengono ridimensionate.

Il Domaine de Montille, sì proprio quello che Nossiter aveva inserito nel suo bel fil Mondovino come bandiera dei piccoli vignaioli tutto vino e terroir, cambia pelle e si espande diventando, forse, ciò a cui era contrapposto nel documentario del regista americano: una grande azienda.



Secondo Wine Spectator, Etienne De Montille, co-titolare del Domaine de Montille, ha acquistato lo scorso Giugno Château de Puligny-Montrachet, dove era stato amministratore delegato dal 2002, per oltre 20 milioni dollari acquisendo quasi 50 ettari di vigneti selezionati, tra cui parcelle di Chevalier-Montrachet, Bâtard-Montrachet e di Montrachet, il castello e alcuni stock di vino.

In una recente intervista Etienne ha spiegato che: "dopo la ristrutturazione, il Domaine de Montille avrà in dote oltre 86 ettari di vigneto di cui quasi 50 ettari sono Premier e Grands Crus. Questo farà diventare il Domaine de Montille una proprietà significative nella Côte de Beaune. Insieme con Alix, mia sorella, che si prenderà cura dei vini bianchi, vogliamo modificare e ridimensionare non solo il numero di etichette che si producono, ma anche il numero di bottiglie in modo che possiamo davvero concentrarsi sulla qualità".

L'obiettivo, dichiarato da Etienne, sarà quello di tagliare il numero di etichette di circa il 20 per cento, con una produzione totale che diminuisce da 20.800 casse a meno di 16.666 casse. Ci sono, attualmente, 60 diverse etichette tra le Domaine de Montille, Chateau de Puligny-Montrachet e l'etichetta négociant Deux Montille Soeur-Frère.

Il caro Hubert de Montille, star del film cult di Nossiter, cosa penserà di tutto questo? I suoi figli hanno davvero stravolto l'anima di quello che una volta era un "piccolo" Domaine della Borgogna? Oppure, sotto sotto....

Mah, intanto guardiamoci questo video di Francesca Ciancio e riflettiamo...
 

Un vino per il cane o un cane per il vino?

Comprereste mai questi vino per soli 30$?


Io, personalmente, no! Chi non ha senso estetico difficilmente potrà fare buon vino. 
Se, però, amate in maniera smisurata i cani, soprattutto i bulldog, e pensate di fare una puntata in Napa Valley (California) col vostro fido amico, allora potreste cominciare ad amare la Frenchie Winery.
Secondo quanto scrive Wine Spectator, la struttura prende il nome dal cane dei proprietari Jean-Charles Boisset e della moglie Gina Gallo (nipote di Julio Gallo) che hanno fatto del loro bulldog una sorta di superstar con tanto di canale Youtube dove poter visionare le avventure del loro quattro zampe preferito.

Entrata

Non è finita qua. I proprietari, con chiaro spirito animalista, nel loro sito internet invitano tutti gli enoturisti a portare il loro cane presso l'azienda visto che potrà godere di trattamenti di grande rispetto come botti dotate di cuscini per i riposini e strutture per il gioco dotate di telecamere per far sì che il padrone possa sempre controllare il suo animale. Jean-Charles Boisset, poi, donerà un dollaro all'Aspca per ogni bottiglia di vino comprata. 

La enocuccia - Fonte: Corriere.it

Se poi, cane o non cane, il vostro sogno è quello di degustare il Cabernet Sauvignon Louis XIV dotato di "aromi e sapori di more e cacao, con sentori di cassis e note sottili di vaniglia. Come Versailles, questo cabernet ha grande struttura, equilibrio e una bella, lunga persistenza. Un vino che vi farà sbavare"..............allora accomodatevi in Napa Valley!!



André e Jacques Beaufort e quel senso per lo Champagne d'autore

Ormai su di loro si è veramente scritto tutto, un misto tra realtà e leggenda che vede il 1969 come anno zero per Jacques Beaufort che, ammalatosi per i prodotti di sintesi che usava suo papà André sulle sue vigne e i suoi meleti, decise di convertirsi all'agricoltura biologica.
Da allora, i suoi sei ettari e mezzo di vigneto non ricevono alcun trattamento di sintesi perchè il terreno è lavorato solo con zappatura superficiale, impianti di compostaggio vegetali prodotti da loro stessi in azienda arricchiti con polvere di ossi di macelleria e farina di sangue. Il risultato è una Terra ricca di organismi viventi.

André Beaufort - Fonte: imperatrice.com.hk

"I miei vicini di casa mi accusano di mantenere i parassiti! Io rispondo che questi hanno la funzione di distruggere i predatori e bilanciare la vita nella mia vigna!", ama ripetere con ironia Beaufort che, inoltre, per limitare l’impatto ambientale dei funghicidi tollerati in agricoltura biologica (rame e zolfo), sperimenta da diversi anni l’omeopatia e l’aromaterapia, utilizzando soluzioni di piante e oli essenziali di produzione propria.

I vigneti del domaine, 75% a pinot nero ed il resto a chardonnay, sono collocati ad Ambonnay, classificato Grand Cru, e Polisy, nella Côte des Bars, dipartimento dell’Aube, 130 km più a sud. 

Anche per quanto riguarda la vinificazione e la gestione della cantina Beaufort non ha eguali: al vino base, fermentato con lieviti indigeni parte in botte e parte in acciaio, viene lasciata fare la malolattica al fine di evitare di aggiungere troppa solforosa. Il tirage, pertanto, avviene spesso a ridosso dell'estate. 
L'affinamento sui lieviti, inoltre, che per legge francese deve durare minimo 15 mesi per i sans année e 3 anni per i millesimati, viene protratto almeno a 18 mesi per gli champagne d'annata mentre i grandi millésimé possono restare sur lattes anche molti anni. 
Al termine, la sboccatura viene fatta rigorosamente à la volée mentre il dosaggio finale, che avviene grazie all'introduzione di zucchero d'uva concentrato, ha il solo scopo di creare le tre grandi tipologie di Champagne Beaufort: Brut, Demi-Sec e Doux.
 
La Cantina

Da Remigio, qualche calda serata fa, per combattere la sete e la voglia di buono, mi sono riunito con un gruppo di amici per bere un pò di Beaufort che Stefano custodisce gelosamente nella sua cantina. In pratica ci siamo sgargarozzati:

André et Jacques Beaufort Polisy Brut Réserve (80% pinot nero e 20% chardonnay): champagne che mi è sembrato opulento e cremoso, sa di frutta gialla ed erbe di campo. Bocca di grande finezza, morbido, lungo, un bell'inizio.
 

André et Jacques Beaufort Ambonnay Grand Cru Brut Réserve (80% pinot nero e 20% chardonnay): cambio di marcia rispetto al precedente, il vino è più complesso visto che riesco a percepire nettamente la mela cotogna, l'agrume, l'albicocca, la frutta candita, il tutto all'interno di uno scrigno minerale di grande compattezza. Bocca di grande struttura, fresca, equilibrata e di grande persistenza. 
 

André et Jacques Beaufort Ambonnay Grand Cru Brut Rosé (100% pinot nero): il rosé per chi non ama bere in rosa. Così l'ho definito, subito dopo averlo golosamente terminato, questo champagne che si dimostra essere per nulla scontato: ok, c'è la frutta rossa, la fragolina e il ribes soprattutto, ma se qualcuno pensa che l'insieme sia caramelloso e stucchevole...beh...allora è fuori strada. La linea d'insieme è dura, netta, decisa, così come il sorso che è più maschile che femminile. Da provare per chi vuole emozioni forti e..maschie.
 

André et Jacques Beaufort Ambonnay Grand Cru Brut Millesimé 1996 (80% pinot nero e 20% chardonnay): una "snasata" e capisci. Un sorso e capisci. Capisci che certe vette sono irrangiungibili per molti, capisci che c'è una superiorità netta che deriva dal DNA e che nessun tipo di prodotto o pratica enologica di potrà mai dare. Capisci che questa profondità dà un'emozione simili ad una immersione nella fossa delle Marianne, capisci che da questo champagne Ron Howard ha preso spunto per girare Cocoon, capisci cosa vuol dire mineralità ed acidità, didattiche per quanto irragiungibili, insomma per circa 120 euro c'è il Nirvana a portata di mano.
 

André et Jacques Beaufort Ambonnay Grand Cru Rosé Doux (100% pinot nero): prima di stappare tanti mi avevan detto che non lo prendevano perchè a loro i vini dolci non piacevano. Apri questo rosé, lo bevi, e ti si rivolta il mondo. "Non ci posso credere" è stato il commento più sobrio dato da una persona che, in preda ad un nuovo misticismo, ha cominciato a chiamare tutti i clienti di Remigio per annunciare la sua conversione alla nuova religione chiamata Doux di Beaufort. Questi sono champagne mostruosi dove assolutamente non riesci a sentire nulla di dolce, la struttura e l'acidità impertinente riescono a mascherare incredibilmente 50 g/l di zucchero residuo per offrire all'appassionato un vino dolce non dolce che come descrittore principale ha una mineralità rossa che non ascriveresti a nessun essere vivente. Se tanto mi dà tanto il Rosé Doux 1990 è un vino alieno...


Una questione naturalmente volatile

Roma, inaugurazione di un locale in pieno centro storico. Facciamo un giro tra le varie salette e ci accorgiamo che, tra le pareti colorate, svettano decine di bottiglie di vini "diversamente convenzionali". Non li chiamo naturali altrimenti mi arrivano i controlli.

Ottime etichette, pensiamo ad alta voce, ci sono tutti i produttori che ultimamente stanno dando grande soddisfazione a tutto il movimento.

Che fico, per almeno un paio d'ore ci sarà anche una sorta di open bar dove ci vengono serviti al calice i vini presenti in carta. 

Sì, sì, scegliamo quello, il produttore è una sicurezza e un bianco con questo caldo ci sta bene!

Prima "snasata" nel bicchiere. Il sorriso si spegne progressivamente.

Seconda "snasata". Divento serio. Passo il calice ad una amica di fianco (Stefania già mi aveva capito) e subito mi dice:"Oddio, sembra acetone, ma che qualcuno si sta togliendo lo smalto per le unghie?"

Ecco qua. E ora? Il famoso vino prodotto in maniera artigianale e naturale ha una volatile totalmente fuori controllo, ogni aroma è coperto da una coltre acetica fastidiosa. 

Fonte: primobicchiere.wordpress.com

Non sappiamo che fare. Faccio sentire l'odore ad uno dei proprietari del locale che, sorridendo, mi dice che:"Vabbè, dai, si sa che questi vini possono avere questi problemi...".

Quindi devo accettare l'idea che se prendo un vino naturale, vabbè l'ho detto, posso incorrere in questo tipo di difetti? Perchè la volatile è un difetto eh!!! Soprattutto a questi livelli.

Il vino non l'ho pagato per cui stavolta la cosa passa ma, mi domando, se fossi un normale avventore del locale al quale viene servito un vino del genere? Cosa dovrei fare? Chiamare il cameriere e farmelo cambiare o "abbozzare" e tenermi sto vino naturale? E poi, siamo sicuri che me lo avrebbero cambiato visto che per loro è "normale" e "possibile" un difettuccio del genere?

Domande, domande, domande, alle quali forse troverò risposta.....


Il Barolo Vigneto Arborina 1996 di Elio Altare è un vino che non capisco


Non sono un grandissimo intenditore di Barolo, anzi, però alcuni punti fermi sul grande nebbiolo li conosco, soprattutto quando si parla di colore e profumi che forniscono a questo vitigno caratteristiche uniche al mondo (se coltivato in Piemonte....).
Capita, incontrando il Vigneto Arborina '96 di Elio Altare, che alcune certezze comincino a vacillare, analizzando quel Barolo è come si mi avessero detto che Bossi in realtà ha una laura in filosofia presa all'Università di Palermo.
Evito, almeno in questa sede, di ripercorrere le vicissitudini personali del produttore langarolo, la storia della motosega che rompe le grandi e vecchie botti per far posto alla barriques nuove ormai è diventata una leggenda sulla quale si poggia tutta l'immagine aziendale.

Il dilemma che mi lascia sveglio la notte (si fa per dire) riguarda il colore e le sensazioni di questo Barolo del 1996. La foto penso dica tutto.


Immaginatevi questo vino alla cieca così come l'ho bevuto io. A parte l'unghia di colore granato, il nebbiolo si presenta di un colore rubino intenso con tratti simili alla china. Impenetrabile.
Anche ai profumi non mi ritrovo. La classica viola, la scorza di arancia, il sottobosco e di tutti i profumi terziari che immagini fuoriescano da un nebbiolo del 1996 non c'è traccia. Nulla. Questo è un vino oscuro, chinoso, di frutta nera in macedonia, c'è chi dice austero. 
La bocca è quella che ritroverei in un vino giovane, è scalpitante, dura, sicuramente profonda ma assai lontana a quella che mi aspetteri da un Barolo del 1996, cioè da un vino che ha 15 anni.

Cosa è che non ho capito di questo vino?


Vino e Carne Umana per il sommelier zombie moderno....

Maynard James Keenan, leader e cantante dei Tool (vabbè non sono gli U2 come popolarità) è noto del mondo musicale metal per la sua passione per il vino tanto che ha prodotto un documentario intitolato "Blood into wine" interamente focalizzato sui vigneti che Keenan possiede in Arizona assieme al socio Eric Glomski col quale, dicono, sta cercando rivoluzionare l'industria della vinificazione negli Stati Uniti...


Nel frattempo, però, oltre che essere appassionato di vino, Keenan, visto anche il titolo del documentario, sembra essere un cultore del sangue e della carne umana visto che di recente ha rilasciato un'intervista all'interno della quale proponeva una serie di abbinamenti tra vino e....carne umana. 

Domanda: Che vino mi consiglia con il viso di una persona?
Keenan: Beh, per le guance, ovviamente, sarebbe meglio bere un pinot noir.

Domanda: E col naso?
Keenan: Questa è una zona piena di cartilagini per cui meglio una birra. Il gusto del naso è più simile ad un hotdog o ad un wurstel, e questo vale anche per le labbra..

Domanda: Con la lingua, invece, cosa consiglia?
Keenan: Se si vuole mangiare la lingua, che è carnosa, meglio scegliere uno shiraz con un pò di legno, ma anche il barolo andrebbe benissimo, se servita cruda. Sì, una lingua con l’olio di oliva ed erbe ha proprio bisogno di un bel barolo"




Dei vini naturali e delle denunce penali

Tutto parte da questo post di Marco Bolasco:

“Ciao Marco,
ti contatto per informarti di quanto mi è successo la scorsa settimana:
sono venuti 2 funzionari del ministero delle politiche agricole per contestarmi la vendita sugli scaffali dei vini “Naturali”.
Hanno redatto un verbale al quale seguirà una sanzione e forse una denuncia penale.
L’oggetto della vicenda è che non si possono  mettere in evidenza vini senza una certificazione. Solo quelli con i vari bollini di controllo si distinguono.
[...]
Un caro saluto  Alessandro”

Ovviamente, veder scritto che uno dei migliori e più onesti enotecari di Roma viene messo in mezzo ai guai, soprattutto in un periodo come questo, non solo non si può sentire ma è anche pericoloso perchè può far scattare meccanismi perversi dalle conseguenze nefaste a cui meglio non pensare.

Nel web la risposta del popolo "naturale" si è fatta sentire immediatamente e, accanto a riflessioni posate e condivisibili, c'è anche chi grida al complotto della grande industria del vino che, secondo alcuni, sta passando al contrattacco visto che si sente sempre più minacciata dall'avanzata c.d. naturali.

La cosa, personalmente, non mi convince. No, per niente. Anzi, andrei oltre improbabili dietrologie per capire se questo spiacevolissimo episodio, lo ribadirò fino alla morte, non nasconda invece la necessità, ormai urgente, di dare una definizione chiara e una legalizzazione alla parola "vino naturale". 

Fonte: http://www.civiltadelbere.com

Affermo questo perchè oggi tutti i vignaioli che non fanno parte di un certo movimento sono considerati convenzionali. In base a cosa? Lo dicono i naturali. Ok, perfetto. Ma chi sono i naturali? Bella domanda, ci sono almeno tre movimenti che hanno un loro manifesto con molti punti in comune e, purtroppo, qualche divergenza di troppo. Non c'è, pertanto, una definizione unica di produttore e vino naturale e, soprattutto, le regole stabiliscono che si entri nel movimento per autocertificazione (!!) anche se poi vengono fatti dei controlli ex post che, comunque, non offrono garanzie assolute. 
Siamo sicuri poi che i "non naturali", categoria che può comprendere anche il piccolo vignaiolo buono, pulito ed indipendente, siano così tremendi da avere un vino "innaturale" tale da essere spesso additati come gli untori del terzo millennio? 

Fonte: greenplanet.net

Tutta questa riflessione per dire, sostanzialmente, che quanto accaduto a Bulzoni DEVE sicuramente rappresentare un segnale importante per i "naturali" i quali hanno l'obbligo, se non ora quando, di metteri a tavolino ed arrivare ad una definizione univoca e legale, se c'è, di tale vino. Sul biologico, con tante lacune, è arrivato almeno un chiarimento.


Io, in tutto questo bailamme, mi accontenterei di rendere obbligatoria l'etichetta nel vino così come avviene oggi per gli alimenti. Magari fatta anche meglio. Vorrei capire cosa mi bevo a prescindere da mode, movimenti e filosofie varie.

Cavit: chi ha paura dei grandi numeri?

Ultimamente, in  maniera casuale, nel mio "percorso di vino" ho incrociato alcune storiche cooperative sociali italiane come Dolianova, Colonnara e Cavit, una realtà, quest'ultima, da oltre 60 milioni di bottiglie, cifre che solo a pensarci fanno girare la testa e, a chi come me è amante del piccolo ed artigianale, pone le basi a più di un pregiudizio e qualche domanda. Questo post, simile ad una pagina di diario di una sera, vuole essere testimone di un cambiamento nel mio modo di vedere certe realtà perchè, alla fine, i numeri, i grandi numeri, non sono il male del vino italiano soprattutto se alla base ci sono persone che percepiscono la qualità come mezzo per rispettare territorio e consumatori.

Roma - Vinofòrum - ore 20.30
Sono entrato da pochi minuti e già vorrei andare via da questa manifestazione che non aggiunge nulla alla cultura del vino. Anzi. 
In lontananza scorgo lo stand della Cavit, c'è molta gente in fila per un bicchiere di quelle che, a distanza, sembrano bollicine. Malcelando una certa ritrosia mi son detto:"Ok, andiamo a testare, male che vada un Altemasi Trentodoc mi rinfrescherà in questa giornata di caldo romano".

Roma - Vinofòrum - ore 20.45

Col bicchiere in mano cerco qualcuno che mi spieghi il vino. Il sommelier è troppo occupato con le persone che gridano:"damme un bianco e un rosso!". 
Si avvicina amichevolmente Domenico Jacobone, uno dei responsabili dell'azienda presenti a Roma. Iniziamo a parlare, mi spiega la filosofia di Cavit,  il rapporto stretto e diretto con gli oltre 4.500 viticoltori associati a 11 cantine che rappresentanto il 60% della produzione vinicola trentina (circa 5.500 ha). Nelle sue parole non c'è volontà di vendermi bugie, non sono un grande cliente e non sa che sono blogger (per quello che conta). Cavit, nonostante le apparenze, è una famiglia allargata dove tutto sta cambiando o, forse, non è cambiato mai.

Roma - Vinofòrum - ore 21.15
 
Chiaccherando con Domenico, a cui si aggiunge dopo Stefano Pallaver (wine ambassador) emerge chiaramente la voglia di Cavit di andare oltre le produzioni di massa agganciate alla grande distribuzione che spesso e volentieri, numeri alla mano, servono a scardinare i mercati esteri sempre più competitivi. Oggi, i consorzi di "nuova generazione" come Cavit devono guardare anche oltre cercando di "orientare" una buona percentuale di produzione verso quei concetti di artigianalità e sostenibilità che fino a poco tempo fa erano ritenuti impossibili per queste realtà.
Cavit, infatti, aderisce da oltre venti anni al “Protocollo per una produzione viticola di qualità in Trentino” e sta investendo molto nel fotovoltaico e nel risparmio idrico ma, a prescindere da tutto, sta cercando di dare valore alla produzione enologica di qualità attraverso i suoi spumanti metodo classico linea Altemasi e, soprattutto, attraverso la progetto Masi Trentini in collaborazione con l'Istituto Enologico di S. Michele all'Adige.

Maso Toresella - Fonte:blog.enotourtrento.it

Roma - Vinofòrum - ore 22.00

Sono abbastanza confortato dalle parole di Domenico e Stefano ma, come San Tommaso, se non vedo (degusto) non credo. Inizia la batteria degli spumanti metodo classico.

Buon inizio con l'Altemasi Brut (100% chardonnay) che, con i suoi 15 mesi di affinamento sui lieviti ed un prezzo assolutamente concorrenziale, rappresenta un buon approccio al metodo classico italiano. 

Ovviamente, l'Altemasi Brut Millesimato 2008 (100% chardonnay) è di un altro livello, la maggiore complessità fornita dalla permanenza sui lieviti per 36-48 mesi, fa di questo Trentodoc uno spumante fragrante di crosta di pane con tocchi di cera d'api e soffi minerali. In bocca è beverino, sapido, intenso e per nulla banale. In enoteca costa 11 euro, molto meno rispetto a certi Charmat. Tanto per dire.

L'Altemasi Riserva Graal 2004 (70% chardonnay e 30% pinot nero) non lo scopro certo io, è la perla enologica Cavit premiata dalle migliori guide. Eì un metodo classico che non ha nulla da invidiare a marche e territori più blasonati, è un piccolo capolavoro di artigianale pazienza (per questa annata è rimasto sui lieviti 72 mesi) che mostra un profilo olfattivo che va dalla mela gialla alla susina per poi passare al miele, allo zenzero, all'agrume candito fino ad arrivare ad un minerale di rara eleganza. Bocca complessa, sapida, di grande freschezza e persistenza. Per 30 euro circa in enoteca è una bottiglia dall'ottimo rapporto q/p.



Roma - Vinofòrum - ore 22.30 

Appagato ma non sazio chiedo di degustare qualche vino della linea "I Masi Trentini" che, nelle parole dell'azienda, rappresentano veri e propri "cru" legati ad un territorio ben definito e particolarmente vocato alla produzione di specifici vitigni. Ecco la vera realtà di nicchia dell'azienda, poche migliaia di bottiglie che, nelle aspettative di tutti, dovrebbero rappresentare il meglio della produzione enologica Cavit.

Ho provato, in questo ambito, due vini particolarmente significativi: il Maso Toresella Cuvée e il Maso Cervara Teroldego Rotaliano

Il primo vino è un assemblaggio di uve sauvignon blanc, chardonnay, gewürztraminer e riesling provenienti da Maso Toresella, lago di Toblino, sede dell'azienda e del vigneto sperimentale. Naso molto sensuale di frutta, fiori e spezie dove, col tempo, è possibile capire nitidamente l'apporto che ciascun vitigno offre alla complessità del vino che, al sorso, risulta decisamente più "maschio" e sapido con bella persistenza nel finale.

Il Maso Cervara Teroldego Rotaliano rappresenta invece la massima espressione che il Teroldego può avere in Cavit, c'è molta polpa e sostanza in questo vino che non ha nulla da invidiare ad espressioni di altri celebrei vignaioli territoriali. Alla cieca farebbe la sua porca figura, credetemi.

Fonte: appuntidigola.it

Roma - Vinofòrum - ore 23.15

Esco da Vinofòrum diverso da quello che ero tre ore fa. Le dimensioni non mi fanno più paura, non devono...

Il Prosecco in una mappa. Quella giusta.



Anche io, come hanno fatto già illustri colleghi in internet, non voglio sottrarmi a pubblicare la mappa reale del Prosecco che, come spiega Luca di Bele Casel, troppo spesso è carente dell'area di produzione Asolo Prosecco Superiore DOCG. Innalziamo la cultura del vino cominciando dalle basi....geografiche!