In enoteca a Pietrasanta, un'esperienza high-cost!

Leggo su molti blog pagine e pagine di post e commenti sempre sul solito argomento: i ricarichi sul vino che effettuano enoteche e ristoranti. Si scrive ormai di tutto e di più, enotecari che cercano di far capire a noi poveri mortali che la loro percentuale applicata è tale da garantire loro la sopravvivenza, ristoratori che giustificano i loro ricarichi sulla base delle molte (?) spese di gestione e servizio. In tutto questo marasma, a volte, si insinuano anche i produttori di vino che lanciano anatemi sui ristoratori, rei di guadagnare col loro prodotto più di loro. Chi ha ragione? Boh non so, dovrei lavorare in una enoteca o in un ristorante di livello per capire certi meccanismi però una cosa è certa….a volte si esagera. E’ il caso dell’enoteca Marcucci di Pietrasanta la cui carta dei vini, purtroppo, mi si è rivelata davanti dopo aver visitato il loro sito. Di Marcucci ne ho sentito parlare molto bene, soprattutto da Daniele Cernilli che, visitando l’enoteca qualche giorno fa, ha espresso giudizi notevoli riguardo la lista dei vini del locale. La curiosità, così, mi ha spinto a verificare la carta dei vini, dell'enoteca che, dopo una prima lettura, sicuramente ha davvero pochi rivali in Italia, sia per la sua ampiezza, sia per i prezzi proposti, dal mio punto di vista davvero eccessivi e senza scusanti.
Un esempio? Cliccate qua e cercate, tanto per fare un esempio, Le Macchiole.
Tutto normale? Oppure comprate e bevete sempre lo Scrio 2005 a 250 euro? Calcolando che è un vino che in enoteca a Roma trovo al massimo a 90 euro (su internet si trova anche a 50/60 euro), calcolando che l’enoteca romana applica alla bottiglia un margine del 30-40% (per cui acquista dal distributore 50 euro), mi spiegate voi come si fa a vendere, anche fosse al tavolo, una bottiglia così a cinque volte il prezzo di acquisto (500% di margine)? Vogliamo parlare del Paleo 1995? Venduto a 1000 euro? A quel prezzo ci compro La Tache al ristorante.
Ho fatto notare la cosa a Cernilli sul forum del Gambero Rosso e, fortunatamente, anche lui è rimasto basito, ha scritto che forse l’enoteca non vuole vendere Le Macchiole.
Allora non sono proprio matto, chissà cosa ne pensa di tutto questo Cinzia Merli.....

I piccoli grandi vignaioli di Castelvenere - prima parte

Come detto nel precedente post, Grandi vini da piccole vigne è stata una rassegna che mi ha sopreso per l'elevata qualità dei prodotti offerti, vini fatti da vignaioli veri che per tre giorni sono stati portati alla ribalta mediatica da Luciano Pignataro e Mauro Erro. Tante le cantine di cui vorrei poter parlare, cercherò di dare una visione di insieme sottolineando che ognuno dei produttori presenti meriterebbe una visita approfondita in cantina.

La prima sorpresa della serata è stata sicuramente Cantina Giardino, azienda di Ariano Irpino che si propone l'obiettivo di valorizzare i vitigni autoctoni, in particolare i vini ottenuti da viti di età oltre i 30 anni al fine di salvaguardare l'originaria varietà biologica nel vigneto ed incentivare i vignaioli ad evitare gli espianti delle vecchie viti. Tra i loro vini una menzione speciale merita il T'ara ra' 2007, greco in purezza da vigneti di oltre 40 anni, che prende tutto il suo fascino organolettico da una macerazione e fermentazione sulle bucce per 7 giorni, da una fermentazione con lieviti naturali in tino aperto evitando, al momento dell'imbottigliamento, chiarifiche e filtrazioni. Un altro vino di Cantina Giardino che mi ha colpito è stato il Sophia 2007, uvaggio di Greco, Fiano e Coda di volpe, fermentato e macerato in orci di terracotta da 200 litri con lieviti naturali per 180 giorni e affinato in legno esausto scolmo. Un vino che, a detta di Mauro Erro, sembra al palato un piccolo Borgogna bianco. Ah, Cantina Giardino non fa solo grandi bianchi, provate anche i loro rossi, in particolare il Nude, Aglianico di Irpinia 100%, vi regalerà grosse sorprese.

Altra segnalazione importante è Monte di Grazia, azienda agricola biologica che risiede a Tramonti, uno dei tredici comuni del comprensorio amalfitano. Tutti i vigneti, tra cui spicca il Monte di Grazia (550 metri s.l.m.), sorgono a ridosso della Costiera Amalfitana e risentono non solo dell'influsso del libeccio e della brezza periodica proveniente dal mare che mitiga in estate ed in inverno il clima collinare, ma anche dal vento del Nord.
Monte di Grazia ha una grande patrimonio: molto dei suoi vigneti sono di notevole dimensione e pluricentenari, a piede franco come ad esempio il Tintore e il Piedirosso, antichi vitigni che Alfonso Arpino, il proprietario dell'azienda, coltiva alacremente e da cui nasce il Monte di Grazia Rosso Campania IGT che, durante la manifestazione ho degustato nell'annata 2006. Un vino che mi ha piacevolmente spiazzato in quanto aveva un olfatto unico, mai percepito in altri vini, dove tutte le componenti aromatiche,dalla frutta alle spezie, dalla china al caffè (tanto per citarni alcuni) si rincorrevano a ritmi così serrati che, ad ogni olfazione, mi pareva di esser di fronte a un altro vino. Un grande vino sotto i dieci euro che comprerei a bancali.
Come al solito mi sono dilungato per cui dovrò scrivere un altro post per concluedere l'argomento. Alla prossima settimana per le altre segnalazioni!

Primo resoconto su Grandi vini da piccole vigne: la verticale di Taurasi delle Cantine Lonardo - Contrade di Taurasi

Grandi vini da piccole vigne, primo festival meridionale delle piccole vigne, è stato sicuramente un evento che mi ha lasciato bellissimi ricordi e, dal punto di vista enologico, l’ho trovato sorprendente e alternativo. Sorprendente perché onestamente non pensavo di trovarmi di fronte a così tanti prodotti di grande qualità (plauso a Luciano Pignataro ed Mauro Erro per la scelta delle cantine), alternativo perché nei giorni passati, a Castelvenere, si era di fronte ad un bere differente, lontani dalle mode e dai richiami del successo, c’erano solo loro, una manica di umili vignaioli che col sudore producono poche bottiglie e che si imbarazzano se gli fai un complimento sul vino che versano nel bicchiere. Andare ai loro banchi di assaggio è come entrare un po’ a casa loro, ti aprono il loro mondo di cui ancora sono un po’ gelosi, non c’è ostentazione ma solo tanto lavoro contadino. Uno di questi grandi piccoli vignaioli è Alessandro Lonardo che con la moglie Enza e le figlie, più un ristretto numero di validissimi collaboratori tra cui l’enologo Maurizio De Simone, porta avanti dal 1998 il marchio “Contrade di Taurasi”, la cui filosofia aziendale si basa su principi chiari e imprescindibili: • Uso di materie prime provenienti solo dai vigneti aziendali; • Sperimentare nuove tecniche agronomiche ed enologiche nel rispetto della tradizione; • Ottimizzare i processi di produzione al fine di raggiungere un giusto rapporto q/p; • Uso di lieviti autoctoni per esaltare le caratteristiche organolettiche tipiche del vino. Prologo della manifestazione, ed interessante occasione per conoscere ed apprezzare questa importante cantina, è stata la verticale del Taurasi Docg delle Cantine Lonardo – Contrade di Taurasi nelle annate: 2005 – 2004 – 2001 – 2000 – 1999 – 1998.

2005: questa è stata la prima annata dove si sono utilizzati lieviti autoctoni selezionati dopo che, nel 2001, è stato avviato il progetto con il Prof. Giancarlo Moschetti dell’Università di Palermo. Ultimo millesimo in commercio, è ancora un bimbo in fasce e lo si capisce dal fatto che il timbro fruttato è ancora quasi preminente su tutti gli altri riconoscimenti olfattivo. Frutta rossa, croccante, ben definita accompagnata da una nota di vinosità. In bocca si conferma giovane ma potente, compatto, con un tannino tutto da smussare ed una bella vena acida che permetterà a questo vino di evolversi per ancora tanto, tantissimo tempo.

2004: figlio di una annata che definiscono ottima, presenta un quadro aromatico già più complesso ed elegante del 2005: la frutta è più evoluta, strutturata, escono tono floreali e un lieve minerale. La bocca è molto più aggraziata, se vogliamo più esile della precedente annata, ma l’equilibrio raggiunto è gia stupefacente e fa sì che questo Taurasi sia di grande bevibilità ora e di grande futuro tra pochi anni. Ottimo.

2001: andiamo indietro nel tempo e subito il naso lo riconosce, il vino è più profondo, cupo, complesso, sa di chiodi di garofano, marasca, erbe aromatiche. Un Taurasi che esprime in questa annata un’anima mediterranea e che in bocca, nonostante gli otto anni di età, è ancora ricco, equilibrato e di bella persistenza su ritorni speziati. Piccola curiosità: per fare questo vino le uve sono state vendemmiate in cinque passaggi.

2000: è un vino figlio di un’annata calda, un vino che esprime comunque al meglio tutti i caratteri del millesimo senza risultare “cotto”. Il naso è più immediato, diretto, l’esuberante nota alcolica fa da volano alle sensazioni di frutta in confettura, spezie, fiori rossi macerati. In bocca è chiaramente caldo, la nota alcolica è un po’ bruciante e per questo risulta meno elegante dei suoi fratelli minori. Sicuramente il peggiore della batteria ma, se adeguatamente abbinato a tavola, darà grandi risultati.

1999: entriamo con questo vino in una dimensione più eterea, forse la quintessenza del Taurasi che con questa annata si fa accattivante, di rara complessità con un’impronta aromatica di frutta rossa matura impreziosita da eleganti spunti di grafite, goudron, radici, polvere di caffè, humus, fiori rossi essiccati. Bocca di grande carattere ed eleganza, di ottima finezza e raro equilibrio. Forse manca un pò nella persistenza finale. Rimane un grande vino, uno dei migliori della batteria per integrità, grazia e complessità.

1998: è il primo anno di produzione del Taurasi, i protagonisti ci raccontano di un vino fatto quasi in garage, estremamente artigianale, dove la voglia di fare in qualche modo sopperiva un’esperienza ancora da sviluppare. Il vino sia al naso che in bocca denota non è integro come l’annata precedente, i capelli bianchi ci sono e si fanno notare soprattutto per quanto riguarda l’equilibrio generale che denota una iniziale scissione tra parti dure e morbide del vino(soprattutto l’acidità). Nonostante questo siamo di fronte ad un bel Taurasi che, sorso dopo sorso, si lascia bere alla grande e che, nonostante questi piccoli difetti, farebbe le scarpe a molti vini che ancora oggi troviamo in commercio. La classe c’è e non è acqua…è vino!

Cosa lega Paris Hilton e l'Ornellaia 1998?

Vabbè lo so, qualcuno la notizia potrebbe già saperla ma io sono stato fuori Italia per venti giorni e certe notizie le ho perse. Come posso non commentare questa?
Ma lo sapevate che, secondo l'ereditiera più tr... del mondo, c'è un famoso vino italiano che pare avere poteri opposti al Viagra?
Infatti, Paris Hilton sostiene che per alleviare i suoi (frequenti) ardori sessuali è solita riempire di purissimo vino Ornellaia la sua vasca idromassaggio provvista di cascate artificiali e giochi di luce. Attenzione all'annata però, la signorina preferisce solo il 1998, per cui se avete quel millesimo in cantina sappiate che c'è una ricca donna in giro per il mondo che potrebbe strapagare la vostra bottiglia col solo fine di permettere alle paperelle da vasca di galleggiare in maniera migliore. Quanto spresco, ma il Tavernello proprio non gli piace? Pare di noi visto che la Hilton sostiene di custodire 0 bottiglie nella cantina della villa californiana di Sherman Oaks, a nordovest di Los Angeles. Morale della favola? Non bevete più Ornellaia visto che è peggio del bromuro e se proprio lo dovete dar via perchè vi ammoscia.....datelo a me che sta robaccia la bevo molto volentieri....

Grandi Vini da Piccole Vigne!


Oggi andrò a questa bella manifestazione ideata da Luciano Pignataro e diretta tecnicamente da Mauro Erro. Sono tutte cantine che non conosco per cui sarà un'occasione di crescita culturale per me. Due i produttori che sono curioso di visitare: Cantina Giardino con i suoi vini estremi e Taffuri Pouchain che si trova nella piccola isola di Ponza e che produce uno spumante davvero di nicchia.
A presto per un completo resoconto.

Cinqualino Beach, Petrus e Russi coi soldi....

Scusate qualcuno potrebbe dare il mio numero di telefono a quei simpatici russi che ieri sera al Cinqualino Beach hanno pagato per due Krug e due Petrus, annate 1992 e 1996, la bellezza di ben 10.000 euro???? Se me li contattate potete dirgli che le annate che hanno bevuto non valgono quei soldi e che se proprio vogliono comprarsi due Petrus glieli vendo io a 2500 euro senza pretendere la mancia di 4200 euro che hanno lasciato ai camerieri? A proposito, Sergio Moresco, proprietario del ristorante, ha affermato che il vino gli è stato servito come accompagnamento a due granchi alla catalana con aragoste e gamberi. Secondo voi è l'abbinamento ideale? Ma che abbinamento è??????????? E il Krug con che l'hanno abbinato? Coi salatini e le olive di Gaeta??????Ma non è che il cameriere si è sbagliato e i russi avevano chiesto questo di Petrus?

Coletti Conti e quell'emozione chiamata Romanico

Non leggete le righe seguenti perché sarò parziale, ma come fare a non essere di parte e un po’ campanilistico quando si scrive un articolo su uno dei migliori vignaioli italiani che, scusate se è poco, è anche della mia Regione?
Anton Maria Coletti Conti (Antonello per tutti i suoi amici) da Anagni discende dalla famiglia Conti, un antico casato che ha dato ben quattro Pontefici alla storia della Chiesa: Innocenzo III, Gregorio IX, Alessandro IV e Innocenzo XIII. Cosa ti aspetti da una persona con una storia così? Che faccia come minimo il mestiere il notaio. Antonello questa strada la stava intraprendendo ma, qualcosa, nel suo destino l’ha spinto altrove: “La Caetanella”, il podere di proprietà della famiglia, dato che il padre non poteva più gestirlo, aveva bisogno delle sue cure, non poteva disperdersi così un patrimonio che gli apparteneva da tempo immemorabile. Da quel momento in poi Antonello si è tolto la giacca e la cravatta da aspirante pubblico ufficiale e ha cominciato a diventare quello che è oggi, il deus ex machina della sua azienda vitivinicola: agronomo, enologo e proprietario al tempo stesso di quelle viti, soprattutto di Cesanese, che lui oggi considera delle vere e proprie figlie. Il 2003 per Anton Maria Coletti Conti rappresenta l’anno di svolta, l’anno in cui costruisce la sua cantina e, invece che produrre uve da portare in cantina sociale, inizia a vinificare in proprio senza compromessi, vuole fare il Suo vino. Nasce così il Romanico, frutto della vinificazione in purezza dei migliori Cru di “Cesanese di Affile”, che nel millesimo 2006 si conferma all’altezza delle aspettative anche se siamo tutti coscienti che, una volta aperta la bottiglia, si sia commesso un infanticidio.
Di un colore rubino quasi impenetrabile, il Romanico 2006 si conferma estremamente complesso all’olfatto con il suo ricco ed ampio bouquet a
romatico che spazia dalla marasca al ribes, dalla mora di rovo al corbezzolo, poi man mano che si apre emergono note più ammalianti di gelso, viola, liquirizia, cioccolato e spezie dolci. Un naso estremamente variegato ed elegante nonostante il grado alcolico che, in stile Coletti Conti, supera abbondantemente i 15°. Questo però non deve ingannare chi degusta il vino, il Romanico, come gli altri vini aziendali, è tutt’altro che una marmellatona di frutta e ciò si può capire tranquillamente alla gustativa dove il vino si presenta sicuramente di grande estrazione e di estremo, vellutatissimo equilibrio. Grandissima persistenza, chiude con bei richiami di frutta rossa matura, liquirizia e caffè. Un vino da bere a sorsate ora ma che, se adeguatamente atteso, darà grandi emozioni.

Ritorno dalle vacanze con una certezza: la Manzanilla de "La Cigarrera"

Torno dopo venti giorni passati nelle calde terre spagnole dell’Andalusia. Un viaggio che mi ha permesso di conoscere vini interessanti, sicuramente fuori dalle rotte dei grandi mercati ma che, forse per questo, sono dotati di grande originalità e fascino.
Passando per Sanlúcar de Barrameda non potevo esimermi dal visitare “La Cigarrera”, una Bodegas storica di questo territorio che, per le sue caratteristiche pedoclimatiche (qua il fiume Guadalaquivir sfocia nell’Oceano Atlantico), da vita al Jerez (meglio conosciuto col termine inglese Sherry) di intrigante impronta salina.
“La Cigarrera” è una cantina fondata nel 1758 da Don José Colóm Darbo che, pian pianino, iniziò a comprare terreni in città per cominciare a produrre jerez. L’attività è andata sicuramente bene visto che oggi siamo alla nona generazione e, nonostante i suoi piccoli numeri, “La Cigarrera” rimane una realtà molto importante nel settore soprattutto perché tutto è rimasto a livelli artigianali e i vini, soprattutto la Manzanilla, rimangono di grande spessore qualitativo.
Jerez e Manzanilla, che rapporto c’è tra loro? Il Jerez è stato il primo vino della Spagna al quale fu conferita la Denominación de Origen (DO) la cui area è delimitata dai territori dei comuni di Jerez de la Frontera, Sanlúcar de Barrameda e El Puerto de Santa María. Le uve utilizzate per la produzione del Jerez sono tre e precisamente Palomino, Pedro Ximénez e Muscatel.
Il Jerez viene classificato secondo cinque stili specifici (per approfondimenti vedere qua)
  • Fino
  • Amontillado
  • Palo Cortado
  • Oloroso
  • Cream
  • Pedro Ximénez
E la Manzanilla dove è? In quale stile la possiamo ricondurre? Questa tipologia di vino fa parte della categoria Fino ma si diversifica dallo stesso perché, in qualche modo, entra in gioco in questo caso il concetto di “terror”. Infatti solo a Sanlúcar de Barrameda può essere prodotta la Manzanilla che, grazie allo sviluppo e alla protezione del flor, lo strato di lieviti superficiali che si sviluppa all’interno della botte sopra la superficie del vino, mantiene caratteristiche uniche ed inimitabili.
Durante la visita alla Bodegas, che costa circa 3 euro a persona, abbiamo visitato tutta la cantina colma di botti di rovere americano accatastate secondo il metodo soleras y criaderas e abbiamo degustato, alla fine del tour, parte dei loro vini.
Curioso come una scimmia non ho potuto non degustare la loro Manzanilla che ho trovato di un gradevole impatto olfattivo giocato su sensazioni di miele, fiori bianchi e melone. Al palato esce tutto il “terroir” di Sanlúcar de Barrameda visto che il palato diventa gradevolmente salino e ricco di spunti di frutta fresca estiva, mandorla e vaniglia (il legno purtroppo in un vino così giovane è difficile da debellare).
Passando per gli altri stili sono arrivato al capo opposto, al Pedro Ximénez, un vino prodotto al 100% da uva omonima e che trasmette intensi effluvi di prugna, caramello, uva passa, fichi secchi, chiodi di garafano, mallo di noce, ciliegia matura. Un gran vino dolce, certamente non indimenticabile in questa versione, ma che porta con se un finale interminabile e di grande carattere. Col cioccolato poi è il massimo!

Percorsi di Vino va in vacanza.....

...............e torna il 20 Agosto!
Ragazzi godetevi queste vacanze e cercate di bere poco ma bene.
Ah se lo incontrate in spiaggia......non sono io....

Alla scoperta dell’azienda agricola Montepepe di Roberto Poggi

Poco tempo fa su Vinix sono incappato in una recensione di Mirco Mariotti (I vini delle Sabbie) che parlava in maniera davvero entusiastica dei vini di questa azienda agricola, sconosciuta ai più, che porta il nome di Montepepe. Non so, mi sarò fatto influenzare dalle belle parole che un produttore di vino ha avuto nei confronti di un altro (strano in questo mondo) però, dopo quelle poche righe, ho cercato fortemente il Montepepe Bianco 2007 che ora è qua, sul mio tavolo, bello fresco per essere degustato.
Non avendo l’azienda ancora un sito internet funzionante, vi fornisco qualche informazione per capire bene di chi e di cosa stiamo parlando: l’azienda, di recente costituzione, si trova sulle prime pendici di una collina nei pressi di Montagnoso, nella zona DOC dei Colli del Candia. La vicinanza del mare e delle Alpi Apuane crea un microclima particolare fatto di estati ventilate ed inverni miti. I vigneti sono stati impiantati nel 2004 su terrazze già esistenti, che fin dall’ottocento hanno ospitato la vite. La potatura è ad alberello orientato, allevato a spalliera, con viti poste a 0.6 metri l’una dall’altra. La superficie di circa cinque ettari è ripartita in parti uguali tra vitigni a bacca bianca e vitigni a bacca rossa.
I terreni, invece, sono a tessitura franca, leggermente sabbiosa e sensibilmente acidi.
L’azienda agricola produce tre vini:
• Il Montepepe bianco (70% Vermentino e 30% Viogner);
• Il Degeres (60% Vermentino e 40% Viogner) che viene vinificato e affinato in tonneaux di rovere francese;
• Il Montepepe Rosso (70% Syrah e 30% Massaretta) che viene vinificato in acciaio e affinato in botti da 15ql.

Il Montepepe bianco 2007 che ho nel bicchiere è una vera e propria esplosione di frutta, una macedonia olfattiva che porta l’impronta di pesca gialla, mela, susina gialla, ananas, pera Williams e agrumi. Lievi cenni di fiori gialli ed un accenno minerale in chiusura.
Palato di grande spessore e ben equilibrato da una apprezzabile dotazione di freschezza e sapidità. Media la persistenza finale.
Piacevolissima sorpresa questo Montepepe Bianco soprattutto perché, vista anche l’annata, sono sicuro che continuerà ad evolvere in bottiglia e ci regalerà belle emozioni nel futuro. Continuiamo a seguirla questa azienda.
E ora sono curioso di bere il Degeres, il fratellone maggiore che ha fatto legno…..

Lo strano binomio dell'estate 2009: ostriche e Perrier

Il comunicato stampa dell'iniziativa fa molto figo e recita così:

Metafora antica di un cibo difficile da raggiungere, le ostriche sono emblema di stile ed eleganza, di una proposta esclusiva e densa di fascino. La mitologia greca narra che proprio dalle valve di un'ostrica nacque Afrodite, dea dell'amore, mentre pare che Casanova ne mangiasse a dozzine prima di iniziare un pranzo. L'accostamento ostriche e Perrier rimanda al più tradizionale abbinamento dei pregiati frutti di mare con lo Champagne, comunemente associato al concetto di lusso e di raffinatezza, qualità indiscutibilmente riconducibili allo stile Perrier.
Alcuni dei più esclusivi locali italiani propongono per l'estate 2009 l'evento Rendez - Vous: l'aperitivo chic con ostriche e Perrier, una serata a tema in cui vengono esaltate la classe e lo stile della più celebre acqua minerale del mondo, in abbinamento con la preziosità delle ostriche.

Il programma delle serate prevede che gli ospiti siano accolti all'ingresso dei locali dalle ragazze Perrier, che danno il benvenuto offrendo una freschissima flûte di acqua Perrier. Coloro poi che nel corso della serata ordinano un cocktail a base di Perrier - selezionato fra i tanti presenti sul coloratissimo ricettario della Casa - hanno diritto a un'esclusiva degustazione di ostriche, una nuova, elegante idea aperitivo. Il tutto in un ambiente riccamente arredato con i colori e con gli oggetti del leggendario mondo Perrier!".

Ora, va bene che d'estate tutto è lecito e c'è tanta voglia di divertirsi e di trasgredire, va bene che la pubblicità ti vende anche la m@@@@ spacciandotela per puro cioccolato svizzero, però santa miseria non fatemi passare il messaggio che bere acqua ed ostriche fa chic soprattutto con la Perrier che, se non ricordo male, è l'acqua da rutto per eccellenza (vedi Fantozzi) in quanto la più gassata al mondo!!
Acqua, Champagne e ruttino più o meno libero mi sembra tanto l'aperitivo del cafone che non può permettersi lo Champagne che, diciamolo subito, non è il vino che amo abbinare alle ostriche. Troppo metallico il risultato finale che avremo in bocca, meglio un moscato secco o un timorasso di Mariotto, provare per credere.
E se proprio lo volete fare strano, andate a Napoli, non si sa mai si trovasse ancora il marijuancello!!

Il Barolo Sperss 1988 di Angelo Gaja

Questo era uno dei vini presentati durante l’ultimo Bibenda Day e, fortunatamente, l’AIS di Roma a noi “disertori” ci ha permesso di recuperare quanto avevamo perso. Non amo tantissimo i vini di Angelo Gaja, soprattutto perché li ritengo abbiano uno scarso rapporto qualità/prezzo, il fatto di essersi contornati di un’aura di leggenda fa salire le loro quotazioni alle stelle e, a certi prezzi, compro molto altro. Il 1988 non è un’annata qualunque per Angelo Gaja, per lui e la sua famiglia questo millesimo ha significato una sorta di ritorno alle origini, di ritorno a quel Barolo che il papà produceva tra gli anni ’50 e ’60 con le uve che provengono dagli stessi vigneti che Angelo Gaja ha acquisito proprio nel 1988 a Serralunga, in frazione Marenca-Rivette. “Sperss” è stata chiamata la nuova proprietà, nome piemontese che si traduce in nostalgia o profondo desiderio, un omaggio a sua padre Angelo che tanto aveva (ri)voluto questo vino, quel tanto agognato Barolo che ora è qua nel mio bicchiere, aristocratico e monumentale come pochi altri, se chiudiamo gli occhi e portiamo alziamo il calice sembra quasi di stare all’interno di un monastero tanto sono netti ed insistenti gli aromi di ebanisteria, incenso, fiori rossi essiccati. Aprendosi, il vino offre molto di più in quanto esibisce bellissime definizioni di humus, goudron, foglie secche, frutta rossa evoluta, cipria, tabacco, liquirizia. Il palato non tradisce le aspettative e si mantiene austero, mai eccessivo in una eleganza gustativa che solo i grandi vini posso avere. I tannini sono velluto che scivola via per dare spazio ad un corpo e una vena acida ancora in perfetto equilibrio anche se qualche scricchiolio cominciamo a notarlo. Lungo il finale dove giocano note di humus, echi di frutta rossa e rosa passita. Un vino sicuramente emozionante questo Barolo Sperss 1988 anche se questo suo essere monolitico lo rende per me troppo severo, difficile da apprezzare appieno se non da chi ha le chiavi giuste. Ma forse è proprio questo che vuole Gaja no?

L'aperitivo a Napoli si fa così!

Ragazzi non ce ne è per nessuno davvero, non c'è alcun uomo di markenting, stilista o pubblicitario che abbia l'inventiva e l'immaginazione dei napoletani.
Uno di loro, in questi giorni, ha inventato la bevanda dell'estate 2009!
Immaginatevi ora di essere in un suggestivo bar della costiera amalfitana o nella piazzetta di Capri, non c'è nulla di più buono e dissetante, in una calda serate estiva, di una granita fresca ed un babà meglio se abbinati ad un buon bicchiere di limoncello. Sì, il limoncello, il liquore più imitato della storia, quello fatto con i limoni di Sorrento (biologici) la cui buccia viene macerata nell'alcol per otto/dieci giorni per poi filtrare tutto. Avete presente? Che dite? E' un pò "vintage" come aperitivo? E mi sa che avete ragione, perchè ci sono altri che la pensano come voi. Infatti, un sessantenne napoletano, stanco del solito liquore giallastro si è inventato un bel surrogato a partire da una materie prima molto particolare: cannabis. Manlio Chianchiano, come riporta TGCOM, coltivava nell'orto di casa la piantina non per spacciare la droga nel solito modo ma per realizzare un particolare liquore: il "marijuancello", vale a dire liquore alla cannabis. Che fine ha fatto l'arzillo signore? Ovviamente è stato arrestato dai carabinieri nel quartiere Chiaiano di Napoli. Fonti attendibili dicono che al momento del fermo tutto il quartiere stava brindando alla salute del Chianchiano. Ovviamente la bevanda è ignota...

Quando la tradizione del vino diventà passione: Cascina Tollu

Tomaso Armento di Cascina Tollu è un altro di quei vignaioli “on line” che utilizzano il social networking come strumento per trasmettere ed accrescere la propria immagine aziendale. Non è facile trovare in internet produttori che ci mettono la faccia, che ci fanno capire giorno dopo giorno, riga dopo riga, come evolve il loro lavoro, cosa succede in vigna e, soprattutto, quale è la loro (reale) filosofia produttiva.
Tomaso, come scrive lui stesso,è innamorato di Tollu, un podere di circa dieci ettari nel Monferrato a Rocca Grimalda, nel cuore delle terre di produzione del Dolcetto d’Ovada. Lui è cresciuto là, ha visto cambiare il panorama nel tempo, insieme alla sua famiglia ha portato avanti le vigne come chi non lo fa semplicemente per “produrre e vendere” bensì perché ha una naturale passione per la campagna, per il territorio in cui si trova e per i suoi frutti.
La filosofia aziendale è da sempre stata improntata al rispetto dell’ambiente e alla sua preservazione, assecondando la natura, la complessità e varietà che la caratterizzano, con un occhio costantemente rivolto alla qualità: presidio ritenuto fondamentale visto che sono proprio loro i primi a bere e mangiare tutto quello che producono.
Cascina Tollu non fa grandi numeri, oggi produce quattro vini: Dolcetto d'Ovada, Bianco di Tollu, Rosa di Tollu, Cortesemente. (In realtà fanno anche un dolcetto affinato che si chiama Leò, che al momento non è in commercio ma è in cantina ad affinare).
La mia curiosità, soprattutto perché ho letto alcune interessanti recensioni, mi ha spinto a provare il Bianco di Tollu, un vino frizzante a base di Cortese e Chardonnay.
Questo vino è un’eredità che passa da nonno a nipote (Tomaso), il primo l’ha creato e l’ha sperimentato volendo ottenere un prodotto capace evolvere nel tempo, il secondo ha il dovere di migliorarlo e di farlo conoscere (finalmente) al mercato.
Per quanto riguarda la tecnica di produzione, il vino nasce da due vini finiti, infatti le uve chardonnay e cortese vengono vendemmiate e vinificate separatamente sino ad arrivare a due vini finiti, pronti per l’imbottigliamento. Una volta realizzata la cuvéé avviene la presa di spuma che Tomaso cura personalmente moltiplicando i lieviti e poi inoculandoli nella massa che verrà subito imbottigliata. Non viene effettuata nessuna sboccatura, quindi il vino permane sui lieviti (“sur lie”) anche quando commercializzato.
Come spesso dice Tomaso, il Bianco di Tollu è un vino “fuori dagli schemi” e questa caratteristica la notiamo subito nel bicchiere: spuma abbondante e colore giallo paglierino torbido fanno presumere, a bottiglia coperta, che andremo a bere ad una birra artigianale. Ma le assonanze con questa bevanda non finiscono qua….
Il naso si propone con sensazioni di crosta di pane, mela golden e pesca bianca mentre il palato si lascia facilmente conquistare dalle sferzante freschezza e da una piacevolissima beva. Lieve finale amarognolo che mi ha fatto venire di nuovo in mente le birre artigianali molto luppolate.
Bottiglia finita in un attimo. A volte penso che sia molto meglio questa tipologia di vino che tanti Barolo, stracomplessi ma anche di difficile beva ed abbinamento. E poi a meno di 10 euro (in cantina) che volete di più?

P.S.: tutte le etichette dei vini di Cascina Tollu sono riprese dai quadri dell’artista Sergio Fedriani (prematuramente scomparso) la cui moglie ha gentilmente concesso di usare per dare maggiore visibilità sia a vini che all’artista.

E ora? Che ci facciamo col Brunello declassato? Qualche ipotesi di utilizzo....

Non mi occupo di seguire attentamente la vicende che è (ri)esplosa in questi ultimi giorni visto che ci sono illustri giornalisti e blogger che se ne stanno occupando in maaniera capillare e con la giusta competenza. Quello che ho capito io è che tra un pò il nostro mercato sarà invaso da fiumi di Brunello declassato, infatti le notizie ufficiali parlano di circa 1,1 milioni di litri di vino Brunello di Montalcino declassato a Igt Toscana Rosso in seguito alle istanze di restituzioni da parte del Tribunale del riesame di Siena e dopo l'esito delle consulenze tecniche disposte per verificare il rispetto del disciplinare di produzione del Brunello di Montalcino Docg 2003. Non è finita. Sono stati restituiti ai proprietari anche circa 450mila litri di vino Rosso di Montalcino e declassati anch'essi a Igt Toscana Rosso. Più di un milione e mezzo di vino, due milioni di bottiglie, il cui contenuto non ha rispettato (e la facciamo candida) il disciplinare di produzione. E ora cosa pensate facciano i produttori coinvolti con questo vino? Ce lo venderanno a noi con buona pace dei Consorzi di Tutela, della territorialità e della nostra salute. Riflettendo su questo fatto ho cominciato a pensare dove troveremo questo vino:
  • supermercati che lo pubblicizzeranno con un fantastico 3X2;
  • nei wine bar che ci spacceranno questo vino come Brunello, tanto quando versano il vino nel bicchiere nessuno li vede;
  • nei ristoranti che lo spacceranno come vino della casa (nella migliore delle ipotesi).
E noi? Io dico di NO ragazzi, non compriamolo e pretendiamo un altro vino nel caso ce lo volessero vendere a prezzi ridicolo. Non lo beviamo nemmeno se siamo a casa di amici e ce lo offrono. Gli deve rimanere tutto sul groppone perchè noi consumatori ci sentiamo imbrogiati, dai produttori o da chi doveva controllarli, non importa! Al massimo ci facciamo un brasato a Natale visto che in quel periodo siamo tutti più buoni. E voi? Che cosa ne pensate?

Vinixiani di Roma, gran brava gente!!

I vinixiani non sono un popolo extraterrestre ma un gruppo di persone col web 2.0 in testa e tanta voglia di parlare di grande vino e, soprattutto, berlo in compagnia.
Con la benedizione del nostro vate enologico Filippo Ronco che grazie a Vinix ci ha fatto conoscere, ci siamo incontrati ieri sera a Roma all’interno del Circus, locale molto carino ed intimo nel centro di Roma che sarà il punto di riferimento futuro di questo nuovo movimento wine oriented.

A parte gli scherzi, nonostante la serata che più romana sembrava africana, abbiamo bevuti dei vini estremamente interessanti e, in tale ambito, devo necessariamente ringraziare il nostro spacciatore di bianci (Paolo Ghislandi di Cascina I Carpini) e il nostro nuovo pusher di rossi, Vincenzo Ciaceri di Poggio al Toro, che ci ha deliziato con un Morellino di Scansano e un I.G.T. Toscana di tutto rispetto.


Prima di aprire il bianco dei Colli Tortonesi una piccola sorpresa: una vinixiana ha portato con se una piccola chicca umbra, un bianco “naturale”, il Colle Capretta della cantina Terra dei Preti che viene prodotto annualmente in circa 700(!) bottiglie. L’etichetta cita che trattasi di “…vino bianco ottenuto da una selezione di uve delle vecchie viti di Trebbiano Spoletino, fermentate con la macerazione delle bucce per più di dieci giorni come nella pratica tradizionale antica. Il lavoro in vigna e in cantina si ispira a principi di assoluta naturalità e alle influenze dei cicli lunari. La terra viene aiutata solo di rado con concime ricavato dagli animali dell'azienda. Non si utilizzano lieviti artificiali e non si aggiunge solforosa in imbottigliamento. Il vino riposa in un contenitore di cemento vetrificato prima di essere imbottigliato”.
Bevendolo mi è sembrato un vino del contadino a “cinque stelle” che gioca molto sullo stile ossidativo (ottimi i ritorni olfattivi di miele e albicocca matura) ma che al palato perde un po’ la marcia non aprendosi come dovrebbe e peccando un po’ di persistenza. Sarà interessante seguire le varie evoluzioni della cantina.


Gli altri bianchi, come detto, sono stati gentilmente offerti da
Cascina I Carpini, un’azienda amica di Vinix che, pur essendo distante da noi, ci era sicuramente vicina col cuore. Il Rugiada del Mattino lo abbiamo bevuto sia nella versione 2007 sia in quella 2008 (imbottigliata da pochissimo) e i più attenti sono stati bravi a coglierne le differenze: infatti quest’ultimo millesimo si caratterizza per una minima aggiunta (circa 10%) di Timorasso, vitigno principe dei Colli Tortonesi, che ha dato più struttura e complessità al vino che risulta per questo (forse) meno beverino del 2007 che, bevuto freschissimo in una serata afosa come quella di ieri, è stato spazzato via in un attimo. Complimenti comunque a Paolo per la sua continua voglia di sperimentare e di offrirci sempre prodotti di grande livello.

La sorpresa, almeno per me, ieri sera è stata l’azienda Poggio al Toro del nostro Vinixiano Vincenzo Ciacere, romano de roma trapiantato in maremma che ci ha presentato il suo Morellino di Scansano 2007 e un sorprendente 900 Ceppi, in I.G.T. Toscana a base Sangiovese di grande caratura.
Perché parlo di sorpresa? Perché finalmente il suo Morellino mi ha rinfrancato nei confronti di tanti altri prodotti equivalenti che trovavo (trovo) sempre molto sbilanciati o sulla componente alcolica o sulla componente tannica.
Il suo Morellino di Scansano DOCG, proveniente da vigne di 10 anni di età, è ottenuto da uve Sangiovese (almeno il 90%), Cabernet Sauvignon e Syrah (5-10%) e si presenta di un colore rosso rubino con naso di frutti di bosco, visciola, gelso nero ed un tocco di erbe aromatiche. In bocca è molto avvolgente, caldo e, nonostante il grande caldo, è rimasto sempre ben equilibrato nelle sue componenti dure e morbide. Bella la persistenza finale. Sicuramente pronto ma con un potenziale di invecchiamento non indifferente.

Un altro vino di Poggio al Toro che mi ha affascinato è il 900 Ceppi, prodotto solo nelle grandi annate, è una cuvée di uve provenienti dai migliori vigneti di Sangiovese (900 ceppi selezionati) esposti tutti a sud-ovest.
Dopo la vendemmia, che avviene tardivamente (circa metà ottobre), le uve raccolte vengono subito portate in cantina per essere vinificate separatamente dal resto del pigiato dopo un’ulteriore fase di selezione manuale degli acini. La fermentazione viene svolta in 6 giorni ad una temperatura controllata di circa 28° gradi ed è seguita da una macerazione di ulteriori 20 giorni posta in essere per estrarre la maggior quantità possibile di aromi e polifenoli. La fermentazione malolattica è svolta in 2 tonneaux da 5 ettolitri dove poi il vino successivamente sosterà per ulteriori 15 mesi. Un altro anno di affinamento in bottiglia e il vino, senza chiarifiche né filtrazioni, verrà commercializzato. Solo in Magnum o Jeroboam però!!!
Berlo ieri sera è stato una vera delizia per il mio olfatto e il mio palato. Giovane, giovanissimo col suo colore rubino con riflessi violacei, ha un naso molto complesso che non ricorda molto i caratteri del Sangiovese in quanto, prima di tutte, escono le note speziate, pepe nero in primis, seguite da impregnanti note di liquirizia, cuoio, caffè, tabacco biondo, marasca, ribes, sottobosco. Imponente l’impatto gustativo, ricco di estratti e corpo, con un tannino, giustamente astringente, è di grande stoffa ed eleganza. Grande la persistenza finale per un vino che, pur essendo quasi da meditazione, risulta essere di grande bevibilità. Puro edonismo maremmano.

Cantine d'autore? Ma er vino è bbono?

Stati Uniti. Area 51?

Un grande polipo alieno è sceso sulla Terra?

Ma no, è solo l'immagine di una chiesa moderna....

Magari un centro benessere all'avanguardia....

Entrando però non troveremo nè scienziati nè alieni, ma solo...."barrique a cinque stelle". Ma allora si produce il vino qua dentro?

Benvenuti nel fantastico mondo delle cantine d'autore, luoghi incredibili, al limite della fantascienza, creati da grandi architetti e designer moderni che creano questi veri e propri luoghi di culto asettici per soddisfare le manie di grandezza del produttore moderno.
Il fenomeno come facile immaginare è iniziato prima negli Stati Uniti, in California, per poi proseguire in Francia ed in Spagna. Nelle immagini vediamo proprio la cantina della Bodega Ysios, situata a Laguardia (Roja), disegnata dall'architetto Santiago Calatrava, noto forse ai più per i progetti avveniristici di stazioni ferroviarie e ponti che, in questo caso, ha messo tutto il suo ingegno per creare un cantina high-tech ispirandosi ad una immagine di barrique in fila. E il vino? C'è chi giuria sia anche buono ma quanta nostalgia delle cantine fredde, buie, a volte umide, dove nascoste tra le colonne si trovavano le grandi botti scure di vecchiaia che trasudavano storia, passione, lavoro vero. Ora già mi immagino che un cantiniere con i guanti bianchi che posterà la barrique su nastri in velluto ponendo in essere i travasi solo con materiali firmati, magari una pompa enologica firmata Armani.... Il fenomeno, come detto, non è certo isolato perchè oltre alla suddetta "cantina" troviamo altri luoghi high-tech come Marqués di Riscal, sempre nella Rioja, firmata da Frank O. Gehry, architetto del museo Guggenheim di Bilbao (nella foto in basso). Altri esempi li troviamo in Francia (Château Lafite-Rothschild) e in California, dove gli elvetici Jacques Herzog e Pierre de Meuron, utilizzando pietre a secco sostenute da strutture metalliche hanno dato vita alla Dominus, cantina di Château Petrus a Napa Valley. E in Italia? Alla prossima puntata.....

Il Re dei vini dolci: il Vin Santo Avignonesi 1996

Qualcuno fa risalire il suo nome ad un frate francescano che nel 1348 curava le vittime della peste con un vino che era comunemente usato dai confratelli per celebrare messa e che qualcuno credeva avesse delle proprietà miracoloso. Qualcun altro ritiene che durante il Concilio di Firenze del 1439, il metropolita greco Giovanni Bessarione proclamò, mentre stava bevendo il vin pretto: "Questo è il vino di Xantos!", forse riferendosi ad un vino passito greco (un vino fatto con uva sultanina pressata) prodotto a Santorini. Per altri, invece, il riferimento è al suo ciclo produttivo, basato intorno alle feste religiose più importanti del calendario liturgico cristiano: alcuni spremono l’uva per i Santi, altri per Natale ed altri per Pasqua. Alcuni imbottigliano il Vinsanto in Novembre, mentre altri ad Aprile. In Trentino, ad esempio, presso il lago di Toblino, ancora oggi la tradizione vuole che l’attributo derivi dal periodo in cui, le uve appassite vengono pigiate, appunto durante la Settimana Santa. Anche se le origini del Vin Santo sono ancora cotnroverse, al giorno d’oggi, invece, qualche certezza ce l’abbiamo: bere il Vin Santo Avignonesi, uno dei migliore vini dolci al mondo, soprattutto nel millesimo 1990 che giudico una perla enologica mondiale.
L’amore di Avignonesi per il Vin Santo lo possiamo capire leggendo alcune righe del suo sito internet: il Vin Santo non è un mezzo per fare fatturato e soldi. Se sarà prodotto per questo scopo, quel Vin Santo non sarà mai grande. La qualità si trova in una dimensione diversa. Non importa quanto tempo occorra, quanta energia occorra, quanto denaro occorra. Quello che conta è la qualità, e basta. Più è difficile da raggiungere, più grande è la soddisfazione e, di regola, più grande è il risultato.
Oggi proverò a descrivere il Vin Santo Avignonesi, un prologo a quell’Occhio di Pernice che rappresenta, come ho già scritto, il miglior vino dolce italiano e, senza dubbio, uno dei migliori al mondo. Per produrre questo vini si usano due varietà di uva a bacca bianca: la Malvasia Toscana ed un Greco, detto "Pulce in culo", per un evidente puntino nero che presenta nella parte inferiore dell'acino. Dopo la raccolta i grappoli vengono portati nell'appassitoio per essere distesi in unico strato e non troppo fitti sopra cannicci disposti su vari piani e sorretti da castelli di legno. L'appassimento dura sei mesi, durante i quali l'uva non viene mai toccata per nessun motivo. Unica variante alle tecniche antiche, sicuramente migliorativa, è al momento della pressatura, con l'utilizzo di presse pneumatiche, che sono andate a sostituire i vecchi torchi a vite. La quantità di mosto che si ottiene non supera mai il quindici per cento dell'uva fresca e contiene una percentuale di zucchero altissima (dal 55 al 60 per cento). Dopo circa due mesi, al termine della naturale decantazione, il mosto viene messo nei caratelli, piccole botti generalmente di rovere di circa 50 litri. I caratelli non sono a perdere, come le barrique. Durano finché non evidenziano difetti di profumo e finché sono in grado di tenere. Questi vengono riempiti solo per nove decimi del loro volume, con due litri di madre e quarantatre di mosto. I caratelli vanno chiusi subito dopo il riempimento. Poi non si tocca più, per dieci anni finchè non arriva il giorno della loro apertura, di solito nel mese di maggio, a fine luna calante, quando il mosto nuovo si è sufficientemente pulito. Il risultato? Basta leggere più avanti…

Nel mio bicchiere ho il millesimo 1996, emozionante e promettente già dal colore e dalla densità, un testa di moro dalle mille nuance che ruota nel bicchiere con difficoltà, l’alcol, lo zucchero e tutte le altre componenti del vino si aggrappano al bordo del bicchiere lasciando archetti indelebili. Al naso è stupefacente, è quasi commoventi sentire un bouquet di profumi che minuto dopo minuto cambiano lasciandoci emozionati ricordi di quello passato. Frutta candita, frutta secca, tabacco, miele di castagno, cuoio, chiodi di garofano, china, legno di sandalo, mallo di noce, liquirizia, caramello e…mille altri. La bocca mantiene le promesse del naso, il vino entra ampio, ci invade il cavo orale con un equilibrio perfetto tra freschezza e dolcezza. Una volta deglutito il Vin Santo rimane nei nostri sensi per minuti, lunghissimi minuti di puro edonismo. Vin da meditazione assoluto. Cosa potrà essere a questo punto l’Occhio di Pernice?

Scopriamo i Bordeaux 2008. Qualche consiglio.

Il 2008 è stata definita una annata classica dove solo chi ha lavorato bene in vigna ha potuto dar vita a vini di grande struttura e longevità. Dal punto di vista climatico il millesimo in oggetto è stato abbastanza piovoso specie in estate mentre, fortunatamente, da Settembre in poi le condizioni metereologiche sono sensibilmente migliorate portando l'uva ad una maturazione completa anche se abbastanza tardiva costringendo i vignaioli ad una vendemmia accurata selezionando minuziosamente i grappoli. E i prezzi? Finalmente qualcuno ha capito che la bolla speculativa è esplosa per cui per comprare questi vini, en primeur, non bisognerà chiedere un mutuo in banca. Percorsi di Vino non vi parlerà dei soliti grandi Bordeaux (Cheval Blanc, Latour, etc) ma vi darà alcune dritte per scoprire vini poco conosciuti ma di grande spessore. Magari il portafoglio ringrazierà!

Chateau Duhart-Milon 2008: 73% Cabernet Sauvignon e Merlot 27%. Molto denso nel bicchiere, questo vino ammalia il naso e la bocca con complesse sensazioni di frutta rossa matura, la carnosità del ribes, della ciliegia e della mora di rova è totalmente palpabile. I tannini sono setosi e in grande equilibrio con la struttura del vino. Ottima l'intensità e la persistenza di questo vino. Grande possibilità di invecchiamento. Una cassa da 12 bottiglie a circa 400 euro!

Château Pontet-Canet 2008: Molto concentrato alla visiva questo vino, a differenza del precedendente, presenta un naso dove frutta matura e un delicato floreale si uniscono dando vita ad una suadente armonia olfattiva. Alla gustativa il vino spiazza positivamente con la sua grande struttura, dove il carattere del tannino maturo e una grande acidità ben si fondono con una morbidezza di frutto forse un pò troppo accentuata. Grandissimo il finale per un vino che raggiungere un perfetto equilibrio tra qualche anno. Teniamolo in cantina.... Una cassa da 12 bottiglie a circa 700 euro!

Chateau Saint-Pierre 2008
: rubino intenso questo vino si fa amare per la sua freschezza sia al naso dove la frutta è bella croccante, sia al palato dove la spina acida rende ogni sorso molto piacevole e mai banale. Tannino estremamente vellutato per un vino di bella eleganza e persistenza. Non conoscevo Chateau Saint-Pierre, mia grande ignoranza oppure questi qua stanno facendo le cose seriamente da poco? Una cassa da 12 bottiglie a circa 400 euro!

Chateau Cantemerle 2008
: molto intenso al colore, concentra interessanti sensazioni di amarena e prugna matura, chiodi di garofano e corroboranti cenni balsamici che accentuano le note di freschezza come contraltare alla dolcezza della frutta rossa. Fitto e avvolgente, al palato sorprende per la grande sapidità e il lungo finale che termina con un tocco di liquirizia che rende la chiusura leggermente amarognola. E' ancora un pupo questo vino, diamogli tempo e anche in questo caso saremo di fronte ad un Bordeaux dal grandissimo rapporto q/p. Una cassa da 12 bottiglia a circa 200 euro! Oppure volete un'imperiale da 6 litri a circa 200 euro?

Cernilli fa chiarezza(?) sulla lista dei vini del G8

Fortunatamente frequentando il forum del Gambero Rosso ho potuto chiarire grazie alla presenza di Daniele Cernilli, che solitamente latita da quelle parti, i motivi dell'inserimento dei vini nella famosa lista per il G8 in Abruzzo.
Secondo il Direttore sono state contattate, inizialmente, tutte le aziende che quest'anno hanno preso i tre bicchieri per verificare la volontà di queste a partecipare all'iniziativa. Solamente poche, direi pochissime, hanno risposto positivamente all'invito che, come dice lo stesso Cernilli, è stato gentilmente declinato da mostri sacri come Conterno, Biondi Santi, etc.
Tutto ok allora? Beh, non tanto, perchè alla fine l'immagine enologica italiana alla fine è rappresentata da poche aziende, spesso di relativa importanza, e da pochi vini la cui lista non include nessun Brunello, Barbaresco o Amarone.
Beh, però quelli presenti almeno sono tutti tre bicchieri? Nemmeno per sogno, alla fine le aziende hanno fornito quello che avevano, nulla di imbevibile però almeno lo sforzo di dare il meglio della loro produzione lo potevano fare....
Ah, sarebbe carino capire anche perchè Biondi Santi e gli altri non abbiano partecipato ad un evento del genere. Sarò colpa dell'antipatia dei potenti della terra oppure c'è altro dietro?