Adoro il Carema e mi ricordo come fosse ieri quando Maurizio Gily all'interno del Salotto di Wineup, mi fece degustare per la prima volta una mini verticale di questo splendido nebbiolo dell'Alto Piemonte. Scrivendo le note di degustazione della verticale che ho organizzato a Roma poco tempo fa non ho avuto alcuna esitazione a chiedere allo stesso Gily di scrivermi una piccola prefazione all'articolo. Pensieri di pura passione che con grande orgoglio riporto:
CAREMA, GRIDO DI PIETRA
Il titolo del film di Werner Herzog mi sovviene quando
cammino tra i vigneti di Carema, al cospetto delle falesie granitiche che formano i pilastri di
ingresso della Val d’Aosta . Pochi altri
posti mi danno la stessa emozione. I terrazzi in pietra sono collegati da
scalette, sempre in pietra, una minima parte delle pergole di Carema sono
accessibili con piccoli trattori o motocoltivatori, per il resto tutto si fa a
mano. La falce, o al massimo il decespugliatore, la pompa a spalle per i
trattamenti, cassette per la vendemmia, da spalleggiare fino alla prima strada.
Non c’è prezzo per la fatica dei vignaioli di Carema, in un mondo che ha quasi
abolito la fatica. E alla fatica non si dà il giusto valore, perché il Carema
costa troppo poco rispetto alla sua qualità e alla fatica che costa produrlo.
Infatti la superficie si è ridotta a meno di trenta ettari e l’abbandono
purtroppo continua, solo frenato, ultimamente, dalla crisi economica e da un
aumento, sia pure insufficiente, del valore del vino.
Ogni terroir da vino è unico, ma alcuni sono più unici degli altri, e Carema è
uno di questi. Ne esce un Nebbiolo granitico, luciferino, che non si concede
alla prima annusata e al primo sorso, un’amicizia che va conquistata e poi dura
per sempre. I vini di Carema sono sempre stati buoni e originali, ma
ultimamente si sono perfezionate le tecniche ed eliminati i difetti e gli
spigoli troppo vini, rendendo il Carema un vero campione. Restando però molto
lontani da un’enologia interventista, da vino “fatto in cantina”. Il Carema lo
fanno sempre la pietra, la luce limpida, il vento e la fatica.
Maurizio Gily
Il Carema Doc nasce sulle rocce moreniche al confine con la Val d’Aosta da due varietà di nebbiolo: Picutener e Pugnet,. La coltura di produzione è stata sviluppata caparbiamente nel tempo sulle pendici del monte Maletto tra i 350 e 700 metri di altitudine, grazie a un duro lavoro di terrazzamento a secco.
La forma di allevamento locale è
la pergola, denominata topia in
dialetto locale, particolarmente suggestiva per la presenza di sostegni di
pietra dalla forma tronco-conica, i “pilun” in dialetto, utilizzati anche come
accumulatori di calore da rilasciare lentamente durante la notte. Stesso ruolo
di accumulatore di calore è svolto dalla pietra usata per costruire i
terrazzamenti, un po' come accade anche in Valtellina.
Forma di allevamento e..pilun. Foto: |
Rende l'idea? Foto:http://www.caremadoc.it/ |
Tutte le fasi di vinificazione, conservazione e invecchiamento sono effettuate nella zona di produzione comprendente l'intero comune di Carema e nella frazione Ivery del comune di Pont Saint Martin. L'affinamento minimo del Carema è di 24 mesi, 12 dei quali in botti di rovere o castagno della capacità massima di 40 ettolitri (nella versione Riserva l'affinamento dura almeno 36 mesi, 12 dei quali in legno).
Tra i produttori di riferimento, oltre a Ferrando, c'è la Cantina dei Produttori Nebbiolo di Carema, fondata dal 1960 da un gruppo di dieci agricoltori e che oggi è diventata una splendida realtà cooperativa formata da circa 80 soci, tutti produttori part-time di oltre 60 anni di età, che ancora oggi lottano per coltivare il loro fazzoletto di vigna che, è bene dirlo, senza di loro andrebbe persa. Forse per sempre.
Grazie all'aiuto Viviano Gassino, Presidente della Cantina, assieme ad un manipolo di amici appassionati abbiamo degustato una splendida verticale del Carema Riserva che la Cantina sottopone ad un periodo di invecchiamento non inferiore a 4 anni di cui almeno 30 mesi in botti di legno grande ed un anno di affinamento in bottiglia.
Le annate in degustazione sono: 1989, 2000, 2003, 2006, 2008 e 2009.
Carema Riserva 2000: sono passati undici anni ma, come spesso si dice, un pò retoricamente, sembra passata un'eternità dal precedente Carema. Motivo? In questo nebbiolo dell'Alto Piemonte ritrovo tutti i caratteri che mi hanno fatto innamorare di questo vino, è un ritorno al primo amore che, evviva i luoghi comuni, non si scorda mai. Al naso è ha una leggiadria ed una vezzosità che non ambisce a stupire, con calma si apre in un ventaglio di profumi floreali che vanno dalla violetta alla genziana per poi alternarsi in soffuse sensazioni di frutta rossa ancora croccante circondate che fanno da contorno ad una balsamicità e ad una mineralità che col tempo si fanno sempre più presenti. Al gusto è rigoroso, ficcante come una lama appuntita, duro quanto la mineralità che sprigiona accerchiando il palato fornendo equilibrio e piacevolezza allo stato puro. L'archetipo del Carema che vorrei.
Carema Riserva 2003: prima di stappare la bottiglia tutti a storcere il naso, lo stereotipo della 2003 come annata calda da vini marmellata ovunque in Italia è difficile da distruggere nella mente delle persone. Già il Brunello di Montalcino Biondi Santi, ad esempio, ha dato prova contraria e, se posso, da oggi anche questo Carema Riserva viaggerà sulla stessa lunghezza d'onda. Rispetto al millesimo 2000 c'è molta più frutta, non rossa croccante, ma leggermente più nera, boschiva, perfettamente integra e succosa. Il lieve maggior apporto di alcol e morbidezza fruttata viene corroborato senza dubbio al sorso che esalta la componente dura del vino che rimane comunque integro, fresco, minerale e con quel tocco di solarità che, seppur non rendendolo di magnifica complessità, dona la giusta gradevolezza. Un'altra ottima e commovente interpretazione dell'annata c.d. calda.
Carema Riserva 2006: il millesimo più vivace, che qualcuno definirebbe "classico", regala un nebbiolo acuto e dinamico che non farei fatica, alla cieca, a riportare nella zona dell'Alto Piemonte. Il Carema, dal punto di vista aromatico, cambia continuamente nel bicchiere disegnando un piano cartesiano dove troviamo nelle ordinate la florealità rossa primaverile, nelle ascisse l'austera mineralità (scambiata quasi per tratto ematico). Questo vino però no, non si ferma qua e, non troppo sorprendentemente, aggiunte una terza dimensione che prende la forma della frutta agrumata e del melograno creando uno spazio euclideo del piacere che pochi vini sanno disegnare. Al sorso ha la giusta precisione ed intensità unità ad un corpo armonioso e solenne, soprattutto nel tannino fitto ma maturo. Chiusura di grande sobrietà ma lunga, persistente e sapida. Grande classe!
Foto: http://www.wine-searcher.com/ |
Carema Riserva 2008: probabilmente le note di degustazione che seguono fanno riferimento ad una bottiglia non troppo performante visto che, a sorpresa, ho trovato questo vino estremamente semplice, quasi rustico nel suo quadro olfattivo che, a parte qualche cenno floreale e balsamico, forniva intense sensazioni cosmetiche e di frutta estiva che nemmeno lontanamente potevano legare questo vino al vitigno nebbiolo. Anche al sorso è abbastanza banale, manca la solita profondità e l'ampiezza gustativa che rimane orfana delle durezze e dell'austerità del Carema. Almeno, del mio Carema. Riproverò a breve perchè sono sicuro che non può essere così!
Carema Riserva 2009: Wikipedia scrive che fin dall'antichità un modo per esternare la propria approvazione e il proprio consenso. Già gli antichi romani lo facevano nelle arene producendo un suono secco e forte che solitamente, unito a quello di altre persone, risulta simile a uno scroscio. Nell'antica Mesopotamia, invece, venivano utilizzati per coprire le grida delle vittime sacrificali durante i riti religiosi. Oggi, invece, lo si produce al termine di spettacoli, concerti, recite teatrali, anche "a scena aperta" (a seguito di battute particolarmente divertenti e consone alla situazione), o con momenti di eventi sportivi nei quali si vuole sottolineare la bravura del campione per il quale si fa il tifo.
Si chiama APPLAUSO , lo stesso che io faccio virtualmente agli 81 soci della cooperativa che da anni si sbattono per tutelare un pezzo un territorio unico e che, in questa annata, l'ultima in commercio, ci regalano un vino a cui batto le mani per il suo essere cristallino e rilucente come il più prezioso dei diamanti. Un Carema che è tutto terroir, che al sorso sviscera durezza e severità piemontese e un allungo minerale che solo un grandissimo nebbiolo può donare.
Signori, standing ovation!
Signori, standing ovation!