Non conosco Flavio Roddolo ma da quello che mi dicono è un tipo tosto, senza mezzi termini, un contadino di Langa che se vai a trovarlo, sperando ti riceva, ti stringe la mano ancora con la Terra tra le dita. Non ha un sito internet e, probabilmente, non leggerà mai quello che sto per mettere in Rete perché la sua vita è la sua vigna e la sua cantina e non quei fastidiosi social network dove ormai tutti sono commissari tecnici ed enologi.
Peccato non abitare vicino a Monforte per dirgli di persona che oltre trenta persone, dopo aver bevuto ieri il suo Dolcetto d’Alba 2009, hanno vibrato per la bontà e l'emozione del suo vino che, creando varchi spazio-temporali nella nostra mente, ci proietta direttamente all’interno di Bricco Appiani dove Roddolo, da sempre, coccola le sue amate vigne.
Qualcuno ha chiesto, mentre stappavo la bottiglia, se poteva essere classificato come produttore naturale. "Intuendo un pò il tipo - ho risposto - se lo chiamaste così si incazzarebbe a morte perchè un contadino di sani principi come lui tratta sempre la sua Terra con Amore (vedi biodinamica) senza sbandierare appartenenze o certificazioni varie. Motivo? Perché è così che si fa e così facevano i suoi nonni. Gestire la vigna in altro modo è inconcepibile e oltraggioso".
Fatte queste premesse è chiaro che tutta la platea si aspettava un Dolcetto introverso, celebrale, e così è stato. Naso intenso, terroso, langarolo, dove la ciliegia matura lascia spazio ad un panorama autunnale dove le foglie secche e l’humus fanno da cornice ad una “rusticità” che ben inquadra il produttore. In bocca è ampio, strutturato, succoso, ritrovo la scia terrosa e la frutta rossa che accompagnano un tannino ben definito, a tratti crudo.
Lo ammetto, questo Dolcetto è un vino difficile, austero ma, nonostante tutto, profondamente territoriale e frutto di un gesto d’amore, quello di un vignaiolo di Langa che ha voluto dare nuova dignità ad un vitigno troppo spesso oltraggiato da produzioni senza etica.
Flavio Roddolo in cantina. Fonte: girodivino.splinder.com |
Fatte queste premesse è chiaro che tutta la platea si aspettava un Dolcetto introverso, celebrale, e così è stato. Naso intenso, terroso, langarolo, dove la ciliegia matura lascia spazio ad un panorama autunnale dove le foglie secche e l’humus fanno da cornice ad una “rusticità” che ben inquadra il produttore. In bocca è ampio, strutturato, succoso, ritrovo la scia terrosa e la frutta rossa che accompagnano un tannino ben definito, a tratti crudo.
Lo ammetto, questo Dolcetto è un vino difficile, austero ma, nonostante tutto, profondamente territoriale e frutto di un gesto d’amore, quello di un vignaiolo di Langa che ha voluto dare nuova dignità ad un vitigno troppo spesso oltraggiato da produzioni senza etica.
Grazie per questo, da trenta e più persone, a Flavio Roddolo.