1979, avevo cinque anni, giocavo ancora con le macchinine dei pompieri e vedevo i miei primi cartoni animati.
Ero piccolo e non mi ricordo bene quel periodo, ho memoria di anni di difficili, non solo in Italia ma in tutto il mondo: l'Unione Sovietica invade l'Afghanistan, Saddam Hussein diventa presidente della repubblica, in Iran torna al potere l'ayatollah Ruhollah Khomeini, tornato dall'esilio.
In Italia le cose non erano migliori: un commando neofascista irrompe negli studi di Radio Città Futura e ferisce a colpi di pistola cinque conduttrici e dà fuoco ai locali, le Brigate Rosse uccidono l'operaio-sindacalista Guido Rossa, il giornalista Mino Pecorelli, direttore del settimanale «OP», è assassinato a colpi d’arma da fuoco, sono rapiti in Sardegna Fabrizio De André e Dori Grezzi, durante il derby Roma - Lazio un razzo sparato dalla curva romanista colpisce e uccide il tifoso laziale Vincenzo Paparelli.
I fatti positivi comunque non mancano e, se ci pensiamo, sono davvero bei ricordi: ha nevicato per mezz'ora nel deserto del Sahara, Nilde Iotti è la prima donna ad essere eletta Presidente della Camera dei deputati, Pietro Mennea stabilisce il record del mondo nei 200 metri piani con il tempo di 19”72.
L’altro fatto importante, purtroppo saputo solo qualche tempo fa, riguarda Franco Bernabei, giovane enologo rampante che proprio in quegli anni iniziò la collaborazione dalla famiglia Giuntini, Fattoria di Selvapiana , introducendo vere e proprie novità per quel periodo: la la vinificazione separata delle uve dei vigneti Bucerchiale, Fornace, Torricella, l’imbottigliamento di annate quali la ’67, ’68, ’69 che erano da una decina di anni in botte, e il rinnovamento dei legni che poi significò per prima cosa rivestire di rovere i vecchi recipienti di castagno. Il frutto di quel lavoro l’ho potuto apprezzare grazie ad Armando Castagno che, nell’ultima lezione del suo bellissimo corso sul Sangiovese, ha proposto un vero e proprio elogio all’invecchiamento di questo “nostro” vitigno.
Nel mio bicchiere è stato versato il Chianti Classico Riserva Bucerchiale 1979, un sangiovese in purezza che sprizza austerità da ogni molecola che sembra dotata di una squillante mineralità che si rigenera ogni volta che ruoto il bicchiere cercando di far aprire il più possibile il vino. Col passare del tempo escono le note più vive e solari di erba medica, fieno, camomilla, poi il vino torna ad essere scuro, sembra voler farci ricordare che è nato in anni difficili, ci fa tuffare in sensazioni di piombo e polvere da sparo. Che strana cosa. I
n bocca l’età ha creato una scissione tra la vibrante acidità, vera colonna portante del vino, e un frutto aspro, non definito, che rende il sorso molto pungente e calmierato solo alla fine da note più morbide di cera d’api e scorza di agrume. Più bello al naso che in bocca sicuramente ma, nonostante tutto, che gran vino!