Non sono mai stato un estimatore del Lupicaia e, in generale, della produzione del Castello del Terriccio, un po’ perché non sopporto chi si fa strada sfruttando un suffisso, in questo caso –aia, che rimanda a successi enologici di altri produttori, e un po’ perchè non ritengo i loro vini così territoriali come sembrano.
L’occasione per ricredermi parzialmente si è presentata qualche settimana fa a Roma durante la verticale storica di Lupicaia organizzata dall’AIS e presenziata da Gian Annibale Rossi di Medelana, detto Pucci, e Carlo Ferrini, lo storico enologo dell’azienda.
Attualmente il Castello del Terriccio vanta 60 ettari vitati, che accanto alle varietà già indicate accolgono anche altre uve come lo chardonnay, piantato nel 1988, il sauvignon blanc nel 1989, immediatamente seguiti dalle due uve a bacca rossa che hanno fatto la grandezza della zona di Bordeaux: il cabernet sauvignon e il merlot. Syrah, petit verdot e cabernet franc completano la gamma di vitigni presenti ed impiegati nel tempo per sperimentazioni aziendali.
Il Lupicaia trae il suo nome di origine da un luogo del Terriccio in cui i lupi, in passato presenti nell'area, uscivano allo scoperto prima di assalire le prede; in gergo toscano si tratta del cosiddetto "balzello", cioè del punto in cui il lupo, uscendo dalla macchia, poteva essere ucciso prima di attaccare la preda; da "luogo della caccia al lupo" si passa quindi a Lupicaia. Questo teoricamente.
Effettivamente, e lo stesso Pucci lo ha candidamente ammesso, il nome non è altro che un richiamo al più celebre e blasonato Sassicaia targato Incisa della Rocchetta che, penso, non abbia fatto causa al proprietario solo perché suo fraterno amico. Tra fratelli di sangue blu non ci si tocca.
Il Lupicaia trae il suo nome di origine da un luogo del Terriccio in cui i lupi, in passato presenti nell'area, uscivano allo scoperto prima di assalire le prede; in gergo toscano si tratta del cosiddetto "balzello", cioè del punto in cui il lupo, uscendo dalla macchia, poteva essere ucciso prima di attaccare la preda; da "luogo della caccia al lupo" si passa quindi a Lupicaia. Questo teoricamente.
Effettivamente, e lo stesso Pucci lo ha candidamente ammesso, il nome non è altro che un richiamo al più celebre e blasonato Sassicaia targato Incisa della Rocchetta che, penso, non abbia fatto causa al proprietario solo perché suo fraterno amico. Tra fratelli di sangue blu non ci si tocca.
La verticale prevedeva un interessante excursus attraverso tredici annate di Lupicaia, dal primo millesimo prodotto, il 1993, fino ad arrivare ai giorni nostri.
1993: il Lupicaia era ancora un vino da tavola composto da cabernet sauvignon con un tocco di cabernet franc. Nonostante l’età ha un naso ancora integro, terziario, etereo ma non cotto, dove riconosco la prugna secca, l’arancia rossa, la nota minerale e un soffio balsamico. In bocca torna l’olfatto, tutto è equilibrato, sembra che il vino, con la maturità, si spogli di strutture non consone e riviva per una seconda volta, fresco e leggero si libra nel cavo orale.
1994: l’annata è stata medio bassa e il vino risente di una rapida evoluzione chiudendosi inizialmente e aprendosi col tempo su note scure, a tratti fumè. In bocca l’acidità è inferiore al 93 e, soprattutto, appare più slegata. Meno persistente ma più sapido del precedente.
1995: il vino diventa IGT. Ottima annata secondo Ferrini. Al naso il vini si presenta austero, complesso, con un corredo olfattivo di arancia rossa, toni ematici, humus, eucalipto. In bocca l’attacco è glicerico, morbido, poi ingrana la marcia e progredisce inesorabilmente verso intriganti note saline e frutta nera. Ottimo equilibrio e grande persistenza finale. Il migliore della serata.
1996: è l’anno della svolta, discutibile, del Lupicaia. Al blend si aggiunge il merlot e si sperimentano nuovi cloni di cabernet. Il colore diventa concentrato, naso e bocca diventano internazionali e il vino potrebbe competere per un concorso bordolese. Morbidezza evidente e gusto moderno sono le caratteristiche di questo vino. Ferrini e Pucci cambiano marcia, il Lupicaia perderò da adesso in poi quella sana e rustica pazzia delle annate precedenti.
1997: l’annata calda offre un vino carnoso, polposo, a tratti mi ricorda lo stile dei vini del Nuovo Mondo. Ed è tutto dire.
1998: simile al millesimo precedente anche se perde in complessità e dinamicità nonostante una austera centralità minerale . L’annata è più fresca della ’97 per cui il vino è più fresco anche se, forse, le note dure e morbide non sono così coese. Chiusura sapida.
1999: rispetto alle “nuove” versioni questa è la bevuta migliore perché il vino acquista complessità e, soprattutto, profondità grazie alle note di frutta nera di rovo, visciola, humus, tabacco mentovato, grafite, spezie. Bocca avvolgente e scandita da una trama tannica finissima, lunga la persistenza.
2000: prima grande annata calda per il Lupicaia che soffre molto le alte temperature. Il vino cambia il suo stile, dalla Francia passa alla California, l’impronta olfattiva e, soprattutto gustativa, è troppo lontana dal mio concetto di vino, soprattutto se parliamo di eleganza e finezza.
2001: fortunatamente il costume californiano è stato tolto e il vino torna ad essere degno di questo nome. Complessità di nuovo evidente che si gioca su due fronti: le note metallifere, austere, e le note di frutta rossa e di eucalipto, molto più eleganti e vivaci. Bocca di buona freschezza anche se le note tattili di astringenza del tannino giovane cominciano a farsi notare.
2003: annata calda e il vino soffre anche se Ferrini e Co& pare abbiano preso le misure e non si sono fatti prendere troppo alla sprovvista come nel 2000. Leggera sensazione ammandorlata nel finale che tradisce un legno non ancora perfettamente integrato.
2004: un vino di grande morbidezza dove ritrovo tutte le caratteristiche per un vino adatto ad un vasto pubblico: tanta frutta, tocco floreale e quel soffio di legno. Fortunatamente la vena acida è ben presente e il vino è godibile al sorso. Manca la freschezza della nota balsamica.
2005: è un vino da grigliata di carne, rotondo al punto giusto con note di spezie mediterranee diffuso e un tocco di tostato. Frutto in secondo piano. Sorso morbido, di buona freschezza anche se la persistenza segna il passo con questa annata.
2006: rispetto alle annate precedenti Ferrini riduce la base merlot ed aumenta leggermente l’apporto di Petit Verdot. Al naso e in bocca sento un Lupicaia ancora troppo giovane, potente sicuramente ma ancora troppo slegato e con le sensazioni tattili ancora da domare. In futuro riserverà, agli amanti del genere, buone sorprese.
Conclusioni: come facilmente si può evincere, il sottoscritto si fermerebbe alle prime tre annate del Lupicaia, le successive, vuoi per il caldo, vuoi per lo stile più “piacione”, non rientrano troppo nel mio DNA enologico. Da non sottovalutare il costo del Lupicaia che spesso in enoteca sfiora il centone…..
2004: un vino di grande morbidezza dove ritrovo tutte le caratteristiche per un vino adatto ad un vasto pubblico: tanta frutta, tocco floreale e quel soffio di legno. Fortunatamente la vena acida è ben presente e il vino è godibile al sorso. Manca la freschezza della nota balsamica.
2005: è un vino da grigliata di carne, rotondo al punto giusto con note di spezie mediterranee diffuso e un tocco di tostato. Frutto in secondo piano. Sorso morbido, di buona freschezza anche se la persistenza segna il passo con questa annata.
2006: rispetto alle annate precedenti Ferrini riduce la base merlot ed aumenta leggermente l’apporto di Petit Verdot. Al naso e in bocca sento un Lupicaia ancora troppo giovane, potente sicuramente ma ancora troppo slegato e con le sensazioni tattili ancora da domare. In futuro riserverà, agli amanti del genere, buone sorprese.
Conclusioni: come facilmente si può evincere, il sottoscritto si fermerebbe alle prime tre annate del Lupicaia, le successive, vuoi per il caldo, vuoi per lo stile più “piacione”, non rientrano troppo nel mio DNA enologico. Da non sottovalutare il costo del Lupicaia che spesso in enoteca sfiora il centone…..
Tutte le foto sono state scattate da Andrea Federici, il Beone Fotografo. Grazie!
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