Prima di entrare nel vivo della descrizione dei vini degustati vorrei spendere due righe (anche qualcosa in più) su questa particolare forma di allevamento della vite al fine di far capire a tutti di cosa stiamo parlando.
L'alberello è una modalità di allevamento della vite molto antica ed è diffusa in varie regioni dell'Europa e del Nordafrica laddove le condizioni ambientali rappresentano un fattore limitante che influisce sullo sviluppo della pianta. I principali fattori ambientali che condizionano tale scelta sono i seguenti:
- basse temperature (Germania, Francia settentrionale);
- clima caldo-arido (Spagna, Italia, Grecia, Nordafrica).
In Italia l'alberello è diffuso in particolare nelle regioni meridionali e nelle isole (specie in alcune zone della Sicilia), in vigneti non irrigui, sia in pianura sia in collina, e in vigneti di collina su terreni di bassa fertilità. Condizioni strutturali tradizionali che hanno influito sulla scelta di questa forma di allevamento sono la limitata estensione del vigneto e il basso livello di meccanizzazione, tipiche dei vigneti a conduzione familiare e integrati nella piccola proprietà contadina, la destinazione dell'uva alla vinificazione, il limitato fabbisogno di investimento per quanto concerne i sostegni.
L'alberello presenta diverse varianti, in relazione a condizioni ambientali pedoclimatiche e ad usi e costumi locali.
Il criterio di differenziazione si basa fondamentalmente sul tipo di potatura, ovvero sul numero di gemme lasciate, sul numero di branchette, sullo sviluppo in altezza del tronco e, naturalmente, sulle caratteristiche del vitigno.
Il Pàstena cita le seguenti tipologie:
Alberelli a potatura cortissima
Adottato in passato in Calabria e Sicilia è oggi del tutto abbandonato. Le denominazioni di questa tipologia, facenti capo ad usi locali, erano testa di salice, capitozza, testa di cavolo. Questo sistema prevedeva il taglio cortissimo degli speroni, ridotti a monconi, in modo che la vegetazione sia sviluppata dalle gemme della corona, e si presta solo per i vitigni che producono tralci fertili da queste gemme (es. Carignan, Sangiovese, Zibibbo di Pantelleria).
Alberelli a potatura corta
Alberello a potatura corta, con speroni a 2 gemme (Paesi Baschi, Spagna).
È la tipologia più diffusa, in grado di fornire buoni risultati in terreni poveri e con viti in grado di fruttificare sui tralci emessi dalle prime gemme basali. L'altezza del tronco varia dai 10 cm dell'alberello pantesco ai 40-50 cm dell'alberello a vaso.
Alberelli a potatura mista
Alberelli a potatura mista, con capi a frutto di 7-8 gemme (Andalusia).
Caratteristica comune di questi sistemi è la presenza contemporanea di speroni e capi a frutto. I primi, tagliati corti, a 2-3 gemme, hanno la funzione di produrre i tralci da cui saranno selezionati i capi a frutto nella stagione successiva. I capi a frutto, che spesso assumono denominazioni tipiche secondo gli usi locali (es. stocco, archetto, partuto, rancinante, carriadroxia), hanno lo scopo di produrre i grappoli nella stagione in corso.
L'alberello, nonostante sia concepito per adattare la vite a condizioni ambientali difficili, oggi non è più diffuso come un tempo per due motivi; il primo è economico. Infatti, questo tipo di allevamento della vite è più costoso perché non consente la meccanizzazione e gli interventi agronomici sono quasi esclusivamente manuali. Inoltre per gestire questo tipo di vigneto necessitano conoscenze, capacità e professionalità specifiche e una lunga esperienza di vita vissuta sul territorio che non è oggi garantita da manodopera esterna.
L'alberello resta tuttavia una forma di allevamento adatta alle condizioni estreme o per esaltare specifiche doti di qualità del vitigno. A prescindere dai vecchi vigneti, ancora esistenti, l'alberello è, ad esempio, una forma di allevamento adatta fronteggiare l'azione negativa dello scirocco in alcune lande della Sicilia, oppure per esaltare le doti di qualità dello Zibibbo di Pantelleria, coltivato sui suoli aridi e dell'isola battuti dallo scirocco, della Malvasia di Bosa, coltivata sui tufi trachitici poveri e siccitosi della Planargia, del Cannonau, vitigno che offre le sue migliori prestazioni qualitative sui suoli sabbiosi silicei dell'Ogliastra e di altre regioni della Sardegna, notoriamente poveri e siccitosi.
Detto questo, e inquadrato bene il contesto della degustazione, Sangiorgi, rigorosamente alla cieca, ci ha versato sei vini, nettari sicuramente unici che, volta dopo volta, Percorsi di Vino tratterà in maniera particolareggiata al fine di rendere il dovuto onore ai vignaioli che li hanno prodotti.
Il primo vino che abbiamo bevuto è un rosato siciliano, prodotto da I Vigneri, azienda vitivinicola creata da Salvo Foti insieme ad un gruppo di viticoltori autoctoni etnei, con un solo intento: lavorare la vigna affinché i vini rappresentino l’espressione più genuina e tradizionale del territorio e della cultura etnea.
Questo consorzio di “alchimisti del vino” ha creato, come detto in precedenza, un rosato dal nome già intrigante, il Vinudilice, figlio della vigna Bosco (1300 m s.l.m.) dove sono allevate viti autoctone di Alicante, Grecanico, Minnella e altri minori.
La vigna, ultracentenaria, estesa 0,35 Ha, è allevata ad alberello etneo con sesto d’impianto di m 1x1,equivalenti a 10.000 viti per ettaro.
La coltivazione è fatta a mano e con il mulo.
In vinificazione non sono utilizzati frigo, lieviti e filtrazione. Travasi ed imbottigliamento vengono svolti secondo le fasi lunari (e poi dite che non sono alchimisti).
Tornando alla degustazione vera e propria, pur non essendo un fan sfegatato di vini e vignaioli biologici/biodinamici,devo dire che questo rosato è davvero un gran vino, che stacca, purtroppo, dal 95% degli altri vini della stessa tipologia che si producono in Italia.
Per nulla banale già al colore che più che cerasuolo sembrava essere un rosso scarico, il Vinudilice 2008 è un’onda si sensazioni aromatiche che prendono le sembianze del nocciolo di ciliegia, della fragolina di bosco, della rosa appassita, per poi, col tempo, virare verso spunti balsamici ed espressioni di idrocarburi e minerali.
Un rosato talmente complesso che può ricordarmi solo il Cerasuolo Valentini. In bocca il vino ha il carattere, l’impatto e il corpo di un rosso, la generosità alcolica (15,5%) è ampiamente equilibrata dalla sapidità, dal leggero tannino e dalla notevole acidità donata da una delle vigne più alte al mondo.
Persistenza da record per un rosato. Circa 700 bottiglie prodotte per un costo che in enoteca si aggira sulle 30 euro. Se lo trovate compratelo senza indugio.