A Sud del Vinitaly c'è anche Nanni Copè e il suo "Sabbie di sopra il bosco" 2008

Per inquadrare l’azienda non posso far altro che prendere a prestito le bellissime parole del produttore stesso.

Nanni Copè nasce dalla passione viscerale per il vino di Giovanni Ascione e dall’incontro con u
na vigna straordinaria, a Castel Campagnano, nell’alto casertano. La zona è bellissima, incontaminata, con vigneti intervallati da macchie di bosco, suoli di sabbie arenatiche estremamente drenanti, pendenze che raggiungono il 25% e correnti d’aria tutti i giorni, tutto l’anno. Il massiccio del Taburno e quello del Matese sono vicini, con il mare a circa trenta chilometri ed il corso del medio Volturno che scorre non lontano.

Vigna Sopra il Bosco
ha un’estensione di due ettari e mezzo ed è collocata a circa 215 metri s.l.m., con un’esposizione prevalente a nord-ovest. L’età media delle piante
è intorno ai venti anni. Il vitigno principe è il Pallagrello Nero, tardivo, dalla buccia spessa, austero, dai tannini finissimi, in grado di dare vini dalla personalità estremamente marcata. Nei suoi filari, orientati da oriente ad occidente, si trova anche dell’Aglianico, per dare il suo contributo alla struttura ed alla spalla acida del vino; completa il quadro una piccolissima dose di Casavecchia, proveniente da vecchi ceppi ultracentenari a piede franco di proprietà, a pochi passi dalla cantina di vinificazione, nell’area di Pontelatone.

Quella per la Vigna Sopra il Bosco è una vera e propria ossessione. Le piante sono censite una ad una e l’intero vigneto è se
parato in settori, con potatura, gestione del verde, gestione della superficie e raccolta nettamente differenziati.
L’intera gestione agronomica mira a limitare al minimo possibile gli interventi, bandendo del tutto diserbanti e insetticidi. La vendemmia avviene filare per filare, a volte pianta per pianta, in base alla maturazione voluta, in un arco di tempo che va da fine settembre a metà ottobre. L’uva viene selezionata
grappolo per grappolo e vinificata in uvaggio, senza distinzione di vitigno, con masse omogenee solo per maturazione.

La vinificazione si basa sul controllo della temperatura costante, una macerazione non inferiore alle due settimane ed una fermentazione malolattica svolta in legno nuovo, in tonneau da 500 litri, dove poi il vino matura per un anno, prima di un lungo affinamento in bottiglia di circa otto mesi. Alla base di tutto, sola la ricerca della massima eleganza possibile. Nessuna surmaturazione, nessuna concentrazione eccessiva, solo l’espressione più pura di due vitigni nobili, piantati su suoli estremamente vocati alla viticoltura di qualità.

Ho incontrato Giovanni Ascione lo scorso sabato, durante il Vinitaly, era seduto un po’ in disparte perché temeva un po’ timidamente il grandissimo afflusso di gente che
solitamente c’è in feria durante il week end.
Il suo unico vino, il Sabbie di Sopra il Bosco 2008, è il vino che non ti aspetti, presenta sensazioni nette ed intense all’olfatto, correlate ad accattivanti note dolci di fiori rossi macerati, frutti di bosco, cannella, chiodi di garofano, grafite, terra vulcanica.

In bocca si conferma nitido, freschissimo, il vino circonda il palato carezzevolmente, sorretto da una struttura significativa e una trama tannica di buona qualità. Quello che colpisce è la totale assenza di qualsiasi nota vanigliata da legno nuovo. Un vino piacevolissimo che sono curioso di sentire tra qualche anno. Ah, mi sono dimenticato una cosa importante: si beve che è un piacere ed è l’unico vino che ho bevuto due volte nel giro di pochi minuti.


Vorrà dire qualcosa tutto ciò?


Le foto sono tratte dal sito dell'Ais Napoli e dal wine blog di Luciano Pignataro

Slow Wine, la nuova guida ai vini di Slow Food - Al Vinitaly svelati titolo, copertina e filosofia

Slow Wine, la nuova guida ai vini italiani di Slow Food che uscirà in ottobre, è stata presentata oggi in anteprima nazionale al Vinitaly. All’appuntamento sono stati svelati titolo, copertina, filosofia e collaboratori.

Ha aperto la serie di interventi Roberto Burdese, presidente Slow Food Italia: «Questa guida è figlia dei numerosi stimoli che continuamente ci giungono dagli amanti del vino della nostra rete associativa: l’enologia è sempre presente nel pensiero e nelle iniziative Slow Food. Voglio perciò sottolineare che questa pubblicazione è solo una parte del nostro impegno dedicato alla vitivinicoltura. Abbiamo infatti altre iniziative editoriali, i Master of Food, il sito slowine.it, ripartiranno i Presìdi del vino, il vino è protagonista in tutti gli eventi dell’associazione… La guida è un progetto che nasce con molte nuove idee e il contributo di molte nuove persone».

Marco Bolasco, direttore Slow Food Editore: «Slow Wine è anche il frutto del notevole sforzo e lavoro della nostra casa editrice, con l’impiego di risorse e intelligenze nuove e un partner importante come Giunti. A prova di questo voglio annunciare che ci saranno le edizioni in inglese e tedesco, il formato elettronico e le relative applicazioni per smartphone, e il libro avrà grafica e linguaggio innovativi. Slow Wine uscirà con una presentazione ufficiale il 20 ottobre, degna anteprima del Salone Internazionale del Gusto (21 – 25 ottobre, Torino)».

Introdotti da Gigi Piumatti, Presidente di Slow Food Editore, sono quindi intervenuti i curatori della guida.
Giancarlo Gariglio: «Era necessaria una riflessione e un sostanziale cambiamento nell’affrontare il mondo vino, un panorama molto dinamico. Secondo noi bisogna spostare l’attenzione dal mero bicchiere a tutto ciò che sta dietro, a partire dalle cantine, per avere una valutazione completa, precisa e affidabile. Slow Wine scaturisce da questo nuovo approccio, grazie al quale il vino è diventato veicolo per descrivere il territorio. Infatti la vera svolta che c’è dietro alla guida sono le 2000 visite in cantina con più di 150 collaboratori coinvolti. Un fatto unico nel panorama delle guide enologiche nazionali e possibile grazie alla rete associativa Slow Food. Abbiamo voluto conoscere le donne e gli uomini che lavorano in vigna».
«Adottando questo nuovo approccio» continua Gariglio «abbiamo voluto mettere in campo una diversa metodologia di valutazione, che si basa su tre parametri: rapporto qualità prezzo, eccellenza del prodotto e vicinanza alla filosofia Slow Food nelle pratiche dell’azienda (ecosostenibilità, legame con il territorio, valori socio-culturali quali il recupero di vitigni autoctoni o impianti tradizionali, l’appartenenza a realtà territoriali particolari quali la montagna…). Siamo così riusciti a esplicitare nella guida il vino in tutta la sua complessità, valore e peculiarità unici di questo mondo. E con i tre parametri valuteremo anche le cantine. Non utilizzeremo però punteggi, ma giudizi. Un metodo che garantisce completezza e profondità alla valutazione per conoscere gli uomini, le vigne e i vini, le tre parole chiave di Slow Wine».

L’altro curatore, Fabio Giavedoni: «Abbiamo organizzato incontri su tutto il territorio italiano per definire il format dei giudizi. Slow Wine si basa sulle visite in cantina per un rapporto diretto con i produttori. Ma non si sono abbandonate pratiche assodate. Successivamente infatti si passerà alla fase dell’assaggio, che si è svolgerà in maniera tradizionale (alla cieca). Novità e continuità accompagnano così il giudizio. Nelle schede ci saranno inoltre “carte d’idenità” delle cantine con le informazioni che i vignaioli ci hanno fornito sotto propria responsabilità, una sorta di autocertificazione, ma con la garanzia del rapporto che abbiamo instaurato con loro. Oltre ai 150 collaboratori, al panel di valutazione si è aggiunto un team di “ospiti” italiani ed esteri, costituito da giornalisti, grandi appassionati, enotecari, blogger e importanti sommelier. Segno che Slow Wine è un’opera aperta: novità, tradizione e contaminazione».

Fonte: Slow Food

Palari, Elena Fucci, Gianfranco Fino, Cantine Viola: il mio Vinitaly rotolando verso Sud

Il mio cuore, nell’unica giornata passata al Vinitaly 2010, si è fermato più volte presso lo stand di Volpe Pasini, importante produttore friulano di cui ho parlato anche qua, dove erano presenti tutti i produttori che la stessa azienda distribuisce Palari, Elena Fucci, Gianfranco Fino e Cantine Viola. Un tuffo nel profondo sud dove l’uva è solo frutto di passione e grande tradizione.

Salvatore Geraci, vestito come un gentleman inglese, ci illustra brevemente le sue due perle: il Rosso del Soprano 2007 ed il Faro Palari 2006. Qua non c’è nulla da scoprire, semmai ogni volta che li bevo riscopro il rammarico di non berli mai abbastanza questi vini, così simili e così diversi tra loro. Il Rosso del Soprano non è e non deve essere considerato il “secondo vino” di casa Palari, incanta i miei sensi con la delicatezza floreale della rosa e della viola e con una freschezza che da un siciliano verace non ti aspetti. Il Faro Palari è sempre il solito, complesso, ampio, grandioso nelle sue note di frutta rossa selvatica, tabacco, cuoio e note eteree.
La bocca è ricca, fruttata, fresca, incantevole se penso alla trama tannica finissima e alla persistenza da applausi.

Elena Fucci non è nemmeno trentenne ma ha una caparbietà ed una forza da grande veterana del vino. Da quattro generazioni la sua famiglia produce Aglianico, prima conferito ad altri produttori della zona e poi, a partire dal 2000, utilizzato per produrre in proprio l’unico vino aziendale, il cui nome, Titolo, da sempre si identifica col territorio dove sono ubicati i vigneti aziendali, collocati nella parte più alta tra i 250 ed i 600 metri della collina di Barile, nella contrada di Titolo, una delle zona più vocate all’interno dell’area DOC dell’Aglianico del Vulture. Elena, che tra l’altro è anche enologo aziendale, ci presenta l’annata 2008 del suo Aglianico, un vino di grande impatto olfattivo, minerale come il suolo vulcanico e di grande respiro fruttato e speziato. In bocca è caldo, intenso, caratterizzato da un tannino di grana pregevole e da una persistenza minerale che richiama ancora una volta il terroir di riferimento. Da oggi anche l’Aglianico è donna.

Simona e Gianfranco Fino rappresentano il sorriso della Puglia, terra di passione, terra di Es, termine col quale Freud identifica la parte del nostro Inconscio dove si ritrovano fattori ereditari, istinti, impressioni e pulsioni che soggiaciono al principio del piacere e che trovano sfogo attraverso immediate rievocazioni dell'oggetto libidico (sogni, fantasie diurne, fantasticherie). Un nome, un destino. L’ES 2008 è puro edonismo mediterraneo, è l’anima del Primitivo di Manduria disciolta nel bicchiere: marasca sotto spirito, prugna, carruba, liquirizia, terra rossa, soffi marini, sono solo una minima parte dei riconoscimenti aromatici di questo vino di territorio che, al palato, incanta soprattutto per l’equilibrio (siamo quasi a 17 gradi alcolici) e la persistenza. Come perla finale non poteva mancare un bicchiere di quel prezioso nettare chiamo Es più Sole, un primitivo dolce naturale che avevo recensito qualche tempo fa durante l’evento “Dolce Puglia”. Alle mie precedenti lodi non saprei altro che aggiungere se non che il vino, con qualche mese più di bottiglia, ha acquisito ulteriore complessità e finezza , caratteristiche che mi hanno permesso di esclamare al primo sorso la seguente frase:”E’ puro velluto rosso quello che sto deglutendo”.

Passiamo alla Calabria ed ad un grandissimo prodotto della sua terra: il Moscato Passito di Saracena. Presidio Slow Food e presente da tempo immemore presso l’enoteca pontificia, questo vino dolce è alquanto insolito perché prodotto da due mosti ottenuti con tecniche diverse. Il primo si ottiene facendo appassire le uve di moscato per 2 o 3 settimane su graticci, l’altro si ottiene invece sottoponendo a riduzione mediante riscaldamento (bollitura) il mosto ottenuto da uve di malvasia bianca, odoacra e guarnaccia, cioè uve a maturazione tardiva, riducendolo d’un terzo. I due tipi di mosti così ottenuti vengono riuniti e lasciati fermentare lentamente e naturalmente in botti di legno o acciaio (a seconda del produttore), senza aggiunta di lieviti.
Quello che ho bevuto al Vinitaly è il Moscato di Saracena 2007 delle Cantine Viola (miglior vino dolce d’Italia 2008 per il Gambero Rosso), è un nettare davvero delizioso, unico nel suo genere con un profilo aromatico giocato su note di succo di albicocca, frutta esotica, cedro, scorza di arancia, resina, erbe aromatiche, mandorla amara. Al palato è denso, intenso, grasso e di persistenza infinita.
Ottimo il suo rapporto qualità/prezzo: con 30 euro circa lo portiamo a casa con grande goduria.

Ad avercene di artigiani del vino così!

Vinitaly 2010, alle ore 17.00 di ieri

Ore 17.00, padiglione del Lazio. Una voce lontana ma solenne annuncia la vittoria della Roma sull’Atalanta, pochi millesimi di secondo dopo si sente un boato degno della curva Sud.
Tutto viene riportato allo stato primordiale, produttori biologici e amici del pesticida, tradizionalisti e barricaderi, rossisti e bianchisti si abbracciano commossi, in delirio per il primato della loro squadra del cuore.
Tutto è azzerato, tutti solo per un attimo sono tornati amici, fratelli, vignaioli con una grande fede: l’A.S. Roma.
Inizia la festa, a Roma suonano i clacson, al padiglione del Lazio la radio intona Grazie Roma di Antonello Venditti.

P.S.: mercoledì, lo giuro, scrivo qualcosa di più sensato sul vino.

In partenza per il Vinitaly 2010...

Eccoci, siamo in partenza per questo ennesimo Vinitaly, il secondo da quando è nato il blog Percorsi di Vino. Pochi appuntamenti, mirati, e tanta voglia di riabbracciare vecchi e nuovi amici che, per vari motivi, siamo spesso “costretti” ad incontrare annualmente durante la più importante fiera enologica italiana. Nel personale taccuino di Percorsi di Vino (che fa anche rima) c’è segnato sicuramente l’incontro mattutino con tutta l’allegra brigata Zonin che svelerà al Vinitaly la “ricetta” del primo vino “open source” targato Feudo Principi della Butera. In questo caso appuntamento alle 10.30 presso lo stand dell’azienda stessa.

La mattina proseguirà poi, se il tempo non sarà troppo tiranno, con una puntatina alla degustazione-dibattito titolata "
bere col sorriso ovvero elogio della piacevolezza del vino", organizzata assieme alla partecipazione di Fabio Piccoli, Angelo Peretti e Santa Margherita. Un’occasione imperdibile se volete sapere se davvero il vino quotidiano sta tornando di moda. Dalle 11.00 presso 11.00 il Palaexpo A2, (1° piano).

Se rimango vivo dopo il frugale pranzo, il percorso riprende spedito ed eccoci dalle TwittCantine per un tour all’insegna della simpatia, della spensieratezza e, ovviamente, grande qualità dei vini dei produttori aderenti a questo caratteristico web-consorzio. Notizia di servizio: Sig. Ghislandi tenga il Salame Nobile del Giarolo “in caldo”.

Altro giro, altra corsa e via nel padiglione
Toscana per una visita a tre promettentissimi produttori toscani: Podere San Lorenzo di Luciano Ciolfi, Le Ragnaie di Riccardo Campinoti e Monteraponi di Michele Braganti, un tris d’assi che mi/vi faranno degustare due ottimi Brunello di Montalcino e un Chianti Classico col quale farete pace col mondo.

Non ci siamo ancora stancati, lo sappiamo, ci aspettano ancora altri amici di Percorsi di Vino:
Anselmo Guerrieri Gonzaga di Tenuta San Leonardo, Emidio Pepe, Masciarelli e Gianfranco Fino sono le nostre prossime tappe, un viaggio tra nord e sud Italia che vale da solo il prezzo del biglietto.

Prima di tuffarmi nel padiglione del Lazio, la mia Regione, mi aspetta l’ultimo appuntamento della giornata con
Alessandro Dettori che, tra vecchie e nuove annate dei suoi vini, mi presenterà una creatura eccezionale: il Chimbanta&Battoro 2006 (nuovissimo ed annata unica perchè dopo di questo il vigneto non mi ha fatto più uva).

Dite che non ce la faccio più?


Se avanza tempo mi tuffo anche in Campania da
Contrade di Taurasi, Nanni Copè, Ciro Picariello e nelle Marche dove è sempre un piacere scoprire dei grandi Verdicchio.

Basta sono sfinito, ricomincio domenica, forse….

Un altro motivo valido per venire al Vinitaly 2010? Slow Food presenta la sua nuova guida sul vino

In anteprima nazionale viene presentata al Vinitaly, venerdì 9 aprile alle ore 16.00 presso la Sala Vivaldi del Palaexpo di Veronafiere, la nuova guida ai vini italiani di Slow Food Editore.
All’appuntamento saranno svelati il titolo e la copertina, illustrata la filosofia e presentati i collaboratori.
La guida, che uscirà a ottobre, si presenta come una assoluta novità nel panorama delle guide enologiche per concezione ed elaborazione. Roberto Burdese, presidente Slow Food Italia, Marco Bolasco, direttore Slow Food Editore, e i curatori Giancarlo Gariglio e Fabio Giavedoni parleranno dei concetti di fondo che stanno alla base del libro, declinabili in tre semplici parole chiave: uomini, vigne, vini.

Uomini
: 2000 cantine visitate alla scoperta dei volti, delle storie, del lavoro dei produttori. Una fotografia fatta sul campo per trasmettere ai lettori l’istantanea dell’attuale mondo vitivinicolo.

Vigne
: più di 2000 vigneti visitati (unica guida in Italia a utilizzare questa metodologia) per comunicare il valore della terra. Non esiste comunicazione del reale senza averlo osservato e sperimentato.

Vini: 20.000 vini assaggiati per 10.000 inseriti in guida, raccontati in modo semplice, diretto, puntuale, preciso. Fatto importante, proprio per discostarsi dal format classico delle guide di settore, non si farà ricorso a punteggi per la valutazione dei vini, ma giudizi ragionati che danno la possibilità di far conoscere meglio e più approfonditamente le diverse produzioni. Alla realizzazione della guida partecipano oltre 150 collaboratori che hanno sostenuto corsi propedeutici alle visite in cantina con agronomi, enologi e consulenti.
Al panel di valutazione si è aggiunto un team di “ospiti” costituito da giornalisti, blogger del settore e accreditati sommelier.


Io della guida qualcosa già so, in anteprima, e voi che aspettate a saperne di più?

Volete un altro motivo per andare al Vinitaly 2010? Protestare contro l'etilometro!

Questo mio post non fa altro che raccogliere una provocazione di Franco Ziliani che nel suo blog "Vino al Vino" sta portanto avanti una campagna di protesta, da avviare al prossimo Vinitaly, contro l'inutilità dell'etilometro.
Tutto parte da quanto scritto tempo fa dal prof. Zappalà che sostiene che "è stato dimostrato scientificamente, che l’etilometro a fiato è un’apparecchiatura che NON è in grado di ottenere ciò che dice". Un dossier svela, attraverso la traduzione di articoli dei più noti fisiologi polmonari mondiali e tossicologi forensi, che l’alcol misurato dall’etilometro non proviene dagli alveoli polmonari che lo catturano dal sangue, ma attraverso uno scambio lungo il cavo orale. Questo significherebbe che la concentrazione misurata non ha perciò nessun collegamento con la percentuale di alcol realmente presente nel sangue.
La legge, atta a scoprire e sanzionare i guidatori “ubriachi”, si basa sulla quantificazione della concentrazione di alcol nel sangue, utilizzando però apparecchiature (ABT) che misurano la concentrazione di alcol nel fiato (che non ha nessun riflesso sulle capacità di guida). Questa scelta conduce alla manifesta anomalia di misurare una cosa (quantità di alcol nel fiato, BrAC) per ottenerne un’altra (quantità di alcol nel sangue,BAC).
Questa sarebbe una delle tante anomalie che troverete scritte nel dossier che vi invito a scaricare e leggere.
Percorsi di Vino, partecipando civilmente alla protesta, non vuole incitare nessuno a bere senza moderazione però, nello stesso tempo, vuole anche evitare che l'alcol sia criminalizzato in maniera eccessiva anche perchè questo è solo uno dei motivi dei tanti incidenti stradali.
Perchè allora non fare test sul consumo di cocaina agli automobilisti? Oppure verificare se questi hanno fatto abuso di farmaci o altre sostanze psicotrope?
Detto che la questione è apertissima e in via di sviluppo, Franco Ziliani, dalle pagine del suo blog, propone di protestare contro questo legge farsa in questo modo: "uscire dal Vinitaly e presentarci in massa, a piedi, perché non essendo ancora saliti nelle nostre auto non ci possono accusare di aver compiuto alcun reato, dai vigili e dalle forze di polizia che si trovano fuori dall’ente fieristico, autodenunciandoci di aver superato i limiti dei consumi di vino consentiti e pretendendo, in massa, di essere sottoposti ai controlli dell’etilometro.
Facciamolo in cento, cinquecento, mille, e ancora di più e se necessario presentiamoci in massa, arrivandoci a piedi o in autobus, al comando dei vigili urbani di Verona in via del Pontiere, a quello della Polizia Stradale in Lungadige Galtarossa, convochiamo i cronisti dell’Arena di Verona e dei principali quotidiani e delle televisioni, solleviamo il caso, facendo clamorosamente risaltare l’ipocrisia di una situazione paradossale che autorizza di fatto l’infrazione ed il reato di massa.
Questo perché sarebbe letteralmente impossibile controllare le migliaia di visitatori che usciti dal Vinitaly salgono sulle loro auto, perché si sa perfettamente – e si fa finta di non sapere – che tantissimi di loro non sono in regola.
Un gesto clamoroso, una protesta plateale, spettacolare. Forse il modo migliore, in quella che per cinque giorni è la capitale del mondo del vino italiano, per sollevare un problema, quello della schiavitù da etilometro, degli eccessi di severità da etilometro, lo ripeto, del “terrorismo” da etilometro, dell’ingiusta criminalizzazione di chi, in fondo, non fa altro che bere due o tre bicchieri".

Io ci sto e voi?

Volete un valido motivo per partecipare al prossimo Vinitaly 2010? Tweetyourwines!

Galeotto fu il tweet, ma questa volta non per un fidanzamento, ma per la nascita di una bella iniziativa di collaborazione.

Twitter è uno strumento molto apprezzato ed utilizzato dalle cantine italiane e anche diversi abitanti
di Vinix lo usano, tanto che Filippo Ronco ha creato sul social network una lista per poterli seguire tutti insieme.

Così tweet dopo tweet,
Susanna Crociani , dell’omonima azienda vinicola, e Paolo Ghislandi di Cascina I Carpini, in collaborazione con Roberto Colombo (Cromobox), hanno sviluppato il progetto “Tweet your wines!” coinvolgendo altre aziende.

In occasione dell'imminente Vinitaly tutte le aziende aderenti ( non solo cantine ma anche aziende produttrici di olio, che partecipano al Sol) esporranno durante la manifestazione una Cromobox creata ad hoc per l’occasione; la
Cromobox riporterà i loghi delle aziende aderenti e il logo di twitter e sarà personalizzata per ogni espositore aderente al progetto, creando così un pezzo unico come tratto distintivo: una sorta di badge, solo molto più ingombrante.

Così facendo si ricrea un percorso virtuale, all’interno della manifestazione, tra le aziende che usano Twitter le quali, a loro volta, racconteranno il loro Vinitaly in 140 caratteri.

Si accorciano così le distanze tra chi produce il vino e chi lo consuma, ma anche tra gli addetti ai lavori, conoscendosi di persona, degustando e twittando insieme.


E' possibile interagire anche su
Facebook sulla pagina dedicata all'evento e ovviamente seguire grazie all'hashtag #tweetyourwines .

Le aziende che partecipano le trovate sulla TwittPiantina!


Fonte: http://comunicareilvino.it

Il Taurasi Radici di Mastroberardino in una indimenticabile verticale

Mastroberardino, un nome che subito rievoca la cultura contadina, la terra irpina, la tradizione, l’identità culturale e la rivalutazione dei vitigni autoctoni campani, dal Fiano al Greco fino a giungere, ovviamente, all'Aglianico, l’uva del Taurasi, il vino delle ‘vigne opime’ dell’antica Taurasia di cui parla Tito Livio.

Il Taurasi di Mastroberardino è un vino mito, da oltre 130 anni entra nelle nostre cantine in maniera sommessa, mai gridato e fuori dalle mode del momento, rappresenta spesso la mia certezza enologica, una sicurezza che nasce da vigne poste a Montemarano e Mirabella Eclano, per il Radici e dai soli possedimenti di Montemarano per il Radici Riserva. Il vino, dopo una macerazione sulle bucce la cui durata in certe annate sfiora i trenta giorni, prima dell'immissione in commercio matura per almeno 4 anni di cui circa 30 mesi in barrique di rovere francese e rovere di Slavonia.

Con Piero Mastroberardino e Ian d’Agata abbiamo ripercorso 43 anni di Taurasi Riserva commentando così le varie annate:

Taurasi 2003 Riserva
: l’Aglianico, varietà a maturazione tardiva, si è parzialmente salvato da tutte le brutture che ha portato questa annata calda. Il vino è ancora giovane, la frutta rossa matura, non cotta, è ben in evidenza, poi arrivano le spezie dolci e un po’ di tabacco da pipa. Bocca già abbastanza equilibrata, pulita, fresca, con tannini piuttosto ruggenti che segnano la gioventù del vino. Ottimo inizio direi.

Taurasi 2001 Riserva
: amo quest’annata, fino ad ora ho bevuto grandi cose del 2001 e questo vino non è da meno. All’inizio parte con sfumature animali, cuoio, poi si apre su eleganti note floreali e speziate, di chiodo di garofano e pepe verde. Profondo e ampio anche al gusto dove risulta fine, graffiante al punto giusto e di grande persistenza. Sublime.
Taurasi 1999 Riserva
: qua le cose si fanno ancora più interessanti, il vino cresce in eleganza, ampiezza e profondità regalando note di ciliegia, ribes, poi esce una bellissima nota fresca, balsamica, che farà da sfondo ad intriganti ed intensi aromi di rosa, tabacco, cuoio. Un vino alla sua massima maturità espressiva.

Taurasi 1999 “130” Riserva
: questa esclusiva Riserva del Taurasi celebra il centotrentesimo anniversario dall’iscrizione dell’azienda Mastroberardino alla Camera di Commercio di Avellino. Era il 1878 quando il Cavaliere dell’Ordine della Corona d’Italia Angelo Mastroberardino, bisnonno dell’attuale Presidente, professor Piero Mastroberardino,curava tale adempimento al fine di avviare leesportazioni dei suoi vini verso i paesi d’Europa e delle Americhe. Un’ulteriore selezione delle uve in vigna ha prodotto un vino che ha tutti i caratteri del precedente ma espressi all’ennesima potenza: struttura, potenza, eleganza, sono esaltati ulteriormente in un mix di esplosione sensoriale che darà vita ad un Taurasi dal lunghissimo invecchiamento.

Taurasi 1997 Riserva
: quest’annata non mi convince e anche in questa declinazione irpina non è che mi faccia cambiare idea. Il vino parte un po’ chiuso, poi a poco a poco si apre su note mature di frutta e spezie ma il tutto avviene in maniera poca dinamica. In bocca ha un buon impatto, è caldo, di buona fattura anche se il tannino mi pare un po’ sgranato, sembra quasi scindersi dal resto del vino. Fino ad ora è la versione che mi ha convinto di meno, forse una bottiglia sfortunata.

Taurasi 1980
: è l’anno del terremoto in Irpina, inizia un periodo difficilissimo per tutti, compreso Mastroberardino che proprio a Novembre ha iniziato la fermentazione dell’Aglianico che per i primi giorni, confessa lo stesso Piero, viene vinificato in condizione davvero selvagge, senza alcun controllo. Dopo il 23 Novembre 1980 tutto in questa Regione cambierà, compreso lo stesso nome del vino al quale, da quel momento in poi, verrà aggiunta la parola Radici, termine che sta ad indicare l’indissolubile attaccamento del vino e della cantina al suo territorio ora devastato.
Il vino ha sentori di frutti rossi disidratati, humus, foglie secche. In bocca è austero, monolitico, non si dona moltissimo e lo capisco, è come se in qualche maniera risentisse della tragedia e, giustamente, non vuole regalare troppo.

Taurasi 1977
: l’annata è stata buona e si sente subito, rispetto al 1980 il vino ha un passo sia come materia sia come profondità di espressione. Color mattone, ha lo spettro aromatico che richiama i vecchi liquori alla ciliegia, poi escono rabarbaro, note medicinale, una sorta di amaro dei frati in rosso. Bocca di grande struttura, giovane col suo tannino ancora graffiante e l’acidità da barolo appena svinato. Buona la lunghezza finale su ritorni di frutta rossa disidratata, liquirizia e erbe medicinali.

Taurasi 1968
: ve lo anticipo, siamo di fronte al capolavoro assoluto, ad un dei migliori vini rossi usciti in Italia. Sarà la grande annata, sarà per una serie di alchimie che stento a comprendere, ma il vino è ancora di color rosso granato intenso e presenta un’intensa e penetrante apertura olfattiva dove si riconoscono chiaramente gli aromi di ciliegia, mora, caffè, liquirizia, humus, erbe aromatiche, china, nocino, corteccia e via così all’infinito.
Bocca monumentale, tutto è perfettamente integrato, la freschezza è da lacrime così come la persistenza finale. Stento ancora a credere che sulla bottiglia ci sia l’etichetta 1968. Emozioni da grande Bordeaux. Una curiosità: all’epoca il vino costava 720 lire.

Il 6 Aprile 2010 a Roma un grande pranzo di beneficenza in onore di Medici Senza Frontiere

Grazie alla collaborazione della colonna pugliese del forum del Gambero Rosso il 6 aprile presso il ristorante "Antica Osteria L'Incannucciata" di Roma sarà organizzato un bellissimo pranzo di beneficenza in favore di Medici Senza Frontiere. In cucina, per l'occasione, si alterneranno grandi chef nazionali: Arcangelo Dandini (l’Arcangelo, Roma), Dino De Bellis (l’Incannucciata, Roma), Beppe Schino (Perbacco, Bari), Franco e Catia Solari (Trattoria dei Mosto di Conscenti di Ne, Genova) e Luciano Lombardi (Vignadelmar, Monopoli).

Il menù sarà il seguente: Prezzo per il pranzo di 40,00 euro vini inclusi.

Ma non finisce qua perchè, subito dopo la grande mangiata, è tempo di altra beneficenza e, per l'occasione, saranno messe all'asta le seguenti bottiglie:

1 Chateau Montrose 2001 mgn

1 Chateau d’Yquem 1999 (0.75 lt)

1 Chateau de Pez 1998
1 Barolo Bussia di Monforte d’Alba Prunotto 1964
1 Barolo Oddero 2004 mgm

1 Barbaresco Pora Prunotto 1967

1 Barbaresco Riserva Asili Bruno Giacosa 1996 mgn

1 Barbaresco Asili Bruno Giacosa 2004 dmgn

1 Rosenmuskateller Abtei Muri 2006

1 Weisseburgunder Terlano 1987

1 Le Pergole Torte Montevertine 2001 mgn

1 Decennale Poggio di Sotto 2001 mgn

1 Chianti Classico Riserva Il Campitello 2006 mgn

1 Brunello di Montalcino Riserva Marchesato degli Aleramici 2003 (5 litri)

1 Brunello di Montalcino Cinelli Colombini 2004

1 Brunello di Montalcino Le Ragnaie mgn

1 Kurni Oasi degli Angeli mgn

1 Fiorano Semillon Boncompagni-Ludovisi 1989

1 Patriglione Cosimo Taurino 1994

1 Pier delle Vigne Botromagno 2003 mgn

12 Vigna del Melograno Santa Lucia 2007 (nero di Troia)

1 Amativo Cantele 2007 dmgn

1 Le Cruste Alberto Longo mgn (nero di Troia)

2 Aglianico del Vulture Macarico mgn

6 Primitivo Old Vines Morella 2007

1 Falcone Rivera 2002 mgn

6 Catapanus D’Alfonso del Sordo (bombino bianco)

6 Casteldrione D’Alfonso del Sordo (nero di Troia)

6 Riserva Chiaromonte 2006

6 Riserva Chiaromonte 2005

6 Muro Sant’Angelo Chiaromonte
Le Braci 2001
1 Sessantanni Feudi di San Marzano mgn (primitivo)

1 Feudi di San Marzano mgn (negramaro)

1 Turriga Argiolas 1999

1 Valle Cupa 2003 – Salento Rosso IGT – Apollonio mgn

1 Sauternes Chateau de Malle 03 mgn


La lista non è definitiva ma in continua evoluzione.Per prenotazioni chiamate Dino De Bellis allo 06.45424282 oppure mandate una mail a oste@vignadelmar.it.

Ma voi ce lo vedete il Brunello di Montalcino nella fiaschetta? No? Eppure sembra che...

E’ stato per decenni il contenitore più caratteristico per presentare il vino, in molti paesi esteri è l’emblema del vino italiano e toscano in particolare, ha una storia millenaria alle sue spalle; stiamo parlando del fiasco toscano che recentemente vede le sue sorti risollevarsi in quanto apprezzato da sempre più numerosi imbottigliatori. E’ di questi giorni la notizia che anche nelle terre del Brunello di Montalcino alcuni importanti produttori, tra i quali Banfi e Barbi, hanno presentato una proposta di modifica del disciplinare che prevede l’imbottigliamento del famoso vino in fiaschi da due litri di vetro chiaro per evidenziare le sfumature color rubino caratteristiche del Sangiovese, fiaschi rigorosamente “vestiti” con paglia di grano esclusivamente raccolto in Val d’Orcia.

La proposta sarà in discussione nella prossima assemblea del Consorzio, prevista per la fine di Maggio, nella quale si nomineranno tra l’altro i membri del nuovo consiglio direttivo del Consorzio stesso. Imbottigliare il Brunello nei fiaschi da due litri appare una vera rivoluzione per questa Docg in quanto fin dagli inizi della commercializzazione di questo vino si è preferita la bottiglia bordolese, tanto che Montalcino è stata la zona vitivinicola che di fatto ha lanciato in Italia questo contenitore di origine francese fin dai primi del ‘900.

La scelta del fiasco, oltre che rispondere alle nuove richieste dei mercati internazionali in uscita dalla crisi, si ispira ad una maggior aderenza alla tradizione italiana e al rigetto di tutte quelle mode filostraniere che hanno imperato fin troppo a lungo nel nostro paese. C’è da rilevare infine che contro questa proposta sono insorti alcuni produttori progressisti, capitanati da Donatella Cinelli Colombini (la quale è famosa per aver eliminato dalle sue aziende qualsiasi accenno ai contenitori tradizionali quali damigiane e, appunto, fiaschi) che ha dichiarato di volersi opporre con tutte le risorse disponibili a questa eventualità, chiamando a raccolta i produttori più esclusivi di questo vino.

Fonte: www.bereilvino.it

Da oggi chiamateli "I Giovani Promettenti". L'unione fa la forza o semplice pesce d'Aprile?

Carlo Macchi (www.winesurf.it) , Luciano Pignataro (www.lucianopignataro.it) e Franco Ziliani (www.vinoalvino.org) si uniscono in un progetto che può rivelarsi interessante per la blogosfera vinicola italiana. Alla base di questo progetto è la voglia di comunicare il vino di qualità, mantenere l'attenzione all'ambiente, appassionarsi alla coerenza stilistica e commerciale dei viticoltori autentici.
Tre blog specializzati nel vino, già leader dell'informazione in rete, uniscono le proprie conoscenze per offrire ai propri lettori più servizi.
Amici nella vita reale, una lunga esperienza di giornalismo alle spalle, la curiosità sempre viva. Sono gli ingredienti che mettono insieme Carlo Macchi, Luciano Pignataro e Franco Ziliani nella navigazione nel web.
Un accordo che mantiene inalterate le specificità di ciascuno e l'autonomia sempre apprezzata dai lettori, ma che consente una consultazione rapida e reciproca dei rispettivi blog offrendo al grande pubblico un servizio in più.
Tre sensibilità diverse, Nord, Centro e Sud, ma una cosa in comune: la passione onesta per la viticoltura di qualità e la totale autonomia e libertà di pensiero.
L'obiettivo è crescere insieme, aumentare i contatti, offrire una vetrina in più a quanti lo meritano realmente.
Insieme in rete si pone già da subito come polo principale di informazione specializzata di settore, disponibile al confronto e al dibattito, un punto fermo di cui non si potrà più fare a meno.
In rete dall'otto Aprile.

Fonte: Winesurf.it

My Feudo, il primo vino “open source” secondo Jacopo Cossater

Dove eravamo rimasti? Ah, sì, al primo vino “open source” targato Feudo Principi di Butera, la tenuta siciliana della famiglia Zonin. My Feudo è solo un nome provvisorio in attesa che un sondaggio on line scelga quello definitivo e, soprattutto, in attesa che 13 wine-blogger, ristoratori, giornalisti, esperti diano vita al loro vino usando come base le uve che hanno generato in vino ufficiale dell’azienda: Merlot, Cabernet Sauvignon e Petit Verdot, prodotte da cru all’interno della Tenuta Feudo Principi di Butera. Da queste basi, con il kit di assemblaggio che è stato spedito loro, i 13 esperti hanno creato il loro blend personale, che verrà poi imbottigliato, senza affinamento, dalla tenuta secondo le indicazioni di ogni partecipante.

Al
Vinitaly 2010 Francesco Zonin e Franco Giacosa inviteranno i 13 partecipanti di Myfeudo a degustare alla cieca e votare i blend proposti assieme al vino “ufficiale” che verrà presentato e messo in commercio in quei giorni. Dalla discussione e sopratutto dal vincitore ci aspettiamo le indicazioni circa la strada da seguire in vigna e in cantina per lo sviluppo qualitativo di questo vino nelle prossime vendemmie.
Detto ciò andiamo ad esaminare che tipo di vino hanno creato i 13 partecipanti iniziando dal mio amico wine blogger Jacopo Cossater.

Su Myfeudo.it, dopo aver “combattuto” con le varie basi, scrive quanto segue: "
Mi sono reso conto subito che poteva essere un taglio un po’ radicale, con quella prevalenza selvatica data dalla presenza di petit verdot. Eppure di strade ne avevo provate tante. Un po’ più di merlot qui, o cabernet sauvignon là. Al conseguente assaggio c’era sempre quel qualcosa che stonava, quell’elemento che non apparteneva al tutto che si era venuto a creare.
Eppure lo sapevo che era un taglio difficile. Allora l’ho aspettato, ed il giorno dopo l’ho assaggiato nuovamente, provando di nuovo percentuali un po’ diverse. Anche rivoluzionando il tutto. Ma no, il blend uscito dalla prima prova rimaneva quella che più mi colpiva. Era compiuto, ma nello stesso tempo aveva quel sapore nuovo, diverso, almeno al mio palato. E poi volevo fosse sfacciatamente mediterraneo, con quella nota alcolica a marcare il territorio, ma accompagnata da quel frutto. E da quelle spezie scure ad introdurre un corpo importante e deciso.
E certo, le mie perplessità riguardavano proprio il suo essere scorbutico, forse complicato. E di certo ignoro come potrà evolvere, con il passare dei mesi. Ma poi ho pensato che, in fondo, la cosa più importante era che fosse calibrato sul mio palato, proprio per potercisi confrontare, dopo.
Le mie percentuali? Petit verdot al 55%, in decisa prevalenza. Molto cabernet sauvignon, con il 40%. Ed appena accennato il merlot, con il rimanente 5%".

A Jacopo, come agli altri, do appuntamento al Vinitaly per scoprire chi l’avrà vinta. So troppo curiosoooooo.

Se scrivo di vino e non di fusione nucleare c'è un motivo...

Tramite Google Alert ogni giorno ricevo tutta una serie di link che parlano di vino. Tra i vari presenti, mi è subito balzato agli occhi un articolo pubblicato da RomagnaNoi che decantava il “Marignanum”, un vino da vitigno….beh leggete voi e trovate gli errori (alcuni davvero clamorosi).
Un consiglio a chi redige questi articoli: a Roma si dice “nun t’avventurà”, se scrivi di vino almeno le basi…..

Rimini - "Marignanum" il nuovo San Giovese

Presentato il vino della fattoria Poggio San Martino. E’ già approdato in Alsazia, terra dello Champagne

SAN GIOVANNI IN MARIGNANO - Presentato ufficialmente questa mattina il “Marignanum” nuovo Sangiovese di Romagna superiore riserva 2007. Un vino che rievoca le radici del nome della città: il nome marignano deriva infatti dall’antico “fundus Marniani”, fondo agrario di probabile derivazione tardo romana ora scomparso. A salutare il nuovo vino della città il sindaco Domenico Bianchi e l’assessore alle attività economiche Nicola Gabellini contenti della produzione del nuovo vino che rievoca le radici storiche della città. “Padri” della nova creatura Antonio e Daniela Galli titolari della Fattoria Poggio San Martino, fondata nel 1958 da Mario Galli, padre di Antonio. L’azienda a breve avrà una conduzione femminile con la giovane Sara Galli 20 anni studentessa in vitivinicoltura ed enologia.
Il” Marignanum” è un Sangiovese di 14 gradi superiore riserva 2007. Per 1 anno è stato affinato nelle botti d’acciaio e per ‘ anno nelle botti di legno e per tre mesi nella bottiglia ed ora pronto per fare il suo debutto in tavola vicino a pietanze a base di buona carne. La sua origine è nei vigneti saludecesi di Poggio San Martino Trivellino dove la famiglia Galli possiede 6 ettari di fila
ri. 12 le etichette all’attivo per 1500 quintali di vino all’anno della fattoria Poggio San Martino che ha clienti in tutta Europa tanto che il “Marignanum” è già arrivato in Belgio, a Francoforte e Liegi, a S. Martin nelle Antille Olandesi ed in Alsazia patria dello Champagne.

Lampi di Bibenda Day 2010

Purtroppo non ce l'ho fatta ad andare quest'anno, ho mancato un'edizione molto bella del Bibenda Day, il livello delle bottiglie era tale che stavolta la banda Franco Ricci deve avere solo elogi. Anche se ho mancato l'occasione, Percorsi di Vino era in qualche modo presente grazie ad un inviato di eccezione, Andrea Andreozzi, una delle anime dei Botri di Ghiaccioforte, bellissima azienda di Scansano che produce uno dei migliori morellino della zona. Ecco il suo racconto di una parte dell'evento....

Mancavano soltanto i nani e le ballerine sabato 20 marzo al Bibenda Day, evento targato AIS Roma ed ospitato nella sontuosa sala del Roma Cavalieri.
25 grandi vini da degustare introdotti da cinque bravi relatori che ci hanno preso per mano e condotto in questo viaggio.
Vorrei trarre spunto da uno di questi,
Armando Castagno, per esprimere il senso della serata che ho vissuto: egli ci ha condotto alla scoperta di cinque grandi rossi italiani con una passione che non esiterei a definere commovente, inducendo una riflessione sullla "dirittura morale" di chi produce questo nettare meraviglioso e il "talento" del territorio da cui è prodotto: ebbene il talento è un patrimonio sul quale non si scherza!

Ci si augura che in futuro si accetterà sempre di meno la programmazione, l'aggiustamento e la ruffianeria prendendo esempio dal
Don Anselmo, un Aglianico del Vulture assaggiato in una annata straordinaria: il 1995 è una ordalia di mineralità vulcanica, florealità appassita e salinità feroce, una cartolina dal vulcano Vesuvio come lo ha definito Castagno, un vino che rende onore a chi lo ha creato, la famigla Paternoster.

A seguire un mito della enologia laziale:
Fiorano Rosso 1988 del Principe Boncompagni Ludovisi. La tenuta si trovava vicino l'Appia Antica, sulle pendici del vulcano laziale (purtroppo la vigna ha subito l'espianto), produzione limitata, forse la prima azienda biodinamica dal 1946, botti vecchie mai sostituite e minima aggiunta di solforosa, al naso il vino di taglio bordolese ti prende subito con la volatile che veicola profumi fini ed eleganti come i vecchi bordeaux, un modello di grazia ed eleganza principesca, senza alcuna deriva ossidativa!

Di corsa, come richiedeva il programma della serata (ma non si poteva avere più pausa tra una serie e l'altra), un altro fuoriclasse:
Brunello di Montalcino Riserva 1981 di Biondi Santi : spirito della tradizione, espressione della terra di origine, toscanità se questa espressione potrà mai vedere riconosciuto un suo significato, il vino è un profluvio di ferro, ruggine, pietra focaia, una progressione gustativa che ti viene voglia di mangiare la terra toscana che ha prodotto questo vino.

Proseguiamo con la leggenda di
Bartolo Mascarello (non mi sento di aggiungere altro sulla figura di un uomo fantastico) ed il suo Barolo 1986: vinificazione classica delle Langhe, 40 giorni di macerazione sulle bucce per estarre con pazienza tutti i polifenoli, botte rigorosamente grande, no Barriques No Berlusconi, caldisssimo e avvolgente per una annata difficile da dimenticare.

Per concludere questa serie abbiamo bevuto un
Amarone 1964 della storica azienda Bertani: da uve selezionate dai vigneti di Villa Novare, il vino in questione ha la particolarità che, prima di essere commercializzato, ha sostato 20 anni in botte e 10 anni in vetro. Dopo tutto questo tempo all'interno del bicchiere trovo il mondo intero: cioccolato, uva sultanina, prugna, terrosità delle radici ed una capagira di alcol e freschezza da consigliare di finirla li ed andare a casa.
Io, tuttavia, ho proseguito la degustazione perchè di sognare non sono mai stanco....

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Grazie a tutti

Andrea

Le migliori degustazioni a "Rosso Cesanese"

Tra i migliori assaggi a Rosso Cesanese posso annoverare:

Casale della Ioria – Torre del Piano Docg 2008: Paolo Perinelli è uno dei quelli su cui puntare per il presente e il futuro ed il suo Torre del Piano, con il frack per la nuova Docg, rappresenta un ottimo punto di partenza per coloro che vogliono capire le potenzialità del Cesanese. Nette e molto intense le note di visciola matura, viola e spezie dolci. In bocca è carnoso, polposo, anche se, come tutti i 2008 del resto, manca quel tocco in più di affinamento che renderà il vino armonioso in bocca. Da aspettare e stappare in futuro con grande goduria
Casale Verde Luna – Civitella Pure 2008: l’azienda nasce nel 2000 in località Civitella, vicino Piglio, dove da sempre oliveti e vigneti di Cesanese hanno trovato il loro habitat ideale. Seppur conosciuta maggiormente per la sua attività agrituristica, la produzione di Casale Verde Luna mi ha piacevolmente sorpreso per i due Cesanese presentati durante la manifestazione: il Civitella Cru e, soprattutto, il Civitella Pure. Il primo, più tradizionale, è vinificato totalmente in acciaio e si presenta con note aromatiche di frutta rossa sottospirito e anice stellato. Il secondo, vinificato in acciaio e affinato in botte per almeno 12 mesi, è più intenso, morbido, vellutato nelle sue sensazioni di frutti di bosco e rosa canina. Bella scoperta!
Cantina Martini - Santa Felicita 2006: guidata dal giovane Andrea Antonio, è ubicata presso il Podere Santa Felicita, un’antica residenza della tenuta della famiglia Massimi. Sita su un poggio, nel cuore dell’areale del Piglio, Andrea Antonio basa la sua produzione di Cesanese su uno dei vigneti più belli e antichi della zona, una vigna di oltre sessantenni da cui deriva il Santa Felicita che, col millesimo 2006, raggiunge livelli qualitativi fino ad ora mai visti per questo vino. C’è la potenza, l’espressione territoriale, la progressione gustativa e, soprattutto, tutta la complessità che solo le vigne vecchie sanno offrire al vino. Cercatelo.
La Visciola - Priore 2008: condotta da Piero Macciocca e Rosa Alessandri è l’unica azienda biodinamica della denominazione. I pochi ettari gestiti naturalmente danno vita ad un solo rosso aziendale, il Priore che in tutto e per tutto si distacca dagli altri Cesanese visti fin d’ora: di un rosso rubino scarico, ha uno spettro olfattivo non giocato sul frutto ma sulle sensazioni minerali, terrose e vegetali anche se, aprendosi, si riesce ad intravedere un frutto rosso mai maturo. Bocca caratterizzata da acidità elevata e da una componente minerale e floreale molto presente. Con i suoi 13,5% rappresenta una sorta di corpo estraneo alle altre produzioni.
Terre del Cesanese – Colle Vignali 2008: è il vino di Pierluca Proietti, presidente della Strada del Vino Cesanese, un prodotto che negli ultimi tempi mi sta piacendo parecchio anche se, potenzialmente, potrebbe dare ancora di più visto che Pierluca non sfrutta totalmente tutta la sua bravura e passione. Questa annata fornisce un vino ampio, armonico, di buon equilibrio anche se, subito dopo la deglutizione, esce una nota amarognola che inficia leggermente la degustazione. Un vino che dovrà affinare ancora molto ma che, se queste sono le premesse, promette di essere davvero interessante.
Petrucca e Vela – Tellures 2007: ho degustato anche l’ultima annata ma, tra le due, preferisco questa in quanto ho trovato il vino molto più pronto e di facile beva. Tiziana e Fabrizio conducono dal 2000 il vigneto della tenuta, disposto, in un unico corpo di 5 ettari, in posizione collinare ad un altitudine compresa tra i 450 e i 500 metri sopra il livello del mare. Il Tellures, attenti a non chiamarlo Tellus, è un vinone dal grande estratto e dalla grande potenza mediata da una buona freschezza. Cosa non mi ha convinto? Che sembra il fratello piccolo del Romanico non raggiungendo, però, la classe e la complessità del vino di Coletti Conti.
Antiche Cantine Mario Terenzi – Casal San Marco 2006: l’ultima annata non ce l’avevano al banco di assaggio, mi hanno offerto solo questo 2006 che ho trovato molto caldo, intenso, e dal quadro aromatico giocato su note di erbe medicinali, rabarbaro, humus e frutta nera. Bocca in linea col naso e chiusura amarognola in stile amaro del frate. Non mi ha convinto fino in fondo e vorrei riprovarlo anche in altre annate.
Giovanni Terenzi – Colle Forma 2008: altra azienda storica del territorio, è dagli anni ’50 che la famiglia Terenzi, con nonno Giuseppe Mario, produce del Cesanese di buona struttura e media qualità. Il Colle Forma che ho degustato non mi ha entusiasmato, troppo giovane per valutarlo appieno, molto meglio il loro Cesanese base che, con tutti i limiti del caso, era dotato di grandissima bevibilità.
Marcella Giuliani – Dives 2008: per carità i suoi vini sono sempre tecnicamente ben fatti, Cotarella per questo è davvero un gran maestro però, più li bevo, più penso che pecchino un po’ di territorialità. Alla perfezione preferisco di gran lunga una “sana” mancanza se questa è fatta per troppo amore.
Coletti Conti – Romanico 2008: lo sa benissimo Antonello che deve essere lui l’elemento trainante di tutto il comparto, lui che è un tribicchiereto, un pentagrappolato e chissà cosa altro di bello. Ho lasciato i suoi vini per ultimi perché sapevo che dopo di loro ci sarebbe stato il nulla e così è stato. Il suo Romanico 2008 è da cappottamento e triplo salto mortale all’indietro, ha la classe cristallina di Lionel Messi e la potenza distruttiva di Batistuta, una sorta di limbo edonistico da cui è difficile uscire. Se lo scorso anno col 2007 è stato il produttore laziale più premiato, non so cosa può succedere con un questo Cesanese che promette faville.
Mettiamo i 4 bicchieri?

Sulle traccie del "Rosso Cesanese". Piccoli appunti di discussione per il primo vino Docg del Lazio

E’ il primo e unico vino Docg della mia Regione e questo fine settimana è stato giustamente festeggiato con la prima edizione di “Rosso Cesanese”, evento svolto nel bellissimo centro storico di Anagni dove tutti i produttori di “Cesanese del Piglio” hanno presentato in anteprima alla stampa, agli operatori di settore italiani ed internazionali e agli appassionati l’annata 2008, la prima con la “famosa” fascetta viola.

Prima di entrare nel particolare dei vini, dal giro che mi sono fatto tra i vari produttori sono emersi due fattori principali. Il primo: la qualità media dei vini, rispetto a qualche anno fa, si è notevolmente alzata e questo soprattutto dopo che la stampa nazionale ha iniziato (giustamente) a premiare la tipologia.


Coletti Conti, il più premiato tra i produttori di
Cesanese, per molti non dovrebbe rappresentare un punto di arrivo ma di partenza, dovrebbe essere lo stimolo per guardare avanti con coraggio e scrollarsi di dosso quella inerzia che spesso ha costituito il principale limite allo sviluppo qualitativo del Cesanese. Le potenzialità ci sono tutte per far bene: vigne spesso ultradecennali, bellissime esposizioni e, in un caso, pratiche agronomiche del tutto naturali possono dar vita ad una grandissima materia prima che aspetta solo di esser valorizzata e, in alcuni casi, non traumatizzata. Il territorio c’è e il Cesanese può e deve essere la sua naturale derivazione.

L’altro aspetto che ho notato, in questo caso poco positivo, è che
molte produzioni sono ancora troppo artigianali e legate al passato. Mi spiego meglio. Trovo ancora arretrata la mentalità di certi vignaioli che, accanto al vino di punta dell’azienda, magari di buona fattura, producono tutta una serie di prodotti base di livello certamente non eccelso. Va bene, per me, creare una suddivisione qualitativa del vino ma, se la produzione di basso livello debba poi coincidere con quella più importante, anche dal punto di vista economico, allora non ci siamo, non farà mai nessuno sforzo per crescere ed andare oltre il concetto di vino sfuso o, al massimo, utile per le osterie del luogo.

Altra cosa che trovo limitante è che ci sono molti
produttori di vino “part-time”, nel senso che spesso hanno un altro lavoro (quello che “li fa campare”) e quello del vignaiolo è solo un duro passatempo del week end che, nonostante tutto, sta fornendo loro grandissime soddisfazioni. Signori, e questo ve lo dico col cuore, la vigna e tutto ciò che ne discende è un qualcosa che va curato ogni giorno, costantemente, perché ogni piccolo errore o semplice ritardo nel processo produttivo lo pagherete nel bicchiere. Le puzzette che ho sentito in qualche vino degustato certamente non vengono dal cielo ma, magari, da un ritardo nel rimontaggio o nel travaso del vino. No, quindi, al vignaiolo per hobby e assolutamente no al vignaiolo che produce per una clientela di bassa cultura enologica.

Domani pubblico qualche nota di degustazione. Prosit!