di Andrea Petrini
Ci sono storie che partono da lontano,
molto lontano, dove l’amore per il vino può diventare la scintilla decisiva per
cambiare l’andamento di una realtà che non era così come la progettavamo o,
meglio, la sognavamo.
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Joy Kull
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Joy Kull, originaria del Connecticut, a
due passi dalla frenetica New York, può essere tranquillamente la protagonista
di una di queste storie dove la trama ha imboccato strade talmente vorticose ed
inaspettate da farle cambiare vita in pochissimo tempo “scaraventandola” dai
grattaceli di Manhattan fino alle più bucoliche colline di Gradoli, nella zona
nord-ovest del Lago di Bolsena, dove oltre a vecchie vigne di aleatico ha
trovato un altro amore, forse più grande, quello per suo marito Simone, pastore
locale, con il quale da qualche anno ha anche messo su famiglia.
E’ proprio tra i vigneti della sua
azienda agricola, La Villana, che incontro Joy Kull la quale, dopo anni di
gavetta, è diventata in tutto e per tutto uno dei tasselli fondamentali della
“nuovelle vague” del vino dell’Alta Tuscia laziale che ha preso il via circa 15
anni fa grazie a Giammarco Antonuzi che è stato un punto di riferimento
fondamentale per avviare la sua attività.
“Dopo la laurea – mi spiega Joy mentre
passeggiamo tra i grappoli di aleatico - ho subito iniziato a lavorare negli
USA nel Food and Beverage Management svolgendo quasi tutti i lavori dedicati al
vino, dal sommelier fino alla vendita on-line, ma nessuno di questi mi dava
piena soddisfazione. Allora, quasi per sfida, mi sono detta: “Joy, perché non
inizi a produrre vino?”. L’idea iniziale, ti confesso, era quella di venire in
Italia, imparare il mestiere e poi ritornare negli USA, magari in Oregon, e
avviare là la mia azienda agricola. Grazie ad un mio amico ristoratore di New
York, amante dei vini naturali, sono stata messa in contatto con Antonuzi (Le
Coste) al quale ho chiesto di fare un anno intensivo di stage al fine di
imparare tutto il possibile. Era il 2013, me lo ricordo bene, sono bastate due
settimane a Gradoli, che non conoscevo assolutamente, per innamorarmi
visceralmente di questo territorio e dei suoi vini. Sono bastate due settimane
di lavoro per capire che questo era il mio sogno e che non sarei più tornata
negli Stati Uniti…”
Dopo un anno passato a lavorare presso
Le Coste, Joy ha deciso di fare il passo successivo ovvero mettersi in proprio
e capire se poteva concretizzare tutto ciò che aveva imparato. Per perseguire
questo obiettivo, per capire se la strada intrapresa era quella gusta, inizia a
prendere in affitto e gestire tre ettari di vecchi vigneti non più gestiti
dagli anziani della zona e nel 2015, all’interno di una grotta, quasi
clandestinamente, produce le sue prime 3000 bottiglie che, mi confida, verranno
quasi tutte bevute l’anno dopo durante i festeggiamenti per il suo matrimonio.
Oggi, dopo quattro vendemmie, Joy Kull
alleva secondo metodi biologici (certificata dal 2017) e biodinamici vigne, sia
vecchie che di nuovo impianto, di aleatico, grechetto rosso, montepulciano,
ciliegiolo, procanico, roscetto, malvasia e moscato e gli ettari vitati, grazie
anche al contributo economico di una sua amica americana, sono passati da circa
tre a cinque col progetto di costruire finalmente una nuova cantina più
funzionale alle esigenze di una azienda agricola in fase di crescita come La
Villana.
“Joy, a proposito, perché questo nome,
La Villana?”
“Beh, quando sono arrivata a Gradoli
molti anziani della zona mi raccontavano storie agricole locali al centro delle
quali, spesso, c’erano i litigi e le contrapposizioni tra il villano, ovvero
l’agricoltore, e il pastore che con le sue pecore rovinava i suoi raccolti. Da
queste parti, perciò, sono considerata una vera e propria villana anche se
molto atipica visto che ho sposato un pastore le cui pecore, strano il destino,
sono invece mie care amiche visto che mi aiutano moltissimo nella concimazione
delle mie vigne. Secondo me questi racconti contadini dovrebbero essere
rivisti…...”
Con Joy decidiamo di scendere giù a
Gradoli per degustare qualche bottiglia e per farmi visitare l’attuale cantina
di vinificazione, circa 60 metri quadri, ospitata all’interno di un locale
posto al piano terra di un vecchio palazzo nel centro del Paese.
Il Bianco La Villana 2019, blend di
procanico e malvasia, è un po’ il simbolo dell’artigianalità del lavoro di Joy
che dà vita ad un bianco deciso, essenziale, spiazzante per chi è abituato ai
vini troppo tecnici ed industriali. Con questo Bianco si beve puro succo d’uva,
sembra di masticare le uve da cui proviene e la territorialità è assolutamente
debordante grazie alla sapidità finale di questo vino che ti fa ricordare che
Gradoli è territorio vulcanico.
Il Rosato La Villana 2019, 100%
aleatico, è succoso, dinamico, la sua leggera aromaticità lo rende poliedrico
nei profumi e assolutamente complesso al palato caratterizzato da acidità
vibrante che dona freschezza, carattere e, soprattutto, una beva irresistibile.
Il Rosso La Villana 2019, greghetto
(sangiovese) in purezza, è pieno, polposo, nitidamente varietale. L’ho
apprezzato per il suo essere vivo, tagliente, per certi versi rustico, ma al
tempo stesso appagante grazie ad un sorso scorrevole grazie ad una trama
tannica viva ma decisamente controllata. Vino assolutamente delizioso e senza
sovrastrutture che rende bene l’idea del timbro che Joy vuole dare a tutti i suoi
vini che, dietro un’apparenza di semplicità, sono di una purezza e di una
territorialità disarmante.
In anteprima ho anche degustato sia il
Bianco che il Rosso “Uovo” che Joy affina in cemento all’interno di un'altra
cantina. Il bianco è il blend di due uova di cemento dove il procanico,
proveniente sia da vigne giovani che vecchie, ha tempi diversi di macerazione
(una settimana e quattro giorni). Il risultato? Un vino che ad oggi è
assolutamente graffiante, denso, dalla sapidità esplosiva la cui complessità
non potrà che essere esaltata col tempo in bottiglia.
Il Rosso Uovo 2019 invece sembra già
avere quella maturità e quella eleganza che il bianco ancora deve ricercare. A
mio giudizio già oggi è un vino di assoluta piacevolezza e finezza e, tra i tanti
greghetto assaggiati in zona, per me è quello che, ad oggi, potenzialmente avrà
il futuro più radioso.
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