di Luciano Pignataro
Quanto vive il Piedirosso? Dopo venti anni di
degustazione prove, protocolli in acciaio, in legno piccolo e grande, cemento e
compagnia cantando, si può ragionevolmente affermare che dal punto di vista del
consumatore questo vino può essere stappato subito per godere i suoi generosi
respiri floreali oppure lasciarlo maturare mediamente tra due ai tre anni, in
ogni caso non più di cinque. Si tratta di una regola generale e come ogni regola, soprattutto nel vino, può
avere le sue eccezioni, ma per arrivare a queste conclusioni dobbiamo anzitutto
dire cosa è il Piedirosso.
|
Grappolo di piedirosso |
Si tratta di un vino ottenuto da uve omonime allevate
prevalentemente in provincia di Napoli, entra di forza nella doc Lacryma
Christi, è l'unica cultivar della Campi Flegrei doc, importante nella Penisola
Sorrentina doc (nel Gragnano) e in Ischia doc. E' un uva antichissima, tipica
della Campania (non si trova fuori dalla regione come invece accade per l'altro
rosso campano, l'Aglianico, presente in Basilicata, Molise, Puglia e Calabria)
che ama il suolo vulcanico e il caldo. Viene coltivato, con poca convinzione ma
con ottimi risultati, anche nel Sannio e in minima parte nel Salernitano.
Il Piedirosso rappresenta il carattere del proprio
territorio, è un vino allegro, beverino, dai tempi brevi, non impegnativo dal
punto di vista gustativo, che ben si adatta a gran parte della cucina
partenopea, è il vino della costa campana sostanzialmente. Ha tannini poco pronunciati, e questo lo rende
immediatamente bevibile oltre che usato per tagliare l'Aglianico, vino dai
tempi lunghi per eccessi di acidità e presenza in esubero di tannini.
Il Piedirosso è un vino difficile in vigna perché poco
prolifico, anche se questo ormai è diventato un pregio e non un difetto nella
viticultura moderna. Ma è difficile anche in cantina dove solo da una ventina
d'anni, appunto, si sono centrati i protocolli giusti per evitare gli eterni
sentori di ridotto e di poca pulizia olfattiva e gustativa che lo hanno segnato
per un lungo passato. Ogni vino deve fare la sua parte, un po' come le auto:
meglio una Smart di una Ferrari sul Grande Raccordo Anulare o nelle strade
delle città. La strada che ha puntato a farne un vino in stile anni '90, con
legno piccolo e surmaturazioni in vigna, non ha dato grandi risultati perchè
alla lunga ci si è fermati proprio di fronte alla caducità di questo vino e al
suo crollo immediato in bottiglie dimenticate per qualche tempo e rovinosamente
stappate poi tra la delusione generale. Insomma, il risultato è lo stesso quando si vogliono fare vini pronti con
forzature enologiche di uva che regalano bottiglie strutturate come
l'Aglianico. Venti anni di degustazione hanno fissato una volta per
tute il concetto che l'Aglianico giovane e il Piedirosso invecchiato sono due
ossimori.
Sono queste le considerazioni che si sono fatte al
termine di una verticale a Cantine Astroni, la bella azienda dei Campi Flegrei
protagonista della riscossa di questo vitigno insieme ad una bella pattuglia di
giovani vignaioli. Una cavalcata iniziata nel 2007 e proseguita sino alla
2019 nella quale si è potuto vedere questa continua progressione qualitativa.
Ma il colpo finale a sorpresa sono state le due
bottiglie prodotte quando l'azienda si chiamava ancora Varchetta datate 2003 e
1999.
|
Famiglia Varchetta 1940 |
Questo il cognome di una delle famiglie di
vinificatori che sin dall'800 circondavano Napoli in una sorta di tangenziale
del vino che partiva dai Campi Flegrei con i Martusciello e proseguiva con
Varchetta a Napoli, De Falco a San Sebastiano al Vesuvio, Russo a Terzigno,
Scala a Portici. Un'altra era geologica che termina grosso modo
con la crisi del metanolo del 1986 che costringe tutti ad un ripensamento
globale in Italia e che trasforma alcuni vinificatori in produttori. La storia di Varchetta è proprio questa, con le
nuove generazioni, prima Gerardo Vernazzaro e poi Vincenzo Varchetta a studiare
Enologia e a fare esperienze in giro. Ecco perchè è affascinante bere queste vecchie
bottiglie, figli di un'epoca di transizione, che all'epoca costavano circa
quattro mila lire diventate poi quattro-cinque euro.
|
Gerardo Vernazzano e le sue bottiglie |
Quando passa tanto tempo si finisce a parlare
delle annate più che delle bottiglie. Due annate particolari perchè la 2003,
ricorderete, è stata la prima annata tropicale che abbiamo vissuto in Italia
con un caldo estenuante e lungo e temperature pazzesche. Annata che però per le
varietà tardive alla lunga sono state molto generose. In questo caso il
Piedirosso ha sicuramente retto bene alla prova del tempo presentandosi
scarnificato ma con una buona acidità che lo teneva in piedi e una nota fumè,
di gomma bruciata, che aveva completamente offuscato i sentori di frutta e di
geranio tipici del vitigno.
La 1999 è annata particolare per la sua
perfezione, potremmo dire l'ultima vera grande annata per gran parte del vino
italiano che dopo non ha avuto eguali in vigneto. In questo caso il vino è
apparso sicuramente più tonico, fine, con spunto di frutta rossa sotto spirito e
una verve al palato decisa ed intrigante.
Si tratta della prima annata che ha visto
l'ingresso in azienda di Gerardo Vernazzaro e da allora veramente si sono fatti
grandi passi in avanti nella conoscenza del comportamento di questo vitigno
apparentemente allegro e gioioso ma in realtà difficile e complicato per chi lo
lavora.
Dunque, per rispondere alla domanda iniziale,
quanto viva il Piedirosso? Molto a lungo, almeno vent'anni. Ma è meglio berlo
non oltre il quinto anno dalla vendemmia.
Nessun commento:
Posta un commento