Energyawine e Tenute Rubino: coppia vincente
E' in arrivo l'albo dei sommelier?
Ma al Vinòforum si fa cultura del vino?
• orde di ragazzini della Roma bene che cercavano uno “sballo” a poco prezzo. Alla fine per venti euro potevi bere quanto volevi senza che nessuno, purtroppo, tenesse conto del grado alcolico che questi ragazzini avevano nel sangue;
• orde di “pappagalli” romani che passavano il tempo a girare per gli stand con il solo obiettivo di tampinare la standista di turno. Bellissima la frase di un tizio che vedendo una promoter di Moët & Chandon ha detto al suo amico:” Aò annamo a rompe le scatole a quella che oltre che bona c’ha pure er bianco frizzante fresco”.
• orde di donne che pensavano che il Vinòforum fosse una sorta di ballo delle debuttanti in versione testaccina: tacchi a spillo, mise da prima dell’opera e tanto profumo che alla fine gli odori dei vini ti sembravano tutti uguali a Chanel n°5 (rigorosamente comprato sulla bancarella del mercato rionale).
A tutto questo poi deve aggiungersi una grave pecca dell’organizzazione riguardo la temperatura dei vini: col caldo che ha fatto a Roma in questi giorni, con minime serali di 24/25°, il mio palato ha "esultato" tantissimo quando degustavo i vini (brodi) rossi. Scaldati ulteriormente dalle luci degli stand, dopo due bicchieri ho capito che se volevo mantenere le gengive intatte ed evitare di bere una sorta di liquido amaro, dovevo per forza buttarmi sui bianchi che, almeno, erano leggermente freddati da quel po’ di ghiaccio che l’organizzazione forniva agli stand. E che fornitura!!! Per tutti i vini e gli stand erano previste solo due macchine del ghiaccio che veniva dato ai sommelier…..ben trenta minuti prima dell’apertura per cui, se arrivavi all’orario di apertura di dovevi “beccare” anche il bianco caldo. Evviva!!
Dite che sono diventato enosborone oppure qualcosa che non va c’è?
Voglia di bollicine,? Abate Nero!
Il carattere originario però è rimasto identico: produzione artigianale, rispettosa dei dettami della spumantistica classica, massima cura di ogni fase, a partire dalla cernita delle uve destinate ai “mosti base”, quelli che consentiranno al vino di rifermentare lentissimamente in bottiglia. E trasformarsi in Abate Nero. La pazienza qui è di casa. Il vino riposa sui lieviti “per la presa di spuma” molto più a lungo del solito. Non stupitevi, dunque, se in etichetta trovate date che risalgono a vendemmie di qualche lustro addietro. Ogni fase è manuale, per un controllo diretto di ogni singola bottiglia. Solo in questo modo l’Abate Nero raggiunge il suo fascino, uno charme che soprattutto il TrentoDoc Brut Riserva Cuvée dell’Abate pare avere incastonato nel suo DNA visto che, tutte le volte che l’ho degustato, mi ha davvero incantato.
Il millesimo 2003 non tradisce le aspettative, già appena si versa nel bicchiere si può subito notare l’eleganza della spuma e la finezza del perlage. Al naso è molto fresco, intenso, si percepiscono note di frutta bianca e un bouquet di fiori di montagna che ci rimanda con la testa alle rigogliose valli trentine dove lo Chardonnay, il Pinot Nero e il Pinot Bianco vengono piantati per dare origine a questa cuvée. Qualche sbuffo minerale esce alla distanza man mano che la temperatura del vino aumenta.
In bocca lo spumante mostra tutta la sua stoffa e la sua eleganza con una bocca di grande spessore, profondità ed eleganza. Ottima la scia finale che ancora una volta richiama i fiori bianchi, specialmente il giglio e la margherita, e una garbata mineralità.
Ma che bello il vino (italiano) di Hong Kong!!
La prima cosa che fa storcere non poco il naso è sicuramente un problema di qualità della materia prima, congelare e decongelare l’uva non è certo il massimo perché, dal mio punto di vista, tale pratica fa perdere molte della sostanze polifenoliche presenti nel chicco d’uva con evidenti ripercussioni negative sulla qualità del vino. Non oso poi pensare alla possibilità che durante il lungo viaggio i grappoli possano decongelarsi….
Ma la “grande” notizia è che Lysanne Tusar, direttore dell’azienda, ha affermato che quest’anno tutte le uve, sia per i bianchi che per i rossi, sono state acquistate in Italia!! Ah però!
Saranno contenti questi anonimi conferitori di uva visto che la 8th Estate Winery produce circa 100.000 bottiglie all’anno di cui 60.000 già prenotare ed il resto lasciate in cantina a maturare.
Che l’uva congelata e decongelata sia la nuova frontiera dell’enologia mondiale?
Chissà, intanto in Italia qualcuno sta festeggiando….
Il bianco di Custoza di Aldo Adami
Tornando alla degustazione, di Aldo Adami ho potuto apprezzare sia il Bianco di Custoza base, sia il Superiore.
Il primo, da uve Trebbiano (20 - 40%), Garganega (20 - 40%), Trabbianello (5 - 30%) più Cortese, Malvasia, Riesling, Pinot bianco e Chardonnay, da sole o congiunte in proporzione variabile tra il 20 e il 30%, si fa subito apprezzare nel bicchiere per le grandi doti di immediatezza e freschezza, piacevolissime sono le note di frutta gialla croccante e le sfumature floreali. In bocca grande spazio all'acidità e alla sapidità del vino e ad un finale pulito e piacevolmente amarognolo.
Il Bianco di Custoza Superiore “Ciampani”, da uve Trebbianello (10%), Garganega (40%), Trebbiano (20%), Fernanda (30%), ha maggiore stoffa del base, la resa per ettaro è molto minore e tutto il processo di vinificazione è improntato sull’estrema ricerca della qualità. Queste caratteristiche le ritroviamo subito nel bicchiere, il naso forse è meno immediato del base ma più maturo, complesso, in bella mostra troviamo la pesca, la nespola, il frutto tropicale, la ginestra, unite ad interessanti scie minerali e di freschezza che ritroviamo senza problemi alla gustativa. Finale di buona lunghezza ed avvolgenza per un vino meno beverino del fratello minore ma sicuramente più complesso ed appagante.
Percorsi di Vino al Premio Internazionale del Vino
Domenica 31 maggio 2009 si è svolto nella splendida cornice dell’Hotel Cavalieri Hilton, alla presenza di star della televisione e con le riprese di RAI 1 il “Premio Internazionale del Vino”, organizzato da AIS Roma. Tutto di grande effetto, con protagonisti vini e produttori decisamente interessanti. I vincitori sono stati determinati tramite la compilazione di un’apposita scheda anonima fornita con la guida Duemilavini 2009. Quando si partecipa a manifestazioni del genere, ma anche quando, tutti gli anni, escono le classifiche di Wine Spectator o simili, ci si chiede sempre che senso possa avere dichiarare cose del tipo “Il Miglior Vino Rosso” o, “Il Miglior Vino Spumante” o, peggio ancora “Il Miglior Vino del Mondo”. Come si fa a paragonare tra loro vini di vitigni e territori diversi, un Brunello con un Nero d’Avola, un Teroldego o un Syrah, e magari pure di annate diverse, quando in realtà ognuno ha la sua specificità? Ci sono ottimi vini, che per quanto fatti bene ed interessanti non potranno mai competere con la ricchezza aromatica e l’eleganza di un Barolo o di un Pinot Nero ma che, nonostante questo, hanno una loro giusta collocazione, i propri abbinamenti e anche il proprio pubblico.
Eppure è umano classificare. Si fanno i concorsi per il Mister o la Miss, si dichiara l’Auto dell’anno o l’Imprenditore del mese e, quindi, è in quest’ottica che va letta un’iniziativa del genere. E poi...non dimentichiamoci che comunque fa tanto marketing e vuoi mettere un produttore che nella sua bella brochure scrive a proposito dei premi presi dal proprio vino “Miglior vino dell’anno”? E’ con questo spirito e con quest’ottica che, comunque, ci siamo avvicinati al Premio che, a partire da quest’anno ha perso la dicitura di Oscar, da ora legalmente riservato solo all’unico e vero Oscar, quello del cinema, assegnato dall’American Academy of Motion Picture Arts and Sciences. Un altro appunto che ci sentiamo di fare è che, trattandosi di un premio che si basa sull’opinione di un gran numero di votanti, sarebbe appropriato e significativo riportare il numero di schede valide pervenute e la percentuale di persone che ha votato un determinato vino. Quest’ultimo aspetto è, secondo noi, fondamentale data l’inevitabile dispersione di voto che ci può essere, stanti i motivi detti sopra.
Il fatto di dichiarare queste cose contribuisce sicuramente a una maggiore trasparenza e credibilità nei confronti del premio. Resta inoltre il fatto che, proprio a causa di tale dispersione di voto, rischia di vincere non il vino che ha le migliori caratteristiche ma il produttore che riesce a far votare il numero maggiore possibile di amici e parenti. E’ sufficiente, cioè, che un numero di persone appropriatamente istruito voti in modo compatto per falsare il risultato complessivo.
A nostro giudizio sarebbe addirittura preferibile, piuttosto che lasciare la scelta completamente in bianco al lettore e basata su parametri completamente arbitrari, individuare, magari attraverso un “comitato di saggi” una rosa ristretta a priori, indicando di ogni vino quali elementi valutare. Certamente questo renderebbe più complicato al lettore votare ma magari sarebbe più comprensibile capire perchè, all’interno di una certa categoria, un certo vino è stato ritenuto migliore di un altro. Tra l’altro, così messa la cosa, sarebbe anche più interessante per i produttori avere le motivazioni per la propria vittoria o sconfitta, perchè permetterebbe loro di concentrarsi nel migliorare quegli aspetti che il pubblico ha decretato come più deficitari.
Per quanto ci riguarda, la giornata, ottimamente organizzata, è stata un’occasione per degustare vini comunque interessanti, a partire dallo Champagne millesimato blanc de blancs “S” 1997 di Salon, azienda di Le Mesnil-sur-Oger. L’annata è la trentasettesima da quando questo vino ha cominciato ad essere prodotto. Profumi di zenzero, frutta esotica, miele e, in bocca, morbidezza controbilanciata da una buona acidità. Buono, per carità, ma alla fine non sappiamo proprio se possa a ragione essere considerato il “Miglior Vino Straniero”, anche relativamente ad altri Champagnes.
Personalmente abbiamo i nostri dubbi, soprattutto se tra i candidati era presente un Riesling Auslese di J. J. Prum. Interessante anche la categoria dei vini rossi, con un ottimo Barolo Brunate Le Coste 2004 di Rinaldi. Ci ha molto favorevolmente colpito, vincitore tra i vini rosati, Il Rogito 2006 di Cantine del Notaio, di una persistenza davvero straordinaria.
Molto persistente e anche di intensa mineralità Colli Orientali del Friuli Rosazzo Terre Alte 2006 di Livio Felluga, della categoria vini bianchi.
Più combattuta, secondo noi, è stata la battaglia sul fronte del Miglior Vino dolce, vinta da Diamante d’Almerita 2007 di Tasca d’Almerita, ma contro pretendenti di tutto rispetto, quali Muffo 2006 di Mottura e Recioto di Soave Suavissimus 2005 di Nardello. Meritatissimo il premio per Il Miglior Rapporto Qualità/Prezzo al Pian del Ciampolo 2006 di Montevertine.
La lista completa dei premiati è visibile al link http://www.bibenda.it/notizie_news.php?id=254.
Qualche notizia dal web: si amplia la Cantina di Terlano
“La filosofia di qualità presuppone delle innovazioni tecnologiche e strutturali che permettono di continuare con successo la propria attività. Per realizzare tutto questo sono necessari più spazi. Al contempo desideriamo offrire ai nostri vini, che notoriamente hanno una lunga fase di sviluppo e maturazione, più spazi per il loro affinamento. Inoltre vogliamo rendere la Cantina un punto d’incontro accattivante per Terlano”, così l’amministratore delegato Walter Eisendle chiarisce i motivi dei lavori. Gli architetti TV TROJER VONMETZ su circa 3.860 m² hanno realizzato un moderato ampliamento del complesso esistente e permesso l’integrazione nella struttura del paese e nella natura. Dall’esterno la nuova ala convince grazie al rivestimento di porfido rosso, la roccia che caratterizza la zona e che contribuisce alla specificità del vino di Terlano. Il tetto è ricoperto di viti per sottolineare il graduale passaggio verso la natura circostante di cui la vite è l’incontrastata protagonista.
“I lavori di ampliamento sono frutto di una scelta avveniristica. Desideriamo ringraziare l’amministrazione comunale di Terlano e tutte le persone coinvolte per il loro sostegno e per la comprensione”, sottolinea Georg Höller presidente della Cantina. “Negli ultimi mesi abbiamo eseguito anche degli adattamenti architettonici, non solo per collocare circa 1,5 ml di bottiglie di Terlano, ma per dare spazio anche le circa 300.000 bottiglie dei vini di Andriano che dal 2008 vengono prodotte a Terlano.” Sotto le vigne appena piantate si nascondono diversi magazzini, l’impianto d’imbottigliamento e il fiore all’occhiello di tutta la struttura rinnovata: la ‘cantina del porfido’. “Con questo gioiello architettonico vogliamo sottolineare ulteriormente l’origine dei nostri vini: il Terroir”, chiarisce l’enologo Rudi Kofler. “Il terreno porfirico, ricco di minerali, contribuisce a rendere unico il carattere dei vini di Terlano. Il porfido ha conquistato adesso il suo posto direttamente in cantina”.
Per maggiori informazioni sulla Cantina Terlano: www.kellerei-terlan.com.
Fonte www.bereilvino.it
Donnardea e Percorsi di Vino dicono NO all'inceneritore di Albano Laziale
Pubblico volentieri la denuncia dell'Azienda Vitivinicola Donnardea che sta lottando insieme alla gente del posto contro la costruzione dell'inceneritore di Albano Laziale. La nostra sarà una goccia nel mare però...ci proviamo!
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Che ci fai con l'amore per il territorio, la passione e l'impegno? Oggi con la genuinità non ci campi, con la passione non ci vivi, con la tenacia non rendi forti le tue posizioni, con l'amore per la natura e per la tua terra non salvaguardi nè paesaggi nè territori. E nè te stesso.
Che ci fai con il BLOG se non esponi la tua anima, i tuoi successi e le tue battaglie, le tue difficoltà in vigna in cantina e non racconti nel bene e nel male il tuo territorio?
Che ci fai con internet se non diventa mezzo oltre che di comunicazione anche di RETE e di supporto, amplificando la tua voce e i tuoi propositi?
Tutto vano?
"L'Italia è bella tutta è vero, nessun luogo merita un inceneritore. "
Auto-denunciando il fatto che tra pochi mesi, SE NESSUNO FARA' NIENTE PER AIUTARCI a bloccare questo scempio, i marchi e i valori BIOLOGICO, BIODINAMICO, DOC di questi luoghi, saranno compromessi! ... non faccio certo l'INTERESSE DELLA NOSTRA AZIENDA .
E ciò la dovrebbe dirla tutta sulla genuinità della mia voce.
Molti mi hanno detto di tacere. Che l'inceneritore si farà lo stesso. Che non serve a nulla alzare polveroni...nè discuterne.
Tutto ciò tralasciando il fatto che qui oltre alle produzioni agricole, ci sono tantissime famiglie che ci vivono e bambini che vanno a scuola e all'asilo in quelle strutture che si troveranno a 200 mt dall'inceneritore!
Situazioni come la nostra la stanno vivendo e l'hanno vissuta in molti in Italia.
Valorizzare i nostri prodotti agricoli, i nostri Vini, vuol dire valorizzare la nostra campagna, i nostri panorami. Ma c'è chi non capisce e non vede chiudersi "il cerchio". Profeti in patria qui non se ne trovano.
Certo chi ha scelto i Castelli Romani come luogo preposto alla costruzione del più grande inceneritore d'Europa, non deve essere qualcuno che ha grande conoscenza e stima delle nostre DOC.
Forse è per lo stesso motivo che anni fa un'inceneritore era stato proposto a Montalcino e più di "qualcuno" si è mosso per evitarlo...
Ma post dopo post, lettera dopo lettera, incontro dopo incontro, riunione dopo riunione...tante belle parole e pochi FATTI.
L'unico FATTO è che a 500 mt in linea d'aria dalle nostre vigne, in un luogo da anni preposto alla salvaguardia della Natura e dell'Ambiente, oltre che alla valorizzazione dei nostri prodotti, sarà (?) costruito l'inceneritore.
Tutti dispiaciuti, tante pacche sulle spalle, nessun sostegno concreto, nè dalla gente. nè dagli amici, nè dalle istituzioni.
Soli si nasce e soli si muore?
"Paolo e Francesca tra i dannati, Dante non può fare a meno di provare un senso di profonda ed umana pietà e di compiangerne la sorte. "
E tu? Ho bisogno della tua voce e del tuo sostegno. Qui sul blog e oltre.
Il grande Verdicchio di Garofoli
Tra Go Wine e l’Amarone ha vinto….il caldo
• Michele Castellani – Amarone Classico “I Castei” 2003: iniziamo veramente male, il caldo esalta molto la nota calda e alcolica del vino che risulta troppo squilibrato. Peccato che l’annata non dia una mano;
• Corte S. Benedetto – Amarone Classico 2003: azienda molto giovane ma che parte subito col piede giusto. Il loro Amarone, nonostante fosse del 2003, non presenta i problemi del precedente vino. Ciliegia matura, ribes e un bel floreale sono le caratteristiche olfattive di questo vino che in bocca incanta per equilibrio ed eleganza. Nota di merito;
• Cesari – Amarone “Bosan” 2001: l’unico produttore ad aver “osato” portare un’annata non troppo recente. Vino di bell’impatto che seduce con le sue delicate note di sottobosco, spezie e cacao. Bocca calda, vellutata ed elegante dove morbidezza, acidità e tannini nobili tengono il vino in grande equilibrio;
• Manara - Amarone Classico 2005: naso scuro, selvatico, humus e frutta di rovo. Bocca interessante, poco aggressiva nonostante la giovane età. Buona la persistenza aromatica;
• Nicolis - Amarone Classico 2004: l’alcol presente forse in eccesso veicolava note si frutta rossa sotto spirito e qualche nota di viola appassita. Bocca caratterizzata da un tannino ancora troppo aggressivo. Ancora scomposto ha bisogno di molto affinamento in bottiglia;
• Santa Sofia - Amarone Classico 2004: quadro aromatico contraddistinto da frutta rossa matura, note ematiche e un tocco di balsamicità. Potente e molto fruttato in bocca, mostra buona tensione. Bella persistenza;
• Tenuta S. Antonio – Amarone “Campo dei Gigli” 2003: nota alcolica in evidenza, poi esce la frutta sottospirito e interessanti effluvi di erbe medicinali e rabarbaro. Bocca calda, tanta polpa ma, purtroppo, anche tanto alcol che disturba la deglutizione;
• Tinazzi - Amarone Classico 2005: Naso marcato da confettura di more, ciliegia matura, ribes e mora di rovo. Col tempo esce anche la grafite e un leggero speziato. Bocca giovane, non ancora equilibrata anche se l’allungo finale fa sperare in un vino dalle grandi prospettive;
• Accordini Gino – Amarone Classico “Le Bessole” 2004: naso molto profondo, aristocratico, giocato su aromi di frutta matura, spezie, cuoio e humus. Bocca molto coerente al naso, esaltante per integrità, è un vino che non ci stanchiamo di bere. Nota di merito;
• Zenato – Amarone Classico 2004: chiudo le degustazione con un bel vino, spezie, frutta di rovo e frutta secca sono i principali descrittori olfattivi. Alla gustativa è equilibrato, di sostanza e di bella persistenza.
Complessivamente buono ma non il migliore della batteria. Gli preferisco Accordini e Corte S. Benedetto, a Zenato la medaglia di bronzo insieme a Cesari.
Tra i Colli Tortonesi alla ricerca del Timorasso
Ma perché mi sono spinto fin lassù? Perchè dietro questo vitigno c’è tutta una storia, una storia che riguarda i vignaioli di quelle valli, il loro lavoro, la loro cultura e, soprattutto, le loro speranze.
Il Timorasso è un vitigno autoctono del comprensorio tortonese. In tale area è coltivato dal Medioevo e se ne hanno notizie già dalla prima enciclopedia agraria redatta nel XIV secolo dal bolognese Pier de Crescenzi. L’ampelografia descritta dallo stesso autore non lascia praticamente dubbi sull’originalità del vitigno. La sua diffusione ha riguardato soprattutto la parte medio alta delle principali valli tortonesi; da est verso ovest la Val Curone, la Val Grue e la valle Ossona. Contemporaneamente se ne allarga la coltivazione anche in Val Borbera, nel Novese e in Oltrepò pavese. Nel corso dei secoli conferma le proprie attitudini tanto da divenire il più importante vitigno bianco piemontese relativamente alla superficie e alle quantità prodotte. Esistono infatti, a riprova di ciò, presso l’archivio di stato a Torino, i documenti che, nel periodo compreso fra le due guerre, testimoniano gli acquisti di prodotto giovane e semilavorato che i sensali promuovevano verso l’Europa del nord e che chiamavano “torbolino”.
Il successivo dramma della fillossera e la malattia dei bachi da seta rivoluzionano tutto, si annienta in poco tempo l’economia contadina tortonese che, in quel periodo, era basata sul mercato tessile (i gelsi venivano venduti ai francesi) e sulla viticoltura (il vino è un prodotto pregiato da vendere ai négociant milanesi e pavesi). Risultato: annientamento dell’economia contadina che spinge all’abbandono delle campagne e all’emigrazione. Il timorasso, allora diffusissimo, è la prima vittima di questa rivoluzione forzata. Quando, dopo qualche decennio, si riprende la coltivazione dell’uva su piede americano, si preferiscono viti più produttive: barbera, croatina e cortese. Il timorasso sopravvive come presenza endemica in pochi filari o piante sparse, soprattutto nella zona del Tortonese orientale. E così rimane a lungo fino a quando qualcuno, dotato di intraprendenza, caparbietà e passione per la propria terra, non decide di riproporlo in grande stile. Quel qualcuno è Walter Massa, l’indiscusso autore della rinascita del timorasso.
Il primo raccolto di timorasso vinificato in purezza, risale alla vendemmia del 1987 e, da allora, l’esperienza nella lavorazione di questa varietà autoctona ha portato a capire, con il raccolto del 1995, che il vino ottenuto con il timorasso si esprime al meglio SOLO alcuni anni dopo la vinificazione che, secondo lo stesso vignaiolo, deve avvenire in acciaio e seguita da una lunga (di solito 12 mesi) permanenza sulle fecce nobili che in tale ambito cedono preziose componenti aromatiche e hanno una funzione antiossidante che predispone a invecchiamenti medio-lunghi.
Tornando ad “Assaggia Tortona” con Paolo ci siamo girati un po’ di banchetti e l’idea che mi son fatto è che tanti produttori di Timorasso ci stanno provando ma pochi riescono davvero a cogliere l’essenza di questo vitigno. Tra i vari vignaioli presenti vorrei segnalare:
I turisti del vino secondo Donatella Cinelli Colombini
Tutta la Franciacorta di Ricci Curbastro
Iniziamo la verticale con il Franciacorta Satén Brut 2002, fresco, delicato, che al naso si caratterizza per eleganti sentori di agrumi canditi, frutta tropicale, pera, mela e una grande mineralità che contribuisce a fornire profondità al quadro aromatico globale. Bocca che, nonostante gli anni, è ancora dotata di grande acidità e sapidità. Chiude lungo e piacevole su una bella scia minerale. Fermenta in legno per otto mesi prima del tiraggio in bottiglia.
Il Franciacorta Satén Brut 2003, figlio di un’annata calda, riprende tutti i caratteri del millesimo ed in bocca è più rotondo del precedente, la frutta è ancora più candita e più “cotta”, ritorna il minerale, troviamo una interessante nota fumè seguita da sensazioni di mandorla amara. Alla gustativa ritroviamo le stesse sensazioni olfattive anche se, rispetto l’annata precedente, la freschezza tende un minimo ad essere sovrastata dalla sensazione pseudo calorica portata dall’annata. Ottimo se abbinato a piatti con tendenza acida che, in questo caso, viene bilanciata dalla morbidezza del vino.
Con il Franciacorta Satén Brut 2004 il naso presenta una intensa dolcezza sfaccettata con note floreali ancora vive di biancospino, muschio, sambuco, agrumi, erbe aromatiche e la “classica”nota minerale di sottofondo. Bocca dove tornano tutte le componenti olfattive. Buon equilibrio tra acidità e morbidezza e grande persistenza.
Il Franciacorta Satén Brut 2005 è ancora un bimbo in fasce, non troviamo più le note dorate del colore, i riflessi tendono ancora al verdolino così come poco maturo ci appare il quadro aromatico dove troviamo l’erba limoncella, la pesca bianca, la mela golden, il mandarino, mentre una lieve nota burrosa tradisce un legno non ancora totalmente assorbito dal vino. Al palato il Franciacorta è gradevolmente fresco, intenso, morbido con una suadente scia sapida a chiudere la deglutizione. Di grande avvenire.
Passiamo ora al Franciacorta Extra Brut (50% Chardonnay e 50% Pinot Nero), un vino per palati raffinati, un vino da prendere o lasciare che fa 48 mesi sui lieviti ed un vino che Ricci Curbastro fa uscire sempre millesimato. In tal caso, a differenza degli Champagne, le uve sono provenienti sempre tutte dalla stessa annata a prescindere dalla sua “grandezza”.
Il primo Franciacorta Extra Brut presentato è del 2000. Di uno splendido colore oro rosso al naso si apre con una iniziale note salina che poi viene seguita da sapori di cotogna, miele, ciliegia (durone di vignola), agrumi canditi, susina, pera, pan grillè, nocciola e un intenso soffio minerale. Che naso fantastico! Bocca più minerale che fresca che chiude con un leggero amaricante finale che ci invita a berne un altro sorso. Peccato sia finito anche in azienda.
L’annata 2002 porta al naso un ventata di freschezza con i suoi intensi effluvi di pompelmo, camomilla, acacia, susina, nocciola e una lieve nota di pasticceria da forno. Gran millesimo questo 2002 anche in bocca dove il Franciacorta è ricco, intenso, minerale lasciando una bocca fresca delicatamente agrumata. E poi dicono che i vini di quest’anno son da buttare….
Il 2003 si conferma come il Brut, intenso al naso dove lime, pompelmo, mandarino, pesca matura e frutta tropicale candita dipingono un quadro aromatico mediterraneo. Bocca importante e voluminosa, l'aspetto fruttato dolce e maturo, causa annata calda, non è accompagnato da un'acidità fervida che potrebbe bilanciare a dovere il palato. Sicuramente un vino più di potenza che di finezza.
Il 2004, ancora una volta, lascia intravedere la sua bella gioventù con sensazioni agrumate, di pan grillè e mela golden. In bocca è molto fresco, frutto sottile accarezzato da un'acidità molto ben bilanciata. Bella la persistenza. Chiude su note di crosta di pane e frutta. Attendiamo una maggiore complessità dal vino. Chiusura della degustazione con due interessanti Franciacorta: il Brut Rosè e il “Gualberto” Pas Dosè 2003. Il primo, di uno splendido colore corallo, al naso è molto immediato aprendosi su note intense e pulite di lampone, ciliegia, ribes, rosa, caramella all’amarena ed erbe di campo. In bocca una garbata astringenza e una delicata effervescenza lo rende di grande beva ed abbinabile anche ad una bella tagliata al rosmarino.
Il “Gualberto” Pas Dosè 2003 presenta un uvaggio insolito (Pinot Nero 70% e Chardonnay 30%) per un Franciacorta e matura in bottiglia almeno 60 mesi. Vino di grande morbidezza nonostante l’assenza di zuccheri, si caratterizza per una fusione di aromi agrumati, minerali e floreali. La bocca è rotonda e asciutta, tornano le note olfattive ben amalgamate con l'acidità che rinfresca un corpo importante ma non ingombrante. Buona persistenza.
E oggi parliamo di birra artigianale.....e vino.....
La BB10 è una birra dal colore scuro e presenta un naso estremamente ricco e complesso, frutto di quella fusione tra malto e mosto di Cannonau che conferiscono un bouquet aromatico caratterizzato da prugna matura, mirtillo, confettura di ciliegia, caramello, cioccolato fondente, chiodi di garofano, uva passa. Sembra davvero il quadro olfattivo di un grande vino, un grande Cannonau.
Alla gustativa la BB10 esprime ancora di più i caratteri del vitigno, la birra presenta una certa tannicità che asciuga dolcemente il palato lasciando comunque la bocca in grande equilibrio. Bella ed intensa la persistenza su ricordi di cioccolato amaro e frutta rossa matura. Per molti una birra da meditazione, per me una bella Chianina in abbinamento non ci starebbe male per niente. Per il resto che dire, una birra che a me, ma anche al resto della platea presente alla degustazione, è piaciuta molto, soprattutto perché nel bicchiere si fondono alla grande i caratteri della grande birra artigiana italiana e le peculiarità e la territorialità del vino utilizzato. Ben vengano questi esperimenti soprattutto da una Regione, la Sardegna, da troppe persone sottovalutata sia a livello enologico che a livello birrario. Ah, la BB10 viene venduta in serie limitata per cui prenotatela in tempo!
Il Wine Tasting Experience della Collezione Faber-Castell
I vini in degustazione era:
- Casteller Hohnar Silvaner Kabinett Trocken 2007: colore giallo paglierino con evidenti riflessi verdolini, il naso, causa temperatura di servizio troppo bassa, parte un pò muto anche se dopo qualche minuto si apre evidenziando delicati aromi di frutta gialla matura, glicine, gelsomino. Bocca di bella acidità, minerale, cremosa, anche se dopo la deglutizione il vino chiude con un leggero amarognolo che rovina un pò l'armonia complessiva della bevuta;
- Casteller Bausch Muller-Thurgau Kabinett Trocken 2007: paglierino con riflessi dorati, il vino non fa impazzire per complessità olfattiva, qualche tocco di frutta matura e fiori bianchi chiudono il quadro aromatico. Gustativa che si conferma simile al Silvaner. Voto complessivo: MAH!;
- Honart Riesling Trocken 2007 - Edition Graf Ferdinand: paglierino intenso, la "punta di diamante" della produzione vitivinicola della Faber-Castell, forse per la premesse che mi son state fatte dal sommelier, mi delude ampiamente: il Riesling è decente, di facile beva sicuramente, ma è privo di ogni complessità e anche la persistenza lascia molto a desiderare. Sarò abituato male con i Riesling della Mosella? Beh anche là non è tutto oro quello che luccica però difficilmente mi è capitato di bere un Riesling così modesto, privo di anima.
Marramiero: verticale mistica di Inferi
“Guarda il calor del sol che si fa vino giunto all’umor che della vite cola”.
L’azienda, in provincia di Pescara, posta tra il mare abruzzese davanti e il Gran Sasso e la Maiella dietro, su un cocuzzolo a 270 m di altezza e su terreni prevalentemente argillosi, possiede un totale di 30 ha in cui troviamo Montepulciano d’Abruzzo, Trebbiano d’Abruzzo, Pecorino e altri vitigni per un totale di quasi 500.000 bottiglie. Il direttore commerciale è Antonio Chiavaroli, che milita lì da 25 anni, e l’enologo Romeo Taraborrelli.
Il vino di punta dell’azienda è il “Dante Marramiero”, un Montepulciano da uve selezionate e da vigne di 40 anni di età. Viene prodotto solo in annate particolarmente favorevoli e, in particolare, sono uscite sul mercato la 1998, ’99 e la 2001. Il vino esce dopo una maturazione in tini e in acciaio di 24 mesi, un invecchiamento in piccolo legno nuovo di 24 mesi e in bottiglia di 18 mesi.
L’oggetto del nostro interesse, però, è l’ ”Inferi”, Montepulciano d’Abruzzo DOC, che abbiamo avuto occasione di assaggiare in una verticale delle annate dispari dal 1993 fino al 2003 organizzata dall’AIS di Roma.
Anche qui Montepulciano quindi, in una delle sue vesti migliori come solo produttori di gran classe di queste zone (oltre a Marramiero citiamo, per limitarci ai famosi, Valentini e Masciarelli) ci hanno abituato.
Il vigneto da cui proviene il vino è stato piantato negli anni ’70 a pergola abruzzese e con circa 1600 ceppi/ha (sesto d’impianto di 2,5 m x 2,5 m) per una resa complessiva di 60-80 q/ha. La pergola riduce l’irraggiamento solare sui grappoli favorendo lo sviluppo dei polifenoli e degli aromi ed è rimasta come forma di allevamento solo nei vigneti storici, per essere surclassata nelle vigne più recenti dalle classiche forme a spalliera, come guyot e cordone speronato, che presentano, rispetto al tendone, una minore dipendenza da annate cattive.
Le piante, ormai in piena maturità, godono di un impianto radicale profondo che permette loro di superare i periodi più siccitosi e di estrarre dal terreno tutto il meglio delle sostanze minerali. Ed è proprio questo uno dei marcatori più caratteristici di questo vino: una sapidità in bocca veramente eccezionale, quasi rugginosa ed ematica in certe annate, abbinata ad una freschezza propria del vitigno.
La maturazione delle uve è tardiva e viene effettuata intorno alla metà di ottobre.
La fermentazione, in acciaio, avviene in circa 10-12 giorni con il metodo Ganimede ad una temperatura di 24-28 °C. Durante il processo di fermentazione, si sviluppano grandi quantità di anidride carbonica: dai 40 ai 50 litri di gas per ogni litro di mosto. Il fermentatore Ganimede consente di raccogliere il gas, concentrarlo e riutilizzarlo per poter rompere il cappello delle vinacce ed effettuare il rimescolamento in modo uniforme e naturale, senza dover utilizzare pompe o energia elettrica e con una migliore cessione di aromi e colore. Dopo, il mosto viene lasciato a macerare con le bucce cui segue la pressatura soffice e la sosta in acciaio per quasi un anno, e quindi la maturazione in barriques di primo passaggio e di 5 legni diversi (4 francesi e 1 di Slavonia) di varia capienza per 12 mesi. Il passaggio degli antociani dalle bucce al mosto è praticamente completo, come testimonia il colore delle vinacce esauste sostanzialmente chiaro. Completa una sosta in bottiglia per circa 6 mesi. La malolattica viene effettuata in acciaio. Il risultato sono circa 3500 bottiglie che escono, franco cantina, a circa 10 euro (prezzo per distributori e ristoratori).
Il colore è rosso rubino abbastanza trasparente ma con bella carica antocianica e unghia granata. La gradazione alcolica è sui 14%.
Passiamo ora alle annate in degustazione:
1993 colore granato abbastanza trasparente e leggera unghia aranciata. Naso molto interessante di spezie dolci, prugna, rabarbaro, china, etereo, con accenni di caffè e cioccolato ed una leggera foglia bagnata. In bocca si notano subito freschezza e notevolissima sapidità. I tannini sono morbidi ed eleganti. Nel retrobocca è ematico, con ritorni di prugna e fiori secchi. Lunghissimo.
1995 Al naso si presenta diverso rispetto al 1993, con note di salamoia d’olive evidenti, scorzetta d’arancio in rabarbaro, prugna e leggero fumé. Lasciato nel bicchiere ha una permanenza maggiore delle altre annate in degustazione. In bocca fresco, estremamente sapido con note di fico secco. Tannino leggermente più avvertibile dell’annata precedente, ma sempre con trama molto fitta. Lunghissimo.
1997 Ancora naso diverso, più simile alla ’93, con netta prevalenza di note minerali e quasi di cenere. Un leggero goudron e ancora rabarbaro, prugna e erbe aromatiche. Compare anche un leggero balsamico. In bocca è saporito, fresco, bel tannino. Scalpitante. Lunghissimo.
1999 Ancora una leggera salamoia, Stavolta, però, compaiono le note vinose. Ciliegia, erbe aromatiche e spezie dolci, chiodi di garofano in primis. In bocca fresco e sapido con retrogusto di liquirizia. Tannino di qualità. L’annata è stata più fresca e piovosa rispetto al 1997, che ha causato un ritardo nella vendemmia alla seconda metà di ottobre
2001 rubino più concentrato rispetto alle annate precedenti con buona carica antocianica. Naso simile al ’99, con fruttato di ciliegia nera, spezie, rabarbaro e erbe aromatiche (ginepro e mirto). Ancora mineralità e balsamicità. In bocca fresco e sapido con retrogusto di liquirizia. Tannino ancora un pò irruento ma ben fatto. Molto persistente.
2003 Colore rubino. Profumi di macchia mediterranea, spezie dolci, viola. Discreta balsamicità. In bocca fresco e sapido ma meno complesso degli altri. Un pò corto. Tannino ancora indomito ma di buona qualità.
“Vi invito a non tradire mai il Lavoro, ma, da qualunque parte esso venga, a desiderarlo ed amarlo, perché in esso si trova, e se si perde si ritrova, Fiducia, Serenità e Benessere” (Dante Marramiero)