InvecchiatIGP: la magia del Chianti Rufina "Vigna Bucerchiale" Riserva 1981 di Selvapiana


di Stefano Tesi

Ci ho messo una settimana buona a ricostruire la tempistica di quei giorni remoti che, pur tali, erano assai più recenti di quelli in cui il vino di cui sto per parlarvi nacque.
Devo fare però una premessa. Quando ero giovane ho avuto la sfacciata e immeritata fortuna di ricevere la stima di alcuni grandi vecchi del vino toscano, che mi hanno onorato del loro rispetto e della loro amicizia, aprendomi le porte non solo delle loro cantine, ma pure delle loro case e della loro conversazione. Uno di questi fu Francesco Giuntini di Selvapiana, personaggio inimitabile. Correva il 1991 e io ero un giornalista tanto intraprendente quanto inesperto. Gli resi molte visite e furono tutte memorabili tra assaggi, chiacchiere e motteggi. Sono passati trent’anni da allora eppure il vino che Federico Giuntini, il figlio di Francesco, mi ha fatto assaggiare qualche mese fa, quando incontrai suo padre stava già lì in cantina a riposare da un decennio: Chianti Rufina "Vigna Bucerchiale" Riserva 1981.


Il gioco rotondo dei numeri è affascinante e, lo ammetto, il loro rincorrersi mi intriga sempre: 1981, 1991, 2021. Ebbene sì, tra lo stupore intriso di attesa di pochi fortunati a giugno scorso ho potuto non solo riassaggiare quel vino, ma ascoltare il racconto della vendemmia e delle tecniche dell’epoca, desunto dalle annotazioni: si vendemmiò oltre il primo novembre, dopo il blocco vegetativo di agosto dovuto al gran caldo. I grappoli, “12, 15 per pianta”, avevano la buccia sottilissima e molti marcivano. Era una “viticoltura rustica” e il vino veniva fatto in grandi botti di castagno.


Ed eccola nel bicchiere, la Riserva 1981.

Il colore è miracolosamente integro, da non credere. Al naso l’impatto esile si evolve lentamente, con l’aria, nel respiro di un lucidissimo vegliardo, sprigionando una solidità e una compattezza in cui le note terziarie si susseguono a ondate tra ritorni balsamici, cuoio grasso, foglie smosse di sottobosco. Da qualche parte spunta un refolo di cassetto di vecchia farmacia. E’ profondo e suadente, vivo. Anche in bocca non ha cedimenti: compatto ma setoso, morbido ma bello dritto, lunghissimo, elegante, con bagliori di freschezza e un richiamo irresistibile alla ribevuta. Un vino solenne e gentile, come era il suo produttore.


Poi, sorso dopo sorso, i sensi e le immagini si sovrappongono ai ricordi e la degustazione assume altri toni, in bilico tra compiacimento e nostalgia.

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