Tre Bicchieri 2014 Sardegna

In Sardegna l'eccellenza non è raccontata tanto da i numeri dei premiati, pressoché invariati negli ultimi anni, ma dell'evoluzione che tutta la viticoltura della regione. Nuove aziende entrate in guida, soprattutto di piccole dimensioni e caratterizzate da un meticoloso lavoro artigianale che dona vini di carattere. Il 2012 non è stata una grande annata, soprattutto per i grandi bianchi, uno tra tutti il Vermentino di Gallura. La temperatura ha inciso. Non altrettanto per i rossi, come il Cannonau: succosi ed equilibrati, di ottima bevibilità e dal sapore autentico. Le Riserva di Cannonau puntano alla finezza, evitando surmaturazioni ed eccessi d’alcol, supportati da un nerbo acido importante. 5 i Cannonau di Sardegna premiati con due new entry. Conferme dall’area sulcitana del Carignano e dalle tre cantine storiche e dell'area.


Alghero Rosso Marchese di Villamarina ’08 Tenute Sella & Mosca
Barrua ’10 Agricola Punica
Cannonau di Sardegna Dule Ris.’10 Giuseppe Gabbas
Cannonau di Sardegna Mamuthone ’11 Giuseppe Sedilesu
Cannonau di Sardegna Ris. ’11 Pala
Cannonau di Sardegna Sileno Ris. ’10 Ferruccio Deiana
Cannonau di Sardegna Vinìola Ris. ’10 Cantina Dorgali
Capichera ’11 Capichera
Carignano del Sulcis Is  Arenas Ris. ’09 Sardus Pater
Carignano del Sulcis Sup. Terre Brune ’09 Cantina di Santadi
Semidano di Mogoro Sup. Puistèris ’10 Cantina di Mogoro - Il Nuraghe
Turriga ’09 Argiolas
Vermentino di Gallura Sup. Sciala '12 Surrau

Slow Wine 2014 e la Liguria

Qualche minima consapevolezza, alla quarta edizione di Slow Wine, pare di averla acquisita. Una di queste riguarda la Liguria e i suoi vini. A ogni rinnovato incontro con la viticoltura regionale ci pare che si stiano delineando le tracce di un terroir magnifico per qualità dei vini espressi e palcoscenico naturale dove la vite recita un ruolo da protagonista.
Prendiamo per esempio gli estremi di Levante e Ponente: Cinque Terre e Rossese di Dolceacqua. Entrambe queste denominazioni condividono la bellezza struggente del paesaggio unito a una viticoltura sempre più sicura del proprio valore. Quest’anno gli assaggi dei Cinque Terre bianchi hanno profuso emozioni e il Rossese di Dolceacqua, nonostante un’annata non facile come la 2011, si conferma come denominazione in crescita con alcune punte di eccellenza. Vini splendidi, di personalità spiccata e ben riconducibili alla tradizione del loro luogo di origine. A questo, si deve aggiungere le produzioni sempre più coinvolgenti soprattutto da uve pigato e vermentino che interessano, più o meno, tutta la viticoltura regionale.
Tale conformazione enologica consegna agli appassionati una regione in più da scoprire e approfondire, Guida Slow Wine alla mano.  Un territorio in fermento, dunque, il cui unico ma significativo limite è la conformazione geografica. Difficile estendere il vigneto su una superficie, il più delle volte, verticale. Questo ragionamento viene validato dai numeri con 1.477 ettari vitati e 1.700 aziende vinicole. Una frammentazione che se da un lato alimenta il poliedrico panorama produttivo dall’altro limita la visibilità commerciale delle aziende più interessanti. Ecco le nostre segnalazioni:

VINO SLOW
Colli di Luni Vermentino Costa Marina 2012 – Ottaviano Lambruschi
Cinque Terre Sciacchetrà 2009 – Luciano Capellini
Riviera Ligure di Ponente Arcana Bianco 2010 – Terre Bianche
Riviera Ligure di Ponente Vermentino 2012 – Maria Donata Bianchi
Riviera Ligure di Ponente Pigato Sogno 2011 – VisAmoris
Rossese di Dolceacqua Brae 2012 – Maccario Dringenberg

GRANDE VINO
Cinque Terre 2012 - Possa
Cinque Terre 2011 – Campogrande

VINO QUOTIDIANO
Colli di Luni Vermentino 2012 – Il Monticello
Colli di Luni Vermentino Pianacce 2012 – Giacomelli
Riviera Ligure di Ponente Pigato 2012 – Luigi Bianchi Carenzo

Il Brunello di Montalcino e il Nobile di Montepulciano secondo Slow Wine 2014

Insieme al Chianti Classico, le denominazioni Brunello di Montalcino e Nobile di Montepulciano rappresentano le più prestigiose aree vitate toscane, forti di una solida e profonda tradizione storica. Il fascino della produzione enologica di questi territori aumenta a dismisura solo percorrendo le strade circondate da vigneti che conducono verso i centri abitati, architetture antiche di straordinario valore culturale e autenticità.
Prima di delineare il nostro resoconto annuale di queste denominazioni è doveroso ricordare Franco Biondi Santi, scomparso all’età di 91 anni nei giorni dell’ultimo Vinitaly. La sua immensa figura ha contribuito in modo decisivo alla fama mondiale del Brunello di Montalcino, attraverso coerenza e orgoglioso rispetto della tradizione.
Proprio il Brunello di Montalcino conferma anche quest’anno il ruolo di protagonista enologico della regione. Lo fa con una prova corale di assoluta qualità soprattutto se consideriamo che le annate 2008 e 2007 sono state vendemmie tutt’altro che facili.  Per la prima, infatti, certe asperità tanniche già evidenziate nel corso di Benvenuto Brunello potevano incidere non poco sulla piacevolezza complessiva dell’assaggio: almeno per i vini segnalati dalla nostra Guida, così non è stato. In debito di complessità ma davvero godibili le Riserve 2007. Un’annata rotonda, ampia e ricca di calore che può far innamorare gli amanti del sangiovese più opulento e ricco di materia. Tra le nostre selezioni spiccano il Rosso di Montalcino 2011 di Mastrojanni, straordinario esempio di classe e piacevolezza, così come il Rosso di Montalcino 2010 del Passo del Lume Spento, Vino Quotidiano godibile e articolato. Tra le annate 2008 di Brunello di Montalcino vale la pena assaggiare Pietroso, campione di equilibrio tra tradizione e modernità. E la prima volta, almeno per noi, del bravo Marino Colleoni, autore di un Brunello 2008, leggiadro e pieno di sapore. Acuto splendido anche del Podere San Lorenzo con una splendida Riserva 2007.
Non ci aspettavamo un Nobile di Montepulciano così in grande spolvero. Gli altri anni avevamo denunciato una certa carenza di personalità nelle prove della denominazione. A questo giro dobbiamo ricrederci. Entusiasmante l’assaggio delle annate 2010 e 2009 con vini vibranti, sanguigni e, almeno nelle nostre scelte, ricchi di carattere. Da segnalare l’esordio in Guida con il botto dell’azienda Podere il Macchione che si aggiudica il Grande Vino con un sontuoso Nobile 2009. Accanto poniamo un classico: il Nocio 2009 di Boscarelli. Invitiamo i lettori ad approfondire la lettura della nostra Guida anche per quel che riguarda il Rosso di Montepulciano. La nostra scelta verte sul Rosso di Montepulciano 2011 della Tenuta Valdipiatta ma questa tipologia merita grande attenzione visto che, in generale, conta su un ottimo rapporto qualità-prezzo.
Vediamo nel dettaglio le nostre segnalazioni

VINO SLOW
Brunello di Montalcino 2008- Podere Sante Marie Colleoni
Brunello di Montalcino 2008- Baricci
Brunello di Montalcino 2008- Camigliano
Brunello di Montalcino 2008- Piancornello
Brunello di Montalcino Ris. 2007- Le Chiuse
Brunello di Montalcino Ris. 2007- Il Paradiso di Manfredi
Brunello di Montalcino Ris. 2007- Fattoi
Brunello di Montalcino Ris. 2007- La Fornacina
Brunello di Montalcino Ris. 2007- Pian delle Querci
Brunello di Montalcino Ris. 2007- Terre Nere
Brunello di Montalcino Vigna Soccorso Ris. 2007- Tiezzi
Nobile di Montepulciano 2010- Casale Daviddi
Nobile di Montepulciano Ris. 2009- Contucci
Nobile di Montepulciano Ris. 2009- Poderi Sanguineto I e II
Rosso di Montalcino 2011- Mastrojanni

GRANDE VINO
Brunello di Montalcino 2008- Pietroso
Brunello di Montalcino Ris. 2007- Costanti
Brunello di Montalcino Ris. 2007-Poggio di Sotto
Brunello di Montalcino Bramante Ris. 2007- Podere San Lorenzo
Brunello di Montalcino Ris. 2007- Biondi Santi Tenuta Il Greppo
Brunello di Montalcino Phenomena Ris. 2007- Sesti Castello di Argiano
Brunello di Montalcino Poggio al Vento Ris. 2006- Col d’Orcia
Brunello di Montalcino Ris. 2006- Tenuta Le Potazzine Gorelli
Nobile di Montepulciano Il Nocio 2009- Boscarelli
Nobile di Montepulciano 2009- Podere Il Macchione

VINO QUOTIDIANO
Rosso di Montalcino 2010Passo del Lume Spento
Rosso di Montepulciano 2011- Tenuta Valdipiatta

Basilisco: viaggio nell'Aglianico del Vulture - seconda parte

Sembra passato tanto tempo quando, circa 10 anni fa, comprai al supermercato (!!) una bottiglia di Aglianico del Vulture "Basilisco". All'epoca ero quasi un neofita (non che ora sia esperto) e l'azienda lucana era in mano a Michele Cutolo che, nonostante una specializzazione in gastroenterologia, aveva voluto continuare a produrre l'impresa di famiglia fondata da suo padre Donato nei primi anni '90.


Michele Cutolo. Foto: Pignataro Wine Blog

L'Aglianico del Vulture firmato Basilisco, grazie all'intraprendenza del produttore che migliora costantemente la qualità, comincia subito a mietere successi ma, nonostante ciò, la crisi del settore e, forse, il dover gestire faticosamente ed in contemporanea due mestieri (la professione medica non è stata mai abbandonata) hanno portato Cutolo, nel 2010, a prendere una decisione dolorosa ma inevitabile: cedere la proprietà a chi poteva garantire un futuro roseo a Basilisco. 

E chi, meglio di Feudi di San Gregoriogià presente nel Vulture da qualche anno, poteva soddisfare questi desiderata?

Il passaggio, è bene sottolinearlo, è stato assolutamente soft. Infatti, il nuovo corso ha solo pensato a rafforzare l'aspetto commerciale dell'azienda mentre tutto il resto è rimasto ben saldo e ancorato al prestigioso passato di Basilisco.

In tale ambito, pertanto, è rimasto il vecchio enologo Lorenzo Landi così come sono state mantenute, e ristrutturate, le vecchie e suggestive cantine scavate nel tufo nel quartiere Sheshe di Barile. Anche le due linee di vino, il Teodosio e il Basilisco, sono rimaste inalterate lasciando all'Aglianico del Vulture di Feudi il ruolo di attore non protagonista.

Attualmente la proprietà si estende per circa 27 ettari di cui 10 "ex Feudi di San Gregorio" (Vigne di Mezzo, Mandorlo, Ciliegio e il vigneto Storico), 10 "ex Cutolo" (Pian di Croce, Fontanelle, Prete, Romano) e 7 in affitto da almeno due anni. Tutto aglianico del Vulture, ovviamente, tranne qualche piccolo appezzamento di fiano (1.2 ha) e traminer (1.4 ha) a cui aggiungere poche viti di moscato e malvasia presenti nello Storico.
Tutte le vigne sono gestite biologicamente con rese che non superano i 50/60 q/ha e hanno altezze medie di circa 500 metri s.l.m.


Viviana e Pierpaolo durante Cantinando

Con Pierpaolo Sirch (!!!) e Viviana Malafarina, giovane e caparbia direttrice di Basilisco, abbiamo visitato il bellissimo vigneto Storico la cui età, presunta, si aggira attorno ai 60 anni. La particolarità di questa vigna, che potete vedere in basso nella foto, è il suo tradizionale allevamento "a capanno", tipico della zona lucana che, a causa degli alti costi di lavorazione, sta oggi scomparendo.




Passeggiando tra vecchie viti di aglianico, alberi da frutta (sì, ci sono anche loro) e forti pendenze è impossibile non notare la vera peculiarità del territorio del Vulture, cioè il terreno vulcanico che da queste parti riesce ad avere una trama abbastanza complessa che ben distingue le varie fasi eruttive che hanno interessato la zona milioni di anni fa.
La foto del suolo riesce a farci capire come colate di lava, cenere, lapilli e arenarie marnose, formatesi tra un'eruzione e l'altra, abbiano disegnato nel tempo un territorio dalle mille sfaccettature la cui mineralità, in maniera più o meno prepotente, troveremo inesorabilmente nel bicchiere.


Differenze di colore, dal nero cenere al marrone argilla
Il bellissimo panorama dalla vigna
Nuovi impianti 

Da un'emozione all'altra. 

Presso la famosa "via della cantine" di Barile (sì la stessa dove si è svolto poco tempo fa si è svolto Cantinando) ci aspettano la cantina di vinificazione e quella di affinamento.

La prima, appena ristrutturata, è collocata all'interno di una delle tante grotte di tufo scavate a mano dai primi profughi albanesi insediatesi a Barile attorno alla fine del 1500. Non so voi ma due file di vasche di acciaio inserite in un contesto così bello non le ho mai viste!!! La foto, purtroppo non rende giustizia.


Usciamo nel piazzale di fronte, anche questo ristrutturato recentemente, per andare a visitare la cantina di affinamento.




Pochi passi e, varcata la porta soprastante, vi troverete all'interno di uno spazio molto più grande del precedente formato da bottiglie in attesa di essere spedite e, soprattutto, da grande aglianico in affinamento sia in barrique che in bottiglie adagiate all'interno di piccole grotte di tufo lavico. 

  

Foto: Meregalli.it

Questo, invece, è lo storico dell'azienda!! Si inizia dalla 1992.




Basilisco, come detto in precedenza, continua a produrre due tipologie di Aglianico del Vulture: Basilisco e Teodosio
Il primo è il vino di punta dell'azienda e si caratterizza per la fermentazione in acciaio per 15/30 giorni ed un affinamento di 13/15 mesi in barrique di rovere francese a cui segue un anno di bottiglia.
Il Teodosio, invece, fermenta in acciaio per 15/30 giorni ed affina in barrique per circa un anno più 10/12 mesi di bottiglia. Tutto, ovviamente, dipende dall'annata.

Del Basilisco ho voluto provare l'annata 2010 che si è confermata davvero interessante per gioventù e vivacità regalando sensazioni olfattive di frutta scura, bacche mediterranee e polvere tufacea. In bocca si caratterizza per fermezza tannica, acidità composta e lunga persistenza.


Foto: Meregalli.it

Il Teodosio 2006, che ho voluto degustare tanto per capire quanto un "secondo vino" può durare, mi sbalordisce per il suo essere ancora testardamente fumè e speziato, con un corpo sostanzioso ma allo stesso tempo scattante. Vibrante, ancora, la chiusura sapida.

Foto: Cellartracker.com

Non mi rimane altro che ringraziare Viviana e Pierpaolo per l'ospitalità e la pazienza avuta per averci "sopportato" per qualche ora in una afosa serata di fine estate. Ai lettori di Percorsi di Vino, invece, rinnovo l'invito a visitare il Vulture e tutte le sue cantine. Non rimarrete delusi!

Tre Bicchieri 2014 Friuli Venezia Giulia


È una delle grandi regioni del vino e conferma anche quest'anno i grandi risultati degli anni scorsi. 24 premiati, di cui due rossi e ben 5 new entry nella schiera dei bianchi, mentre i grandi nomi si confermano ancora una volta tali, e i produttori simbolo non deludono neanche quest'anno. È il ritratto di una regione che vanta un panorama vitivinicolo ricchissimo soprattutto sul versante dei bianchi, con la Malvasia che conquista diversi riconoscimenti in altrettante interpretazioni, e con in primo piano le straordinarie espressioni dei vini naturali, tra i nomi storici della categoria, e tra i più autentici e convincenti di quest'anno.


Braide Alte ’11 Livon
Breg Anfora ’06 Gravner
COF Bianco Eclisse ’12 La Roncaia
COF Friulano ’11 Davino Meroi
COF Friulano V. delle Robinie ’11 Ronc Soreli
COF Merlot V. Cinquant'Anni ’09 Le Vigne di Zamò
COF Pinot Bianco Zuc di Volpe ’12 Volpe Pasini
COF Pinot Grigio ’12 Torre Rosazza
COF Rosazzo Bianco Terre Alte ’11 Livio Felluga
COF Rosso Sacrisassi ’11 Le Due Terre
COF Sauvignon Zuc di Volpe ’12 Volpe Pasini
Collio ’12 Ronco Blanchis
Collio Friulano ’12 Franco Toros
Collio Malvasia ’12 Doro Princic
Collio Malvasia ’12 Dario Raccaro
Collio Malvasia ’12 Ronco dei Tassi
Collio Malvasia Miklus’10Draga
Collio Sauvignon Ronco delle Mele ’12 Venica & Venica
Friuli Grave Pinot Bianco ’12 Vigneti Le Monde
Friuli Isonzo Friulano Dolée ’11 Vie di Romans
Friuli Isonzo Pinot Grigio Gris ’11  Lis Neris
Malvasia ’09 Damijan Podversic
Ograde Non Filtrato ’11 Skerk
Vintage Tunina ’11 Jermann

Slow Wine 2014 Trentino

Il Trentino è un territorio controverso. In 30 anni il panorama viticolo ha subito profondi cambiamenti e le varietà autoctone che negli anni Ottanta rappresentavano il 60 per cento della produzione ora sono ridotte al 20. Basti pensare alla diminuzione drastica della schiava, che nel 1980 costituiva il 34 per cento della superficie totale, confermandosi la varietà più coltivata del Trentino, mentre ora è relegato a un misero 4. Quasi scomparso il lambrusco a foglia frastagliata, passato dal 12.6 per cento a un irrisorio 0.5, ovvero 53 ettari!
Questo il risultato del processo di internazionalizzazione delle varietà coltivate, processo voluto fortemente dalle cantine cooperative, che hanno puntato su vini più standardizzati, in grado di rispondere al gusto globalizzato del mercato. Agli autoctoni sono subentrati lo chardonnay, che vanta ora una superficie di 2.865 ettari, e il pinot nero, con 245 ettari per produrre il Trentodoc; e che dire del pinot grigio, passato dall’1.6 per cento di superficie al 23, per un totale di 2.351 ettari?
Questi numeri e i vini in circolazione hanno portato molti ad affermare che in Trentino manchi un’identità. Noi pensiamo invece che in questa confusione produttiva vi siano vini (e produttori) in assoluta controtendenza, che nonostante l’internazionalizzazione ci siano ancora zone vocate che sanno produrre bottiglie di grande territorialità, e che vitigni come il bistrattato nosiola meritino di essere valorizzati e riconsiderati.
Detto questo, alcune osservazioni generali a fronte delle degustazioni effettuate: tra i rossi abbiamo trovato poco entusiasmanti i Teroldego 2011, caratterizzati da frutto stanco e tannini non perfettamente maturi. Decisamente più interessanti Lagrein, Marzemino e Schiava. Non particolarmente in forma i Trentodoc. Grande prova invece per i Nosiola, assieme a Incrocio Manzoni e Müller Thurgau.
Quella del 2012 non è stata certo un’annata memorabile. Al caldo inusuale che ha caratterizzato il mese di marzo è seguito un aprile freddo e piovoso, con alcune gelate che hanno compromesso la fioritura. A seguire, un’estate che ricorderemo per le scarse piogge e le continue ondate di caldo, battezzate con i nomi più improbabili: da Hannibal a Caronte, passando per Lucifero, Caligola e soci. Le precipitazioni sono arrivate nel mese di settembre, determinando forti escursioni termiche. Tutto questo si è tradotto, in generale, in una minore produzione di uva e in una difficoltà del grappolo nel raggiungere una maturazione perfetta. Nei vigneti collinari fortunatamente tali problematiche sono state meno incisive. Nonostante tutto, i vini nel complesso si sono dimostrati soddisfacenti.

VINI SLOW
Esegesi 2009 – Eugenio Rosi
L’Ora 2010 – Pravis
Manzoni Bianco 2011 – Maso Furli
Nosiola 2011 – Castel Noarna
Nosiola 2011 – Vignaiolo Fanti
Teroldego Beatome 2007 – Redondel
Trentino Vino Santo 2000 – Gino Pedrotti

GRANDI VINI
Besler Bianck 2008 – Pojer & Sandri
Isidor 2010 – Vignaiolo Fanti
Teroldego Rotaliano 2011 – De Vescovi Ulzbach
Teroldego Rotaliano Due Vigneti 2011 – Cipriano Fedrizzi
Trento Extra Brut Riserva Lunelli 2006 – Ferrari

VINI QUOTIDIANI
Cuvée Brut Riserva – Cesarini Sforza
Schiava Nera 2011 – Gino Pedrotti
Teroldego 2010 – Rudi Vindimian
Teroldego Armìlo 2011 – Bolognani
Teroldego Rotaliano Rosato Assolto 2012 – Redondel
Trentino Marzemino 2012 – Cantina d’Isera
Trentino Müller Thurgau San Lorenz 2012 – Bellaveder
Trentino Riesling Simboli 2012 – La Vis

Lo Champagne Veuve Clicquot ha fatto il botto

No, non è come pensate, non c'è nessun riferimento al tappo che salta via dalla bottiglia. Non è quel genere di botto.

Questo è più pesante, soprattutto economicamente.

Il Daily Mail ha pubblicato una serie di immagini davvero spettacolari raffiguranti l'incidente stradale di un camion che, dopo una sbandata, ha impattato contro una collinetta di fianco la I-395 ribaltando, come conseguenza, tutto il suo enorme rimorchio.

E cosa conteneva il TIR? Avete capito, casse e casse di Champagne Veuve Clicquot!!! 

Fonte: WFSB
Fonte: http://www.theday.com
Lo Champagne andato distrutto si è stimato costasse circa 500$ a cassa, fortunatamente era quello "base" da supermercato che non vale una fortuna. Certo, se vediamo la foto sopra e contiamo le confezioni andate distrutte, alla fine il danno è stato lo stesso rilevante.

Fonte Daily Mail
Secondo il sito The Day tutto lo Champagne è stato raccolto dal Department of Consumer Protection. Ecco perchè alcuni miei amici mi avevano detto di un nuovo lavoro in Gran Bretagna.....

Ah, per chi se lo chiedesse, il guidatore non si è fatto male!

Slow Wine 2014 Alto Adige

Con 5.300 ettari vitati l’Alto Adige rappresenta l’1 per cento scarso della superficie vitata italiana, eppure è riuscito a ritagliarsi uno spazio di eccellenza grazie alla produzione di altissimo livello, costante e diversificata. Una regione vinicola completa che, pur bianchista nell’immaginario comune, gioca forte su tutte tipologie, dai bianchi leggeri ai rossi strutturati, dagli spumanti ai vini dolci, con tutte le varie sfumature in mezzo. Così non è sempre stato. La viticoltura in Alto Adige ha radici antiche, la storia, invece, conosce i suoi alti e bassi: basti pensare che ancora 30 anni fa si parlava di una produzione “di massa”, in gran parte esportata sfusa nella vicina Svizzera. L’impressionante inversione di tendenza sarà anche stata indotta da eventi sfortunati – il crollo dei mercati classici e la necessità di cercare strategie alternative – ma è soprattutto grazie alla lungimiranza e serietà di molti produttori, unite alla proverbiale capacità di fare squadra, che l’Alto Adige oggi è tra le più quotate aree vinicole a livello nazionale.

Con l’annata 2012 siamo tornati a grandi livelli almeno per quanto riguarda i bianchi che, pur non così raffinati ed espressivi come quelli del 2010, hanno maggiore freschezza e tensione rispetto alla calda vendemmia 2011. In realtà stiamo parlando di un’annata sempre piuttosto calda, con alcune piogge a fine settembre, che hanno rallentato la maturazione almeno per le varietà tardive. Sta di fatto che abbiamo trovato gradazioni tendenzialmente più basse, acidità più elevate e maggiore definizione del frutto. È ancora presto per formulare un giudizio preciso sui rossi, ma Schiava e Lagrein d’annata preannunciano eleganza e profumi.
A questo proposito ci è sorto qualche dubbio sul ruolo preciso del lagrein: sarà davvero il grande vitigno autoctono da lungo invecchiamento? Spesso ci hanno convinto di più le versioni giovani, magari leggermente selvatiche e più semplici, ma che nel bicchiere si traducono in maggiore bevibilità. Sull’altro versante siamo contenti di vedere come lo Schiava, vino quotidiano per eccellenza, per decenni pilastro portante dell’economia vinicola, poi letteralmente caduta in disgrazia, abbia ritrovato la sua fedele schiera di estimatori. Restiamo convinti che il Pinot Bianco sia il bianco più caratterizzante almeno per la val d’Adige, mentre in Valle Isarco ci siamo divertiti particolarmente assaggiando Sylvaner di ottima finezza e tensione, per non parlare dei Riesling della Val Venosta, talora addirittura entusiasmanti.

VINI SLOW
A.A. Chardonnay Löwengang 2010 – Tenutae Lageder
A.A. Müller Thurgau Feldmarschall von Fenner zu Fennberg 2011 – Tiefenbrunner
A.A. Santa Maddalena Cl. Antheos 2012 – Waldgries, Christian Plattner
A.A. Terlano Pinot Bianco Vorberg Ris. 2010 – Cantina Terlano
A.A. Terlano Sauvignon 2012 – Ignaz Niedrist
A.A. Valle Isarco Müller Thurgau Sass Rigais 2012 – Hoandlhof, Manni Nössing
A.A. Valle Isarco Riesling 2012 – Strasserhof, Hannes Baumgartner
A.A. Valle Isarco Riesling Aristos 2012 – Cantina Valle Isarco
A.A. Valle Isarco Sylvaner 2012 – Kuenhof, Peter Pliger
A.A. Valle Venosta Riesling 2012 – Unterortl Castel Juval
A.A. Valle Venosta Riesling 2012 – Falkenstein, Franz Pratzner
Cassiano 2011 – Manincor
Elda 2010 – Nusserhof, Heinrich Mayr

GRANDI VINI
A.A. Chardonnay Burgum Novum Ris. 2010 – Castelfeder
A.A. Chardonnay Rarità 2000 – Cantina Terlano
A.A. Gewürztraminer V.T. Terminum 2011 – Cantina Tramin
A.A. Merlot-Cabernet Yugum 2010 – Peter Dipoli
A.A. Pinot Nero Trattman Ris. 2010 – Cantina Girlan
A.A. Sauvignon Sanct Valentin 2012 – Cantina San Michele Appiano
A.A. Valle Isarco Sylvaner 2012 – Köfererhof, Günther Kerschbaumer
A.A. Valle Isarco Veltliner Praepositus 2011 – Abbazia di Novacella

VINI QUOTIDIANI
A.A. Pinot Bianco 2012 – Niklaserhof
A.A. Pinot Grigio 2012 – H. Lun
A.A. Santa Maddalena Cl. 2012 – Waldgries, Christian Plattner
A.A. Santa Maddalena Cl. 2012 – Glögglhof, Franz Gojer
A.A. Santa Maddalena Cl. 2012 – Pfannenstielhof, Johannes Pfeifer
A.A. Schiava 2012 – Baron Widmann
A.A. Schiava Fass N°9 2012 – Cantina Girlan
A.A. Terlano Cl. 2012 – Cantina Terlano

Tre Bicchieri 2014 Lombardia

Con ben 23 vini premiati, quella del 2014 per la Lombardia è un’edizione da record. E il merito va soprattutto agli imprenditori del vino lombardi, che hanno dimostrato una straordinaria capacità di lettura della situazione economica e una grande capacità di fare azienda, cosa che in molte altre regioni ancora manca. Ciò che accomuna il vignaiolo e l'industriale con la passione del vino, che investe nella campagna per hobby, è sicuramente l'attenzione ai bilanci solidi e soprattutto alla qualità. Tutto questo è espresso in maniera efficacissima nella storia recente della Franciacorta, un distretto vinicolo che nasce appena cinquant’anni fa ma che è riuscito a raggiungere risultati straordinari negli ultimi trent’anni, confermato quest'anno con i suoi undici vini premiati. Seguono a ruota l’Oltrepò Pavese, il Lugana e la Valtellina, territori che confermano la Lombardia una delle regioni più importanti della nostra enografia.

Franciacorta Brut Blanc de Noirs ’09 Le  Marchesine
Franciacorta Brut Collezione Esclusiva Giovanni Cavalleri ’05 Cavalleri
Franciacorta Brut Emozione ’09 Villa
Franciacorta Brut Extrême Palazzo Lana Ris.’06    Guido Berlucchi & C.
Franciacorta Brut Nature ’09 Barone Pizzini
Franciacorta Cuvée Annamaria Clementi Ris.’05 Ca' del Bosco
Franciacorta Extra Brut ’07 Lo Sparviere
Franciacorta Extra Brut Vittorio Moretti Ris. ’06 Bellavista
Franciacorta Nature Enrico Gatti
Franciacorta Pas Dosé 33 Ris.’06 Ferghettina
Franciacorta Zero ’09 Contadi Castaldi
Lugana Brolettino ’11 Ca' dei Frati
Lugana Molin ’12 Provenza - Cà Maiol
Lugana Sup. Sel. Fabio Contato ’11 Provenza - Cà Maiol
OP Barbera Dodicidodici ’11 Castello di Cigognola
OP Brut Cl. ’08    Monsupello
OP Pinot Nero Brut Cl. 1870 ’09    F.lli Giorgi
OP Pinot Nero Giorgio Odero ’10 Frecciarossa
OP Pinot Nero Noir ’10 Tenuta Mazzolino
Valtellina Sforzato Ronco del Picchio ’09 Sandro Fay
Valtellina Sfursat 5 Stelle ’10 Nino Negri
Valtellina Sfursat Fruttaio Ca' Rizzieri ’09 Aldo Rainoldi
Valtellina Sup. Sassella San Lorenzo ’10 Mamete Prevostini

Slow Wine 2014 Puglia

La Puglia non è più il “serbatoio d’Italia”. È questo uno dei dati che continuano a emergere anno dopo anno. Si assiste a una costante e importante diminuzione degli ettolitri di vino prodotti, con forte contrazione dei vini da tavola a favore di una crescita di quelli di alta fascia, Doc e Igt, premiata da una buona risposta del mercato. Aumenta anche l’attenzione dei media, con ricaduta positiva sul modo di agire degli operatori enogastronomici locali, un tempo distratti e attratti dalle etichette blasonate delle altre regioni. Nero di Troia, primitivo e negroamaro cominciano a essere sempre più presenti nelle carte dei vini dei ristoranti e nelle enoteche regionali.

Se da un lato sembra andare tutto bene per il comparto vitivinicolo pugliese, dall’altro continuano a emergere contraddizioni e incongruenze nella programmazione e nella visione d’insieme. La vera crescita qualitativa è dunque quella promossa dai produttori stessi, sempre più consapevoli e attenti, che con coraggio e determinazione hanno lentamente ma costantemente abbandonato le pratiche agricole invasive a favore di una viticoltura sempre più sostenibile. Cresce sia il numero dei vigneti certificati in biologico sia quello dei molti produttori che si “accontentano” di mettere la propria faccia a garanzia dei loro prodotti, senza fare ricorso alle certificazioni. Buone pratiche che si riscontrano nel profilo dei vini degustati: quel “buono, giusto e pulito” che vorremmo sempre più riscontrare.

Il Grande Salento rimane la zona più importante e costante, ma è dalla Daunia, dalla Puglia centrale e dalle Terre del Primitivo che arrivano le vere novità. Se il negroamaro continua a confermare le sue grandi potenzialità, soprattutto nelle zone a maggiore vocazione (Salice Salentino su tutte, nonostante la scellerata scelta di “manomettere” il disciplinare con l’autorizzazione di uve internazionali nella misura del… 20 per cento!), il primitivo di Gioia e Manduria continua a progredire e a dimostrarsi vitigno dal nobile lignaggio. È il nero di Troia, però, a rivelare i miglioramenti più sorprendenti. Continua a crescere l’attenzione sui rosati di Puglia, quest’anno non facilitati da una vendemmia poco felice per tale tipologia, eppure con notevoli punte qualitative riscontrate nelle nostre degustazioni. Annata, quella del 2012, non felice neppure per i bianchi, che registrano una piccola flessione generale rispetto allo scorso anno. Conferme arrivano invece dalla Valle d’Itria e dalla Daunia.
E finiamo, ahinoi, con un ulteriore esempio di mala gestione da parte degli organi di controllo: il minutolo, un tempo “fiano minutolo”, poi nobilitato con la menzione del solo “minutolo” per evitare confusione, muta ancora il nome e ripiomba nel calderone dell’equivoco come “fiano di Puglia”. Telenovela del genere potremmo francamente risparmiarcele.

VINI SLOW
Cacc’e Mmitte di Lucera 2011 – Alberto Longo, Torrevecchia
Capasonato 1985 – Vinicola Savese
Duca d’Aragona 2007 – Candido
Gioia del Colle Primitivo 2009 – Pasquale Petrera, Fatalone
Gioia del Colle Primitivo 16 2010 – Polvanera
Gioia del Colle Primitivo Riserva 2010 – Pietraventosa
Graticciaia 2009 – Agricole Vallone
La Signora 2010 – Morella
Primitivo di Manduria Dolce Naturale Passito 2009 – Attanasio
Riserva Nobile Brut 2009 – d’Araprì

GRANDI VINI
Crusta 2008 – Primis
Primitivo di Manduria Acini Spargoli 2011 – L’Antico Palmento
Primitivo di Manduria Es 2011 – Gianfranco Fino

VINI QUOTIDIANI
Castel del Monte Almagia 2012 – Giancarlo Ceci
Castel del Monte Bombino Nero Pungirosa 2012 – Rivera
Fiano 2012 – Conti Zecca
Five Roses 2012 – Leone De Castris
Fortuita 2011 – Paolo Petrilli
Girofle 2012 – Severino Garofano Vigneti e Cantine
Massaro Rosa 2012 – Masseria L’Astore
Metiusco Rosato 2012 – Palamà
Nardò Rosso Danze della Contessa 2011 – Alessandro Bonsegna
Nero di Troia 2012 – Botromagno
Passito Botrus 2012 – Sergio Botrugno
Primitivo Dolce Naturale 2011 – Masseria Ludovico
Rosa del Golfo 2012 – Rosa del Golfo
Sogno di Volpe 2012 – Cantina Ariano

Il Sur Lie Alpino e Il Metodo Interrotto di Matteo Furlani

Il famoso passaparola, non quello moderno fatto dai vari tweet o dai post dei social network, ma quello tradizionale, fatto dal gesto concreto e poco virtuale di un amico, Francesco Petroli, che ti porta una bottiglia e ti dice:"Prova questo, a me è piaciuto molto e penso che anche a te possa intrigare!!". 

Foto: http://blablablaetvins.blogspot.it

Sur Lie Alpino?? Che razza di roba è questa???

Prima di aprire la bottiglia, come di solito, cerco di capire un pò di più dell'azienda produttrice, in questo caso Furlani, e del metodo di vinificazione per avere un quadro più completo della situazione. 
Spulciando tra le mie "fonti" scopro che Matteo Furlani rappresenta uno dei tanti vignaioli naturali italiani con la voglia di sperimentare creando prodotti alternativi. In particolare l'azienda possiede 6 ettari di vigneto e 4 di frutteto (ciliegie, mele e frutti rossi) divisi tra Vigolo Vattaro e Povo a due passi dalla città di Trento. 
I terreni sono coltivati naturalmente da 7 anni attraverso un totale rifiuto di erbicidi, pesticidi e concimi chimici e, da due anni a questa parte, si applicano le tecniche biodinamiche attraversi l'uso dei preparati 500 e 501.
I vitigni allevati sono sia a vocazione internazionale sia prettamente autoctoni: chardonnay, pinot nero, pavana, vernaccia, lagarino bianco, verderbara, müller thurgau rappresentano le uve a bacca bianca vinificate mentre quelle a bacca rossa sono rappresentate da lagarino rosso, marzemino, rosara, negrara, lagrein.
I vitigni autoctoni hanno una media di trenta anni mentre quelli internazionali hanno circa quindici anni.
In cantina si vinifica senza lieviti aggiunti e senza controllo delle temperature, non si aggiunge solforosa e si utilizza il freddo per illimpidire i vini, nessuna filtrazione, si seguono i cicli lunari per i travasi e tiraggio.

E' il momento di aprire il Sur Lie Alpino per capire se Francesco aveva ragione.

Il vino, da uve pavana, vernaccia, lagarino bianco e verderbara, è uno spumante prodotto attraverso metodo ancestrale ovvero rifermentando in bottiglia grazie allo zucchero residuo che non è stato trasformato in alcol in autunno a causa del freddo improvviso che ha bloccato la fermentazione del vino. 
Il colore, leggermente torbido visto che il vino non è stato filtrato, svela un naso assolutamente lineare, schietto, con sensazioni aromatiche di pera, mela verde, lime, anice stellato puntellate da profondi respiri minerali.
E' al sorso, però, che questo Sue Lie Alpino regala il meglio di sé. E' diretto, freschissimo, denso di sapidità minerale e dotato di beva dirompente. Per la sua assoluta leggiadria e semplicità l'ho paragonato mentalmente ad una ottima birra blanche prodotta in Belgio. 
Insomma, caro Francesco, con questo vino, che poi ho ricomprato più volte, durante l'estate mi hai fatto dissetare in modo egregio. A buon rendere!!

BREAKING NEWS!!!

Matteo Furlani, oltre al Sur Lie Alpino, produce anche un altro spumante che ha chiamato....Metodo Interrotto. La fortuna ha voluto, prima di pubblicare questo post, che riuscissi a trovare a Roma anche questo vino che, a differenza del precedente, è un vero e proprio metodo classico il cui tiraggio dura due anni al termine dei quali si decide non sboccare eliminando l'aggiunta di solforosa e della liqueur d'expédition. Insomma, una sorta di dosaggio zero che rispetto al Sur Lie, oltre che ad avere un uvaggio composto da 80% chardonnay e 20% pinot nero, si è fatto apprezzare per una maggiore finezza nella grana delle bollicine e per un profilo olfattivo prettamente minerale, quasi calcareo, e per un sorso austero e decisamente più lungo e avvolgente. 
Cavolo pure questo è premiato a pieno voti!



BREAKING NEWS NUMERO DUE

Per completezza di informazione, e per dare a Cesare quel che è di Cesare, voglio sottolineare che il vin viene prodotto grazie all'indispensabile collaborazione di Danilo Marcucci.