Bordeaux 2007: poche luci e molte ombre - Il mio focus sulla denominazione Pessac-Léognan

Non mi aspettavo di meglio dalla degustazione dei Bordeaux 2007 che si è tenuta a Roma qualche giorno fa. L’annata, anche se generalizzare è sempre sbagliato, non è stata delle migliori soprattutto per i rossi mentre, come vedremo, risulta più che soddisfacente, con punte di grande qualità, per i vini bianchi e per quelli dolci.
Leggendo i vari articoli dei maggiori esperti mondiali di Bordeaux non si può pensare ad un’annata eccezionale (alla faccia di chi in Italia scrive sempre di millesimi memorabili) e questo per due ordini di problemi: il primo, in questa area il clima irregolare ha determinato notevoli problemi sia in fase di fioritura che in fase di germogliamento, creando notevoli problemi alla maturazione dell’uva. Secondo, il cattivo tempo di Giugno, Luglio, Agosto, con il suo grigio e le sue pioggerelle ha creato notevoli problemi di muffa che sono stati in parte tamponati con un incremento notevole dei trattamenti chimici. In particolare ad Agosto, quando le pioggia non cessava mai, si è pensato al vero disastro e solo un bel Settembre e un Ottobre molto caldi e secchi hanno evitato una vendemmia apocalittica. Il risultato di tutto questo? Non è tutto da buttare, soprattutto per i vini bianchi secchi di Pessac-Léognan le cui uve sono state raccolte in buone condizioni ai primi di Settembre e, in secondo luogo, per i vini di Sauternes e Barsac la cui vendemmia ha portato a vini eleganti, pieni anche se la botrytis, all’assaggio, non era evidente per tutte le tipologie. E i rossi? Come detto in precedenza i danni sono stati ridotti e questo grazie ad un grandissimo lavoro in vigna che ha modificato un po’ la visione di questi vigneron che prima del 2007 erano più concentrati sulle pratiche di cantina. Una nuova strada che, fortunatamente, ha permesso di salvare il salvabile e di porre in essere una qualità decente con picchi di eccellenza distribuiti qua e là.

Pessac-Léognan 2007: Note di degustazione


I vini bianchi secchi di questa regione vitivinicola sono tra le note più positive della giornata romana. L’annata relativamente fresca ha prodotto sicuramente vini molto vivaci, di buona spina acida, sicuramente meno pesanti rispetto al 2006 e di maggiore vivacità e freschezza se paragonati a quelli usciti nel caldo millesimo 2005.


Chateau Bouscaut Blanc 2007
: inizialmente molto minerale al naso, poi esce la susina e la mela cotta. Al palato è caldo, avvolgente, un po’ grasso, con adeguata spalla acida a sostenere una gradevole sapidità. Grande futuro sicuramente.

Chateau Carbonnieux Blanc 2007
: al naso è molto fresco, delicato, con un quadro aromatico fatto di fiori e piccoli frutti poco maturi. Bocca inaspettatamente strutturata, calda, morbida che svela un vino molto succoso che perde forse un po’ di brio nel finale grazie forse ad una acidità che non cambia marcia.

Domaine de Chevalier Blanc 2007
: naso molto elegante, fine, che si apre con note di frutta in macedonia e fiori bianchi di campo. Un soffuso minerale, che esce col passare del tempo, fornisce profondità e maggiore complessità. In bocca è fine, equilibrato, con buona corrispondenza al naso. Il finale, come per il precedente vino, non è così lungo ed appagante anche se torna una bellissima nota di fiori di pesco.

Chateau de France Blanc 2007
: rispetto ai precedenti il quadro olfattivo di questo vino è più opulento, i profumi richiamano la frutta gialla matura, il miele e le spezie orientali. Bocca che delude, non risponde al naso essendo la struttura molto esile, snella anche se di buona progressione. Poco armonico.

Chateau La Louvière Blanc 2007
: naso molto profondo, compatto, che si apre con note di polvere da sparo, pirite, poi esce la frutta, la mela golden, gli agrumi. Al palato offre buona struttura e sapidità e si caratterizza per una bella scia finale delicatamente agrumata. Uno dei migliori della batteria.

Chateau Latour-Martillac Blanc 2007: Si caratterizza per un percorso odoroso di grande stoffa, con sensazioni intense di litchi, pesca gialla, susina, fiori di acacia e un tocco di zenzero. In bocca è di grande freschezza, molto agrumato, solo il tempo equilibrerà le durezze espresse ora. Di grande beva per chi ama questa tipologia di vino. Ottimo futuro.

Chateau Smith-Haut-Lafitte Blanc 2007: molto diretto al naso, simile al precedente per le note citrine, mela verde e di frutto della passione. Bocca molto fresca e sapida ed un intenso finale aromatico sono le caratteristiche di questo vino che, come il precedente, promette di dare grandi emozioni nel futuro. I rossi? Nulla di emozionante da segnalare, qualcosa di meglio lo troviamo a Saint Emilion e Pomerol. Il tempo di scrivere le note di degustazione e pubblico tutto!!

Quello che non sapete di Tenuta di San Leonardo

Venerdì sono stato in Trentino per visitare un’azienda che amo e che, come vedrete, amerò ancora di più dopo averla girata in lungo ed in largo. Sto parlando di Tenuta San Leonardo.

Ospite di Anselmo Guerrieri Gonzaga, con Stefania ed altri due amici, abbiamo potuto scoprire un’oasi dove non solo si beve gran bel vino (e dopo parlerò della nuova etichetta) ma, soprattutto, un luogo dove si ricerca, si coltiva e si valorizza la memoria. Già, perché la tenuta traspira storia da ogni mattone, da ogni suo granello di terra, da ogni vigna.

Il marchese Carlo Guerrieri Gonzaga e, successivamente, Anselmo hanno ricercato e valorizzato il loro passato che, peraltro, è la storia di un territorio e della sua gente: come scrive il sito internet aziendale, le prime testimonianze della Tenuta risalgono al 900 d.C., quando il vescovo di Verona Nokterio concesse in usufrutto al Vescovo di Trento alcune terre da lui possedute in Val Lagarina, boschi, prati e vigneti ubicati nel sito di Sarnis. Furono però, tre secoli dopo, i Frati Crociferi (un ordine assai diffuso in Europa, che rimase a San Leonardo sino al 1656) ad incrementare e a dare uno sviluppo moderno alla coltura della vite nel loro monastero. Nel corso dei secoli la Tenuta è stata teatro di numerosi episodi storici: nel corso delle due guerre mondiali, ad esempio, San Leonardo ospitò dapprima il Comando del XXIX Corpo d'Armata italiano ed è proprio qui che l'Austria formulò la richiesta d'armistizio. Durante la seconda guerra mondiale, inolltre, San Leonardo fu sede della sezione del Controspionaggio del Comando superiore tedesco sul fronte italiano.

Quello che mi ha sbalordito è l'assenza di boria in tutto questo, c'è solo la consapevolezza di un grandissimo patrimonio che vuole essere condiviso con tutti noi grazie alla costituzione del museo etnografico della civiltà contadina, una organica raccolta di testimonianze ed oggetti della civiltà contadina nell'area della bassa Vallagarina e dei Campi Sarni, un ricco archivio agricolo "dal 1500 al 1960" relativo all'azienda e alla storia della famiglia dei marchesi Guerrieri Gonzaga, proprietari e viticoltori a San Leonardo sin dal XVIII secolo, con un particolare interesse per la figura della marchesa Gemma Guerrieri Gonzaga nata de Gresti di San Leonardo, che nel 1916 svolse un'opera meritoria per favorire il rimpatrio dalla Russia e dalla Siberia di dodicimila prigionieri trentini, triestini e istriani, soldati dell'esercito austro-ungarico, detenuti in oltre cento campi di concentramento in Siberia.

La storia, la bellezza dei vigneti e delle cantine della Tenuta, la grande coesione, l’eleganza e la cordialità delle persone di San Leonardo, la splendida cappella fondata nel 900 d.C., sono tutti ricordi, solide certezze, che mi hanno permesso e mi permetteranno nel tempo di avere una concezione a 360° del loro vino, solo in questo modo potremmo apprezzare e capire appieno cosa si cela dietro bicchiere di San Leonardo o di Terre di San Leonardo…….

C’è un novità infatti: a Merano è stato presentata la nuova etichetta aziendale, un classico taglio bordolese frutto di un attento assemblaggio delle uve della Tenuta. "Terre" ricalca le orme del suo fratellone maggiore nascendo dal medesimo terroir.

Un second vin in stile puramente francese che non vuole avere la stessa eleganza e complessità del San Leonardo ma che, invece, risulta estremamente bevibile e di grande immediatezza. Un vino quotidiano, costando meno di 10 euro, che vorrei avere sempre nella mia tavola, una sorta di anticipo di quel godimento edonistico che è stato il San Leonardo 1996, gentilmente offertomi da Anselmo, e che con i miei amici ci siamo bevuti anzi, sgargarozzati, alla Casa del Vino.

A presto.

P.S.: mi son scordato di dire una cosa: sia Carlo che Anselmo Guerrieri Gonzaga, oltre al patrimonio culturale del territorio, tengono moltissimo a preservare i loro boschi, le loro piante, i loro fiori, grazie a progetti di salvaguardia mirata di tutto il micromondo San Leonardo.

Influenza A/H1N1 e vino rosso: e se fosse vero?

Una dose quotidiana di vino rosso come profilassi contro l'influenza, e' l'insolita prescrizione per le scimmie dello zoo di Krasnoiarsk, in Siberia. Lo scrive oggi il quotidiano russo Komsomolskaia Pravda.
'L'influenza suina, come noto, si diffonde ovunque. Anche le scimmie se la possono prendere data la loro somiglianza del loro organismo a quello umano', spiega il veterinario dello zoo. 'E cinquanta grammi di vino al giorno e' tutto quello che a loro abbisogna per la prevenzione', aggiunge convinto lo specialista.
Secondo quanto riporta il giornale, 'le scimmie bevono il vino con piacere, tanto che finito il bicchiere fanno anche schioccare la lingua'. 'Da parte loro, i veterinari vigilano attentamente che la dose quotidiana non sia superata, perche' le scimmie mostrano di voler impadronirsi della bottiglia intera', aggiunge la gazzetta.

Ragazzi se fosse vero prenoto un bancale di Ornellaia, se non servisse per l'influenza almeno, dando retta a Paris Hilton, servirà per altre cose....

Voi abbinate il vino rosso col pesce?

Sarà che io un bel bicchiere di Chianti, servito non troppo caldo, a volte lo abbino con goduria alla zuppa di pesce, sarà che i giapponesi non sono cime in fatto di vino, sarà che mi sembra la solita notizia scientifica che poi verrà subito smentita, però leggiamo lo stesso quello che ci scrive il Corriere della Sera (e che molti blog hanno già ripreso):

I giapponesi non sono esattamente i più grandi estimatori del buon vino. Ma proprio dalla terra del sakè arriva la prova scientifica di quanto dalle nostre parti è considerato quasi l'ABC dell'abbinamento fra vino e portate: con la carne si beve il vino rosso, col pesce il bianco. FERRO – Il diktat, secondo i nipponici, sarebbe nato perché i vini rossi, in abbinata a orate e gamberi, lasciano in bocca un retrogusto spiacevole, «pescioso», per colpa del loro contenuto di ferro, mediamente maggiore rispetto a quello dei vini bianchi. I ricercatori, che hanno pubblicato i loro risultati sul Journal of Agricultural and Food Chemistry , hanno apparecchiato un pasto a base di frutti di mare ad alcuni volontari, tutti conoscitori dei vini (c'è da chiedersi dove li abbiano trovati in Giappone, ma questa è un'altra storia). Poi hanno servito loro 38 vini rossi e 26 bianchi (ma anche due tipi di sherry, un porto e un madeira), con un contenuto variabile di ferro che dipendeva dal Paese d'origine, dai vitigni presenti, dall'annata. Il verdetto è chiaro: quando il vino conteneva una maggior quantità di ferro (e questo accade soprattutto coi rossi) dopo il pasto restava in bocca più facilmente un sapore poco gradevole. Tanto che il problema scompariva se al vino «ferroso» si aggiungevano enzimi in grado di legare il ferro.

ECCEZIONI – Takayuki Tamura, che ha coordinato gli esperimenti e lavora per un'azienda giapponese produttrice di vini, sottolinea come il ferro sia il fattore-chiave nella scelta del vino da abbinare al pesce: «Fino a oggi era impossibile prevedere «a scatola chiusa» se una bottiglia potesse essere più o meno adatta a un pranzo a base di pesce, perché non sapevamo quali elementi contribuivano a lasciare un sapore sgradevole dopo il pasto. Ora sappiamo che bisogna guardare il contenuto di ferro». Ciò non significa che tutti i rossi siano da evitare, come si affretta a specificare Tamura: «I rossi poco “ferrosi” possono costituire un ottimo abbinamento». Il giapponese così si salva in corner: le eccezioni alla regola infatti non mancano, e da qualche tempo pare quasi chic scegliere un bel rosso per accompagnare un branzino. «Con il pesce si può tranquillamente bere anche un vino rosso o rosato – spiega Terenzio Medri, presidente dell'Associazione Italiana Sommelier –. L'importante è che si rispetti l'unica regola aurea degli abbinamenti fra vino e cibo: nessuno dei due sapori deve sovrastare l'altro, come in un matrimonio perfetto. La nostra associazione già da anni sperimenta in questo senso, nella ricerca dell'equilibrio fra il gusto della pietanza e quello del vino: se uno dei due elementi prevale sull'altro, l'abbinamento è sbagliato». Come si riconoscono le “accoppiate” giuste? Con l'allenamento del palato, secondo Medri: «Studiando e provando, diventa del tutto naturale capire quando si raggiunge l'equilibrio perfetto».

Fonte: Corriere.it

Falesco Montiano: una imperdibile verticale di un grande rosso laziale. 2^ parte

Continuiamo con la descrizione della splendida verticale di Montiano andando a scoprire gli anni 2000.

2000: l’anno della svolta, entra in produzione la nuova vigna con un clone di merlot che si caratterizza per l’elevata resistenza alle stagioni siccitose. Cotarella si è reso conto che il clima sta cambiando. Dinamico dinamico al naso, manifesta toni di radice di liquirizia, rosa rossa, ciliegia, cassis, caffè. Si nota la gioventù delle nuove vigne in quanto manca di adeguata profondità e di quella nota mentolata che, complice l’annata calda, non esce come nei precedenti millesimi. Anche la bocca è giovane, pimpante, calda, caratterizzata da intense sensazioni fruttate e un tannino vibrante che copre un po’ la parte morbida del vino e lascia anche poco spazio alla sapidità finale del vino.

2001
: siamo di fronte ad una grande annata e ad un piccolo capolavoro enologico. Già il naso ci emoziona, ci stordisce con la sua intensità e i suoi caratteri aromatici che sono un tutt’uno col territorio. Sensazioni di menta, scorsa di arancio, violetta, ciliegia matura, ribes, mora, ferro, tabacco, spezie impreziosite da nobili ricordi di humus e gratife. Al palato è seta, tutto viene avvolto in una trama di grandissima eleganza, con un tannino “bordolese” e una lunga, lunghissima scia finale che si dipana tra ricordi di frutta, liquirizia e tocchi minerali. Un monumento e il miglior vino della verticale.

2003
: nonostante l’annata calda, Cotarella tira fuori un vino per nulla banale che si caratterizza per un interessante olfatto di ribes, ciliegia, macis, amarena, arricchiti da una lieve scia balsamica. In bocca è coerentemente potente, polposo, quasi masticabile e denuncia tutta la sua gioventù con un tannino scalpitante anche se rotondo e mai troppo asciugante. Arriverà a raggiungere un perfetto equilibrio col tempo. Torna la scia sapida finale.

2004: naso prepotente, caleidoscopico, il cui ventaglio olfattivo spazia tra le note di rosa rossa, viola mammola, ciliegia, mora, note balsamiche e un tocco di grafite. In bocca è ricco, pieno, deciso e lascia il palato con ottimi ricordi di frutta rossa, fiori, grafite e una lunga scia finale di pura sapidità. Non è ancora espresso in tutte le sue potenzialità, sembra ancora compresso, una materia che sta esplodendo. Ha tutte le potenzialità per diventare un grande vino.

2005
: annata anche questa sfigata dove temperature alte e pioggia in vendemmia non hanno creato le condizioni per un’uva perfetta. Naso chiuso, timido, che col tempo tira fuori qualche cenno di fiori rossi, frutta e un lievissimo balsamico. Tutt’altro che dinamico. Anche alla gustativa questo Montiano non eccelle, poca polpa e una struttura esile e poco amalgamata non invitano al prossimo sorso. Insieme all’annata ’96 è il peggiore della serata.

2006: uno dei miei preferiti, anche se giovanissimo promette di diventare, a mio parere, la 2001 del futuro. Lo si può notare subito mettendo il naso nel bicchiere: pieno, complesso, caratterizzato da intensissimi i profumi di frutta croccante, ciliegia e lamponi su tutti, poi si incuneano sensazioni di viola, rosa, ginepro, timo, chiodi di garofano, cannella, vaniglia. Al sorso c’è grande morbidezza, un velluto che accarezza il palato con gli intensi ricordi floreali e balsamici, poi escono le note più dure, un tannino evidente ma polposo, la grande freschezza e una avvolgente sapidità. Grandissimo già da ora ma, se lo aspettiamo, avremo di fronte un altro monumento enologico.

2007
: annata che abbiamo degustato in anteprima assoluta. Un bimbo in fasce con un naso più timido della precedente annata, meno verticale e maggiormente ricco di aromaticità scure, speziate, quasi fosse già leggermente evoluto. Ritorna al palato la caratteristica nota balsamica anche se, sempre rispetto alla 2006, la nota morbida è meno evidente a dispetto di una trama tannica virile accompagnata da degna sapidità. Un vino che sposa potenza giovanile ed accennata eleganza anche se, dal mio punto di vista, non arriverà mai a picchi di qualità estrema. Un vorrei ma non posso.

Falesco Montiano: una imperdibile verticale di un grande rosso laziale. 1^ parte

Il Montiano è un vino del Lazio e ne sono orgoglioso, soprattutto dopo la grandissima degustazione che si è tenuta all’AIS di Roma alla presenza di Riccardo Cotarella. Una verticale di tutte le annate in commercio (compresa la 2007 in anteprima) che ci ha confermato la grandezza di un vino fatto con passione ed orgoglio all’interno di un territorio, Montefiascone, che, a quei tempi, certo non brillava per qualità enologica.
Il Montiano si concretizza nella mente di Riccardo Cotarella nel 1987 durante una tour che l’enologo fece nelle zone di Saint-Émilion e Pomerol, territori particolarmente vocati per il merlot di cui Cotarella si innamora talmente tanto da volerlo piantare a cavallo tra Lazio e Umbria estirpando, non senza problemi con la popolazione, due vitigni classici della zona: Trebbiano e Malvasia. La sfida è iniziata: nel 1993, grazie all’impianto di vecchie marze di merlot provenienti da Château Cheval Blanc, viene prodotta la prima annata di Montiano, mille bottiglia circa, un vino destinato a fare la storia enologica italiana.

Andiamo a scoprire le varie annate presenti in degustazione:

1994: di un colore granato molto brillante, ha un naso senza cedimenti, balsamico, le cui caratteristiche vanno ad alleggerire un quadro generale fatto di sensazione scure, di humus, terra, prugna matura, cardamomo e ferro (ricordo che le viti sono piantate su un terreno prettamente vulcanico). Anche la bocca non cede nulla, perfetta l’amalgama tra componenti dure e morbide. Esaltante il tannino che, ancora in piedi, ci lascia presagire ulteriori evoluzioni del vino. Chiude sapido su sensazioni ferrose.

1995: rispetto al precedente, si notano in questo vino cenni olfattivi di grafite e macchia mediterranea che, col tempo, si arricchisce di una leggera nota di sottobosco, liquirizia e caffè. Sicuramente meno un quadro olfattivo meno scuro del precedente. Al palato il vino è di notevole avvolgenza, soprattutto si nota un tannino e una vena acida di grande carattere, di maggiore qualità rispetto al ’94. Chiusura sapida su toni minerali.

1996: un vino figlio di un’annata scarsa e questo lo riconosce lo stesso Cotarella. Naso ritroso, si percepiscono piccoli sbuffi minerali e tabaccosi. Null’altro. In bocca la fusione di elementi che abbiam trovato nelle precendenti annate non c’è, c’è una netta scissione tra le varie componenti. Esile di corpo ha un finale che non entusiasma per persistenza e profondità.

1997: si cambia nettamente marcia, di fronte abbiamo un vini figlio, stavolta, di una grande annata, sicuramente calda visto che per la prima volta il Montiano supera i 13%. Profilo aromatico intrigante giocato su note di eucalipto, violetta, prugna, sottobosco che, col tempo, vira ad un intenso minerale che sfuma su richiami di cuoio, tabacco e una leggera nota smaltata. In bocca ha lo stesso corpo e la stessa complessità dell’olfatto, tutto è fuso in maniera suprema, polpa, sapidità e freschezza sono equalmente distribuite. Finale grandioso che non cede nulla al tempo e che incanta con una chiusura fruttata e minerale. Da berne a secchiate!

1998: sembra una via di mezzo tra la ’96 e la ’97. Mineralità e un frutta nera caratterizzano il naso, poi sensazioni speziate di rabarbaro, cardamomo, humus, ferro. Non si percepisce la nota mentolata che caratterizzata alcuni millesimi precedenti. E’ un vino che ha un colore aromatico marrone. Bocca più severa del ’97, alla gustativa il vino rispetta pienamente il naso, è un Montiano maschio anche se forse cede qualcosa in sapidità e persistenza finale. Ancora da decifrare totalmente.

1999: naso molto espressivo e tenebroso che riporta a note di ciliegia matura, prugna appassita, tabacco scuro, grafite, tocco di goudron e lieve balsamicità. Il sorso conferma che siamo di fronte ad un vino più evoluto rispetto agli altri millesimi, torna il tabacco, il catrame, tutto è fermo sulla nota scura. Poco dinamico, cede qualcosa anche in freschezza e sapidità. Non penso abbia davanti molti anni.

Per gli anni 2000 dovrete attendere mercoledì....

L’Union des Grands Crus de Bordeaux a Roma: i vini di 74 dei più famosi Chateaux in degustazione

Un pioggia di Grand Crus di Bordeaux cadrà su Roma il prossimo 9 novembre. Un centinaio di fantastici vini della Gironda, di settantaquattro tra le aziende più famose saranno presenti alla manifestazione “L’Union des Grand Crus de Bordeaux a Roma che si terrà nei grandi saloni dell’albergo Parco dei Principi. L’evento sarà un’occasione per degustare la nuova annata in commercio di questi vini prestigiosi, la 2007, in presenza di molti dei proprietari o dei direttori commerciali delle aziende stesse, che si ritroveranno appositamente a Roma per questo evento. La manifestazione, aperta solo su invito e riservata agli operatori del settore e la stampa specializzata, si svolgerà con orario continuato dalle 15,00 alle 19,00 con banchi di assaggio individuali per ogni Château. Sarà possibile degustare quasi cento vini diversi e raccogliere tutte le informazioni necessarie sul millesimo in degustazione, i vini, le aziende presenti, e l’associazione della Union des Grands Crus de Bordeaux. In degustazione quindi una panoramica completa dei migliori vini di quella che viene ritenuta dagli esperti del settore come la più famosa regione vinicola del mondo, Bordeaux: presenti i rossi di Saint-Estephe, Pauillac, Saint-Julien, Moulis, Listrac, Margaux, Pomerol, Saint-Emilion, i vini bianchi e rossi di Graves e Pessac-Léognan, e i vini dolci di Sauternes e Barsac.

Nel pomeriggio, alle ore 16.00, i giornalisti parteciperanno all conferenza stampa di presentazione e riflessione sul tema delle caratteristiche, davvero uniche, di questa associazione di Châteaux e la valorizzazione del loro splendido territorio e dei loro vini. Un patrimonio che si alimenta di una tradizione millenaria e che costituisce una grande ricchezza per la Francia, ma anche per gli appassionati e i collezionisti di vino di tutto il mondo.
La conferenza vedrà la partecipazione di Sylvie Cazes, Presidente della Union des Grands Crus de Bordeaux, nonché co-proprietaria di Château Lynch Bages a Pauillac, che illustrerà le ragioni d’essere dell’associazione, Tristan Kressmann, Vice Presidente della Union des Grands Crus de Bordeaux, nonché co-titolare di Château LaTour-Martillac (a Martillac ), (Pessac-Léognan), che racconterà le caratteristiche dell’annata 2007, e Ian D’Agata, dell’International Wine Cellar e autore del volume “Racconti Bordolesi” di prossima uscita, forse il maggiore esperto italiano di vini di Bordeaux, e che analizzerà la particolare espressione del terroir bordolese nei vini della Union des Grands Crus de Bordeaux.

Creata nel 1973, l’Union des Grands Crus de Bordeaux è una associazione che riunisce 131 dei più prestigiosi Châteaux della Gironda. Unica nel suo genere, l’Union raggruppa i grandi vini delle denominazioni più prestigiose del bordolese. La sua mission è di organizzare la promozione e la difesa degli interessi e i valori della aziende iscritte all’associazione. L’Union organizza annualmente una cinquantina di dégustazioni presso distributori e la stampa specializzata nei mercati mondiali di maggiore importanza commerciale: Unione Europea, Stati Uniti d’America, Canada, Giappone, Corea, Hong-Kong, Singapore, Cina, Russia.

Negli ultimi cinque anni, l’Union des Grands Crus de Bordeaux ha raddoppiato il numero delle manifestazioni organizzate, creando in particolare dei rendez-vous annuali nei principali mercati commerciali del mondo. Infatti, l’Union des Grands Crus organizza ogni anno la degustazione di primavera dei Primeurs, la rassegna dei vini del nuovo millesimo aperta solo ai professionisti del settore. Un centinaio di giornalisti specializzati provenienti da una ventina di paesi diversi sono invitati personalmente come anche l’insieme degli operatori del settore commerciale del vino. L’Union organizza anche una degustazione eccezionale à Bordeaux aperta invece agli appassionati e intitolata il Weekend des Amateurs de Grands Vins. Essa permette al grande pubblico di appassionati di degustare, in un unico luogo, tutti i vini della Union, e di potere scambiare le proprie impressioni e opinioni con coloro che producono i vini, come anche di vistare le aziende.

Percorsi di Vino sarà ovviamente presente e appena possibile produrrò un report di grande dettaglio....se reggerò cento vini...

I furbetti della cantina: sequestro di vino a La Morra

I funzionari del Servizio Antisofisticazioni vinicole della Provincia (sede di Roddi), in una cantina di La Morra, hanno dapprima sequestrato, poi denaturato e, infine, inviato alla distillazione oltre 10 mila litri di vino (pari ad oltre 13 mila bottiglie di vino) prodotti in “nero”, cioè senza giustificazione contabile. Diverse le tipologie di vini a denominazione di origine controllata e controllata e garantita inviate alla distillazione, tra cui Asti docg, Barbera d'Alba doc, Barbera d'Asti doc, Barbera Monferrato doc, Dolcetto d'Alba doc, Dolcetto d'Ovada doc, Oltrepo pavese doc, Roero Arneis doc, nonchè vini ad indicazione geografica tipica quali Sicilia e provincia di Pavia. Il Servizio Antisofisticazioni vinicole della Provincia di Cuneo, operativo dal 1982, ha il compito di vigilare su tutta la filiera produttiva vitivinicola partendo dai vigneti fino alla bottiglia offerta al consumatore finale, passando dalla lavorazione dell’uva in cantina per arrivare alla commercializzazione del prodotto finito. Un controllo importante, specie in questo momento di crisi del settore dove èsempre più prioritario tutelare le produzioni di qualità ed i produttori onesti.
L’operazione dei giorni scorsi fa seguito ad un'intensa attività del Servizio che, alle dipendenze del settore Agricoltura della Provincia, negli ultimi mesi ha eseguito 38 sopralluoghi in aziende agricole e commerciali e 24 in punti di vendita o somministrazione al pubblico, oltre a 85 campionamenti di vini sfusi e/o confezionati. A tale attività ispettiva ha fatto seguito il sequestro di più di 17 mila litri di vino, oltre a quelli inviati alla distillazione, e l’elevazione diretta di sanzioni amministrative per oltre 100 mila euro nonchè l’adozione, da parte di altri organi dello Stato, di provvedimenti sanzionatori per circa 4 milioni di euro.

(fonte: http://www.grandain.com)

Conoscete i vini del Languedoc-Roussillon?

Molto spesso quando parliamo di vino e di Francia il nostro pensiero tira dritto per la Borgogna, la Champagne, l’Alsazia oppure, ovviamente, Bordeaux. Difficile pensare, soprattutto se si leggono i dati che seguiranno, alla regione vinicola del Languedoc-Roussillon come scrigno di preziose gemme enologiche.
Situata nel Sud della Francia, questa area è storicamente caratterizzata da grandi numeri perchè al suo interno i vigneti sono i più estesi del mondo: 300.000 ettari coltivati, più di 3.000 imprese vitivinicole e oltre 2.000 milioni di bottiglie di vino all’anno, che rappresentano un terzo del volume di vini prodotti in Francia. Il risultato di tutto questo? Tanto vino che spesso rasentava la sufficienza e che usualmente veniva utilizzato come prodotto da taglio. Serviva una svolta che è arrivata solo pochi anni fa una nuova generazione di produttori ed enologi si resero conto che ormai l’offerta era diventata superiore alla domanda: occorreva estirpare i vigneti meno produttivi, valorizzare quelli dalle potenzialità migliori, ammodernare le pratiche vinicole e utilizzare nuove strategie di marketing per creare un forte mercato dell’esportazione oltre confine. E’ l’inizio del cambiamento e oggi il Languedoc-Roussillon si può considerare fra le più interessanti e dinamiche realtà vinicole francesi soprattutto per la qualità dei suoi vini dall’ottimo rapporto qualità prezzo.
Questa area, anche prima dell’attuale rinascita enologica, godeva di una consolidata fama per i suoi Vin Doux Naturels, di cui i più celebri rappresentanti sono quelli prodotti con le uve Moscato Bianco, e il Banyuls, prodotto principalmente con Grenache Noir. Nella regione si producono anche altri tipi di vini, di cui i più rappresentativi sono quelli rossi - prodotti principalmente con uve Carignan, Grenache Noir, Mourvèdre e Syrah - oltre al Crémant de Limoux e al Blanquette de Limoux, interessanti spumanti metodo classico prodotti con uve Chardonnay, Picpoul de Pinet, Chenin Blanc e Mauzac.
Per rilanciare l’immagine dei suoi vini, durante questi ultimi due mesi Les Maisons de la Ragion Languedoc-Roussillon di Milano sta organizzando una serie di seminari di degustazione per poter far scoprire al pubblico di appassionati italiani tutta la nuova essenza dei suoi prodotti enologici. In particolare è stato presentato uno vino spumante, un bianco e tre vini rossi.

Interessantissima è stata la Cuvée Réservée della Maison Guinot: prodotta totalmente da uva Mauzac, questa Blanquette de Limoux è un vino spumante metodo tradizionale prodotto attraverso una presa di spuma di 24/36 mesi, un affinamento in bottiglia di circa 36 mesi con remuage manuale e dégorgement à la volée meccanizzato. Il naso è già una sorpresa perché, anche a detta del relatore della serata (e che relatore…), è difficilmente distinguibile alla cieca da uno Champagne: composto, di media complessità, ha sentori di note lievitose, mela gialla, ginestra, limone, mandorla, scorza di arancio e pepe bianco. Al palato si distingue per una carbonica molto raffinata e gentile, una grande freschezza, l’ottima sapidità e una sensazione, dopo la deglutizione, di agrumi ed erbe aromatiche. Il costo? Circa 10 euro in enoteca. Scommettiamo che alla cieca mette in fila qualche prodotto francese più blasonato?

Altro vino interessante è stato il Picpoul de Pinet 2007 del Domaine Fèlines Jourdan: prodotto totalmente con uva Picpoul, questo vino brilla per freschezza e complessità già all’olfattiva dove vi è un susseguirsi di intense note di agrume, ananas disidratato, gardenia, rosa bianca e sottili note speziate. In bocca ha un’acidità prorompente anche se ottimamente integrata con la struttura complessiva del vino. Il frutto si trasforma in lime e la chiusura è nettamente salina. Bianco di grande beva che si finisce in un istante. Costo? Non oltre le 12 euro…

Dei tre rossi ho sicuramente preferito il Clos Bagatelle – Terre de mon Père 2005 (40% Mourvèdre, 30% Grenache, 30% Syrah), un vino molto profondo dove si fondono le due anime del Languedoc: mediterranea e rodanese. Naso concentrato, inciso da tocchi di garriga, ginepro, garofano, mirtillo, incenso, aloe. Ricco di polpa, al palato ha un attacco morbido e un buon equilibrio anche se l’acidità, vista l’annata siccitosa, non è così sferzante. Bocca comunque coerente col naso visti i ritorni di fiori rossi, cioccolato e spezie orientali. Chiude con un leggero amarognolo. Vino sicuramente non banale che nelle annate migliori promette grandi emozioni.

Un nuovo modo di comunicare il vino: solo un sogno?

E’ da un po’ di tempo che ci penso, comunicare il vino utilizzando i semplici descrittori o utilizzando la terminologia classica (AIS, FISAR,ONAV, etc.) di degustazione non ha molto senso, non si riesce a distinguere un vino dall’altro, la mora, la ciliegia, il tabacco, il cuoio, solo per fare un esempio, sono tutti termini che possono essere riferiti a mille tipologie di vino diverse tra loro in tutto e per tutto. Mi spiego meglio con queste due descrizioni reali fatte da professionisti del settore:

Rosso rubino, consistente. Al naso è ampio e intenso, regala piacevoli sensazioni fruttate e speziate. Emergono aromi di frutta rossa matura, tabacco, chiodi di garofano. All’assaggio è fresco, caldo, abbastanza morbido con tannini ben integrati e struttura arrotondata da un sapiente uso del legno. Persistente il finale su ritorni di frutta.

Rosso rubino, profuma intensamente di mirtilli e more, tabacco e spezie. Gustoso e carico di rimandi fruttati, avvinghia il palato con morsa tannica ben calibrata. Chiusura pulita e persistenza giocata sul binomio frutta-spezie.

A parte qualche lieve differenza lessicale, a mio avviso, sembrano due vini abbastanza identici, fruttati, speziati, rotondi, persistenti. Eppure sono due vini totalmente differenti per storia, territorio e persone. Il primo è un sangiovese di Romagna mentre il secondo è un aglianico. Non c’entrano nulla con l’altro eppure sembrano uguali. I voti non cambierebbero il risultato finale, sapere che il primo vino è valutato 89/100 e il secondo quattro grappoli non mi fornisce informazioni rilevanti anche perché, alla fine, questi mi dicono solo che solo della stessa qualità che, come sappiamo, è un concetto spesso personale e sindacabile. L’esempio poi è stato fatto su vini rossi italiani ma poteva essere fatto prendendo a confronto un vino italiano e un vino francese (peggio mi sento) oppure due vini bianchi.

Girando per le cantine, parlando con i produttori, calpestando le vigne, si ha idea che quel vino non è solo mora di rovo, cuoio russo, tamarindo e sbuffi minerali. E’ molto di più. C’è spesso un lavoro artigianale dietro, c’è la passione vera, c’è l’alzarsi la mattina e pregare che non grandini, ci sono le mani callose, c’è una terra che spesso è un pezzo di cuore, c’è il lavoro di un team di persone che ormai sono una famiglia, ci sono le lacrime di gioia, di dolore, c’è il sole, ci sono le scelte coraggiose e le cazzate.
Come far capire tutto questo a chi beve un “semplice” bicchiere di vino?

E negli USA si beve più spumante che champagne....

Per la prima volta si verifica uno storico sorpasso dello spumante Made in Italy sullo champagne francese nel ricco mercato degli Stati Uniti d'America dove le bottiglie di bollicine nazionali esportate sono risultate addirittura il 30 per cento in piu' di quelle dei cugini d'oltralpe. E' quanto afferma la Coldiretti nel sottolineare che si tratta dell'effetto congiunto dell'aumento negli States delle spedizioni in quantita' dello spumante italiano (+9 per cento) e del drastico crollo di quelle francesi che sono diminuite del 27 per cento nei primi otto mesi del 2009 secondo Iwfi.

Nello specifico - sottolinea la Coldiretti - sul mercato statunitense sono state esportate 11,5 milioni di bottiglie equivalenti (da 0,75 litri) di spumante italiano rispetto alle 8,9 milioni di champagne francese, nei primi otto mesi dell'anno, che hanno consentito la conquista del primato tricolore sulle tavole dei ristoranti e delle case dei cittadini americani.

Una conferma del successo che sta riscuotendo la produzione nazionale di spumante che erode quote importanti di mercato ai concorrenti francesi in molti Paesi. I principali consumatori di spumanti italiani si trovano - precisa la Coldiretti - in Germania e negli Stati Uniti ma elevati tassi di crescita si registrano per la Gran Bretagna e nei paesi emergenti. Per effetto della crescita della domanda straniera, che e' aumentata nel mondo del 9 per cento in quantita' nei primi sette mesi dell'anno, le esportazioni dello spumante italiano - continua la Coldiretti - hanno addirittura superato i consumi nazionali contribuendo a far realizzare un fatturato complessivo annuale stimato in oltre 2,5 miliardi di euro per una produzione di oltre 340 milioni di bottiglie.

Il sorpasso sul mercato Usa e' - aggiunge la Coldiretti - il secondo record fatto segnare nel 2009 che e' anche l'anno in cui per la prima volta la produzione di spumante italiano ha superato quella di champagne francese per la quale e' stata decisa una riduzione del 44 per cento nel numero di bottiglie per contrastare la pesante crisi di mercato che sta attraversando. Nel 2009 la produzione stimata in oltre 340 milioni di bottiglie per il prodotto nazionale si colloca ben al di sopra dei 260 milioni dei cugini d'oltralpe, in forte calo rispetto 322 milioni del 2008 e ai 339 milioni del 2007.

Il 2009 - conclude la Coldiretti - e' anche il primo anno di produzione del prosecco a denominazione di origine (DOC) e delle denominazione di origine controllate e garantite Conegliano Valdobbiadene prosecco e Colli Isolani prosecco (DOCG), che si stanno dimostrando particolarmente dinamici nella conquista dei mercati esteri. (fonte asca)

Colpa della crisi, aggiungo io, o di una reale maggiore qualità?

Il Consorzio di Tutela Denominazione Frascati compie 60 anni....

Il Consorzio di Tutela Denominazione Frascati compie 60 anni. L’Enoteca Regionale lo celebra con due settimane a tema. Dal 26 ottobre al 4 novembre e dal 14 al 19 dicembre, Palatium propone una serie di iniziative interamente dedicate all’antico e nobile bianco dei Castelli Romani.

Si inizia con una carta dei vini speciale realizzata per l’occasione. A disposizione degli appassionati tutte le etichette aderenti al Consorzio. E se per esaltare un grande vino non c’è niente di meglio di un gran piatto, l’abbinamento ideale dell’Enoteca Regionale nasce spontaneo con le ricette del territorio. Il menù di Palatium, per rendere omaggio allo storico vino decantato da Belli e Trilussa e apprezzato in ugual misura da papi, nobili e popolani, propone piatti ispirati alla tradizione gastronomica dei Castelli.


Nelle settimane a tema, il Frascati è protagonista anche dell’happy hour di Palatium con un calice gratuito da degustare insieme agli appetizer realizzati con i prodotti del territorio.
Per finire, sabato 31 ottobre e sabato 19 dicembre, dalle 17,00 alle 19,00, degustazione libera di tutti i vini del Consorzio di Tutela Denominazione Frascati accompagnati da una gustosa proposta di cibo da strada.

Una serie di iniziative, ideate dal Consorzio e fortemente sostenute da Arsial, nate non solo per omaggiare un vino che ha contribuito alla storia dell’enologia italiana, ma per riaffermare l’eccellenza di un prodotto che negli ultimi anni ha vissuto un profondo rinnovamento qualitativo. I 60 anni del Frascati, in questo senso, non sono un punto d’arrivo, ma un punto di partenza. Un’occasione per proporre ai consumatori un vino che ha saputo riscoprire le caratteristiche che l’hanno reso grande nel passato, valorizzandole in un’ottica produttiva moderna.
Una domanda sorge spontanea: a quando una vera valorizzazione del vino Frascati? C'è poco da festeggiare.....

Château Palmer: una verticale per capire la classe dei vini di Bordeaux

Chateau Palmer non ha bisogno di grandi presentazioni, siamo nel Médoc, cuore della regione vitivinicola di Bordeaux, una terra dove Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc e Merlot, trovano il loro terroir d’eccezione.
Davanti a me ho Thomas Duroux, ex enologo di Ornellaia e ora direttore generale ed enologo di Palmer che, durante il Wineday 2009 organizzato da Balan, ci guiderà per mano alla scoperta dei suoi vini: Chateau Palmer, il grand vin o, meglio, il vino di punta della tenuta e l’Alter Ego, non il second vin dello Chateau ma, come ci ha spiegato lui, un vino che, nelle previsioni, dovrà avere una propria identità e discostarsi dal precedente vino “di base” che era la Réserve de General.
Chateau Palmer si estende per circa 52 ettari all’interno del comune di Margaux caratterizzato da terreni fortemente ghiaiosi, perfettamente drenanti, composti in gran parte da quarzo, quarzite e calcedonio trasportati nel corso dei secoli dai fiumi Garonna e Dordogna e provenienti sia dal Massiccio Centrale sia dai Pirenei.
Qua le uve principalmente coltivate, con una densità di circa 10.000 ceppi per ettaro, sono il Cabernet Sauvignon e il Merlot (nella stessa percentuale del 47% circa) mentre il Petit Verdot rappresenta una percentuale minore (circa il 6%). In tale ambito è importante sottolineare che, differenza degli altri Chateaux del Médoc, Palmer, nella creazione del celebre taglio bordolese, attribuisce molta importanza al Merlot che, nelle recenti annate, può arrivare ad una percentuale del 40% mentre nel passato si sono avuti anche picchi del 60%.
Eleganza, finezza, una buona dose di femminilità sono le caratteristiche principali dei vini di Chateau Palmer che, con grande maestria, Thomas Duroux ci racconta durante la serata partendo dall’Alter Ego, presentato nei millesimi 2004 e 2006. Come detto in precedenza, siamo di fronte ad un vino con una personalità tutta sua, un’altra interpretazione del terroir di Palmer, e nato col millesimo 1998.

Alter Ego 2006 (53% Cabernet Sauvignon, 41% Merlot e 6% Petit Verdot): vino giovane, giovanissimo che al naso esprime un frutto esuberante, croccante, al quale fanno da eco sensazioni di vaniglia, cannella e viola. In bocca il vino è caldo (forse c’è ancora un filo di alcol che si deve integrare) e si espande al palato seducente, fruttato, equilibrato, persistente, anche se un leggera nota amarognola finale fa trasparire, ancora una volta, una giovinezza che verrà modulata nel tempo. Come dice l’enologo, dovremo aspettare questo vino per almeno 3-4 anni prima di berlo.

Alter Ego 2004
(50% Cabernet Sauvignon, 50% Merlot): cominciamo a ragionare, siamo di fronte ad una grande bottiglia, il vino col tempo ha acquisito complessità e maturità ed incanta già al naso con note di frutti neri, tabacco, cuoio, humus, cardamomo, vaniglia, muschio. In bocca cominciamo a percepire la maestosità di un grande Bordeaux: alcoli, polialcoli, tannini, acidi e sali minerali sono fusi perfettamente in un’unica carezza gustativa, che si apre con un fruttato maturo che è subito accompagnato da una nota fresca e di grande persistenza. Da un’annata classica come la 2004 non potevamo avere di meglio.

Chateau Palmer
2005 (53% Cabernet Sauvignon, 40% Merlot e 7% Petit Verdot): figlio di una annata calda e secca (57% in meno di piogge rispetto al solito), il Palmer 2005 è il risultato di uve perfettamente mature e con una carica di zuccheri che non si era mai vista fino ad ora nell’azienda. Rubino carico, intenso, al naso esplode letteralmente con note di marasca, prugna secca, spezie orientali, legni di sandalo, violetta, tabacco biondi. Grande complessità e opulenza che troviamo anche in bocca dove setosi tannini e una grande freschezza regnano sovrano. Persistenza incredibile. Un millesimo non proprio classico nel Médoc, forse non lo prenderei ad esempio per far capire ad un neofita la vera essenza di un grande Bordeaux.

Chateau Palmer 2001
(51% Cabernet Sauvignon, 44% Merlot e 5% Petit Verdot): figlio di una vendemmia che si è protratta alla fine di Ottobre, questo millesimo esprime un vino molto raffinato, sottile, con un Cabernet Sauvignon che, con i suoi sbuffi vegetali si fa sentire molto di più rispetto ai precedenti millesimi. Frutti rossi maturi, un pò di legno, viola, muschio sono tutte sensazioni sussurrate, armoniche e questa eleganza la troviamo anche in bocca dove regna un grandissimo equilibrio gustativo. Sempre ottima la scia finale del vino. Rispetto ai precedenti è il vino che porterei con me a cena.

Chateau Palmer 2000
(53% Cabernet Sauvignon, 47% Merlot): un’annata mitica a Bordeaux la 2000, dove sono stati prodotti grandi vini da invecchiamento e questo Palmer ne è la dimostrazione. Potente, imperioso, profondo, puro, sono tutti aggettivi che possiamo dare al naso del vino che ho nel bicchiere che incanta con tocchi di ribes, prugna, frutta rossa candita, spezie, scatola di sigari, cedro, cuoio, eucalipto, sottobosco. Un quadro olfattivo ancora in divenire e che muterà, fornendo ancora più eleganza, nel corso dei prossimi decenni. Bocca da grande Bordeaux con tannini segosi, grandi freschezza, un vero è proprio archetipo di eleganza gustativa. Finale interminabile. Da bere oggi e per i prossimi trenta anni senza problemi.

Chateau Palmer 1996
(55% Cabernet Sauvignon, 40% Merlot, Cabernet Franc 4%, Petit Verdot 1%): da un’annata di grande qualità per il Cabernet Sauvignon, il vini si presenta con uno spettro aromatico tra il dolce e lo scuro dove giocano profumi di prugna passita, vaniglia, cannella, pepe nero, chiodi di garofano, muschio e un tocco di fumè. Bocca ancora giovane, scalpitante nella vena alcolica, che gioca le sue carte tra un frutto carnoso e una freschezza di grande armonia. Finale lungo ed intenso. Forse il vino che mi ha entusiasmato meno della batteria per una eleganza che ancora deve trovare il suo apice.

Chateau Palmer 1990
(54% Cabernet Sauvignon, 37% Merlot, Cabernet Franc 7%, Petit Verdot 2%): davanti a me ho un vino magnifico, sontuoso, talmente emozionante che lo associo ad un assolo di Mark Knopfler alla chitarra, ad una poesia d’amore di Neruda, ad una pennellata di Giotto. Un vino che è puro piacere sia al naso che al palato, un vino raffinato, elegante, complesso, intenso, segoso, difficile trovare dei descrittori specifici, ce ne sarebbero a decine. Uno delle mie migliori bevute di sempre e, forse, non solo per me…

Dolce Puglia nel mio bicchiere!

Durante la manifestazione Dolce Puglia che si svolta qualche giorno fa a Roma ho potuto scoprire qualche vino emozionante, sicuramente non sono stato l’unico ad accorgermi di cosa sono capaci i bravi vignaiolo pugliesi che, oltre per i loro grandi vini rossi secchi strutturati, dovrebbero essere conosciuti per i loro gradevolissimi nettari dolci. Il Moscato di Trani, l’aleatico, il primitivo di mandria dolce naturale e gli altri vini dolci, ottenuti da numerose varietà autoctone, tradizionali o internazionali, rappresentano un patrimonio unico, di incredibile preziosità e dalle potenzialità ancora inespresse.

Due i produttori che hanno destato il mio interesse, che mi hanno davvero emozionato con i loro “vini del sole”.
Il primo è Gianfranco Fino: al banco di degustazione era presente Simona, la moglie, una delle persone più carine, gentili e disponibili che abbia mai conosciuto nel mondo del vino. Sapete perché? Perché nonostante la fatica di rimanere in piedi per molte ore, nonostante abbiano vinto il premio come miglior viticoltori dell’anno, Simona e Gianfranco erano là dietro il loro banchetto felici ed emozionati nel far degustare il loro ES più sole. Questione di rispetto verso coloro che hanno decretato il loro crescente successo, di rispetto verso l’addetto ai lavori, verso l’appassionato, verso il neofita e nei confronti del loro stesso vino che, con la presenza fisica del produttore, viene comunicato nel migliore dei modi. Il risultato del nostro incontro è stato più che soddisfacente, a tratti emozionante, nel bicchiere ho trovato tutta la potenza e la generosità dell’ES con in più quel tocco di dolce mediterraneità che non può non incantare il nostro palato: note di visciola sotto spirito, prugna della California, cioccolato fondente, macchia mediterranea si fondono in una vellutata dolcezza, tutto è corpo, rotondità, eleganza. Un vino dolce non dolce che con Simona Fino abbiamo abbinato ad un formaggio di media stagionatura. Magie del primitivo di manduria, del sole pugliese e del sorriso, della passione e della competenza dei coniugi fino.

L’altro vino interessante appartiene alla cantina Mille Una di Dario Cavallo che ha presentato il suo Dolce Nero, un passito da Primitivo proveniente da terreni rossi, ricchi di minerali e sesquossido di ferro che conferiscono al vino una netta territorialità. Il vino presenta un naso davvero intrigante, ampio su toni di frutta di bosco molto matura, mallo di noce, polvere di cacao ed erbe aromatiche. Differentemente dall’ES, il Dolce Nero al palato non nega la sua dolcezza che è ben equilibrato da un impianto tannico e da un’acidità molto importante. La persistenza è lunghissima, adatta forse ad un cioccolato fondente che azzarderei all’80%. Nota negativa: non ho potuto parlare con il produttore, mi sarebbe piaciuto scambiare qualche parola sulla sua azienda visto che, mi dicono, produce solo da vigne vecchie, con basse rese ed un’alta concentrazione di impianto. Sarà per la prossima volta?!

Una due giorni di vini francesi a Roma

Parte il conto alla rovescia per il Festival Sud de France (www.suddefrance-vini.com), che si terrà dal 26 ottobre all' 8 novembre a Milano e a Roma.
Il 26/10, a Roma, il calendario degli eventi prevede un incontro speciale: il WineDay organizzato dall'azienda vinicola veneta Balan, con il supporto dell'agenzia Ghiga Immagina, presso l'Hotel Parco dei Principi.
La giornata sarà articolata in diversi momenti: dalle 13.00 alle 20.00 ci sarà una degustazione collettiva con 20/25 banchi d'assaggio, in cui verranno presentati vini provenienti da tutte le principali denominazioni italiane e francesi: Barolo, Montalcino, Champagne, Borgogna, Bordeaux, Languedoc-Roussillon.
Per gli appassionati sarà l'occasione di incontrare e conoscere delle vere star dell'enologia: Anne-Claude Leflaive, Marc Sorrel, Jean-Marie Guffens-Heynen, Thomas Duroux, Xavier Planty.
Inoltre la giornata propone anche la scoperta di una grandissima varietà di vitigni e filosofie di produzione: dagli autoctoni rarissimi ai grandi classici, dalle grandi aziende ai piccoli coltivatori di nicchia devoti al metodo biologico.

Oltre a tutto questo, durante il Wineday ci saranno dei momenti riservati, dedicati ai veri appassionati di vino:

  • dalle 11.30 alle 13.00 - una degustazione guidata da Anne-Claude Leflaive "Che cos è il metodo biodinamico?"
  • dalle 16.30 alle 17.45 - la seconda degustazione " Gli Hermitage di Marc Sorrel" guidata da Marc Sorrel e Antonio Paolini;
  • dalle 18.30 alle 20.00: "Alla scoperta di Château Palmer", degustazione verticale di Alter Ego e Château Palmer condotta da Thomas Duroux.

Alle ore 20.30 si terrà inoltre una cena degustazione esclusiva, in cui verrà presentato lo champagne Thiénot, alla presenza di Garance Thiénot.

Ad arricchire il tutto, un ricco parterre di ospiti del mondo dell'enologia internazionale, dei maggiori giornalisti enogastronomici e del mondo politico ed imprenditoriale romano.
Qualche nome? Venite a scoprirlo durante un 'assaggio' ad una giornata che si prea
nnuncia squisita e non solo in fatto di vini.

Wine Show di Torino - Slow Food presenta la Guida al Vino Quotidiano 2010

Torno solo ora dal Wine Show di Torino, 700 Km di austrada ed eccomi qua davanti al mio portatile. Non ce l'ho fatta ad aggiornare prima, mi scuserete..
Riporto di seguito le principali novità che Giancarlo Gariglio e Fabio Giavedoni hanno espresso durante la presentazione della guida:

  • rivalutazione del vino base: fino a qualche anno fa questa tipologia di vino era messa in damigiana e aveva caratteristiche organolettiche di scarsa qualità. Oggi, invece, sempre più cantine producono ottimi vini dal rapporto q\p eccezionale. Non è più una vergona andare dal piccolo produttore e chiedere per il nostro uso quotidiano il vino base, soprattutto se ha la complessità e la qualità totale dei vini in guida;
  • concetto di locale: i consumatori devono essere spinti ad andare a comprare i vini direttamente dal produttore dando vita, in tal modo, ad una vera e propria economia locale. Questa idea di fondo è ben collegata al concetto di territorialità del vino;
  • prezzo delle bottiglie inferiore alle 10 euro franco cantina: rispetto alla guida passata si è alzato il limite massimo di due euro e questo per il solo motivo di permettere anche alla aziende che sostengono, a parità di fattori, più costi delle altre (vedi ad esempio quella che fanno viticoltura eroica) di entrare in guida con vini di grande personalità.
  • giudizi finali: espressi in stelle, da uno a due, ed etichette, massimo punteggio attribuito al vino quotidiano. Le cantine segnalate, di cui si raccontano la storia e lo stile di produzione - spiegano Gariglio e Giavedoni - sono 1700: per ognuna di queste sono indicati fino a tre vini con un rapporto molto favorevole qualita'-prezzo. Tra queste 4 mila etichette, 300 si sono aggiudicate il nostro massimo riconoscimento.
  • dati delle aziende: forniti direttamente dai produttori in modo tale che si possa instaurare un rapporto di fiducia con Slow Food e, soprattutto, con il consumatore finale che poi dovrà giudicare l'attendibilità o meno degli stessi.

Percorsi di Vino al Wine Show di Torino



Seguite i vari aggiornamenti sull'evento in diretta sul blog

ore 19.00: si entra al Wine Show, alias il Salone del vino di Torino. Da subito mi sembra un vorrei ma non posso, in giro non vedo tante persone e, a parte qualche eccezione, gli stand riguardano per lo più Consorzi di Tutela e affini. Anche lo stand di Slow Food, dove domani presenteranno la guida al vino quotidiano, appare un pò isolato e con scarsa affluenza.

ore 20.00: passiamo allo stand di Terra dei Vini, uno dei pochi dove trovo molta gente, forse ci sono vini interessanti?

La risposta è sì, dopo una serie di degustazioni dei prodotti distribuiti da Davide Canina, posso dire che ho trovato qualcosa di interessante e dallo strepitoso rapporto qualità prezzo.
Due nomi su tutti: Terre di Gratia, un'azienda situata nel cuore della Sicilia Occidentale, sulle rive del fiume Belice Destro, che ha presentato un Nero d'Avola Don Sasà 2006 che mi ha davvero stupito: vinificato solo in acciato è un vino lontano dalla mode, da tutti quei Nero d'Avola di pessima qualità che girano, o hanno girato, nei peggiori wine bar d'Italia. Naso di grande austerità, scuro, i profumi sono di cuoio, terra, spezie nere, prugna della California. Bocca molto espressiva dove ritornano alla grande le sensazioni olfattive. Un vino che mi ha colpito molto per la sua vena acida che garantisce una bellissima bevibilità. Costo? circa 5 euro...
Altro nome che voglio consigliare è l'azienda "Erede di Chiappone Armando", un’azienda a conduzione familiare di Nizza Monferrato che produce ogni anno circa 30.000 bottiglie di due selezioni di Barbera: la ‘RU’, che si può fregiare della prestigiosa sottozona NIZZA ed è affinata per 12 mesi in legno, e la ‘BRENTURA’, affinata circa un anno in vasche di acciaio. Il primo vino, un 2004, è davvero un grande barbera, di una beva fantastica grazie ad una spina acida di grande classe. C'è tutta l'essenza di un vino conviviale ma che al tempo stesso non rinuncia a qualità e finezza. Il Brentura, invece, lo commenterò domani visto che ha vinto anche la stella Slow Food.