La retorica di Natale tra spumante e champagne!



Ogni Natale, ogni fine anno sempre le stesse parole, la stessa retorica.

" Non e' vero che lo Champagne scorre come un fiume in piena ".

" Non e' vero anche perche' da noi e nel resto del mondo ad averla vinta e' lo Spumante italiano ".

" E' a Natale, e' a Capodanno che chiunque puo' capire cosa contano l'agricoltura italiana, l'agroalimentare italiano, in particolare il vino italiano ".

" Il nostro Spumante vince la sua corsa contro lo Champagne. Siamo primi nelle bollicine e, se ci fosse piu' sostegno da parte di Parlamento e Governo, probabilmente anche il Pil andrebbe meglio. Comunque, senza ironia alcuna, ironia che non avrebbe senso, l'agricoltura italiana fa gli auguri al Ministro Tremonti e a ogni cittadino che vive in un Paese dove dalle mie parti si vendono tra Prosecco Docg di Valdobbiadene Conegliano e Prosecco Doc, cioe' il Prosecco Nordestino, piu' di 150 milioni di bottiglie. Auguri e grazie a tutti i nostri produttori di Spumante, dall'Alto Adige e Trentino alla Lombardia, al Piemonte, al Veneto e al Friuli Venezia Giulia ".

Caro Galan, sicuramente i produttori delle Regioni sopracitate ti faranno gli auguri ma, da buon Ministro, perchè dimenticare chi fa una grande spumante nelle altre parti di Italia? Sai che esiste in Puglia un grande spumantista come D'Araprì? Sai che esiste Mottura nel Lazio che fa un grande spumante metodo classico??

E poi, due palle con sta sfida spumante contro champagne!!!

Evvia la retorica!!

I Sommelier del cibo?


Due giorni fa su Repubblica è uscito questo articolo che, come un pò tutte le ricerche scientifiche un pò futili, fa un pò ridere visto il tema trattato.

Sembra, infatti, che le persone in sovrappeso abbiano un naso sopraffino anche se la loro ipersensibilità alle fragranze pare sia confinata solo agli odori del cibo e non a tutti gli altri aromi. Lo sostiene una ricerca dell'università di Portsmouth, in Inghilterra, condotta su 64 volontari. 

TEST - Ai partecipanti sono stati fatti annusare due diversi odori, uno di cibo e l'altro no. Entrambi gli aromi sono stati diluiti in acqua per essere presenti in concentrazioni man mano inferiori e capire così quando l'odore non veniva più avvertito dai volontari. I test sono stati eseguiti quando i soggetti avevano fame e anche dopo mangiato, per verificare se la sazietà potesse interferire con l'olfatto. Primo risultato, l'odore non relativo al cibo viene percepito meglio da affamati. E, paradossalmente, è vero l'opposto con il profumo di cibo: i volontari lo percepivano meglio da sazi che prima di pranzo. «Questa è stata la prima sorpresa: dal punto di vista evoluzionistico, verrebbe da dire che è più opportuno essere maggiormente sensibili al cibo prima del pasto», nota il coordinatore della ricerca, Lorenzo Stafford del Dipartimento di Psicologia dell'università inglese. 


SOVRAPPESO - Perché mai allora dovremmo essere più sensibili agli odori del cibo dopo aver mangiato? «Forse perché così siamo più capaci di riconoscere e rifiutare gli alimenti quando non sono più necessari - ipotizza Stafford -. Del resto l'olfatto influenza il senso del gusto: questi dati sembrano indicare che l'odorato abbia un ruolo nei processi di segnalazione dell'appetito e della sazietà. E non a caso c'è chi ha provato a mettere a punto metodi per potenziare o ridurre l'olfatto per aiutare chi vuole perdere peso». 
Già, ma proprio chi è sovrappeso sembra più sensibile al cibo: la seconda sorpresa infatti è arrivata quando sono stati messi a confronto gli indici di massa corporea dei partecipanti con le loro capacità di discernere gli odori. Chi era sovrappeso è risultato più sensibile agli odori di cibo, molto poco a quelli non relativi agli alimenti. In altri termini, se una persona con qualche chilo di troppo entra in una pasticceria dopo pranzo viene sopraffatta dai profumi, si ritrova l'acquolina in bocca e difficilmente resiste dall'addentare un pasticcino. «L'acuito senso dell'olfatto di chi è sovrappeso potrebbe effettivamente incoraggiare a mangiare di più, anche quando si è sazi, facilitando l'accumulo di peso», osserva Stafford. Che però sottolinea come i suoi dati siano preliminari e su troppo pochi soggetti per poter essere conclusivi; per di più, i test sono stati fatti con un solo tipo di odore, per cui i risultati potrebbero essere diversi con altri. Si vedrà; nel frattempo, meglio non andare dal fornaio o in pasticceria dopo pranzo, se non vogliamo vanificare gli sforzi per stare a dieta.


Dalla serie i pancioni non potranno essere mai buoni sommelier del vino? E chi glielo dice a Cernilli?

Tutte le stranezze delle etichette del vino - parte terza


Un regalo di Natale per i lettori di Percorsi di Vino e, forse, per lo staff di Wikio al quale tanto piace la rubrica sulle etichette del vino più orrende del mondo.

Ecco una rapida e terza carrellatta di quello che non vorremmo mai vedere su una bottiglia:

Forever Amber  

Questo è un vino Sudafricano e l'etichetta mostra una donna che, a mio parere, a un sex appeal pari ad un cartoccio di alici fritte. L'etichetta è stata dipinta da George Paul Canitz, un artista degli anni '20 che pare si sia ispirato nel nome ad un famoso libro del tempo. Il vino è una sorta di moscato fortificato. Dalla serie bere per dimenticare l'etichetta...

Mad Housewife
Mad Housewife Cellars
C'erano una volta le Casalinghe Disperate, oggi invece abbiamo le Casalinghe Pazze che si mettono in testa di bere dello Chardonnay californiano del 2004 al sapore di Ikea, cioè legno..... Forse la pazzia è berlo?

Sogno uno
Savanna Wines
Ecco, forse questa è un'etichetta sexy e non poteva essere altro visto che il vino, 70% Cesanese, 20% Sangiovese e 10% Montepulciano, è il "famoso" Sogno Uno prodotto dalla porno star Savanna Samson, un vino dicono ormai introvabile che ha ricevuto attenzioni, ben 91 punti, da quell'allupato di Robert Parker. Ah, volete sapere com'è Savanna Samson? Eccola!

Savanna Samson
Ed infine....

Tiny Bubbles
Harper Hill
Mamma mia, dopo il vino della porno star arriva il vino della Buzzicona. La cantina produttrice è sempre l'americana Harper Hill's Oildale Winer che ci ha deliziato in passato gli occhi e (non) il palato con il White Trash White.   
Oggi la gamma dei vini di questa imbarazzante cantina si amplia con queste bollicine a base di Syrah e Zinfandel particolarmente consigliato per le feste perchè:"You can't have a party without Tiny Bubbles". Terribbile!!!!!!

Oggi a Roma si parla di "Vino e Giovani"


Un veicolo ricco di storia e cultura capace di oltrepassare i confini e raccontare in un sorso il  territorio di origine, le tradizioni e le persone che stanno dietro alla sua bottiglia: vino vuol dire identità culturale per i giovani italiani, che grazie ad un bicchiere e al suo essere strumento di convivialità per sua stessa natura, stringono amicizie con i propri compagni, con cui condividono la stessa passione e curiosità per il mondo dell'enologia, e scoprono nuovi territori di altri Paesi.

A dare appuntamento ai più giovani è Enoteca Italiana, domani, martedì 21 dicembre, alla Facoltà di Economia dell’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, che ospiterà “Vino e Giovani”, la campagna di educazione alimentare e comunicazione ad hoc per le nuove generazioni di Enoteca Italiana e Ministero delle Politiche Agricole, in partnership con il progetto europeo “WineInModeration. Art de vivre”: un'intera giornata per incontrare e confrontarsi con i più giovani, di cui l’attore Beppe Fiorello sarà il testimonial (info: www.vinoegiovani.it).

Tra le personalità del mondo vino, della cultura, della politica e dell'università e della ricerca che incontreranno i giovani all'Università di Roma nel talk show “Il vino: giovani a confronto su idee e valori” - in collaborazione con Assessorato alle Politiche Agricole e Valorizzazione dei Prodotti Locali della Regione Lazio e Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” - insieme al presidente di Enoteca Italiana Claudio Galletti, ci saranno, tra gli altri, Michele Bagella, preside della Facoltà di Economia dell’Università “Tor Vergata”, Paola Paniccia, direttore Master Economia e Management delle Attività Turistiche e Culturali della Facoltà di Economia dell’Università “Tor Vergata”, Adriano Rasi Caldogno, capo Dipartimento Politiche Competitive del Mondo Rurale e della Qualità del Ministero delle Politiche Agricole, Angela Birindelli, assessore alle Politiche Agricole e Valorizzazione dei Prodotti Locali della Regione Lazio, Rosa Bianco Finocchiaro, coordinatrice del Programma “Cultura che nutre”, e Omar Calabrese, docente di Semiotica delle Arti Dipartimento di Scienze della Comunicazione dell’Università degli Studi di Siena, insieme al vice-direttore del Tg1 Susanna Petruni in veste di animatrice-moderatrice.


Nell'appuntamento di “Vino e Giovani” a Roma, saranno inoltre svelati i lavori - miglior slogan, immagine, immagine con slogan e spot - vincitori dell'edizione n. 2 di “PerBacco”, il concorso di idee per dare un nuovo volto alla comunicazione del vino, dedicato ai ragazzi tra i 18 e 30 anni di età, promosso da Enoteca Italiana e Movimento Turismo del Vino. Spazio poi a vere e proprie “lezioni” di degustazione dedicate ai ragazzi: una guidata, “Alla scoperta del vino”, in collaborazione con l’Agivi-Associazione Giovani Imprenditori Vinicoli Italiani sezione Lazio, ed una libera con le etichette del Lazio, promossa con l’Assessorato alle Politiche Agricole e Valorizzazione dei Prodotti Locali della Regione Lazio ed il Movimento Turismo del Vino del Lazio.

Fonte: Sienafree.it

Il caviale come regalo di Natale...


Difficilissimo, perché costa un occhio della testa, ma se per le Feste vi dovessero regalare del vero caviale, cosa ci berreste? La risposta non è così scontata, anzi vi anticipo da subito che le bollicine non ci stanno molto bene.

Ma, anzitutto, cos’è il caviale e come servirlo a tavola? 

Il caviale è un alimento che si ottiene attraverso la lavorazione e la salatura delle uova di diverse specie di storione, il più grande pesce d'acqua dolce e salmastra diffuso in Europa.


Sebbene esistano circa una trentina di specie di storioni ed il caviale sia stato prodotto a partire da uova estratte da molte specie diverse e in varie zone del mondo, tre tipologie di caviale sono maggiormente note in quanto sono state costantemente presenti nei mercati internazionali. Esse infatti fanno riferimento a storioni che vivono principalmente nell’area più produttiva del mondo, quella del Caspio e vengono quindi pescati in Azerbaijan, Iran, Russia, Kazakistan e Turkmenistan:

Beluga (Huso huso): è la qualità più conosciuta e pregiata: si distingue per uova particolarmente grandi (fino a 3 mm di diametro) e grigiastre. Generalmente viene commercializzato in una confezione blu ed il suo costo è superiore rispetto alle altre qualità di caviale.


Asetra o Osetra (Acipenser gueldenstaedtii colchicus): proveniente dalla Russia e dall'Iran, ha uova grigie ed un sapore che ricorda vagamente quello delle noci. Generalmente viene commercializzato in una confezione gialla. Da molti viene considerato il caviale più raffinato.

Sevruga (Acipenser stellatus): è un caviale dal sapore deciso con aroma delicato; le uova sono piccole (1 mm circa di diametro) e grigie. Generalmente viene commercializzato in una confezione rossa. Lo storione Sevruga è piccolo rispetto alle altre varietà e si riproduce più velocemente; per questo motivo viene commercializzato ad un prezzo inferiore ed è più facile da reperire.

In genere la qualità del caviale è tanto maggiore quanto più le uova sono chiare. In base a questo criterio viene classificato in una scala di prestigio che comprende tre livelli. Il primo, chiamato 0, viene generalmente attribuito alle uova dal colore più scuro, le sigle 00 e 000 vengono invece assegnate, rispettivamente, ai caviali di tonalità media e chiara.
Oltre al colore è importante valutare altre caratteristiche come uniformità per dimensione e consistenza delle uova, profumo, percentuale in sale, ecc. La migliore qualità spetta al cosiddetto "royal caviar", una varietà di Osetra che vanta caratteristiche organolettiche particolarmente apprezzate.
Il caviale va servito fresco ma non freddo, poiché potrebbe essere compromesso lo sviluppo dell'aroma.
La confezione stessa - o una ciotola di cristallo - deve essere adagiata su un letto di ghiaccio tritato. Fate attenzione a non danneggiare le preziose uova nel travasarle nel recipiente di servizio e soprattutto non utilizzate mai cucchiaini di metallo: esistono in commercio apposite spatoline in vetro, madreperla, porcellana o corno. 


Per quanto concerne l’abbinamento, preferisco non accompagnare il caviale con le bollicine, soprattutto se parliamo di Champagne e Spumanti giovani, perché trovo che l’imponente nota salmastra del caviale associata a certe durezze del vino, sapidità in primis, generi un connubio di sapori forti che si esalteranno a vicenda creando un matrimonio non certo di rara eleganza gustativa. Soggettivo, ovviamente.
Per me meglio andare su un vino molto morbido, per cui se dovessi abbinare lusso con lusso la mia scelta cadrebbe su uno Chateau d’Yquem 1967, annata splendida per un vino infinito, come la persistenza del Beluga. 


Se non volete spendere un occhio della testa per il vino, proporrei di abbinare il caviale ad un più semplice Oppidum Moscato di Terracina Secco di Cantina S. Andrea, già abbinato egregiamente lo scorso anno ad EAT-ALIA con le ostriche. Le sue note di frutta esotica matura e la sua carica mediterranea dovrebbero contrastare la strapotenza del caviale che, è bene ricordarlo, i russi abbinano ad una “semplice” vodka ghiacciata. Potere dell’alcol che stronca tutto!



Fonte: Wikipedia

Un caos chiamato Doc Bolgheri


Non ne ero a conoscenza per cui ringrazio Antonio Valentini dell'Espresso Food&Wine per questo interessante articolo che fa luce su una diatriba per nulla semplice attorno alla Doc Bolgheri.

Valentini nel suo pezzo scrive che Ronn Wiegand, uno tra i più famosi master wine degli Stati Uniti, non riusciva a capacitarsi di come il Masseto non possa fregiarsi del marchio Doc di Bolgheri. «Siete pazzi», ha chiosato quando gli hanno spiegato che il super rosso di casa Ornellaia è escluso dal disciplinare in quanto merlot in purezza. Una logica che, in Francia, impedirebbe a Chateau Petrus di fregiarsi dell’appellativo di “Bordeaux”.

Un controsenso non circoscritto al Masseto, visto che accomuna anche Paleo, Cavaliere e Messorio, rossi che hanno fatto la storia vinicola di Bolgheri benché non rispondenti al marchio Doc.
Ma sulla loro inclusione, sull’ammissione dei monovitigni nel disciplinare - i precetti che governano la Doc -, i produttori sono divisi, rompendo la tradizionale coesione dell’Eden enologico toscano, dove su 1140 ettari vitati operano 48 aziende. Da una parte gli “storici”, favorevoli alla revisione delle regole; dall’a ltra un folto drappello di néofiti, non senza ruvidezza definiti “ dissidenti”. «Poteva essere un’ottima occasione di confronto - ha spiegato il dissenziente Giorgio Meletti Cavallari -, di fatto è uno scontro». Michele Satta, tra i sostenitori della modifica, rilancia: «L’opposizione è lecita, ma all’audizione di qualche settimana fa si sono presentati con l’avvocato, esacerbando i punti di vista».

Michele Satta
Nella singolare contesa bolgherese, i veterani spingono al cambiamento, i nuovi a conservare la tradizione. Una matassa maledettamente intricata per il Comitato nazionale vini, che il prossimo 16 dicembre dovrà decidere in via definitiva, tenendo conto non solo del dato numerico (di sicuro favorevole ai revisionisti) ma anche delle peculiarità del Bolgherese. Il territorio è baciato da Bacco e regala grandissimi rossi plurivarietali, eleganti e dai tannini docili, ma anche monovitigni di rinomanza planetaria. E allora, si chiedono i fautori della modifica, perché non codificare sotto al marchio Doc questo giacimento enologico? Perché, replicano gli oppositori, il Sassicaia è la quintessenza dell’identità territoriale: uno tra i migliori vini al mondo in assoluto, poliuvaggio bordolese ma non monovitigno. Quello è il modello al quale uniformarsi, l’autentico marchio del territorio. 


Valentini scrive che la contesa bolgherese si è fatta estenuante. Anche se tutti provano a minimizzare, la tensione si taglia a fette. Al punto che da Roma è stata avanzata una proposta di mediazione, benedetta Niccolò Incisa della Rocchetta, preoccupato anche di salvaguardare l’immagine dell’Eden enologico toscano. Il presidente del Consorzio, patron del Sassicaia, ha definito ragionevole l’idea di dosare tra una quota minima e massima le percentuali di alcuni vitigni bordolesi. L’escamotage tecnico non pare in grado di riportare serenità a Bolgheri, dove da quattro anni si discute della modifica del disciplinare.

Ma in realtà, ogni classificazione è pretestuosa ed è gratuito distinguere tra grandi o piccoli, veterani o neofiti, tradizionalisti o innovatori. La differenza che emerge, se in caso, è tra filosofie vinicole diverse, tra chi ritiene che l’identità del territorio sia un dato di fatto e chi pensa che essa debba ancora solidificarsi, obiettivo perseguibile nel tempo mixando con sapienza sicurezza e innovazione.

Sullo sfondo c’è la recessione globale, che ha contratto i consumi e cambiato le dinamiche dei mercati. Il Nuovo Mondo ha conquistato larghe fasce di clienti della grande distribuzione, saldando prezzi bassi e qualità standard. La massificazione dei consumi non ha toccato i grandi produttori bolgheresi, alcuni dei quali abituati a vendere solo per diritto di assegnazione ai clienti consueti, ristretto novero a cui l’accesso è garantito solo dopo una lunga attesa. Il timore, se in caso, deriva da questo: i grandi guardano ai mercati esteri, i piccoli a quelli locali.

 
Viale dei Cipressi, Bolgheri
Ma con l’ammissione dei monovitigni sotto l’ombrello della Doc, chi vieterebbe ai vigneron griffati di tentare l’assalto a enoteche, ristoranti e supermercati della Toscana con il marchio Bolgheri? Un nodo che il Comitato nazionale vini dovrà sciogliere il 16 dicembre. Dopo, qualunque sia la decisione, toccherà al Consorzio bolgherese tenere unito quel formidabile gruppo di viticoltori che in pochi anni si è imposto all’attenzione del mondo.

Ho scritto una mail al Consorzio per cercare di capirne di più personalmente. Chissà se mi risponderanno...

In Giappone si beve così!!


Dopo il precedente articolo che poneva particolare enfasi sul mercato del vino in Giappone, vi propongo oggi una carrellata delle principali bevande diffuse nel paese nipponico.  

Birra: è la principale bevanda alcolica giapponese. I principali produttori sono Asahi, Kirin, Suntory e Sapporo. Le procedure di birrificazione, come facile pensare, sono state importate dalla Germania durante il Periodo Meiji grazie ad un progetto di sviluppo creato nel Nord dell’Isola di Hokkaido.

Birra giapponese
Happoshu: letteralmente “alcol frizzante”, è conosciuta come la birra a basso contenuto di malto ed è un’invezione recente dell’industria giapponese. Ha lo stesso sapore ed alcol di una birra normale ma la bevanda contiene meno malto e, pertanto, un approccio più light. La “birra” costa anche di meno visto che la minore presenza di malto è tassata diversamente (in meno) dalle autorità fiscali giapponesi.

Third beer: conosciuta anche come “Shin Janru" o "New Genre”, questa birra è l’ultimo ritrovato dell’industria birraria del Giappone. Non avendo tra gli ingredienti di produzione il malto ma, bensì, piselli, soia, frumento, la Shin Janru è la “birra” più economica che si trova in commercio.

Tipica Third beer
Nihonshu o Sake: in giapponese, la parola "sake" designa in senso stretto una bevanda liquorosa ottenuta dalla fermentazione del riso. È anche chiamato Nihonshu (letteralmente, vino giapponese). Per estensione, col termine "sake" si intende qualsiasi bevanda alcolica. Questo doppio senso si spiega col fatto che, fino alla metà del XIX secolo, prima che il paese si aprisse ai prodotti occidentali, fu per la maggior parte dei Giapponesi l’unica bevanda alcolica conosciuta. Fu solo con la comparsa di diversi tipi di bevande come il vino, la birra o il whisky, che si fece innanzi la necessità di nominare il sake con un nome specifico.
Il Sake è una sorta di "birra di riso", visto che viene prodotto facendo fermentare del riso in acqua di fonte, dopo saccarificazione con l’aiuto di un fungo chiamato koji il cui nome scientifico è Aspergillus flavus var. oryzae. La qualità di un sake dipende da tre fattori chiave individuati dall’espressione waza-mizu-kome: waza (la competenza), mizu (la qualità dell’acqua), e kome (la qualità del riso e del grado di lucentezza).
Si contano circa una cinquantina di selezionate varietà di riso per produrre il sake. Fra i più prestigiosi si possono citare lo Yamada-nishiki (Provincia di Hyogo), l’Omachi (Province di Okayama e Hiroshima), il Gohyakuman-goku (Provincia di Niigata), e il Miyama-nishiki (Provincia di Nagano). Il riso è lucidato per liberarlo dal grasso e dall’albumina, in modo che rimanga solo il cuore del chicco, ricco di amido. Più la grana è lucida, più il residuo di seimaibuai sarà basso e più il sake sarà fine. Come per il vino in Francia, ogni regione ha il suo sake. I sake prodotti nella regione del Tohoku sono particolarmente rinomati. Si adduce generalmente il clima più freddo e la qualità dell’acqua per spiegare l’eccellenza delle diverse annate. Al contrario nel sud, le Province di Kyoto e Nada (Kobe), storicamente le prime ad aver sviluppato metodi di produzione moderni per la fornitura della corte imperiale e grandi santuari, mantengono oggi un’alta tradizione legata alla conoscenza e ad un sapere antichi. A livello locale è la presenza di sorgenti e la qualità dell’acqua che permettono di fare la differenza. L’acqua, inoltre, è anche oggetto di una legislazione specifica che riguarda la sua origine geografica e la sua purezza.

Produzione di sake
Shochu, Awamori: è un distillato contenente in media il 30% di alcol. Comunemente ha tra gli ingredienti di base il riso, le patate dolci, il lievito e/o la canna da zucchero. È di solito servito miscelato ad acqua e ghiaccio, succo di frutta e acqua tonica o tè oolong. L’Awamori è la versione del shochu di Okinawa. Differisce dall’originale in quanto è prodotto a partire da riso di stile tailandese anziché giapponese e utilizza la muffa nera Koji indigena di Okinawa.

Chuhai: sono bevande al gusto di frutta con un grado alcolico che varia tra il 5 e l’8 percento. I gusti classici includono il limone, la pesca, il lime, il pompelmo e il mandarino. Ultimamente sono stati prodotte bevande al gusto ananas, nashi, e pera invernale. Disponibili ovunque in lattina.

Umeshu: prodotto a partire dalla macerazione di prugne giapponesi all’interno di Shochu o Sihonshu. Molto dolce, fruttato, l’Umeshu è molto apprezzato da chi è non molto avvezzo all’alcol. Comunemente prodotto in casa, è facilmente reperibile ovunque siano vendute bevande alcoliche. Di solito è servito on the rocks, mescolato con soda, o come Sawa Umeshu (Umeshu acida).

Umeshu
Vino: rispetto all'articolo precedente posso aggiugere che non è stato molto apprezzato in passato per via della sua scarsa tradizione in terra nipponica, ma, ultimamente, sta guadagnando popolarità soprattutto tra le donne. Generalmente è importato dalla Francia, dall’Italia, dagli USA e dall’Australia anche se, poco alla volta, si sta sviluppando una fiorente industria domestica. I vini locali più famosi sono prodotti nella Prefettura di Yamanashi.

Altri distillati: il whisky è forse la bevanda occidentale più popolare in Giappone e spesso viene servito “on the rocks” o miscelato con acqua e ghiaccio. Bevande a base di Gin e vodka sono molto di moda nei bar, nei ristoranti e nei tipici Izakaya.

Yakitori restaurant (izakaya) in Ota

Bere in Giappone: non solo sakè


Questo fine settimana andremo a scoprire come si beve in un paese molto lontano dal nostro, non solo per via della grande distanza.
Il Giappone sarò oggetto di studio da parte di Percorsi di Vino cercando di capire che bevono i nostri amici dagli occhi a mandorla con un occhio, ovviamente, sul nascente e crescente mercato del vino.
Iniziamo il "percorso formativo" andando a leggere quanto pubblicato poco tempo fa da Wine News  relativamente alla tappa nipponica che il Vinitaly Tour.


Il mercato del vino del Giappone è ancora piccolo, con 2 soli litri procapite all’anno, ma non mancano i luoghi dedicati ai cultori del vino come, ad esempio, la catena di supermercati Isetan, e in particolare quello nel quartiere di Shinjuku: in uno dei più grandi food store della capitale giapponese, c’è un’area tutta dedicata solo al vino, dove accanto ai dominatori francesi di Bordeaux, Borgogna e Champagne, l’Italia ha un ruolo di primo piano. Qui il vino del Belpaese non è diviso regione per regione, concetto difficile da comunicare al cliente giapponese, ma per “zona”: Nord, Centro e Sud. 
Fondamentali, per vendere il vino italiano, le “fiere” nei punti vendita, ovvero periodi dedicati alla produzione tricolore in cui staff specializzato spiega tutte le caratteristiche delle etichette. 750 le etichette da tutto il mondo, con un 25% di referenze del Belpaese, con la fascia di prezzo che va per la maggiore che si conferma intorno ai 2.500 yen (22 euro), dove contano molto le etichette che riportano “medaglie” o premi, che rendono allettante la bottiglia per un consumatore che probabilmente non conosce a fondo il panorama vinicolo italiano. Curiosità: i giapponesi acquistano solitamente 2 bottiglie alla volta, una di vino rosso e una di vino bianco.


Per chi invece vuole un luogo dove il vino sia il protagonista assoluto c’è il Wine Market Party, nel quartiere di Ebisu: aperto nel 1994, contra 1.000 etichette da tutto il mondo, con il 15% rappresentato dall’Italia, dove si trovano, nell’area principale del negozio, tutti i vini sotto ai 2.500 yen, ma anche una speciale “cantina” dove vengono conservate e proposte le bottiglie più pregiate e costose (e dove la quota di presenza italiana sale al 30%). Ma qui non si trovano solo bottiglie: i wine lovers possono comprare tutti gli accessori più disparati per servire il vino, dai classici cavatappi e secchielli per il ghiaccio, a dei “kimono vesti-bottiglia”, oltre ai tanti manga dedicati o ambientati nel mondo di Bacco, come il famoso “The Drops of God” (Le Gocce di Dio), creato da Tadashi Agi (pseudonimo che rappresenta il team dei fratelli Yuko e Shin Kibayashi, 4.300.000 copie vendute solo in Giappone), capace di far impennare le vendite del vino di cui si parla in ogni numero.

Ma se è vero che il mercato del Giappone è diverso da tanti altri mercati asiatici per il maggiore livello di competenza dei consumatori, è anche grazie a luoghi dove si studia letteralmente il vino.
Come l’“Academie du Vin”, fondata nel 1987 dal britannico Steven Spurrier sul modello di quella di Parigi (del 1972), dove ogni anno, nella sola sede del quartiere di Shybuya “istruisce” ogni anno 4000 studenti, con corsi per semplici appassionati o per chi vuole diventare sommelier superando l’esame della Japan Sommelier Association. Lo studente medio? Il 65% è donna, sui 35 anni e con una buona capacità di spesa, visto che per 2 ore di lezione del corso di primo livello si pagano 8000 yen, che salgono a 10000 se si punta a livelli più alti.


I corsi sono specializzati per Paese produttore, con l’Italia che attira il 20% degli studenti, con dei percorsi di formazione che prevedono non solo degustazioni, ma anche presentazioni di vini alla presenza dei produttori (invitati tramite gli importatori) e, di tanto in tanto, anche viaggi organizzati nei Paesi di cui si è scelto di approfondire la cultura enologica.


Babbo Natale per enosboroni!


Tempo di regali questo, sui vari blog enogastronomici c’è tutto un fiorire di consigli per gli acquisti per il prossimo Natale.
Anche Percorsi di Vino prova a dare qualche suggerimento per le prossime feste natalizie focalizzando l’attenzione su un grande problema esistenziale: cosa regalare agli amici enosborni?
Se amano molto Robert Parker e tutto ciò che è americano il mio consiglio è regalare loro la tessera del club di Michael Mondavi. L’associazione si chiama Private Cellars ed è molto esclusiva darà la possibilità ai suoi membri di visitare le più prestigiose cantine del mondo (Ornellaia, Caprai), di partecipare agli eventi più esclusivi dedicati al vino, di organizzare eventi e party con lo stesso Mondavi e i suoi prestigiosi vini, di incontrare altri grandi appassionati e intenditori di vini di altissima qualità.


Se i vostri amici hanno invece voglia di campagna potete regalare loro un filare. Ci sono molte possibilità di scelta: contattate ad esempio il Comune di Castagnole che ha sviluppato un progetto che prevede la possibilità di scegliere una porzione di filare di Barbera visualizzandola direttamente nell’apposita sezione "La mappa dei filari" del sito www.lanze.it e nella sezione dedicata alla photogallery; si parte da una spesa di 100 euro per adottare un minimo di 20 metri di filare e ricevere, alla fine della vinificazione, il vino prodotto dalla propria porzione di vigneto, quantificato in 12 - 15 bottiglie. Bello vero? I vostri amici finalmente potranno dire che a tavola c’è il loro vino!


Se invece i vostri amici non sanno più dove mettere le loro bottiglie pregiate, Percorsi di Vino vi consiglia la soluzione ideale: contattare ‘Au Bonheur du Vin’ a Ginevra, in Svizzera. In pratica si porta il vino (solo vino….) in Svizzera e si affitta il caveau di una banca privata che permetterà di conservare le bottiglie a umidità e temperatura controllata e in tutta sicurezza.
Au Bonheur du Vin è un ‘mini-Fort Knox’, costruito nel 1988 come rifugio antiatomico per il personale della banca. Il caveau è una stanza completamente priva di odore, anti-sismica e con temperatura e tasso di umidità ideali e costanti. In questo bunker sotterraneo i vini sono protetti da numerose videocamere, complesse password e infine da un sistema di doppia chiave.
Nel caveau a Ginevra ci sono già 37.000 bottiglie di vino appartenenti a solo 137 clienti, tra cui alcuni esemplari unici di Château d’Yquem 1899. Un caveau analogo si trova nel cuore storico di Parigi, vicino al Louvre. Qui sono le vecchie cantine di Luigi XV Sommelier a offrirvi le condizioni ideali di conservazione per il vostro amato vino. Il costo della custodia va da 0.20 a 0.37 euro al mese per bottiglia (compresa l’assicurazione) e vengono anche ritirare le bottiglie a domicilio!


Contenti dei consigli per Natale? Al primo che commenta che sono tutte “stupidaggini” una bottiglia in regalo…..

Paolo Cianferoni: un contadino a Caparsa


Si definisce umilmente contadino del Chianti e, se passi a trovarlo in cantina, non puoi non dargli ragione visto che fin da subito ti rendi conto che il suo legame con Caparsa è unico e inscindibile.
In questo piccolo podere Paolo Cianferoni ha tutto il suo mondo, la sua compagna di vita Gianna, i suoi cinque splendidi figli, e la sua terra, un vigneto di 11 ettari posto a 450 metri s.l.m. dove alberese, galestro, argilla e sabbia formano un substrato ideale per il Sangiovese e le altre uve autoctone piantate (Colorino, Trebbiano, etc.) alcune delle quali risalgono ad oltre 40 anni di età.

Fonte: Enoclub Siena
L’amore per la natura è talmente radicato nel contadino Cianferoni che da oltre quindici anni in azienda non si adottano prodotti di sintesi ma solo antiparassitari a base di rame e di zolfo che vengono usati solo quando serve grazie all’ausilio di un sistema di monitoraggio computerizzato dei dati ambientali tramite centralina meteorologica.


Su tutta la superficie aziendale, inoltre, è praticato l’inerbimento per diminuire l’erosione del suolo, la trinciatura del prato due/tre volte l’anno e, per quanto riguarda la concimazione delle piante, si utilizza solo con letame, prodotti organici e il sovescio, una tecnica agronomica che, ad anni alterni, permette di interrare tra i filari dei vigneti il favino, una leguminose che arricchisce spontaneamente il suolo di azoto, nutriente importante per la fertilità del terreno.
I minuti con Paolo passano troppo rapidamente, staresti ore a sentirlo parlare di agricoltura, di Chianti e dei sogni di realizzare una cantina più grande, più bella.
A Caparsa non si producono vini modaioli, fatti per impressionare giornalisti e guide, qua è il territorio che la fa da padrone e Paolo deve solo adeguarsi all’annata, tremenda quest’ultima dove più del 70% del raccolto è stato compromesso dalla grandine e da un clima troppo altalenante soprattutto nelle prime fasi di vegetazione della vite. “Va bene così, vuol dire che i pochi grappoli che ho ancora sulle piante sono di grande qualità e concentrazione” mi dice Paolo un po’ sconsolato.


I suoi vini rossi, soprattutto il Caparsino e il Doccio a Matteo, sono molti lenti, slow wine li ho definiti, perché bisogna attenderli, appena usciti vanno pazientemente messi in cantina e là dimenticati per qualche anno, solo il tempo di renderli più mansueti e adatti al palato del grande pubblico, giornalisti compresi che oggi peccano di lungimiranza evitando di mettere in guida sangiovese col senno del poi.
In cantina abbiamo degustato tre anteprime assolute.



Rosso di Caparsa 2009 (sangiovese 100%): il 2008 ha ricevuto la segnalazione su Slow Wine come “Vino Quotidiano” e pochi dubbi ho sul fatto che il prossimo anno anche questo millesimo sarà presente di nuovo in guida. Siamo di fronte ad un vino che costa 5 euro circa in cantina che offre una beva eccezionale, schietto e di grande freschezza è un vino del contadino di grande purezza espressiva. Da comprare all’uscita.

Chianti Classico Caparsino Riserva 2007 (sangiovese 95%, canaiolo e malvasia nera 5%): l’annata da queste parte è di quelle abbastanza calde e il vino si presenta rosso rubino cupo e, dopo una fase iniziale di chiusura, il quadro aromatico inizia a definirsi con tocchi di frutta rossa, radici, cuoio e spezie dolci. In bocca c’è lo stile “young Caparsa” per cui rimane leggermente scontroso sul tannino anche se freschezza e profondità fanno presagire un buon avvenire.

Chianti Classico Doccio a Matteo Riserva 2007 ( sangiovese 90%, colorino 5%, ancelotta 5%): prodotto da uve di sangiovese selezionate, appena versato e degustato mi ha fatto venire in mente come l’irruenza dei vini di Caparsa sia direttamente proporzionale alla sua qualità. Questo Chianti ha tutto per essere un grande vino, è solo bellissimo bambino a cui va dato il tempo di crescere e diventare irresistibile. Oggi si beve bene il 1999. Se passate in azienda prendetelo assieme al 2006 che, complice la buona annata in Chianti, promette bene.


Territori diVini per Cantina Cremisan


Oggi vado a "Territori diVini", passerò una domenica pomeriggio all’insegna del vino e della solidarietà per sostenere la cantina di Cremisan, situata tra Gerusalemme e Betlemme, e gestita dai Salesiani dal 1885.


Alle 16.30 le porte del Museo Crocetti, via Cassia 492 verranno aperte al pubblico.

Alle 17.00 Emanuela Chiang, Coordinatrice del Progetto, illustrerà gli obiettivi raggiunti in questi anni di lavoro dedicato al potenziamento e al miglioramento della produzione vitivinicola di Cremisan. A seguire Giovanni Lai, docente dell'AIS - Associazione Italiana Sommelier terrà una degustazione guidata dei nuovi vini di Cremisan (due bianchi e un rosso) prodotti con la supervisione del noto enologo Riccardo Cotarella. Quaranta i posti a disposizione per la degustazione guidata.

  
Dalle 18 alle 23 si aprirà la serata di banchi d'assaggio e degustazione di vini (di oltre 25 cantine) per tutti, che si concluderà con un'asta di solidarietà. Dalle 21.00 il concerto "Simone Sala Trio".

I vini che la cantina di Cremisan produce vengono commercializzati nella Terra Santa, nei Paesi limitrofi e a breve anche in Italia. Il ricavato della vendita del vino va a beneficio delle opere sociali (scuole, centri di aggregazione giovanile, centri di formazione professionale, oratori) e del forno che i Salesiani gestiscono a Betlemme e a Nazareth. I beneficiari ultimi sono quindi i ragazzi, i giovani palestinesi e arabi israeliani che vivono in situazione di povertà, emarginazione e disagio economico e sociale.
 
Contributo di solidarietà: 15 euro.

Se siete da queste parti vi consiglio di partecipare, farete un bellissimo gesto. E’ Natale anche per il vino!


Wine Enthusiast incorona il Barolo Marcenasco 2006 di Renato Ratti


Per la prima volta è un vino italiano a guidare “The Enthusiast 100”, edizione 2010, la classifica dei migliori vini del mondo secondo “Wine Enthusiast”, una delle riviste “a stelle e strisce” di critica enologica più consultate dagli appassionati americani e non solo e che sembra restare, fra quelle di oltreoceano, la più attenta all’eccellenza enoica del Bel Paese.
Il “campione” di questa speciale ed importante graduatoria è il Barolo Marcenasco 2006 di Renato Ratti, ma la pattuglia degli italiani è decisamente importante con ben 15 vini nei 100. 


A seguire troviamo: il Bolgheri Superiore Sorugo 2007 di Aia Vecchia (dodicesimo posto), il Passito di Pantelleria Ben Ryé 2008 di Donnafugata (ventiduesimo posto), il Bolgheri Superiore 2007 della Tenuta Argentiera (ventiseiesimo posto), il Barolo Coste di Rose 2005 di Bric Cenciurio (ventottesimo posto), il Barolo Persiera 2006 di Josetta Saffirio (trentaduesimo posto), il Barolo Rocche dell’Annunziata 2005 di Franco Molino-Cascina Rocca (trentaseisimo posto), il Barbaresco Serracapelli 2007 di Poderi Elia (quarantatreesimo posto), il Coevo 2007 di Cecchi (cinquantaduesimo posto), il Barolo Parafada 2006 di Massolino (sessantunesimo posto), il Brunello di Montalcino Riserva 2004 di Piancornello (sessantaquattresimo posto), il Tenuta Belguardo 2007 di Marchesi Mazzei (sessantacinquesimo posto), il Madre 2006 di Poggio Antico (settantaduesimo posto), il Barbaresco Vigna San Cristoforo 2007 di Pietro Rinaldi (settantatreesimo posto) e il Sondraia 2007 di Poggio al Tesoro (ottantottesimo posto).


Il meglio del 2010 enoico del Bel Paese viene fissato da “Wine Enthusiast” anche con i “verdetti” delle altre due classifiche che la rivista americana redige annualmente e che consegnano alle etichette italiane risultati lusinghieri.

Nella “Top 100 Cellar Selection”, la classifica dei vini da collezione, prodotti dalle migliori cantine, un’iniziativa relativamente recente di “Wine Enthusiast”, partita nel 2007, le etichette italiane sono ben 17: in testa troviamo il Bolgheri Superiore 2006, prodotto nella Tenuta Guado al Tasso, di proprietà della Marchesi Antinori (secondo posto assoluto), seguono il Barolo Costa Grimaldi 2006 di Poderi Luigi Einaudi (quinto posto), il Barolo Brunate 2006 di Vietti (diciassettesimo posto), il Giusto di Notri 2006 di Tua Rita (diciottesimo posto), il Brunello di Montalcino Riserva 2004 di Altesino (ventiseiesimo posto), il Barolo La Serra 2006 di Eugenio Bocchino (trentatreesimo posto), il Barolo La Serra 2006 di Gianni Voerzio (quarantatreesimo posto), il Bolgheri Superiore 2006 della Tenuta dell’Ornellaia (quarantacinquesimo posto), il Brunello di Montalcino Riserva 2004 di Corte Pavone (quarantaseesimo posto), il Barolo Cannubi Boschis 2006 di Lucaino Sandrone (cinquantaduesimo posto), il Vin Santo Occhio di Pernice 1997 di Avignonesi (cinquantacinquesimo posto), il Brunello di Montalcino Riserva 2004 di San Polino (cinquantanovesimo posto), il Brunello di Montalcino Riserva 2004 di Uccelliera (settantunesimo posto), il Brunello di Montalcino Riserva 2004 de Le Chiuse (settantanovesimo posto), il Galatrona 2006 della Fattoria di Petrolo (ottantesimo posto), il Solengo 2006 di Argiano (ottantesettesimo posto), il Brunello di Montalcino Poggio all’Oro Riserva 2004 di Castello Banfi (novantaduesimo posto).

Cinque i vini italiani nella “Top 100 Best Buys”: il Alle Viole 2005 della Tenuta di Ceppiano (settimo posto), il Trento Talento Brut Rosè della Cantina Rotari del gruppo Mezzacorona (tredicesimo posto), il Pinot Grigio 2009 di Mezzacorona (trentaduesimo posto), lo Chardonnay Stemmari 2008 di Feudo Arancio del gruppo Mezzacorona (quantaquattresimo posto), il Salice Salentino Maìana 2006 di Leone de Castris (novantunesimo posto). 


Sono molto soddisfatta - spiega a WineNews Monica Larner, la corrispondente italiana di “Wine Enthusiast” e responsabile degli assaggi dei vini italiani - del fatto che, per la prima volta, la mia rivista assegni il primo posto ad un vino italiano. Senza fare inutili giri di parole i vini italiani restano i più amati negli Stati Uniti e spero che le nostre valutazioni abbiano l’effetto di riavvicinare gli appassionati americani anche ai vini più cari del Bel Paese. In questo senso - conclude la Larner - il fatto che sia proprio un Barolo a primeggiare, una tipologia cara, appunto, spero possa essere di buon auspicio per il rilancio dei vini più costosi, penalizzati dalla crisi”.

Fonte: www.winemag.com via Wine News

Roma, appello delle Città del vino: salvate vigneto Trinità dei Monti


Roma è la mia città per cui mi sembra quanto mai scontato riprendere la notizia comparsa tempo fa sui principali giornali che riguarda il vigneto di Trinità dei Monti. 

Simbolo del legame storico tra l’Italia e la Francia, voluto dalla città francese di Narbonne per celebrare la sua origine romana, il vigneto ornamentale nei giardini della Scuola Francese del Sacro Cuore a Trinità dei Monti in pieno centro a Roma, da cui ha origine la produzione limitata e preziosa del “Vino Gallico”, rischia di scomparire a causa della mancanza di cure e della necessità di una ristrutturazione.


A lanciare l’allarme sul grave stato di abbandono in cui versano le sue viti sono le Città del Vino, che denunciano come, ad oggi, manchi ancora l’accordo di collaborazione previsto fra Comune di Roma, Comune di Narbonne, ambasciata Francese presso la Santa Sede, Istituto Agrario “Emilio Sereni” di Roma e le stesse Città del Vino, per la sua gestione, rivolgendo il loro appello al sindaco di Roma Gianni Alemanno e all’ambasciatore francese presso la Santa Sede Stanislas de Laboulaye. 


Un accordo che - spiega il presidente delle Città del Vino Giampaolo Pioli - avrebbe previsto di affidare le operazioni di impianto e la lavorazione del vigneto ornamentale all’Istituto Agrario Statale “Emilio Sereni” di Roma, così come lo sviluppo di ulteriori scambi di esperienza tra giovani e cittadini delle due città, di Roma e Narbonne, per far sì che il vigneto diventasse un mezzo concreto per consolidare le relazioni ed i rapporti istituzionali fra comuni francesi e stranieri a sostegno della loro storia, delle produzioni di qualità e la loro valorizzazione e promozione”. 
Dall’anno di fondazione, nel 2004, ad oggi, infatti, ad occuparsi della gestione agronomica sono stati proprio gli studenti e gli insegnanti dell’Istituto, con la produzione delle prime bottiglie del “Vino Gallico” nel 2008, fino a non essere più autorizzati ad occuparsi del vigneto.

Chi può faccia qualcosa di concreto.

Fonte: Il velino

Milleduecento euro de che?????


Milleduecento euro, uno stipendio base per molte persone che lavorano in Italia. Milleduecento euro, un bel gruzzoletto per toglierci qualche soddisfazione o per realizzare uno dei nostri sogni del cassetto.

Come spendere al meglio milleduecento euro? Ecco alcune idee.

Un week end di lusso in una capitale europea......


Comprare un piccolo cinema casalingo in versione rigorosamente 3D


Regalare a tutta la famiglia una cena indimenticabile a El Celler de Can Roca. Ovviamente Menù Festival e biglietto aereo incluso.


Bere un La Tâche 2004 con i nostri amici


Qualcuno direbbe che con milleduecento euro...........



Il sito Bibenda invece ci avverte che con milleduecento euro possiamo comprare l’intera Collezione della guida Duemilavini, dal 2000 fino ad oggi.


Da quello che ho scritto i questi ultimi tempi sembra che abbia una partita aperta con Franco Ricci e Bibenda. Nulla di più falso, però è anche vero che leggendo certe cose no puoi non sorridere amaramente e fare qualche critica.
Chi potrebbe acquistare la collezione? Non di certo gli iscritti all'Ais, teoricamente i principali fruitori finali della Duemilavini, perchè la guida ce l'hanno "gratis" ogni anno in virtù della loro iscrizione all'Associazione. Ma poi, perchè spendere 100 euro di media a guida che ne vale 30 euro e la metà di queste le trovo su ebay a prezzi stracciati? 
Rarità, collezionismo estremo, voglia inconsulta di avere il numero 1 o semplice incoscienza?