Krug 1996: tutta l'emozione di uno champagne

L'azienda

Nel 1843 Joseph Krug fonda la sua azienda con un solo obiettivo: produrre uno champagne che avesse uno stile diverso dagli altri. Le successive generazioni hanno continuato a perseguire questo obiettivo arrivando, anno dopo anno, a risultati sempre migliori e portando il marchio Krug nell'olimpo dello champagne.
L’eccezionale qualità del vino della Maison Krug nasce prima di tutto da una attenta selezione delle uve che provengono da un mosaico di piccolissimi vigneti e conferite da viticultori legati all’azienda da generazioni.
La filosofia produttiva Krug prevede che tutti i vini base siano fermentati in fusti di rovere (pieces) da 205 litri di almeno tre anni (il che rallenta l’evoluzione e aumenta la capacità di conservazione), e che l'assemblaggio delle partite sia curato ancora dalla famiglia. Quest’ultima attività viene effettuata annualmente, generalmente a febbraio, da una equipe di “nasi esperti” al fine di ricercare e ricreare ogni anno lo stile Krug. In tale ambito un ruolo importante nella ricerca di questa costanza stilistica e qualitativa lo giocano i “vini di riserva” della Maison che sono una selezione dei migliori vini delle annate precedenti, vecchi anche di dieci anni, accuratamente conservati: materia prima preziosissima per uno champagne nella cui cuvée, l’assemblaggio, entra ogni anno un’alta percentuale di “vini di riserva”, talvolta quasi il 50 per cento. Una volta creata la cuvée, il vino invecchierà nelle cantine Krug per almeno 6 anni prima di rivelarsi al mondo. Alla fine avremo al palato un vino fatto di tradizione, lavoro e pazienza.

La degustazione

Presso la splendida cornice di Villa Le Corti, durante la mia partecipazione alla mostra mercato “Alla Corte del Vino”, ho potuto degustare una batteria di bellissimi champagne e spumanti tra cui un fantastico Krug 1996.
Potente, maestoso e dotato di un perlate finissimo ed elegante, al naso ci accoglie con un bellissimo quadro olfattivo dove possiamo ritrovare sensuali pennellate di aromi di agrumi secchi, pane tostato, banana verde, ananas, papaia e miele Il quadro aromatico si conclude con delle bellissime note di fiori gialli e pietra focaia. Lievi effluvi iodati.
Al palato lo champagne è cremoso, con una sapidità e una mineralità tipica dello stile Krug. Molto equilibrato, chiude lunghissimo su note di frutta gialla e miele. Ancora giovane potrà essere conservato e fatto maturare per altri 10/20 anni senza problemi.
Un vero “mostro” da avere assolutamente nella cantina personale. A chi interessa, 99/100 WS.

Finalmente la Calabria nel bicchiere: Ronco dei Quattro Venti 2005

La Calabria, un mare stupendo e un entroterra ricco di storia.
La Calabria con il suo peperoncino onnipresente e la cipolla rossa di Tropea.
La Calabria, terra di vini di qualità. No! Questo, purtroppo, non lo possiamo scrivere.

Eh sì perchè questa bella regione, dalle grandissime potenzialità in campo vitivinicolo, è un pò la cenerentola italiana in fatto di grandi vini e questo perchè la maggior parte dei vignaioli che ancora si ostinano a produrre vini di vecchia concezione, soprattutto rossi (l'unico bianco degno di nota è il riscoperto greco di bianco) legati più all'aspetto quantitativo che qualitativo. Se non ricordo male ho letto che l'80% del vino prodotto in Calabria è un vino da tavola, quindi senza etichetta, controlli, etc. Il classico vino del contadino come si produceva ai tempi della Magna Grecia.

In mezzo a questo piattume di fondo qualcosa comincia a muoversi e, seppur lentamente, qualche cantina si sta rinnovando puntando verso la qualità.

Una di queste è la Fattoria San Francesco della storica famiglia Siciliani.

Ci troviamo a Cirò nello splendido Casale San Francesco, antico convento francescano dove già nel 1578 i frati impiantarono dei vigneti, divenuto di proprietà della famiglia Siciliani dal 1777 dopo che fu soppresso con decreto di Ferdinando IV il 30 Ottobre del 1770.

Da quei vigneti ancora oggi si producono i vini della Fattoria San Francesco e l'antico convento, oggi Casale San Francesco, è il centro dell'attività agricola dell'azienda condotta oggi da Francesco Siciliani che, dopo aver mosso i primi passi all'interno della cantina di famiglia, facendo bagaglio di una consolidata esperienza nel settore, ha realizzato una sua cantina ad alta tecnologia.

Lo stabilimento di 2000 mq, di cui seicento interrati ne costituiscono la bottaia, ha una capacità produttiva di oltre un milione di bottiglie l'anno, ed è dotato di silos d'acciaio e macchinari che consentono metodi di vinificazione all'avanguardia. La scelta del controllo di qualità che accompagni le uve lungo tutto il ciclo colturale fino all'imbottigliamento, è stata la carta vincente della Fattoria San Francesco per ridare prestigio alla vocazione della sua terra, per troppo tempo offuscata da produzioni più attente alla quantità che alla qualità.La valorizzazione dei vitigni che hanno reso celebre fin dall'antichità la produzione del Cirò, caratterizza dunque la filosofia dell'azienda.


Dal Gaglioppo, vitigno di impianto collinare, dalla tipica forma ad alberello, si produce il vino che vorrei presentare, il "Ronco dei Quattroventi" dell'annata 2005, un Cirò rosso classico, felice espressione delle potenzialità di questo vitigno elevato in barrique francesi per 12/13 mesi.

Di un colore rosso rubino profondo, al naso il vino è molto complesso con belle note fruttare di marasca, prugna secca e ribes. Ruotando di nuovo il bicchiere escono le note scure, quasi ematiche, seguite da sfumature di cannella, tabacco da pipa, liquerizia. Bella scia balsamica di contorno. In bocca il vino gioca le sue carte vincenti sull'equilibrio e sulla sapidità, avvolgendo il palato con un tannino avvolgente ma non invadente, tipico del vitigno. Finale molto lungo giocato su note minerali e speziate.

Bellissimo vino e una bellissima sorpresa per me che non avrei mai pensato che da questo vitigno autoctono, il gaglioppo, si potesse tirar fuori un vino di questa classe ad un prezzo più che onesto (circa 20 euro). Speriamo che la famiglia Siciliani faccia da traino per tutti.

MAI PIU' "BRUNELLOPOLI". PETIZIONE ON-LINE

Percorsi Di Vino, al fine di tutelare uno dei vanti dell'enologia italiana nel mondo, aderisce alla campagna promossa dall'Enoclub Siena (http://www.petitiononline.com/brozzi/petition.html).

Ecco il testo integrale:

Come gruppo di appassionati di vino chiediamo il rispetto per la tradizione del sangiovese grosso coltivato a Montalcino.


La moderna agricoltura, con massiccio uso ed abuso di chimica, rischia di impoverire il terreno al punto da privarlo dei suoi componenti naturali, incapace di sopravvivere senza importanti e frequenti “flebo” di chimica. E’ il momento di incentivare con più forza una maggior tutela del valore biologico del terreno coltivato secondo criteri di naturalità.


Chiediamo il rispetto del ciclo di lavorazione tradizionale in cantina. Stop all’uso di mosti da uve non autoctone, stop ai lieviti selezionati, stop all’uso eccessivo di legni piccoli per la maturazione e in generale a tutte quelle pratiche che possono minare la naturalità e la tipicità del Brunello di Montalcino.


Sollecitiamo severità nei controlli da parte delle autorità preposte e confidiamo nel controllo interno da parte del Consorzio per il rispetto di questi imprescindibili elementi della tradizione.


Un vino snaturato è un vino che imbarbarisce i gusti del consumatore meno evoluto e altera la fiducia tra consumatore attento e produttore, la base per un duraturo rapporto commerciale, umano e di amicizia con la realtà produttiva di uno dei più grandi vini toscani, italiani e del Mondo: il nostro amato Brunello.


Enoclub Siena

Intervista esclusiva a Martino Manetti: io, mio padre, Montevertine e il Pergole Torte

Come e quando nasce la passione della tua famiglia per il vino?

La passione per il vino mio padre l’ha sempre avuta fin da piccolo, nascendo a Poggibonsi è una cosa naturale, fa parte dell’ ambiente. Considera poi che è cresciuto assieme a Giulio Gambelli, che nel corso degli anni gli ha insegnato parecchie cose. Quando ha avuto la possibilità di produrre vino da solo, non si è quindi lasciato sfuggire l’occasione.


Il tuo primo vino prodotto è del 1971. L'idea di tuo padre è stata subito quella di puntare sul Sangioveto?


Il nostro primo vino è stato il Chianti Classico 1971, una produzione di circa 4000 bottiglie. Da subito sono state eliminate le uve bianche previste dal disciplinare e si è puntato sul sangiovese come punto di riferimento per la produzione.


Siete usciti, tra i primi, dal Consorzio di Tutela del Chianti. Come mai questa scelta di "chiamarvi fuori"?

La scelta di uscire dal consorzio è stata dettata sicuramente dal carattere di mio padre, che non ha mai voluto aver padroni nella sua vita e soprattutto non ha mai accettato di sottostare a regole secondo lui sbagliate. La scommessa di puntare sul solo nostro nome è stata vinta solo grazie a alla qualità, non scordiamocelo. Il tempo penso ci abbia dato ragione.

Oltre a te e tuo papà, chi sono le persone più importanti in azienda? Puoi spiegarmi perchè è fondamentale il loro ruolo?

Le persone importanti in azienda , oltre a Sergio, sono state e sono tuttora Bruno Bini, il fattore, nato a Montevertine e sempre vissuto qua dedicandosi alla fattoria, prima come mezzadro e poi come collaboratore principale. Si può considerare senza dubbio la memoria storica dell' azienda, nonché il primo cantiniere. Poi Giulio Gambelli, senza di lui Montevertine, almeno a questi livelli, non sarebbe mai esistita. Per vent'anni ha lavorato con noi anche mio cognato Klaus Reimitz, che ha fatto moltissimo per l'azienda, sia in cantina sia nelle relazioni con l'estero. Purtroppo un paio di anni fa avvenimenti familiari ci hanno diviso, con mio profondo rammarico.Oggi citerei anche i nostri collaboratori di cantina e di vigna Andrea, Stefano, Marco, Paolo, Marco e Armando senza i quali non si andrebbe certo avanti. Poi la nostra segretaria - factotum Romanita, che si occupa del "lato oscuro" dell' azienda, cioè l'ufficio, sollevandomi quotidianamente da beghe varie. Last but not least, Giselda e Claudia, le cuoche del reame, e penso tu sia d'accordo....

Mi puoi parlare delle attuali vigne e di come le gestite?

Le vigne attuali sono un insieme di vecchi e di nuovo. Del nucleo originale, piantato fra il 1968 e il 1982, oggi rimane solo la vigna Pergole Torte, la prima, ed una parte sotto le cantine. Queste sono state “restaurate” negli ultimi due anni, reimpiantando le fallanze e sostituendo pali e fili. Stiamo oggi procedendo al reimpianto completo di 2,5 ettari piantati nel 1972, che verrano quasi interamente piantati a sangiovese, salvo qualche filare di canaiolo e colorino. Abbiamo poi un nucleo di 3,5 ha a Selvole, a 3 km di distanza, piantato nel 1997, altri 2 ha sotto la fattoria piantati nel 1999, la vigna del sodaccio, reimpiantata completamente nel 2000 e la vigna del pian del ciampolo, piantata ex novo nel 2003. Dal 2006 abbiamo poi preso in affitto due piccoli appezzamenti contigui alla fattoria per un totale di 1,5 ha. Considera che le vigne vecchie sono allevate a guyot, mentre tutte quelle nuove a cordone speronato. Tutti i lavori in vigna sono eseguiti manualmente, ad eccezione dell’ aratura , della concimazione e della cimatura estiva. Per la concimazione usiamo maggiormente stallatico. Per la difese della vite, la tradizionale poltiglia bordolese, salvo casi eccezionali. Mai e poi mai antimuffe varie, comunque.


Come nasce il Pergole Torte? Come lo potresti definire?


Il Pergole Torte nacque nel 1977, come proposta di chianti classico “superiore”. Proposta che come ben sai venne bocciata dal consorzio, dando vita alla scelta di uscirne fuori. Ancora oggi penso che questa definizione possa andar bene. Il Pergole è in effetti, almeno nei nostri intenti, un vino fortemente di territorio, che prova ogni anno ad essere migliore e a sfruttarne appieno le caratteristiche.


Vi aspettavate tutto questo successo?


Il successo? Sono sicuro che Sergio se l’aspettava, non ha mai intrapreso un‘ attività per il gusto dell’avventura, sapeva certamente che ne sarebbe uscito qualcosa di buono. Io a dire il vero nel successo ci sono nato, è inutile nascondersi, è da quando sono bambino che sento parlare del nostro vino come di un punto di riferimento. E qui viene il difficile, mantenere il successo in tempi come questi, dove tutti sono pronti a cogliere in fallo alla minima esitazione chi il successo appunto ce l’ha. A volte, comunque, confesso che ogni tanto mi stupisco dei complimenti che riceviamo, dopotutto siamo solo dei normalissimi viticultori e non abbiamo certo inventato nulla di nuovo.


Qual'è l'annata del Pergole che ritieni migliore? E quella secondo te sottovalutata?


L’annata migliore del Pergole, e penso che siamo d’accordo , è stata il 1990, non ci sono dubbi. A ruota metterei il 1988, il 1981, il 1999. Per il 2001 e il 2004 aspettiamo. Quelle sottovalutate sono il 1996 e il 1998, a cavallo della sopravvalutatissima 1997.


Se e cosa è cambiato nell'attuale processo di vinificazione del vino dopo la morte di tuo padre? Stai dando una impronta tutta tua oppure c'è sempre il rispetto della tradizione?


Dopo la morte di mio padre non è cambiato assolutamente nulla, ci tengo a dirlo. I nostri metodi di vinificazione sono gli stessi da sempre, con una guida come Giulio del resto non potrebbe essere altrimenti. Quello che è cambiato è l’attrezzatura di cantina, abbiamo comperato macchinari più moderni per aggiornarci e lavorare meglio, sempre nel rispetto di un metodo consolidato e, ritengo, vincente.

Vega Sicilia Unico: emozioni di Spagna

La storia di Vega Sicilia comincia nel 1864 quando Don Eloy Lacanda y Chaves, di ritorno da Bordeaux dove aveva studiato enologia, acquisì alcuni terreni a Castiglia, nella rinomata zona vinicola di Ribera del Duero, e decise di piantarci Cabernet Sauvignon, Merlot, Malbec (pari al 40% del totale del vigneto) insieme all'uva rossa più tipica della zona: il Tinto Fino o Tinta del Pais, meglio conosciuto come Tempranillo.
I duecentocinquanta ettari di vigneti (anche centenari) di proprietà sono piantati su suoli di composizione siliceo-calcarea ed in parte alluvionali e crescono ad un’altezza di settecentocinquanta metri sul livello del mare, a poco distanza dal fiume Duero, che tempera i rigori invernali e la calura estiva. Tali vitigni, concimati in maniera totalmente organica, hanno una bassissima resa per ettaro (circa 22 hl/h) grazie all’utilizzo intensivo della “potatura verde” che riduce la produzione di uva a meno di due chilogrammi per ceppo. Dopo aver effettuato la fermentazione alcolica che dura circa 15 giorni, il vino svolge la malolattica in legno e rimarrà all’interno dei tini riposando e chiarificandosi per al massimo un anno. Il processo di affinamento dell’ ”Unico” è particolarmente lungo e meticoloso e prevede due peculiarità: il vino, infatti, dopo il processo di fermentazione viene dapprima passato in barrique nuove assemblate sul posto nel laboratorio del bottaio, poi nelle vecchie botti della Maison Radoux e infine, prima di essere imbottigliato, in grandi botti di legno. Il vino imbottigliato rimarrà in affinamento per almeno altri tre anni.
Altra peculiarità è che non esiste, comunque, nessuna regola commerciale o periodica che impone il rilascio dei vini: la scelta si basa unicamente sulle decisioni dell'enologo che lascia maturare il vino nella botte per tutto il tempo che ritiene necessario a rendere unico il celebre vino di Vega Sicilia. È sufficiente pensare che nel 1991 fu immesso nel mercato l'annata 1982 insieme all'annata 1968. Mentre nel primo caso nove anni di maturazione si sono ritenuti sufficienti per considerare il vino pronto, nel secondo caso si è atteso per ben 23 anni. Il rigore produttivo di Vega Sicilia impone inoltre che nelle annate considerate di qualità non sufficiente - in genere due o tre volte in dieci anni - il vino Unico non viene prodotto.

Vega Sicilia, Unico, 1985: Di un bellissimo rosso rubino che non sembrerebbe denotare un vino vecchio di oltre venti anni, al naso parte un po’ chiuso ma, dopo una decina di minuti e qualche rotazione del bicchiere, si apre magnificamente su note di ribes nero, prugne, frutti di bosco, rovere, tabacco e spezie. In bocca è corposo, potente, quasi masticabile, con un finale interminabile giocato su note di frutta nera e spezie orientali. Bellissimo e giovanissimo.

Vega Sicilia, Unico, 1986: Anche qua di un rosso rubino che denota una grande gioventù, questo vino si presenta con sapori e aromi di prugne, confettura di frutti di bosco, cioccolato, anice e tabacco. Qualche note ferrosa e vegetale che va via man mano che il vino si ossigena. Al palato dimostra di avere classe da vendere con tannini bel equilibrati e supportati da una acidità ancora ben viva. Lunghissimo il finale che ritorna su note cioccolatose e floreali. Da bere subito dopo averlo stappato ma ancora meglio dopo 24 ore dall’apertura dell bottiglia. Un grande Unico!

Vega Sicilia, Unico, 1990: Rosso rubino concentrato, al naso è un caleidoscopio di profumi: si passa dalla note di confettura di prugna al caffè, dai sentori di scatola di sigari all’humus, dalle erbe aromatiche alla viola passita. Sono entusiasta di questi sentori così netti, marcati, avvolgenti. Alla gustativa il vino risulta essere ampio, possente, masticabile ma piacevolmente vellutato. Grande struttura per un grande vino che può essere tranquillamente lasciato in cantina e degustato di nuovo dai vostri nipoti. Mitico!

Vega Sicilia, Unico, 1995: Rosso rubino intenso, al naso è intenso con aromi di mora, mirtillo, ciliegia sotto spirito, sandalo, scatola di sigari, caffè, cuoio,liquirizia, viola passita e cioccolato fondente. In bocca è molto intenso, ricco, con un tannino ancora giovane che solo il tempo potrà smussare. Finale intenso giocato su ritorni di tabacco, caffè e ciliegia. Manca forse della struttura del 1990 ma è sempre un grande vino. Da aspettare con calma.

I vini della Heres: qualità sopra ogni cosa

Bella serata ieri sera al Crown Plaza di Roma dove la Heres ha presentato i vini che distribuisce in esclusiva per l’Italia. Buonissimo il livello medio qualitativo dell’offerta per questa piccola grande società che punta dritto alla qualità dei suoi prodotti.

Ho passato in degustazione i seguenti vini:

Domaine Joseph Voillot - Volnay 1er Cru Champans 2006: I vini di Voillot sono sensuali, eleganti, puri, e questo da me degustato è forse un vino che esprime al meglio le caratteristiche del produttore. Di un rosso rubino molto scarico, al naso stupisce per piacevolezza e semplicità olfattiva. Ha un frutto puro, intenso, fragrante: di fragolina di bosco, ribes e lampone. Bello il floreale con note di rosa canina. Al palato il vino è fresco, intenso, con un tannino da manuale e una corrispondenza gusto-olfattiva perfetta.

Domaine Joseph Voillot - Pommard 1er Cru Les Rugiens 2006: Questo Pommard è forse il più maschio dei tre vini di Voillot da me degustati. Di un rubino scarico, al naso presenta eleganti note di fruttini rossi, violetta e terra bagnata. In bocca è setoso, con un tannino elegantissimo e un finale lunghissimo.
Domaine Joseph Voillot - Volnay V.V. 2006: questo è un vino di una freschezza e di una bevibilità assurda. Elegantissimo al naso con note di ribes, fragola di bosco e geranio, in bocca è di buon corpo, dolcemente morbido e con una persistenza fantastica. Vino sicuramente non da meditazione ma che berrei a secchi (scusate il termine tecnico).
Domaine Mugneret-Gibourg - Vosne Romanée 2006: altro vino di una bellissima purezza olfattiva con belle espressioni di frutta rossa e lievi accenni di sottobosco e tabacco dolce. Ben bilanciato in bocca, con un tannino setoso, ha una bellissima persistenza finale.
Domaine Fourrier – Gevrey Chambertin 2006: un bellissimo village che concede subito il fruttato/floreale di ribes, ciliega e rosa canina più note animali di pelliccia. In bocca è morbido, ampio, con una bella persistenza al palato. E questo sarebbe un vino base?

Domaine Fourrier – Gevrey Chambertin 1er Cru Combe aux Moines 2006: un capolavoro che parte fortissimo con note intense di geranio, sensazione fruttate vive e crude di ribes e the nero. In bocca è intenso, ampio, elegante, con tannino avvolgente e un finale lunghissimo giocato su note fruttate. Da comprare a vagonate.

Domaine Bart – Marsannay Les Longeroies 2006: bel vino che presenta subito al naso note floreali di viola e rosa canina, seguite da piccoli accenni di frutti rossi maturi e cioccolato bianco. L’eleganza olfattiva è forse messa in discussione da una nota alcolica forse un pochino invasiva. Al palato è fresco, con tannini morbidi ben estratti, il finale torna su note floreali e fruttate molto piacevoli.
Tenuta delle Terre Nere - Etna Rosso Cru Guardiola 2006: continua l’ascesa qualitativa di questa bellissima realtà etna con un vino che presenta un naso ricco, balsamico, di macchia mediterranea e frutti rossi maturi. Rispetto al 2005 forse manca di quella mineralità tipica delle zone vulcaniche. In bocca è complesso, elegante, con una bella corrispondenza gusto-olfattiva. Altra bella espressione di nerello mascalese.
Tenuta delle Terre Nere - Etna Rosso Cru Calderara Sottana 2006: vino più potente del precedente dove il quadro olfattivo è giocato su note di frutta sotto spirito, macchia mediterranea e un fumè tipico del vigneto. La bocca è calda e potente anche se dominata da un alcol forse un poco da smussare. Bella trama tannica e un finale leggermente amarognolo. Da tenere sicuramente in cantina ed aspettare.
Le Macchiole – Scrio 2004: non sono amante del syrah ma questo vino ieri sera mi ha conquistato totalmente. Ha un naso incredibile, fantastico, giocato su note intense di rosmarino, salvia, eucalipto, alloro, seguite dai classici sentori fruttati e speziati. In bocca è rotondo,intenso, con un tannino perfettamente integrato ed un finale lunghissimo con ritorno di menta e pepe nero. Che grande vino!

Fattoria Petrolo – Galatrona 2005: non amo troppo questi vini dal gusto tipicamente americano. Naso dolcissimo di vaniglia, frutta rossa matura, violetta, tabacco dolce da pipa, pepe bianco, cioccolato al latte. In bocca è morbido, piacione, con un tannino setoso e un finale lungo giocato su ricordi di frutta e cioccolato. Per chi ama il genere.

Domaine Jacques Frédéric Mugnier: piccola verticale di Musigny

Dal 1863 questa proprietà famigliare ha sede presso Château de Chambolle-Musigny, dove occupava, fino al 2004, una superficie a vigneto di soli 4 ettari. Dapprima specialista di piattaforme petrolifere poi pilota di linea Frédéric Mugnier si è convertito da qualche anno alla viticoltura rilevando la direzione dell’azienda. Possiede delle vigne nel cuore di Chambolle-Musigny nelle migliori denominazioni del comune: Musigny, Bennes Mares, Les Amoureuses e Les Fuées. I suoi vini sono un modello di classicità, privilegiano la finezza e l’eleganza tradizionale dei vini di Chambolle. “Un grande vino è prima di tutto l’espressione di un vigneto; il territorio deve essere accompagnato e protetto dal vignaiolo nel pieno rispetto dell’equilibrio naturale. Per ottenere questo è nostro impegno praticare una viticoltura rispettosa dell’ambiente, cioè senza l’utilizzo di fertilizzanti industriali, diserbanti e insetticidi. L’uso di una coltura biologica o biodinamica prevede la convinzione che esistano dei prodotti buoni o cattivi. La nostra convinzione invece è che non esistano dei buoni prodotti, per questo è fondamentale limitarne l’uso al minimo vitale. Bisogna talvolta convivere con la presenza di malattie e parassiti per permettere il giusto equilibrio naturale. Anche in cantina evitiamo il più possibile gli interventi come estrazioni eccessive e la standardizazione creata dall’utilizzo del legno nuovo. L’obiettivo da raggiungere è quello di ottenere vini che siano l’espressione del territorio, dell’annata e soprattutto sinceri”.
Salendo la gerarchia delle denominazioni queste sono completate da una maggiore struttura, profondità e da un adattamento all’invecchiamento superiore. Les Fuées e Bonnes Mares, situate a nord del villaggio hanno uno stile più maschile con un attacco più potente e austero in gioventù e con una spiccata mineralità. Les Amoureuses e Musigny, situati a sud, sono più sottili e floreali con una lunga persistenza gustativa. Bonnes Mares è frutto di una striscia di 35 acri, le vigne più vecchie furono piantate nel 1961 metre il rimanente negli anni ’80. Racchiude le caratteristiche dei due comuni che si dividono questo Grand Cru: la solidità di Morey-St. Denis dove sviluppa aromi di frutti rossi a cui si miscelano le sfumature minerali e di sottobosco caratteristiche di Chambolle. Gli è necessario un invecchiamento minimo di 8-10 per potere esprimere tutto il suo potenziale; la produzione annuale varia dalle 900 alle 1′500 unità. Les Amoureuses è senza dubbio il più prestigioso Premier Cru di Chambolle-Musigny, in grado di rivaleggiare con i Grands Crus della Côte d’Or. La nostra parcella occupa 53 acri, dove i ceppi più vecchi hanno più di 60 anni. Il suo suolo è costituito da uno strato argilloso di 30-50 centimetri di spessore che ricopre delle rocce calcaree nelle quali le radici penetrano in profondità. Il vino presenta un perfetto equilibrio tra la ricchezza (intensità aromatica, struttura e persistenza gustativa) una grande delicatezza. È necessario concedergli almeno 7-8 anni di affinamento, ma se avete pazienza il potenziale d’invecchiamento supera certamente i 40-50 anni. La produzione annuale varia dalle 1′000 alle 2′500 annue.

Musigny è considerato come uno dei maggiori vini rossi della Borgogna, la parcella di proprietà è di 1.14 ettari interamente situata nella frazione detta Grand Musigny. Tutte le vigne furono piantate tra il 1947 e il 1962, il suolo varia a seconda dell’altezza della collina. La parte bassa è del tutto simile a quella di Les Amoureuses con una roccia che permette un veloce drenaggio. La parte più alta è formata da detriti calcarei che assicurano una buona riserva idrica rendendo questa parcella poco sensibile alla siccità estive garantendo ogni anno una maturazione completa e regolare. La cuvée prodotta evoca grande eleganza, profondità, intensità e una persistenza ineguagliabile. Questo grande vino si sviluppa lentamente, almeno 10 anni sono necessari per affinarsi; il suo potenziale d’invecchiamento nelle migliori annate è pressoché senza limiti. La produzione annua varia dalle 2′000 alle 5′000 bottiglie.

Di seguito trovate alcune note di una piccola grande degustazione effettuata col mio club:

2005 - Rosso rubino brillante. Naso incredibile caratterizzato da aromi di frutta rossa selvatica, violetta, roccia rossa, spezie esotiche, cioccolato amaro, caffè e sottobosco, in un avvolgente sensazione complessiva. Grande maestosità al palato, ricco, profondo e setoso. Esprime una progressione gustativa impressionante con un tannino non ancora perfettamente equilibrato e sorretto da una spina acida che, per quanto non immediatamente avvertibile, c’è, e permette al vino di distendersi in un finale lungo e avvolgente che ritorna su toni minerali e fruttati. Che dire? Forse oggi è ancora giovane, gli farà bene un ulteriore affinamento di 10 anni e, quando sarà adulto, rappresenterà un vero e proprio monumenti dell’enologia mondiale.

2004 – Rosso rubino intenso. All’olfattiva il vino esprime sensazioni di ribes, mora, ciliegia, caffè e sottobosco. In bocca è ampio, morbido, carezzevole con una rapporto tra parti dure e parti morbide in perfetto equilibrio. Finale interminabile che gioca sui toni fruttati e coccolatosi. Un vino anche questo da aspettare se si vuole dargli maggior eleganza, ma da bere con grande goduria anche oggi. Uno schiaffo a chi pensa che in vini del 2004 in Borgogna sono figli di un’annata minore. Solo chi sa ben lavorare in vigna sa produrre certi capolavori. Sempre.

2003 – Rosso rubino carico. Al naso si distinguono aromi maturi di frutti di bosco, cioccolato amaro e catrame. Qualche cenno balsamico. Da media a piena concentrazione all’attacco sul palato, acidità leggera, tannino ben modellato. Finale lunghissimo con retrogusto di carrube e fiori rossi passiti. Un vino da intense passioni.

Grazie a Stefano e Giorgio per il contributo sul Domaine (http://vinidiborgogna.wordpress.com)

Verticale storica di S.Leonardo: l'eleganza nel bicchiere

Ve lo dico subito, questo post non è obiettivo. Volete sapere perché? Semplice, andrò a descrivere una pura emozione, una emozione di tipo enoico che solo il S.Leonardo può darmi. Quindi, se volete sapere perché questo vino è il mio preferito, continuate a leggere, altrimenti…..

La Tenuta S. Leonardo si trova in Trentino, a metà strada tra i paesi di Masi e di Borghetto, nel cuore della Vallagarina, area che da Castel Beseno sopra Rovereto si estende verso sud sino a Borghetto, e compone una piccola comunità organica cementata da forti ragioni storiche, culturali ed economiche, posta nella parte più meridionale del Trentino, immediatamente confinante con la provincia di Verona.
La famiglia Guerrieri Gonzaga è proprietaria della Tenuta da oltre 200 anni, ma la storia del S.Leonardo risale a tempi molto più recenti ed ha un preciso nome e cognome: Marchese Carlo Guerrieri Gonzaga che, dopo la scomparsa del padre, prese in mano le redini dell’azienda. Avvalendosi degli studi di enologia e delle esperienze maturate in Francia e in Toscana, e con i preziosi consigli di un grande esperto come il dottor Giacomo Tachis, primo grande enologo del S.Leonardo, Carlo Guerrieri Gonzaga ha cercato di valorizzare al meglio i suoi vini attraverso la scelta dei vitigni più adatti (il Lambrusco a foglia tonda, il Marzemino e il Teroldego hanno lasciato spazio ai vitigni dell'Haut Médoc quali Cabernet Franc, Cabernet Sauvignon e Merlot), la cura dei vigneti (adozione del sistema guyot ottenendo rese per ettaro da 50/60 quintali), l'attenta selezione in vendemmia, il rigore delle pratiche di cantina, la pazienza nell'affinamento, le straordinarie potenzialità di questo territorio e di creare, anno dopo anno, vini che ne rispecchino e ne esaltino il carattere peculiare.

Il San Leonardo è un classico “taglio bordolese” e nasce da un sapiente assemblaggio del vino di
tre uve, vinificate ed invecchiate separatamente: Cabernet Sauvignon 60%, Cabernet Franc 30%, Merlot 10%. Dopo una permanenza in piccole vasche di cemento, dove viene avviata la fermentazione malolattica, i vini trascorrono almeno sei mesi in botti di rovere di Slavonia da 60 ettolitri per poi sostare in piccoli fusti di rovere francese, nuovi, ma anche di secondo e terzo passaggio, per un periodo di 24 mesi. Prima dell'imbottigliamento viene effettuato il taglio e le esatte proporzioni vengono decise solamente dopo una severissima degustazione barrique per barrique (in questa fase sono estremamente preziosi la lunga esperienza e il talento di grande assaggiatore dell’attuale enologo, Carlo Ferrini). Prima della commercializzazione il vino viene affinato in bottiglia per almeno 18 mesi. San Leonardo è prodotto solo nelle annate che assicurano un risultato qualitativo all'altezza e quando tutti gli elementi assicurano di poter ottenere un vino di grande personalità e carattere. Per questo motivo sono stati "saltati" millesimi come il 1984, il 1989 (annata grandissima in Piemonte e a Bordeaux ma non in Trentino), il 1992, il 1998 e il 2002.


LA DEGUSTAZIONE

Nella splendida cornice del Parco dei Principi di Roma, alla presenza del Marchese Carlo Guerrieri Gonzaga e dell’enologo Carlo Ferrini, si è svolta una bellissima degustazione di 16 annate di S.Leonardo:

1985 - Rosso granato con riflessi arancio. Al naso il vino presenta sentori terziari di cardamomo, tabacco, china, cappero, lievemente salmastro. La bocca è sapida, levigata, con un tannino ormai alla fine della corsa ma sostenuto ancora da una buona spalla acida. Chiude con lievi note di scorza d'arancia. Elegante nonostante tutti gli anni.

1986 - Rosso granato, più cupo rispetto alla precedente annata. All’olfatto il vino ha netti sentori di goudron, catrame e cuoio; più maschile dell'85. In bocca il vino è maggiormente tannico rispetto alla precendente annata pur avendo meno acidità e meno persistenza. Grande potenza anche se stona una una nota troppo alcolica nel finale.

1987 - Rosso granato scuro. Il naso, poco espresso, gioca su note di prugna, salamoia ed ematiche (ferro?). In bocca il vino è un compendio dei precendenti assaggi in quanto presenta una acidità vibrante, come il 1985, e una buona potenza alcolica, come il 1986. Chiude con buona persistenza e sapido.


1988 - Rosso granato compatto, senza alcuna unghia aranciata. I naso viene pervaso immediatamente da una bella nota balsamica, seguita da sensazioni di frutta rossa in confettura e note affumicate. Splendido alla gustativa con una bocca elegante e un tannino fine sorretto da una buona acidità. A detta dell'attuale enologo Carlo Ferrini un San Leonardo didascalico nella sua prima grande annata.

1990 - Rosso granato. Al naso arrivano di nuovo le sensazioni mentolate, seguite da accenni di humus, terra bagnata e rabarbaro. Bocca molto ricca, strutturata, densa, con tannini avvolgenti sorretti da una acidità meno vibrante rispetto al 1988. Finale lungo con reminiscenze di tabacco e accenni minerali.

1991 - Rosso granato con lieve sfumatura mattonata scura. All’olfattiva il vino si presenta con aromi Al di tabacco scuro,cuoio, fungo, sottobosco. Manca stavolta la vena balsamica. In bocca è avvolgente, sapido, con un tannino e la nota alcolica in evidenza. Elegante nonostante il peccato della scarsa persistenza in bocca.

1993 - Rosso granato scuro. Al naso ritorna in maniera prepotente la bella nota balsamica, seguita da sentori di tabacco da pipa, scorza di arancia, tamarindo e legno di cedro. Attacco gustativo di gran classe ed eleganza caratterizzata da un tannino finissimo sorretto da una bellissima vena acida. Superiore ai precedenti. Da paragone.

1994 - Granato leggermente scarico. Naso leggermente chiuso dove trapelano note minerali e di china molto fresche che vanno a fondersi ad una sensazione di affumicato. Nessuna nota balsamica. Alla gustativa il vino è morbido e si amplia in bocca attraverso una bella nota sapida. Chiude non troppo persistente su note minerali.

1995 – Color granato scuro. Al naso torna la bellissima note mentolata seguita da aromi di tabacco a cui seguono rabarbaro, tamarindo, erbe officinali, noce moscata e chiodo di garofano. Palato importante: Palato importante: l'impatto è dominato da acidità e tannini avvolgenti, acui fa seguito un bel ritorno di frutta. Giovane, ancora da aspettare per qualche anno.

1996 - Granato cupo. L’olfatto gioca su note ben distinte di china, caffè e un chiaro sentore mentolato che ricorda l'After Eight . La bocca ha una buona corrispondenza al naso e tutta la struttura del vino si caratterizza per il grande equilibrio. Pronto.

1997 - Rosso rubino tendente al granato. Naso intenso in cui spiccano eucalipto e ginepro. Ad una seconda olfazione escono le note di frutta nera, cuoio e leggeri sentori speziati. La bocca è elegantissima, calda, caratterizzata da tannini morbidi, dolci e carezzevoli e da una chiusura molto persistente su note agrumate. Di maggior struttura rispetto alle annate precedenti. A detta dell'enologo il paradigma di ciò che vuole ottenere dal San Leonardo nel futuro.

1999 - Rosso rubino tendente al granato. Naso dominato ancora una volta da sentori di eucalipto, seguiti da sentori minerali, tabacco e prugna. Alla gustativa il vino è ricco, polposo, con un tannino evidente anche se leggermente slegato se paragonato all’annata precedente. Chiude di media persistenza su ricordi minerali.

2000 - Rosso rubino scuro. Vino che al naso, oltre alla “classica” note balsamica e di frutta rossa, comincia ad esprimere anche sentori floreali di viola. Alla gustativa presenta un tannino e un’acidità perfettamente integrati anche se si sente una nota alcolica che ricorda l’annata calda.

2001 - Rosso rubino. Naso su note medicinali, mentolate poi appena fruttato e speziato. Caratteristico. In bocca ha buona struttura e morbidezza anche se ancora si percepisce una barrique ancora non completamente digerita. Chiude con grande persistenza su ricordi fruttati.

2003 - Rosso rubino inteso. Naso che gioca su sentori di ribes, mirtillo, di prugna secca e di note note balsamiche come la clorofilla e la menta, per poi continuare con note di erbe aromatiche. La bocca risulta essere di gustosa tessitura, polposa, caratterizzata da una sapidità che si percepisce nettamente. Un'altra interpretazione del San Leonardo con un maggior estratto dovuto all’annata che va a discapito, forse, di una snellezza di beva che verrà col tempo.

2004, non in commercio - Rosso rubino. Naso che gioca su effluvi di grafite, eucalipto e su note ancora poco espresse di frutta rossa. Armonico al palato, il vino possiede una buona progressione gustativa e sembra, nonostante l’età, che le sue componenti strutturali siano già perfettamente equilibrate. Di buona persistenza, chiude su note fruttate.

Grazie al sito della Tenuta S.Leonardo per il contributo di contenuti e immagini.

Etna Rosso "Guardiola" TERRE NERE 2004: un altro grande vino dell'Etna

E' nel cuore del mediterraneo che nasce questo vino, bevanda che, alle pendici del vulcano più alto d’Europa, l’Etna, trova una delle sue massime espressioni. Salvo Foti, importante consulente enologico siciliano e profondo conoscitore della regione etnea, in un articolo apparso su Porthos (www.salvofoti.it), spiega le caratteristiche della vitivinicoltura del vulcano, peculiarità che ci permetteranno, successivamente, di comprendere il vino degustato.

Nella regione etnea esistono delle sostanziali differenze climatiche, non solo rispetto al resto della Sicilia, ma anche tra una zona e l'altra del vulcano. Ciò è dovuto al fatto che esso si sviluppa su una superficie troncoconica e alla vicinanza del mare. La particolare giacitura dell'Etna influenza profondamente il clima, nei diversi versanti, mediante due fattori: l'altitudine e l'esposizione. Questi, correlati tra di loro, danno origine a differenti microclimi e quindi a diverse microzone più o meno vocate, per la coltivazione della vite, anche all'interno di uno stesso versante del vulcano. Nella zona etnea si trovano rappresentati, nel giro di alcune decine di chilometri, paesaggi naturalistici ed agricoli che vanno dal sub tropicale a quelli prettamente montani. L'uomo, nella selezione che ha svolto sui vegetali destinati alla coltivazione, ha dovuto tenere conto, oltre alle esigenze tecniche e commerciali, della particolarità degli ambienti etnei. Tant'è che i vitigni selezionati (autoctoni) dal viticoltore, nei secoli, per i diversi ambienti dell'Etna, tranne nel caso del Nerello Mascalese diffusosi nel resto della Sicilia, sono coltivati esclusivamente nel territorio etneo o addirittura solo in alcune contrade di esso. Significativo è il periodo della vendemmia dei vitigni autoctoni etnei, che sull'Etna inizia un mese dopo (ottobre) rispetto al resto della Sicilia.
Sull'Etna si possono considerare tre grandi zone elettive per la coltivazione della vite. La prima è quella compresa tra i 400 e i 900 m.t. s.l.m., nel versante rivolto ad est, la seconda è quella compresa tra i 400 e gli 800 metri s.l.m., nel versante rivolto a nord e la terza fra i 600 e i 1000 m.t. s.l.m. nel versante rivolto a sud. Al di fuori di questi limiti altimetrici si va, quasi sempre, incontro a difetti o eccessi di alcuni costituenti fondamentali delle uve, con conseguente decadimento qualitativo dei vini prodotti.
Il Clima
Il clima della zona etnea, oltre ad essere diverso da quello siciliano, cambia in relazione al versante del vulcano ed all'altitudine. Nella zona interessata alla viticoltura, si registrano temperature medie più basse rispetto a quelle dell'Isola. Le temperature minime, specie nel versante nord, in inverno e anche nel periodo dell'inizio germogliamento, non di rado scendono sotto lo zero, potendo così arrecare qualche danno alla vite. Le temperature massime in estate non sono quasi mai elevate. Particolarmente interessante, dal punto di vista enologico, è l'elevata differenza di temperatura (escursioni termiche anche di 30°) che si registra nel periodo primaverile-estivo. Una differenza sostanziale rispetto al resto della Sicilia si ha nel caso delle precipitazioni: dipendono dal versante e sono molto più elevate nella parte est del vulcano che nord e sud. Le piogge, praticamente assenti in estate, sono per lo più distribuite nel periodo autunno-inverno e non di rado in concomitanza con il periodo vendemmiale: questo in alcune annate e per certe zone può essere un fattore limitante della maturazione e della sanità delle uve.
I Terreni
La natura del terreno della zona etnea è strettamente legata alla matrice vulcanica. Può essere formato dallo sgretolamento di uno o più tipi di lava, di diversa età e da materiali eruttivi quali lapilli, ceneri e sabbie. Lo stato di sgretolamento e la composizione delle lave e dei materiali eruttivi da origine a suoli composti, o da particelle molto fini (terreni di Verzella, Caselle), o formati da tantissimo scheletro di pomice di piccole dimensioni (Monte Serra, Monte Gorna nel versante sud-est), detto localmente "ripiddu", con capacita' drenante molto elevata. I terreni vulcanici etnei sono a reazione sub-acida, ricchi in microelementi (ferro e rame) e mediamente dotati di potassio, fosforo e magnesio. Sono poveri in azoto e calcio.
Versanti e contrade
In ogni versante dell'Etna si possono ancora ammirare le migliaia e migliaia di terrazze in pietra lavica, sovente senza più viti, che l'uomo ha costruito per conquistare i terreni più impervi, ma spesso i migliori per la qualità. Le Terrazze dette " i custeri" mantenute dai neri muri "a crudu", cioè a secco, chiazzati di licheni e muschio "u lippu" con le "rasole" stradine livellate su i muri stessi, armonicamente integrate con l'ambiente.

Ed è proprio nella parte Nord del vulcano che si producono i rossi più importanti e qualitativamente migliori dell'Etna. La Tenuta delle Terre Nere di Marc de Grazia, famoso importatore di vini, si trova proprio su questo versante. I vini sono prodotti da vigneti che si trovano in tre cru: Guardiola, Calderara e Feudo di Mezzo. Il vigneto Guardiola, di circa due ettari, è situato tra gli 800 e i 900 metri sul livello del mare ed è coltivato per il 98% a Nerello Mascalese e per il restante a Nerello Cappuccio, entrambi con età media delle piante di 100 anni. Il processo di vinificazione prevede una macerazione sulle bucce per 10-15 giorni, una fermentazione malolattica e un successivo affinamento in rovere (25% legno nuovo). Il vino viene imbottigliato senza filtrazione dopo 18 mesi.

Il vino, di un bel color rosso rubino intenso, presenta al naso una bellissima nota di macchia mediterranea, sembra di camminare in un campo di mirto e corbezzolo. Ruotando di nuovo il vino nel bicchiere escono poi dolci sensazioni di frutta rossa di rovo, scorza di arancia e viola. A chiudere, degli accenni ferrosi e iodati, tipici della zona e del terroir etneo.

In bocca ha buon attacco, complessità, con una fitta trama tannica che sembra ricordare il nebbiolo. Chiude molto lungo su note sapide e minerali.
Il Guardiola, concludendo, è un vino che molti accostano come note degustative ad un classico borgogna, anche se per me è, e rimarrà, uno splendido esempio di vino siciliano, un vino che ha personalità e sensualità da vendere, figlio di un'uva autoctona di grandissima eleganza e di grande futuro enologico grazie alla presenza nel territorio di tanti produttori in fermento che, finalmente, puntano su una viticoltura di qualità. Se proprio dobbiamo raffrontare il Nerello Mascalese ad un Pinot Noir allora ben venga il confronto, purchè gli italiani sappiano in questo imparare dai francesi che, nel corso degli anni, hanno saputo valorizzare un territorio e un vitigno puntando sulla costanza qualitativa. Ce la faremo a trasformare Randazzo in una sorta di Vosne-Romanée?

"El Maestro Sierra" - Pedro Ximénez Viejísimo: un piccolo gioiello spagnolo

José Antonio Sierra, maestro bottaio, lavorava nello Jerez per tutte le principali case prodruttrici di sherry dell'epoca. Noto come "El Maestro Sierra", nel 1832 costruì la sua piccola cantina per iniziare anch'esso il commercio dello sherry. Visto che al tempo tale attività imprenditoriale era effettuata solo esclusivamente dai nobili, al Mastro Sierra non fu certo dato il benvenuto anche se alla fine, dopo aver superato notevoli difficoltà, riuscì a stabilire e sviluppare il suo commercio. A ricordo di tali contrasti, l'etichetta delle sue bottiglie mostra una allegorica caccia alla volpe dove i nobili, appunto, cercano di cacciare la volpe, cioè il Maesto Sierra.
L’attività relativa al deposito di vini è poi stata portata avanti dalla famiglia di Sierra fino a pochi anni or sono. I discendenti del maestro hanno poi finalmente deciso di imbottigliare in proprio il vino delle soleras che di solito veniva acquistato dalle grandi cantine. Da notare che le soleras della cantina hanno una età che va da un minino di 60 ad un massimo di 100 anni circa. Un autentico tesoro che fornisce al vino una qualità straordinaria.
Per i pochissimi che non sanno ancora in cosa consiste, il metodo soleras è un sistema per l'invecchiamento dei vini, che consiste nel disporre delle botti di rovere su alcune file sovrapposte, iniziando a riempire di vino solo le botti più in alto; dopo un anno una parte del vino viene travasato nelle botti che si trovavano al livello inferiore, e quelle superiori vengono riempite con il nuovo vino, ed il procedimento si ripete di anno in anno; in tale maniera il vino che si trova nelle botti alla base, pronto per il consumo, risulta composto da uve di annate diverse, e di anno in anno si arricchisce di particolari sapori. Già conosciuto in Portogallo ed in Spagna per la produzione rispettivamente del Porto e dello Sherry, fu introdotto da John Woodhouse in Sicilia per l'affinamento del Marsala. In pratica, si mettono cinque botti, costruite con legni differenti, in verticale una sopra l'altra e piene per 2/3. Nel momento in cui si aggiunge del vino ad invecchiare nella botte posta in sommità, 1/3 del contenuto viene trasferito nella botte sottostante, e così si prosegue fino ad arrivare a quella posta al suolo ("solera", appunto)piena, dove 1/3 del vino di almeno cinque anni, tolto viene imbottigliato. Esiste il Soleras Stravecchio, che ha un minimo di dieci anni di invecchiamento(1).
Venendo alla degustazione, già dal nome Viejísimo possiamo capire che siamo di fronte ad un prodotto molto invecchiato: il sito aziendale, in tal senso, ci dice che si tratta un un prodotto da soleras dove i vini hanno passato almeno 50 anni all'interno delle botti.
Il vino, di un bellissimo color mogano, ha un profilo olfattivo segnato da note di oliva nera in salamoia, frutta nera di bosco, accompagnate da lievi note di miele di castagno, liquerizia, fico secco e mallo di noce. Qualche accenno di mandorla tostata.
Alla gustativa il vino è denso, oleoso, quasi masticabile. La grande acidità e il perfetto equilibrio lo vivacizzano in un sontuoso e lunghissimo finale giocato su note di liquerizia e castagna. Grandissimo vino dolce, una delle mie migliori bevute di sempre.
(1) descrizione presa dal sito wikipedia

Produttori di Champagne: Egly-Ouriet

Il Domaine Egly-Ouriet è il regno di Francis Egly, coscienzioso e qualificato vigneron, che gestisce l'azienda con il padre Michel che, a sua volta, ha ereditato le vigne dal proprio padre Charles. Il Domaine è composto da circa otto ettari di vigneti, tutti classificati come Grand Cru, localizzati ad Ambonnay, patria del Pinot noir, Bouzy e Verzenay. Le vigne hanno una età compresa tra i 30 e i 50 anni, e sono costituite prevalentemente da Pinot Nero (circa il 75%) e Chardonnay (il restante 25%). Queste cifre non tengono conto, tuttavia, di una importante e recente acquisizione del Domaine rappresentata da vecchie viti di Pinot Meunier a Vrigny, le quali vengono vinificate come una distinta cuvée.
Il Domaine può contare su un terroir particolarmente prezioso in quanto le vigne poggiano su strati di gesso che riflettono i raggi del sole e rilasciano calore alla pianta nelle ore notturne, permettendo l'assorbimento dell'acqua in eccesso e donando all'uva un carattere estremamente minerale. Inoltre, i vigneti, curati dall’agronomo Claude Bourgignon, sono gestiti in maniera ecologicamente corretta prevedendo la forte riduzione dei diserbanti e pesticidi chimici e il conseguente grande utilizzo del letame e della fertilizzazione del suolo utilizzando i rifiuti della città di Parigi. Le rese sono controllate attraverso l’uso di ampie potature verdi che riducono di circa le metà il raccolto rispetto alla media della regione. In cantina, i vini sono fermentati in legno di quercia e non vengono mai filtrati prima di essere imbottigliati per la seconda fermentazione. L’uso dello zolfo è mantenuto il più basso possibile. Il vino, imbottigliato con un liqueur de tirage il cui impatto viene ridotto al minimo, trascorre tra i tre e i quattro anni sulle fecce, nel caso di Champagne non millesimati, fino ad arrivare a sei anni ed oltre per gli Champagne millesimati. Una scelta che permette ai vini di di sviluppare le caratteristiche che derivano loro dal terreno e dal clima abbandonando a poco a poco gli aromi di fermentazione, come la tipica crosta di pane. Da notare bene che ogni bottiglia porta informazioni sulla lunghezza di invecchiamento e la data di sboccatura.

Gli champagne che possiamo degustare sono i seguenti:


Brut Tradition - Grand Cru
75% Pinot Noir e 25% Chardonnay, di cui circa il 50% con vini di riserva. Fermentazione naturale senza lieviti aggiunti, si utilizzano solo lieviti indigeni. Primo élevage sui lieviti che dura circa un anno senza bruciare le tappe; il vino si chiarifica lentamente come si faceva 50 anni fa. Messa in bottiglia senza filtraggio nè collatura;


Les Vignes de Vrigny - 100% Pinot Meunier
100% Pinot Meunier, di cui il 20% con vini di riserva. Sempre gli stessi processi di vinificazione, ma l'originalità di questa cuvée proviene dal fatto che è composta unicamente da Pinot Meunier di vecchie vigne (non c'è dunque assemblaggio con altri vitigni). L'uva proviene esclusivamente dai vigneti di Vrigny, comune classificato Premier Cru dal 2003. Dosage di 4g per litro.

V.P. - Grand Cru - Extra Brut
60% Pinot Noir e 40% Chardonnay, di cui 50% con vini di riserva. La capacità dei Grand Cru di invecchiare bene non è più un fatto da dimostrare, ma il nostro gusto personale e lo stile della Maison ci incitano a continuare in questa direzione. Questa cuvée, dopo 6 o 7 anni di invecchiamento in cantina, esprime tutta la sua potenza e la sua eleganza con un dosage praticamente inesistente.

Blanc de Noirs Grand Cru - Vieilles Vignes « Les Crayères »
Vigna di puro Pinot Noir piantata nel 1947 su un terreno eccezionale, chiamato "les crayères", dove la terra è di soli 30 centimetri al di sopra della craie, che in quel luogo è profonda decine di metri. Vinificato al 100% in fusti. La vigna è fortemente radicata nella craie; fa risaltare note di frutti rossi grazie alla concentrazione ed alla maturità dei vecchi Pinot ed una certa mineralità "crayense" che dona eleganza al vino ed un grosso potenziale all'invecchiamento.

Brut Rosé Grand Cru
60% Pinot Noir e 40% Chardonnay. Fermentazione naturale senza lieviti aggiunti, si utilizzano solo lieviti indigeni. Primo élevage sui lieviti per circa un anno senza bruciare le tappe; il vino si chiarifica lentamente come si faceva 50 anni fa. Messa in bottiglia senza filtraggio né collatura.

Brut Grand Cru Millésime - Millesimato
70% Pinot Noir e 30% Chardonnay, con vigne situate unicamente sul terreno di Ambonnay. Fermentazione naturale senza lieviti aggiunti, si utilizzano solo lieviti indigeni. Primo élevage sui lieviti per circa un anno senza bruciare le tappe; il vino si chiarifica lentamente come si faceva 50 anni fa. Messa in bottiglia senza filtraggio né collatura.

Magie di Borgogna con lo Chambertin di Rossignol-Trapet

Insieme ai nostri amici svizzeri di nonsolodivino.com vi conduciamo a Gevrey-Chambertin che, con Nuits-Saint Georges, è uno dei villaggi più estesi e popolati della Côte de Nuits. Il comune, dicono i produttori locali, è il limite nord per la perfetta maturazione del pinot nero. Il nome Gevrey deriva da “Gibriacus” che significava pastore di capre, lavoro molto in voga all’epoca che, grazie ai terreni secchi e aridi che impedivano qualsiasi coltura, permetteva alla popolazione locale di vivere. Il Domaine Rossignol-Trapet, creato dalla divisione, nel 1990, del Domaine Trapet, è una azienda familiare diretta magistralmente da Nicolas Rossignol e dal fratello David. Il Domaine, con i suoi 15 ettari, ha patrimonio viticolo di inestimabile valore, secondo solo a quello di Armand Rousseau, in quanto vanta parcelle nei Grands Crus di Chambertin, Latricières-Chambertin, Chapelle-Chambertin e nei migliori Premiers Crus confinanti con il settore Grand Cru. Dal 2004 la conduzione della vigna è stata modificata seguendo i canoni della coltura biodinamica, tecnica che permette di salvaguardare la flora e l’evoluzione dei suoli. Le protezioni contro le malattie e i parassiti, applicate solo se estremamente necessarie, avvengono con prodotti naturali rispettosi dell’ambiente, composti in grado di stimolare una difesa naturale.

Le vendemmie sono eseguite manualmente con selezioni degli acini perfettamente maturi e sani. Prima delle pressature, le uve sono solo parzialmente diraspate, le fermentazioni attivate dai lieviti naturali e la maturazione dei vini avviene in botti nuove a seconda del livello delle denominazioni (massimo 50%) con l’obiettivo di un utilizzo del legno non invadente.

Chambertin è il più celebre tra i crus di Gevrey, 12.9 ettari di vigna che furono “il campo di un certo Bertin”. I Burgundi arrivarono qui nel V secolo per una occupazione pacifica, uno di questi possedeva un campo adiacente a Clos de Bèze, il suo nome era Bertin e la sua proprietà fu battezzata “Champs de Bertin”. Si riporta che sull’esempio dei monaci suoi vicini Bertin decide di coltivare il proprio appezzamento a vigna e di utilizzare gli stessi vitigni. Documenti del 1566 rilevano l’esistenza di un Grand Chambertin di circa 8.5 ettari e di un Petit Chambertin di circa 4.5 ettari, il totale di queste due aree corrisponde alla superficie attuale. Nel XVIII secolo questo vino è considerato il migliore vino della Borgogna. È compreso tra la zona boschiva che occupa la parte superiore della collina, la strada denominata Rue des Grands Crus, Latricieres a sud e Clos-de-Bèze a nord ad un’altezza compresa tra i 270 e i 280 metri. Ha pendenze meno importanti rispetto al vicino e benché sia di piccole dimensioni le caratteristiche microclimatiche non sono omogenee. Le correnti d’aria fredda possono influire sul periodo di maturità delle uve, i venti freddi che vanno a scomparire totalmente nella parte nord del vigneto, al confine con il Clos de Bèze, permettono la giusta maturazione delle uve con una settimana d’anticipo. Perfettamente rivolto verso levante beneficia perfettamente dei primo raggi mattutini, poggia su un suolo di roccia calcarea rivestito da un fine strato di detriti e di terre brune le più adatte al Pinot Nero. I 12.9 ettari sono divisi tra 21 produttori, con parcelle minime di 0.05 ettari come quella posseduta da Dugat-Py e Thomas-Moillard fino ad una superficie massima di 1.95 ettari di proprietà del Domaine Rousseau.La parcella di Chambertin del Domaine copre una superficie di 1.6 ettari, vigne con un’età media di 55 anni (piantate tra il 1920 e il 2002), la loro densità è elevatissima 12′500 ceppi per ettaro.

Stefano, di nonsolodivino.com, e il sottoscritto, abbiamo degustato questa piccola verticale:

Chambertin 2006: La forza e l’eleganza di questo vino è sublime anche se ancora reticente a mostrarsi, con il tempo esprime un fondo floreale, mora, mirtilli e minerale con sfumature boisè ancora da integrare perfettamente. In bocca è suntuoso, l’attacco ha grande energia, freschezza ed eleganza, l’unione di queste sensazioni dà un finale di incredibile seduzione. Dopo la straordinaria vendemmia 2005 una grande conferma. Superbo.
Chambertin 2004: In un’annata irregolare si è dovuto selezionare con grande severità per ottenere vini di alto livello. Il risultato è stato, come sempre, impeccabile, un vino meno potente ma di grande eleganza e finezza. L’attacco è delicato seguito da una bellissima progressione, i tannini setosi sono perfettamente integrati nella struttura, il finale è di grande equilibrio con una bellissima vena minerale. Armonioso.
Chambertin 1999: E' sufficiente portare al naso questo vino per scoprire la sua grande eleganza: i profumi si aprono e si muovono ad ogni olfazione, passando dalle note di mora e ciliegia in confettura, alle note fumé e di goudron fino ad esprimersi in un bellissimo sottofondo minerale; in bocca non delude, mostrando tannini finissimi e una trama gustativa densa e avvolgente, ancora ricca di freschezza e dal finale lunghissimo.
Chambertin 1990: Di un coloro rubino con riflessi granato, inizialmente al naso parte un pò chiuso con leggere note animali. Dopo una mezzora il vino si apre e comincia a scalpitare come fanno i veri cavalli di razza: frutta rossa in confettura si fonde ad un bel minerale. Ruotando il bicchiere esplondo le sensazioni di mora e visciola accompagnate da lievi effluvi fumè e di grafite. L'attacco è fresco e lineare e la trama tannica, finissima, viene retta da una vena fresca che "tiene" perfettamente in equilibrio la massa del vino. La persistenza è interminabile, complessa, ricca, che ci mette davanti ad un vino di una gioventù ancora impressionante e che faremo fatica a dimenticare. Questa è la Borgogna ragazzi, questo è Rossignol-Trapet.

Mini Verticale Bellavista - Uccellanda: lo chardonnay secondo la Franciacorta

La Franciacorta, oltre ad essere un territorio molto vocato per produrre spumanti di buona qualità, si conferma anche un luogo particolarmente felice per la realizzazione di grandi chardonnay, certo non come quelli della Borgogna, ma che comunque presentano, e la degustazione che seguirà ne è una prova, un elevata potenzialità di invecchiamento tipica, e questa volta lo possiamo affermare senza problemi, dei grandi vini francesi.

La degustazione, svoltasi all'AIS di Roma con la presenza del produttore, ha posto a confronto tre annate: 2004, 2003, 1998.

Il Bellavista Uccellanda proviene da uve provenienti dal vigneto denominato Uccellanda, coltivato in frazione Nigoline, nel Comune di Cortefranca, ad una quota altimetrica media di 300 metri s.l.m.. I filari sono disposti parallelamente alle curve di livello, in numero variabile a seconda della profondità delle terrazze. L’esposizione del vigneto è totalmente verso Sud-Est. La raccolta avviene a perfetta maturazione dopo un’attentissima selezione in pianta. Dopo la pigiatura, sottoponiamo il mosto ad una leggera macerazione con le bucce e quindi ad una fermentazione in pièces da 228 litri dove, per circa 12 mesi, esso svolge tutta la sua completa evoluzione.Il vino Uccelanda terminerà la sua evoluzione in contenitori inox dove riceverà il freddo dell’inverno; nella seconda primavera dalla vendemmia, se la commissione di degustazione darà parere favorevole, il vino verrà imbottigliato e si affinerà per almeno altri 6 mesi prima di essere commercializzato.

Il 2004, di un giallo paglierino con lievi riflessi verdi, presenta al naso dolci effluvi di fiori bianchi, frutta gialla matura con note che ricordano la mela golden e l'albicocca matura. Il quadro olfattivo si chiude con delle belle note burrose tipiche del passaggio in legno. Al palato il vino mostra buona ampiezza, piacevole succosità e un finale discretamente lungo giocato su note fruttate e vanigliate.

Il 2003, dn un bel giallo paglierino, ha un olfatto di discreta intensità e finezza che si apre con delle belle note di fiori bianchi (tiglio, acacia) e gialli (mimosa) e sentori di frutta gialla matura. In bocca il vino gioca la sua carta vincente sulla notevole sapidità e freschezza che, combinandosi, prolungano la persistenza al palato.

Il 1998, di un giallo oro con riflessi verdi, presenta al naso bellisime note di pan grillè, miele di castagna e un sentore di nocciola tostasta che, dopo dieci anni di invecchiamento, non dipende più dalla barrique ma dal territorio che, ricordo, è formato da un terroir di tipo morenico-glaciale. In bocca il vino è morbido,cremoso, sorretto da una grande acidità e sapidità. Chiude lungo su note tostate e fumè. Chi lo diceva che il vino bianco non poteva essere invecchiato?
(le foto sono tratte dal sito aziendale)

Gli strumenti del Sommelier: il Tastevin

Questo articolo è tratto da Dolium, il trimestrale di approfondimento dell'Enoclub Roma (www.enoclubroma.it). Visitate il sito e associatevi per far parte della nostra grande famiglia.

Il tastevin è uno strumento fondamentale per ogni sommelier, anche se nel tempo il suo utilizzo è stato via via sostituito dal bicchiere. Le origini sono antichissime, probabilmente si possono far risalire fino a 3500 anni fa,ma è con lo sviluppo nella borghesia francese del XVII secolo che trova la ,sua consacrazione. Esistono due modelli fondamentali di tastevin: il bordolese e il borgognone. Il borgognone ha la forma di una tazza, è largo circa8,5cm e alto 2,9cm. Il bordolese invece è più largo con un diametro di11,2cm ed altezza di 4,8cm. Per degustare il vino rosso il tastevin, staccato dalla sua catena, deve essere impugnato con la mano destra. In questo modo il vino rosso va a riempire le incavature o cupole. Quando invece si degusta un vino bianco il tastevin va impugnato con la mano sinistra ed il vino servito con la mano destra. In questo modo il vino bianco va a riempire le striature presenti sul fondo e contrapposte alle cupole. L’ombelico centrale funge da bolla di livello oltre la quale il vino non deve mai andare durante la degustazione. L’esame olfattivo viene effettuato esaminando il vino nelle che ricopre con un velo le perline centrali intorno all’ombelico. Le perline permettono di ossigenare meglio il vino agitando il tastevin. Il tastevin è in argento per favorire la dispersione dell’anidride solforosa presente nei vini bianchi giovani; una volta usato, non va bagnato ma pulito con un panno in modo da non indurre la formazione di muffe. Il tastevin non può essere usato con gli spumanti perché non permette di valutare il perlage. Oggi, l’erede del tastevin è il bicchiere ISO ottimo non solo per l’esame visivo ma soprattutto per quello olfattivo, poiché garantisce un migliore percorso degli odori al naso rispetto al tastevin caratterizzato da una forma molto aperto. In Borgogna da anni è presente la Confraternita del tastevin a conferma di quanto sia importante dal punto di vista storico-culturale questo strumento.