Sangiovese Purosangue a Roma: la conferenza stampa tra video e lettere al pubblico


La conferenza stampa di Sangiovese Purosangue ha proposto molti spunti di riflessione. I video qua sotto riportano integralmente quella interessante mattinata romana.




Per chi si stufa a vedere tutti i video, riporto integralmente gli interventi di Stefano Cinelli Colombini e Gian Luca Mazzella.

Intervento di Stefano Cinelli Colombini

Montalcino e i suoi sangiovese rappresentano un caso davvero curioso, qui i miti sono così affascinanti che nessuno si cura davvero della storia e della realtà del territorio. Tutto questo potrebbe andare benissimo, perché le leggende fanno vendere il vino molto di più delle cifre, però c’è un problema; se ci si basa solo sui miti non si riesce a capire quello che accade, è accaduto e accadrà a Montalcino. Per questo penso sia utile dedicare questo intervento ad una breve analisi “multi disciplinare” su Montalcino, mettendo insieme dati noti su storia, economia e enologia. Tutto ciò che cito proviene da materiale ben noto, disponibile in libri e pubblicato varie volte, ma purtroppo in genere è ignorato dagli addetti ai lavori.
Quando e perché nascono le fortune dei vini di Montalcino? Tutto ha inizio dal medioevo e da una strada. Con i mari invasi dai pirati saraceni e le antiche vie romane degradate le alternative per i viaggiatori si erano ridotte a poca cosa; chi voleva andare a Roma doveva per forza usare la Francigena. E la Francigena passava da Montalcino. In più dal XIII° secolo il Comune aveva ottenuto il diritto di porto franco, divenendo così una specie di Duty Free del Medioevo. Ben presto Montalcino scoprì che i milioni di viaggiatori che transitavano sotto le sue mura gradivano molto i suoi vini, e iniziò a farne sempre di più. E con di più intendo davvero tanti, perché dai dati dei catasti e dei censimenti le vigne vanno da duemila ettari a quattromila e cinquecento; tanto per dare un’idea, oggi ce ne sono tremila seicento e produciamo circa venti milioni di bottiglie all’anno. La strada di Roma era la strada per il centro della cristianità, un luogo dove chiunque fosse qualcuno prima o poi doveva andare. Da Carlo Magno in poi ogni imperatore del Sacro Romano Impero ha mangiato nelle nostre taverne e re, nobili, papi, cardinali e personaggi di ogni tipo hanno camminato nelle nostre strade. È la richiesta che crea il prodotto e noi avevamo in casa la migliore clientela d’Europa, gente abituata ai vini più raffinati. Così nacque il Moscadello, che dal seicento verrà progressivamente sostituito da un grande sangiovese in purezza affinato per 4 o 5 anni in botte; il Brunello. Guglielmo III° d’Inghilterra ne importava ogni anno per la mensa reale, come risulta da una corrispondenza datata dal 1688 al 1710. Un libro di viaggi del Conte Pieri del 1790 ne descrive esattamente nome, composizione ampelografica e tempo di affinamento. Dai primi decenni dell’ottocento i Padelletti vendono Brunello con etichette stampate in tipografia, e nel 1875 la Commissione Ampelografica della Provincia di Siena redige la più antica analisi chimico degustativa ufficiale di un Brunello che ci sia pervenuta; si tratta di un Castelgiocondo del 1843, un vino di 32 anni dal colore rosso rubino con 14,2 di alcol, acidità totale 5,1 e estratti secchi di 23,28, dati del tutto in linea con i migliori Brunelli attuali. Nel 1869 Clemente Santi è premiato con medaglia d’argento al Comizio Agrario del Circondario di Montepulciano per un Brunello 1865, nel 1870 Tito Costanti partecipa all’Esposizione Provinciale del 1870 con un Brunello 1865 e nel 1874 la Fattoria dei Barbi ottiene una medaglia d’argento dal Ministero dell’Agricoltura, il primo premio nazionale per un vino di Montalcino. Negli anni tra il 1890 ed il 1910 Paccagnini vince 45 medaglie con i suoi Brunelli in tutta Europa. In questo periodo gli agronomi ilcinesi fanno ricerche fondamentali sul sangiovese, che vanno dalle selezioni clonali dei Biondi Santi al manuale di vinificazione del Brunello di Paccagnini alle ricerche sulle vigne di Anghirelli. Montalcino nel 1900 è la terza città del sud della Toscana dopo Siena ed Arezzo, è un centro vivace che ha nel Brunello la sua punta di diamante.
Ma è nella prima metà del novecento che Montalcino evolve ancora e diviene pioniere; pochi lo sanno, ma è qui che nascono tante idee che sono alla base della moderna commercializzazione e produzione del vino di qualità italiano. Nel 1931 Fattoria dei Barbi inizia a vendere il Brunello per corrispondenza, con una mailing a tutti gli avvocati e medici d’Italia. Negli stessi anni i Biondi Santi iniziano a spedire Brunello in USA ed in vari paesi esteri; interessante una foto del primo camion per gli USA, e la innovativa bottiglia da 0,100 Litri in confezione antiurto per l’invio dei campioni. Nel 1932 una dozzina di aziende di Montalcino partecipano alla prima Mostra Mercato del Vino Tipico d’Italia a Siena e dichiarano una produzione complessiva di 35.000 ettolitri, pari a 4,7 milioni di bottiglie. Nel 1937 il Podestà Giovanni Colombini inaugura la prima Enoteca Pubblica d’Italia nella restaurata Fortezza, e il regolamento obbliga alla vendita dei soli prodotti agricoli confezionati del territorio. Nel 1950 la Fattoria dei Barbi realizza la prima cantina d’Italia sempre aperta ed attrezzata per la degustazione e vendita al pubblico del vino in bottiglia; da quell’anno al 2011 la visitano tre milioni di enoturisti. Commercializzazione diretta e con i metodi più innovativi in Italia e nel mondo, alti prezzi, cura del prodotto e uso di territorio e cantine come veicolo di vendita e di promozione del vino; sono le regole che governano il mercato del vino di qualità, ma qui tutto questo è stato attuato oltre mezzo secolo prima che nel resto d’Italia. Il Brunello in quegli anni è così importante che il grande poeta futurista Filippo Tommaso Marinetti gli dedica lo slogan della Prima Mostra Mercato dei Vini Tipici Italiani, che si tiene a Siena nel 1931; il Brunello è benzina, nel senso che è il carburante che muove il mondo.
Nel 1964 due eventi traumatici distrussero quasi tutto quanto era stato faticosamente creato. Il primo fu nazionale; venne abolita la mezzadria e le aziende non trovarono le risorse economiche per riconvertirsi a lavorazioni meccanizzate. Il secondo fu locale, ma per noi devastante; venne aperta l’Autostrada del Sole, e all’improvviso da Montalcino non passò più nessuno. Il paese perse improvvisamente quei milioni di transiti all’anno su cui viveva, ed è come se una città portuale si trovasse senza il mare. Basta un dato per dare l’idea della crisi; in dieci anni il Comune perse il 70% della popolazione. Delle Fattorie che avevano fatto la storia del Brunello ne sopravvissero cinque o sei, e a loro si aggiunse qualche decina della neonate aziende a conduzione diretta. Quello è il periodo in cui nasce la stampa del vino in Italia, e chi arrivava qui in quel periodo poteva legittimamente pensare di essere finito in un deserto; fu per questo che molti si si fecero un’idea del tutto falsa del nostro vino, e da qui sono nate molte delle leggende assurde che ora passano per storia. La realtà è che il Brunello ed il Montalcino di oggi nascono da una grande storia, da grandi famiglie e da grandi aziende avevano costruito nei secoli, ma uno tsunami imprevisto ha spazzato via quasi tutto. I fortunati ed i capaci che sono sopravvissuti si sono trovati davanti un’opportunità unica; avevano un grande prodotto già perfettamente evoluto e tanto spazio per crescere.
Servirono dieci anni per riorganizzare il sistema produttivo, ma poi la ripresa fu rapidissima e realizzata con mezzi del tutto inusuali. La prima straordinaria innovazione fu l’integrazione tra produttori, società civile ed istituzioni; senza distinzione di partito, origine sociale e ideali tutti si dettero da fare per il rilancio della comunità. Non c’erano più i viaggiatori verso Roma e così nel 1964, per richiamare gente e consumi, la popolazione si inventò due “Sagra in costume medioevale” con sfilate, gare e soprattutto mangiate e bevute di prodotti tipici; erano le prime del loro genere in Italia, poi moltissimi le copiarono. I sindaci Raffaelli e Bindi si fecero “ambasciatori” del Brunello incoraggiando imprenditori di ogni luogo a venire a Montalcino; nel pieno dei conflitti del sessantotto qui si fecero realizzare senza problemi tutte le cantine, opifici e strutture che servivano, aiutando le imprese in ogni modo possibile. Ma rispettando sempre qualità edilizia e territorio. I viticoltori unirono i loro sforzi sotto l’egida del Consorzio del Brunello, con enormi economie e vantaggi; questo Consorzio è l’unico in Italia da aver rappresentato sempre oltre il 90% della produzione. Negli anni ’70 ed ’80, quelli in cui si è creato il mercato ed il mito mondiale del Brunello, Montalcino è stato un esempio di collaborazione di un intero territorio nello sviluppo. A conferma di un successo ormai consolidato nel 1981 Biondi Santi e Fattoria dei Barbi furono incluse da Wine Spectator tra le 100 aziende più prestigiose del mondo nella prima New York Wine Experience. Due entro le prime 100 del mondo intero!
Altri fattori di successo furono quelli classici, ma qui applicati fino alle ultime conseguenza; l’innovazione di prodotto e di processo. Le innovazioni di prodotto di Montalcino sono state solo due, ma enormi; sono i nostri vini, il Brunello ed il Rosso di Montalcino. In che senso il Brunello è stato un’innovazione di prodotto? Perché è stato il primo vino rosso italiano di alta qualità venduto a milioni di bottiglie su tutti i mercati del mondo, un prodotto che ha creato un segmento di mercato che prima non esisteva. Del Rosso di Montalcino vi parlerà di più e meglio il dott. Tiezzi, che né praticamente il padre, io mi limito a indicare una peculiarità; è stata la prima DOC nata specificamente per drenare gli eccessi di produzione di un altro vino, funzione che ha svolto egregiamente per un quarto di secolo. Le innovazioni di processo a Montalcino sono state innumerevoli, causate da una fertilità imprenditoriale senza pari; dal 1975 al 2000 sono nate da cinque a dieci nuove cantine all’anno, molte delle quali realizzate con la tecnologia più innovativa. Ogni nuova struttura spostava l’asticella della qualità un pochino più in alto. Tutti i migliori enologi d’Italia hanno lavorato qui, e anche questo ha innescato competizione ed interesse nei media. Non possiamo negarci che la continua competizione per la qualità ha portato anche ad eccessi, e che questi eccessi ci sono costati molto cari. Però la salute intrinseca del sistema è stata così forte da permetterci di usare la malattia per crescere; sono salite alla ribalta nuove aziende, altre si sono confermate nella qualità e altre hanno avuto qualche battuta di arresto, ma Montalcino nel suo complesso è sempre e comunque ai vertici dell’enologia italiana. La rinascita dopo la crisi mondiale e Brunellopoli si spiega proprio con la natura peculiare di Montalcino, che ho cercato di far capire in queste poche righe; qui non siamo di fronte ad un qualcosa creato da un singolo genio, che sarebbe morto con lui, né alle iniziative straordinarie di un’azienda leader di mercato, perché qui leader di mercato non ci sono mai stati dato che nessuno in tempi recenti ha mai raggiunto il dieci per cento del venduto totale. Solo noi della Fattoria dei Barbi abbiamo superato questo limite, ma più di quarant’anni fa. Montalcino ed i suoi sangiovesi sono il frutto del lavoro secolare di una collettività che è partita da poche famiglie locali ed ha saputo arricchirsi accogliendo tanti nuovi contributi. Montalcino ha certamente dei grandi protagonisti, ma ne ha così tanti e sempre nuovi che sono un coro. Ed un coro non muore mai.
Per chiudere alcuni dati sul sangiovese a Montalcino. Il Comune ha 3.600 ettari di vigna, di cui sono certamente di sangiovese i circa 2.100 iscritti a Brunello più i 550 iscritti a Rosso di Montalcino. Dei restanti 950 ettari circa 300 sono dichiaratamente sangiovese, che così raggiunge la quota dell’82% dei vigneti di Montalcino. È divertente anche notare un’ulteriore elaborazione del dato; se escludiamo i vigneti delle cinque aziende con più vitigni “non indigeni” la percentuale del sangiovese sale al 97% di media; basta questo dato a spiegare perché il taglio nei DO di Montalcino viene sempre respinto con percentuali bulgare. E questo dato racconta anche con i fatti, e non con le parole, che chi è venuto o ha sempre fatto vigna a Montalcino la ha fatto perché crede nel sangiovese. I rivendicatori delle DO di Montalcino sono 309, di cui 235 iscritti al Consorzio; occorre però tenere conto che quei 235 rappresentano oltre il 95% del Brunello imbottigliato. Come tutte le realtà anche quella di Montalcino presenta mille sfaccettature, io vi ho dato una prospettiva che non pretende di essere la verità ma è un’analisi basata su dati verificati fatta da chi ha vissuto direttamente o tramite i ricordi di famiglia tutta l’avventura del Brunello. La Storia con la S maiuscola è ben altro, ma spero che questa fonte vi possa essere utile.
 

Intervento di Gian Luca Mazzella

Il ruolo Montalcino nell’Italia della denominazione di origine tradita
Seguo il vino da oltre 20 anni, Montalcino da oltre 15 (da quando feci i primi corsi Ais e poi quello di Bordeaux), meno tempo di voi (non tutti diciamo la verità), ma mi sento particolarmente legato ai vostri vini, allo splendido borgo medievale e soprattutto al Sangiovese: che potrei bere ogni giorno, e sottolineo bere non degustare, al contrario di un Nebbiolo non maturo.
Con l’entrata in vigore della nuova legge europea che regolamenta il settore vinicolo, nell’ambito d’una Organizzazione Comune del Mercato (la cosiddetta Ocm), per quasi due anni la Gazzetta Ufficiale ha riportato modifiche di disciplinari, richieste di nuove Docg, o perfino di nuove Doc per intere produzioni regionali. Le richieste di modifica o di riconoscimento sono avvenute appena in tempo per avere l’approvazione d’un semplice comitato nazionale, e non europeo. Rallegriamoci! Abbiamo battuto la Francia per numero di riconoscimenti, oltre 500 (fra Docg Doc e Igt), ma non per la loro riconoscibilità. Giacché in Francia non ammettono il Sangiovese (vitigno italiano più piantano al mondo) nella AOC del Bordeaux o del Borgogna, ma nemmeno delle appellazioni meno note. Ma noi siamo così, ci piacciono i primati di quantità non di qualità vedi i totali della produzione vinicola nazionale e i costi bassi dei vini che esportiamo (rispetto ai Francesi). In questa prospettiva assume un valore rilevante il ruolo di Montalcino come denominazione di origine.
Difatti, la maggior parte delle nostre denominazioni di origine (concetto ormai quasi anacronistico e paradossale) ha ampliato la griglia dei vitigni autorizzati o perfino raccomandati, che era già ampia: ammettendo ovunque vitigni francesi e internazionali. Non parliamo poi delle pratiche enologiche che negli ultimi 20 anni si sono omologate come mai prima nella storia, tanto che nei diversi continenti è possibile ormai riscontrare i medesimi procedimenti coi medesimi vitigni. Ossia medesimi vini. E poi ci mettiamo a disquisire di terroir… ma ormai solo i prezzi e le etichette sono diverse! Non vorrei però generalizzare troppo.
Dunque concentriamoci su un dato: in Italia i vini da monovitigno rappresentano circa il 4% della produzione nazionale: quindi un gruppo che (almeno per ragioni numeriche) deve stare al vertice delle qualità e deve guidare l’eccellenza, specie se annovera vini quali il Barolo o il Brunello. Dato che il Taurasi ha ormai un disciplinare “misto”.
Ebbene negli ultimissimi anni, anziché a un affinamento del vertice della qualità, si è assistito al contrario: non è soltanto la vigna a degradare dalla collina alla pianura… ma anche i disciplinari. Sicché ad esempio nel 2010 si è tentato di cambiare il disciplinare del Barolo, ammettendo vigne con la speciale vocazione di essere esposte a nord. E solo grazie alla tenace opposizione di un singolo produttore e a una sentenza del Tar Lazio, come ho riportato sul quotidiano, oltre a un cambiamento del CDA del consorzio, il Barolo ha mantenuto l’attuale foggia del disciplinare quasi per intero (si è comunque oscuramente ridotta l’acidità minima in un vino fatto con un cultivar che non difetta di acidità).
Tralasciamo poi di riferire tutto quello che è avvenuto a Montalcino, e che continua ad accadere, considerando le ultime dichiarazioni di Antinori e di Cernilli a proposito di un auspicabile cambiamento dei disciplinari (e uso volutamente il plurale disciplinari): e dunque un apertura degli stessi alle altre varietà. Ecco, io sono stato io coinvolto nella vicenda quasi a forza anni fa, dal momento che volevo astenermi da parlare di una frode meramente commerciale (giacché continuavo a scrivere da anni in Europa solo di vini che ritenevo autentici). Però ricevendo alcune interviste in Germani e in Austria, dalle televisioni nazionali, mi accorsi di quanto si ignorasse il Brunello e quanto il vino italiano fosse frainteso: oltre che accusato di essere nocivo alla salute. Allora ero in contatto con uno dei tre più noti quotidiani nazionali che però voleva solo cinque righe a settimana di giallo paglierino con riflessi dorati, e non voleva affatto inchiesta, anche per non spaventare le inserzioni pubblicitarie. Dunque rifiutai la collaborazione e di occuparmi di approfondire una indagine in cui la Procura non voleva dare notizie nemmeno al New York Times.
Ma dopo un anno e mezzo che assistetti a un circo di dichiarazioni false, ben riportate da pubblicazioni di tutto il mondo come Decanter che non ha mai smentito, o pennaioli (ululanti come sirene) prestatisi a confronti da ring in ambiti universitari, senza aver fatto informazione (alcuni hanno poi esaltato i vini che avevano ghigliottinato dopo aver letto il nome sulla Nazione), ebbi lo stimolo di fare chiarezza. La denominazione pareva come abbandonata a è stessa. Allora nasceva il quotidiano per cui lavoro oggi in Italia, e mi chiesero di occuparmi dei due aspetti dell’agroalimentare: il racconto della qualità ma anche quello della froda. Così ho riportato tutti i fatti e nomi e patteggiamenti, e siamo stati l’unico quotidiano o pubblicazione a farlo (e soltanto dopo i patteggiamenti, dunque in controtendenza al giustizialismo becero), peraltro senza prendere querele o denunce, ma anche senza che nessuno dei cosiddetti siti internet o blogger di si azzardasse a riprendere le notizie per timore di fare informazione ed essere querelato.
Ecco tutto questo circo mediatico è segno di una denominazione troppo importante per essere adolescente.
Una denominazione che ha bisogno di uno gruppo unito di produttori con le idee chiare, che non banalizzino concetti e contenuti, che non parlino male l’uno dell’altro, che progettino il futuro della denominazione d’origine del vino italiano più famoso al mondo.
L’inchiesta sul Brunello è stata un forte momento di delusione personale.
Vorrei chiarire il perché con una recente notizia che è passata inosservata, la pubblicazione sull’American Journal of Enology, delle ricerche del prof. Vicenzini, microbiologo dell’Università di Firenze: il Sangiovese di Montalcino è stato finalmente profilato sotto un punto di vista degli antociani, dopo 6 anni di studi fatti con vari metodi di vinificazioni, annate, condizioni e terroir dell’intera Toscana. Si è dimostrato quello che sappiamo tutti, e che si era già dimostrato in occasione delle indagini della Procura di Siena per separare una partita dall’altra di quelle sequestrate: ossia che l’aggiunta di Merlot o Cabernet, anche se minima, altera in maniera evidente il profilo antocianinico del vino. Aggiunge un particolare tipo di antociani che non sono altrimenti presenti in quantità rilevanti nel Sangiovese. Ebbene gli studi del prof. Vicenzini sono oggi scienza, a differenza di quanto è stato affermato e riaffermato fino a qualche mese fa da alcuni produttori, avvocati, da ex direttori del vino di storiche riviste del settore o da altri frequentatori di chiacchiere.
Ecco, appunto qui sta la mia delusione: dapprima mi sento deluso da una comunicazione giullaresca dell’accaduto, poi da buona parte della critica che per due decenni anni ha esaltato Brunelli e Rossi che si è scoperto essere fatti in blend col Merlot dal 1985 (come attestano le schede di massa scoperte dalla Procura di Siena), e non ha saputo non dico fare giornalismo ché quello è un altro mestiere, ma nemmeno ha saputo fare autocritica, scusandosi di non aver capito il Sangiovese e i vini di Montalcino. E anzi in occasione d’un possibile cambiamento del disciplinare del Rosso, ha fatto un bel trenino e si è schierata contro il cambiamento perché faceva salvator patriae, con lo strombettio acritico dei siti internet, senza precisare che per anni è stata lei stessa, critica internazionale più nota, a favorire i vini più colorati e grossi premiandoli col massimo dei riconoscimenti: dunque le frodi e i possibili cambiamenti di disciplinare.
Di conseguenza sono stato un poco deluso anche dai produttori che hanno permesso e favorito questa tipo di comunicazione ipocrita o prezzolata, vantandosi in pubblico (ma lamentandosi in privato) che i loro vini finissero sulle pagine dei periodici accanto a quelli fatti con Lambrusco e Lancellotta (con cui si blenda il Sangiovese in Romagna e del resto anche la selezione clonale del Sangiovese fatta nei decenni precedenti ha portato ad avere cloni di Romagna perfino a Montalcino). Questo è anche un modo di tradire la denominazione. Alimentare un meccanismo perverso che premia la quantità e non la qualità, che favorisce professioni ambigue e stipendia la comunicazione.
Uno dei pochi che allora, in pubblico, ha invocato coerenza e onestà è stato Soldera. Che avrà pure tutti i difetti del mondo, ma di coerenza non manca, anzi ne ha pure troppa essendo caparbio: immaginate che è riuscito far servire nei suoi bicchieri (sapete che Soldera ha concepito dei bicchieri adatti ai suoi vini) i vini di Biondi Santi, tre giorni fa in occasione di una celebrazione tardiva del compleanno deui novant’anni di Franco. Ebbene è paradossale che ad invocare onestà e coerenza sia un produttore parvenu di Treviso che non è spaventato dalle guide o dalla critica, e che arriva ad amare Montalcino e i suoi vini soltanto dopo aver bevuto i grandi vini del mondo . A differenza di molti altri che hanno investito a Montalcino e sono divenuti vittime di taluni enologi. Ma in fondo forse vittime sono anche gli enologi che mancavano di una guida aziendale.
Ecco, per non tradire la denominazione di origine bisogna conoscere anche i grandi vini degli altri, per comprendere meglio le peculiarità dei propri. I vini di Montalcino sono vostri, il disciplinare è vostro, non dei critici o del Consorzio o degli enologi. La denominazione, la terra, i vini sono vostri, come avete saputo dimostrare con rifiuto a un cambiamento del disciplinare: appare comunque assurdo, a un occhio esterno, che ci siano produttori che debbano lottare contro i loro rappresentanti in Consorzio.
Non sono i giornalisti che vi devono aiutare mostrando o celando le magagne, siete voli che dovete evitarle e fare il cosiddetto sistema: solo unendovi strettamente potrete programmare un futuro di qualità, una strategia che permetta un catasto serio, una zonazione conseguente, e un albo dei vigneti che non accetti o induca migrazioni di ettari da territori di diversa vocazione come San’antimo, per poi dover cambiare il disciplinare per giustificarli.
Insomma la strada è ancora lunga, ma è la vostra, ed è comprensibile come il vino italiano più famoso al mondo, il Brunello, rappresenti tutta l’Italia nelle sue eccellenze gastronomiche: l’unicità dell’Italia. Il monovarietale è unico al mondo, un genius loci che racconta e induce a scoprire l’Italia. Sicché temo che dovrete dimostrate ancora di essere in tanti a puntare sul futuro del monovarietale. Occorre frenare le maldicenze fra produttori, che sono di moda in questo paese, e anzi bisogna promuovere meglio tutti assieme i vostri vini persuadendosi che siano fra i più buoni al mondo: questo evento è un buon segno. Ce ne potranno essere molti altri, ognuno di voi ne è responsabile: pensate solo a come sono stati celebrati i quarant’anni del Consorzio, cioè con una degustazione improvvisata e non comunicata. Bastano poche persone, e non servono miliardi, per fare un evento di qualità eccelsa cui si parli nei migliori periodici al mondo, non dimentichiamolo.
È tempo di fare chiarezza, con pubblicazioni e divulgazioni serie (e ricerche), sul vitigno Sangiovese, sui vigneti più vocati che ne permettono la massima espressione e sulle differenze fra di essi, sulla storia di un vino che sin dal Settecento è uno degli unici monovarietali d’Europa (anche se mai del tutto) assieme al Riesling: insomma non fu solo il Principe Abate di Fulda a decidere di piantare un unico cultivàr nel suo vigneto sotto un castello lungo le sponde del Reno.... E se consideriamo che si sente ancora (l’Ais insegna) parlare erroneamente di Sangiovese Grosso…
Bisogna smettere di agire come negli anni 90 quando si è fatto e venduto qualunque cosa. Occorre una pianificazione. Si pensi al Rosso di Montalcino, un vino dalle incredibili potenzialità a un costo contenuto, eppure dai natali infausti:

- Biondi Santi non menzionato tra i soci fondatori del Consorzio in quanto non entrò a far parte del il nascente Consorzio proprio per una disputa sul primo nome del Rosso (Rosso da Vigneti di Brunello), sull’etichetta e sul prezzo che dovevano essere uguali per tutti. Il padre putativo del Brunello rientra solo una decina di anni fa nel Consorzio. E perfino Fattoria dei Barbi, che alla nascita del Consorzio produceva oltre la metà del Brunello totale, non entrò a far parte del Consorzio.
- Soldera, uno degli interpreti più autorevoli di Montalcino, oltre che ricercatore indefesso (sta per piantare anche lui alberello) smise di fare il Rosso nel 1986 in quanto inflazionato e svilito dalle grandi case…
Ecco mi piacerebbe che questo passato ci insegnasse qualcosa, e la denominazione diventasse adulta e consapevole. Insomma un tutt’uno. Voglio concludere con una frase di un noto teologo (mi spiace ma quelli sono i miei studi e vecchio lavoro): in paradiso si va soltanto tutti assieme, all’inferno ognuno ci va per conto suo. Grazie.

Siamo tutti "Mercanti di Vino"


Degustare il vino rigorosamente alla cieca, valutarlo in base al proprio gusto e, subito dopo, fissare il relativo prezzo di acquisto personale. 
Tutto questo e molto di più è "Mercanti di Vino", il wine game ideato da Luca Missori che, attraverso semplici meccanismi, mostra a tutti i partecipanti come la soggettività di un giudizio non influenzato possa (spesso) contrastare con le reali quotazioni di mercato di una data etichetta, magari quella da noi preferita.

Il funzionamento del gioco è abbastanza semplice e si compone delle seguenti fasi:
  • Degustazione alla cieca di ogni bottiglia di vino. In degustazione ce ne erano sei la scorsa volta;
  • Valutazione soggettiva del gradimento e "assoluta" (cioè riferita ai vini degustati in tutta la vita e senza "concorrenza" dei vini tra loro) durante la degustazione;
  • Valutazione soggettiva del gradimento relativo (ovvero dei soli vini degustati quella sera ed in concorrenza tra loro, visto che solo uno può arrivare primo, solo uno secondo, etc.)
  • Valutazione ad asta coperta: i gradimenti dei giocatori vengono da loro tradotti in offerte di prezzo massimo, in busta chiusa (i giocatori non sanno quali bottiglie sono effettivamente in asta e perciò devono fare offerte su tutte quante);
  • Assegnazione di alcune bottiglie ad asta mediante le offerte di cui sopra: dopo l'apertura delle buste, le bottiglie effettivamente in asta, vengono assegnate al miglior offerente;
  • Calcolo dei punteggi e confronto: i risultati raggiunti dai vini nelle tre schede vengono calcolati, confrontati tra loro, e comunicati ai partecipanti. Ovviamente si confronta anche la media delle offerte per ciascun vino con il suo reale prezzo di mercato. 
Le bottiglie portate in degustazione erano le seguenti:
  1. Pinot Noir Bourgogne Rouge Domaine Faively – 2008
  2. Barbaresco “Cascinotta” Angelo Negro – 2007
  3. Syrah “Costa Marina” La Rasenna– 2010
  4. Salice Salentino Riserva Leone De Castris – 2006
  5. Sagrantino di Montefalco “25 anni” Caprai – 2007
  6. Brunello di Montalcino “La Fuga” Tenute Folonari – 2005 
Tovaglietta
    Tra i vari vini in degustazione ho preferito senza dubbio il Barbaresco Negro (esempio tipico di un grande nebbiolo), seguito a grande distanza dal Brunello "La Fuga" (semplice nella sua espressione sangiovesista), dal Sagrantino Caprai 25 Anni (un pupo con evidente nota di legno e smalto di troppo), dal Salice Salentino De Castris (un buon vino quotidiano) mentre il Syrah La Rasenna (corto e senza l'anima che mi aspetto del vitigno) e il Pinot Nero della Borgogna (spremuta di limone in rosso) non mi sono affatto piaciuti. 
    In generale, tra i 21 partecipanti al gioco, questa prima fase ha visto “vincitore” il Brunello di Montalcino che, scrive Luca nel suo sito, ha raccolto un gradimento complessivo superiore al 53%. Seguono poi altri tre vini (Barbaresco “Cascinotta”, Salice Salentino e Sagrantino di Montefalco) con un gradimento molto vicino al primo, tra il 48% ed il 45%, mentre gli ultimi due (Syrah “La Rasenna” ed il Pinot di Faively ) restano molto staccati avendo raccolto, rispettivamente, il 30% ed il 16% delle preferenze.

    La scheda (artigianale) di valutazione
    Nella fase di valutazione relativa, pertanto, le mie preferenze sono state:
    1. Barbaresco "Cascinotta"
    2. Brunello di Montalcino La Fuga
    3. Sagrantino Caprai 25 anni
    4. Salice Salentino De Castris
    5. Pinot Nero Domaine Faively
    6. Syrah La Rasenna
    In generale, i dati ufficiali non hanno mostrato grandi stravolgimenti. I quattro vini di testa rimangono gli stessi, anche se si evidenzia il sorpasso del Barbaresco sul Brunello, mentre in coda il Pinot stenta a raggiungere il quinto posto del Syrah laziale.

    La parte più divertente ed educativa del gioco è stata sicuramente l'asta, ovvero applicare un ipotetico prezzo di acquisto del vino date le valutazioni fatte in precedenza. Io, tirchio come pochi, ho applicato i seguenti importi:
    1. Barbaresco "Cascinotta" Euro 10
    2. Brunello di Montalcino "La Fuga" Euro 6
    3. Sagrantino Caprai "25 anni" Euro 8
    4. Salice Salentino De Castris Euro 5
    5. Syrah La Rasenna Euro 1
    6. Pinot Nero Domaine Faively Euro 5 
    Luca, a livello globale, riporta che in questa fase i vini più prestigiosi (e costosi) sembrano riprendere il comando della classifica: il primo in classifica, infatti, è il Brunello “La Fuga” con un monte offerte pari a 241€; seguito dal Sagrantino di Montefalco “25 anni” a 237€; solo terzo il Barbaresco “Cascinotta”, 218€ e quarto il Salice Salentino di De Castris a 199€. Gli ultimi due rimangono gli stessi di sempre, col Pinot Noir che raccoglie soli 91€ tra 21 offerenti. Apparentemente una sconfitta senza se e senza ma per la Borgogna. Apparentemente....
      Eccomi!
      Le sorprese che il gioco riserva, infatti, non finiscono mai e così capita che l'individualità di ognuno di noi, leggi capacità di spesa e contestualizzazione del vino, è stata talmente influente da stravolgere la classifica.
      Luca, infatti, riferisce che l’offerta più alta pagata, 30€, è stata quella per il Sagrantino di Montefalco “25 anni” di Caprai: chi se l’è aggiudicato, visto il prezzo a scaffale di oltre 60€, ha così “risparmiato” più della metà.

      Segue poi il Barbaresco “Cascinotta” di Negro, per il quale sono stati pagati 20€ (prezzo di mercato 22€) e il Salice Salentino di De Castris aggiudicato ugualmente a 20€ ma con un prezzo a scaffale pari allà metà.
      Il Syrah La Rasenna (che non è stato effettivamente aggiudicato a nessuno) ha realizzato la migliore performance di apprezzamento ottenendo tre offerte di 20, 14 e 10 euro: quadruplo, triplo e doppio del prezzo di mercato pari a 5€.
      Penultimo, per offerta singola, il Brunello di Montalcino “La Fuga” (non aggiudicato a nessuno anch’esso) che ottiene tre offerte massime da 18€, la metà del prezzo in enoteca.

      Le bottiglie in degustazione
      Infine la sorpresa: uno dei giocatori offre e si aggiudica per 16€ il bistrattato Pinot Noir di Borgogna, e questo è all’incirca il suo prezzo di mercato!

      Quindi, ricapitolando, la classifica di “apprezzamentoè guidata dal Syrah La Rasenna (+15€ del prezzo di mercato), seguito dal Salice Salentino (+9€), dal Pinot Noir valutato alla pari (0€) e poi in negativo tutti gli altri: Barbaresco (-2€), Brunello (-18€), Sagrantino (-33€).

      Qua, in sintesi, trovate tutti i risultati della serata.

      Che ne pensate del meccanismo di gioco? Io lo trovo molto utile e didattico, valutare per me il Sagrantino di Caprai come un vino da 8 euro non ha prezzo, per tutto il resto c'è.....Mercanti di Vino.

      Luca Missori

      Fonte: Winemining
      Foto: Davide Tanganelli

      Sangiovese Purosangue a Roma - Secondo giorno


      In attesa del primo seminario di Armando Castagno.

      Ieri sera prima di uscire ho potuto apprezzare il Rosso di Montalcino 2008 di San Lorenzo. Me lo ricordavo già dall'anno scorso come un grande sangiovese e confermo che è un Rosso di razza, galoppante, fresco e progressivo. Bono davvero.

      Stiamo per iniziare il seminario dove, alla cieca, verrà fatto un confronto tra sangiovese e pinot nero.

      Armando ricorda Gambelli leggendo un passo del libro di Carlo Macchi.

      Forte compressiome aromatica, colori simili, buoni tannini, sono i punti di contatto tra i due vitigni.

      In degustazione ci sono due Village e un Grand Cru.

      Piccola grande lezione sulle denominazioni di Borgogna e sulle mancanze nel territorio di Montalcino.

      Iniziamo col primo bicchiere. Al naso bella apertura aromatica, grande respiro, una vocazione aerea molto interessante. Balsamico, sa di felce, piccole bacche di bosco, canfora. In bocca è puro, equilibrato, fresco, proporzionato, elegante. Finale sassoso. Per me un Rosso. Infatti è un Rosso di Montalcino 2009 Le Ragnaie. Grande Riccardo!!


      Secondo vino. Nota leggerissima di ridotto che fa incupire il vino. Richiami di buccia di uva nera, primordiale, poi diventa floreale, minerale, tocchi liquirizia. Bocca dove l'acidità ti attacca subito e non lascia molto spazio al resto. Acidità frena un pò l'apertura e lo sviluppo del vino. Finale abbagliante e "vinaccioloso". Per me Borgogna Village. Infatti è un Gevrey Chambertin V.V. Fourrier 2008.

      Terzo vino. Naso esile,  felce, pietra bagnata, florealità esibita di rose. Bocca sodica, tannino vivo, progressivo. Per me Rosso ma non sicuro.. E' un Borgogna però. Givry Village 2008 Domaine Ragot.

      Quarto vino. Naso che prende il meglio da entrambe i territori. Naso che ti investe di profumi, dalla liquirizia alla menta, incenso pazzesco, terra, viola, iris, glicine. Bocca con una coerenza straordinaria dove l'acidità non è scoperta come il numero 2 ma è perfettamente inserita nella struttura e nella massa aromatica. Per me Grand Cru... Infatti ho preso una fregatura.. E' un Rosso di Montalcino San Giuseppe (Stella di Campalto) 2008. Assaggiato ieri, ottimo, ma non aveva raggiunto ste performace.

      Quinto vino. Naso tridimensionale, intenso, da essenze farmaceutiche, fiori azzurri, incenso, oli essenziali. Sorso di eleganza e di ciccia, lunghissima persistenza rugginosa di grande classe con tutto il resto a fare da contorno. Indecifrabile. A bottiglia scoperta è un Corton Bressandes 2008 Grand Cru Chandon De Briailles. 

      Sesto vino. Coerenza olfattiva che colpisce, naturale, spontaneo, austero. Vino che sembra provenire per una diversa cilindrata da vecchie vigne di sangiovese. E' Rosso di Montalcino 2008 Biondi Santi. Beccato come sangiovese. Le vigne hanno 10 anni.


      Pausa Pranzo in attesa del seminario sulla zonazione a Montalcino.

      Rosso di Montalcino 2002 Cupano: bel sangiovese, le vigne a Sud hanno tenuto meglio l'annata restituendo un Rosso elegante, fine, non di struttura ma assolutamente godibile e bevibile. 

      Rosso di Montalcino 1986 Mastrojanni: sangiovese che si esprime su toni caffettosi, di cacao, terra, arancia amara. In bocca grande vitalità, struttura, è un bell'atleta di 26 anni, nel pieno delle sue performane. Altra grande "vecchia" bottiglia.

      Rosso di Montalcino 1995 Marchesato degli Aleramici: rispetto ai precedenti, vista l'annata, è un pochino esile e magro. Piacevolmente sapido il finale di bocca. 

      Rosso di Montalcino 2009 Il Marroneto: da vigne di Brunello che è stato declassato, rappresenta un esempio di sangiovese austero dal roseo futuro visto il tannino vivo e galoppante. Forse è il primo vino della manifestazione che berrei tra qualche anno. Costo circa 15 euro a scaffale. Ottimo investimento. 

      Manca pochissimo al secondo seminario di Castagno. Otto vini in degustazione espressioni di otto territori diversi della zona di Montalcino.

      Si inizia!

      L'idea è altamente auspicabile è doverosa per una denominazione chiave del nostro sistema vinicolo. Viene presentato Francesco Leanza di Podere Salicutti e Jan Hendrik Erbach di Pian dell'Orino.

      Viene presentato l'areale di Montalcino da un punto di vista geologico. La zonazione non può prescindere dall'altrimetria e dai giochi di vento. A Montalcino esiste, ad esempio, una dorsale che tocca punte di oltre 600 metri (Passo del Lume Spento). 

      Nella parte Nord di Montalcino possiamo trovare molte differenze di altitudine, si passa dai 505 metri di Nacciarello per arrivare ai 138 metri di Vadossi.

      La zona centrale presenta una situazione altimetrica che tende a degradare man mano che ci si avvicina al fiume Ombrone (Pian delle Vigne è a 195 metri). Da notare, in zona centrale, Le Ragnaie di Riccardo Campinoti che ha vigne a 607 metri.

      La parte sud ha le quote più basse della denominazione con quasi 70 metri s.l.m. della zona di S.Angelo Scalo. Ottime aziende nella parte orientale con Poggio di Sotto e Stella di Campalto.
      Questa parte sud è costituita prevalentemente da argille sabbiose.

      Spostandoci verso la parte centrale troviamo matrici di galestri e palomini e arenarie quarzose mentre nella parte nord-orientale, ritroviamo le argille sabbiose.

      Inizia la degustazione. 
      Rosso di Montalcino 2010 Piancornello: vino potente che grida il suo territorio di appartenenza nella sua solarità. Naso di irruenza alcolica giovanile, ricco, materico con tanta frutta sotto spirito e nota di corteccia e spezie. Bocca morbida, potente, c'è tanto di tutto..
      Rosso di Montalcino 2009 Marchesato degli Aleramici: rarefazione aromatica in evidenza figlia di un territorio ben irradiato dal sole. Bocca più a fuoco del naso che mantiene caratteri leggermente empireumaitici. L'acidità tiene su la beva. 
      Rosso di Montalcino 2009 Baricci: vino fedele alla tradizione agricola dell'areale. Toni minerali ed eleganti. Bocca austera, tannino galoppante, molto schietto ma di grande fascino.
      Rosso di Montalcino 2009 Le Potazzine: molto equilibrato, buona serenità espressiva, non ha nulla di sparato, tutto è ben amalgamato. Succoso, proporzionato in bocca, grande classico. 
      Rosso di Montalcino 2009 Salvioni: ha il suo punto di forza nella delicatezza tattile e nell'equilibrio. PAI di grande personalità supportata da grande acidità. Vino senza spigoli molto simile al suo Brunello 
      Rosso di Montalcino 2009 Lisini: gioca su elementi di durezza, terrosità e mineralità che conferma il suo carattere austero e "campagnolo", totalmente diverso alla sfericità di Salvioni. Gran bel vino.

      Rosso di Montalcino 2008 Poggio di Sotto: naso splendido, di fiori anche azzurri, ginger, incenso, cera, nota rugginosa e balsamica. Bocca coerente col naso, lineare, equilibrata, lunghissima.  
      Rosso di Montalcino 2009 Podere Salicutti Vigna della Sorgente: da cru dedicato esclusivamente al Rosso di Montalcino. Naso complesso e originale custodito da un filo di riduzione da cui filtra la dotazione minerale di ferro. La potenza alcolica trasfigura il frutto che diventa sotto spirito. Poi terra e fiori amari. Bocca con allungo micidiale, una vera grancassa che spinge da tutte le parti. Persistenza sassosa

      Sangiovese Purosangue a Roma - Giorno 1


      Ragazzi, si inizia, i preparativi ancora sono in corso, Davide Bonucci e lo staff di Riserva Grande sono incasinatissimi ma pian piano il baco sta diventando farfalla. Tra un pò inizia la conferenza stampa, Castelli mi ha promesso polemiche.... 


      Davide Bonucci
      Baricci, un pezzo di storia
      Produttori si confidano



      Iniziamo con un grande vino, il 1988 di Salvioni, a detta dello stesso produttore, è stata una sorpresa anche per lui. Granato scarico, questo Rosso di Montalcino ha un'anima sapido-austera di grande classe e fascino. In bocca avvolge e rinfresca come un ragazzino. 
       



      Il Vino Rosso da Vigneti di Brunello 1975 di Baricci commuove letteralmente perchè nonostante 37 anni conserva una freschezza incredibile che fa salivare letteralmente per minuti. Del Sangiovese rimane poco colore ma l'anima battagliera di Baricci è ancora là dentro il bicchiere.
       

      Rosso di Montalcino 2007 Poggio di Sotto: un vino splendido senza se e senza ma, floreale con tratti mentolati conserva una leggerezza e una facilità di beva da numero uno. Da comprare a casse.

      Rosso di Montalcino 2008 Biondi Santi: rispetto al precedente ha una profondità maggiore e forse una maggiore pienezza gustativa. Rimane un punto di riferimento per tutti.

      Rosso di Montalcino 2008 Stella di Campalto: solito piccolo grande Brunello, conserva una freschezza ed una ariosità molto marcate. Forse manca di un filo di complessità ma è ancora giovane per potersi esprimere al massimo. Da aspettare.



      Rosso di Montalcino 1996 Tiezzi: naso di arancia, tè nero, ruggine, fiori da diario. In bocca conserva grande tempra, entra deciso e si distende come Mennea a Città del Messico. 

      Rosso di Montalcino 1973 Col d'Orcia: il vino più vecchio della giornata. Rispetto a Baricci che proneva un vino molto esile ma fresco, il '73 di Col d'Orcia è deciso, ancora maschio, con un tannino ruvido e graffiante. Forse il naso tradisce l'eta ma che vino signori....

      Rosso di Montalcino 1999 Sesti: altra bella espressione di sangiovese che si esprime su caratteri minerali e di frutta rossa di bosco. Alla cieca diresti che è più giovane e non di poco..


      Rosso di Montalcino 2001 Colleoni: vino di razza giocato tutto su toni ematici e minerali. Non ampissimo in bocca ma va giù che è un piacere. 

      Tra un pò inizia il seminario sui Rossi di Soldera 1977-1983. Relatore (in ritardo) Fabio Cagnetti.



      Fabio alla prese con la '77....
        
      Rosso di Montalcino 1977 Soldera: i RdM di Soldera sono vini che non esistono più perchè prodotti solo dal 1975 al 1986. In seguito, tranne le eccezioni Intistieti e Pegasos, ha solo fatto Brunello. Il 1977 è un'annata equilibrata che ha fatto raggiungere alle uve un'ottima maturazione. Naso evoluto  ma piacevole: sottobosco, pelliccia, arancia, fiori secchi. In bocca è perfettamento amalgamato in ogni componente. Non sarà un mostro di struttura ma mantiene una beva agile e seducente. Forse il vino della serata. 12.2%

      Rosso di Montalcino 1978 Soldera: annata calda considerata buona. Purtroppo vino tappato anche se in bocca si sente la consistenza e la materia del millesimo. Il frutto che riesco a sentire è ancora polposo e succoso. Peccato, sarebbe stato un vino opposto e complementare. 13,2%

      Rosso Toscano di Brunello 1980: il nome è una bizzarria così come l'annata disgraziata e gelida. Naso di frutta che scomponendosi attinge a tutte le tinte autunnali mantenendo un freschezza di fondo figlia del millesimo. Bocca he manca di struttura ma rimane freschissima ed agile. Con una gradazione di 12,5% rimane un vino godibilissimo nonostante tutto...

      Rosso Toscano di Brunello 1983: si entra nella DOC. Annate strepitosa. Naso che sa di caramella mou, caramello, terra rossa, fiori secchi, caffè, legni nobili. Bocca elegante, di razza, presenta un tannino ancora vivo e vegeto ed una freschezza di fondo che accompagna il finale di beva. Se vi capita un'altra bottiglia fate un fischio! 12,5%


      A domani con i seminari di Armando Castagno!
      Ricordatevi di fare refresh ogni tanto!

      Sangiovese Purosangue: questo sabato e domenica a Roma c'è un grande evento sul Sangiovese di Montalcino


      Davide Bonucci, mente ed anima dell'Enoclub Siena, è riuscito in un sogno: portare a Roma tutti i principali produttori di sangiovese di Montalcino, tra cui il grande Biondi Santi, per rivendicare pubblicamente la grandezza del Rosso di Montalcino, un vino che, nonostante qualche scettico, deve rimanere 100% sangiovese per continuare a rimanere grande ed appetibile dal mercato. 

      Quasi 50 sono i produttori invitati che, durante la due giorni, presenteranno vecchie e nuove annate di Rosso di Montalcino, dimostrando la grandezza e la capacità di invecchiamento di un vino finora ingiustamente poco considerato e mal comunicato. 

      Durante i due giorni della rassegna ospitata a Villa Aldobrandeschi saranno poi proposti anche dei seminari di approfondimento e altri eventi speciali:

      Nella mattinata di venerdì 27 gennaio ci sarà l'attesa conferenza stampa con i seguenti relatori:

      Davide Bonucci, presidente Enoclub Siena - Perché il Rosso. Perché adesso. Perché a Roma;
      Stefano Cinelli Colombini, produttore della Fattoria dei Barbi - Il Sangiovese di Montalcino;
      Enzo Tiezzi, agronomo, enologo, produttore dell'azienda Tiezzi - Storia del Rosso di Montalcino;


      Altri interventi di produttori: Marino Colleoni (Sante Marie), Filippo Frediani (Marchesato degli Aleramici), Alessandro Mori (Il Marroneto), etc.
      Gian Luca Mazzella, giornalista de Il Fatto Quotidiano - Il ruolo di Montalcino nell'Italia della denominazione d'origine tradita
      Maurizio Castelli, enologo - Quarant'anni di esperienza a Montalcino
      Domande e repliche. Seguirà degustazione riservata alla stampa e buffet


      Nel pomeriggio di venerdì 27 gennaio, il primo seminario proporrà una degustazione verticale di introvabili Rosso di Montalcino prodotti negli anni '80 da Gianfranco Soldera, uno dei più prestigiosi e ricercati produttori di Montalcino; seguirà un secondo seminario con la degustazione comparativa di vini a base Sangiovese dalle principali zone vocate della Toscana. Al termine della giornata di assaggi è prevista una cena-incontro con i produttori, la stampa e gli appassionati.

      Sabato 28 gennaio si terranno due seminari curati da Armando Castagno, critico di vino, cultore del Sangiovese, esperto di Montalcino e autorevole firma della rivista Bibenda. Alla mattina, una degustazione alla cieca di confronto tra Rosso di Montalcino e Village Bourgogne. Al pomeriggio, un approfondimento-degustazione attorno al concetto di zonazione, dei diversi terreni e quadranti presenti a Montalcino.

      L'ingresso di 15,00 euro garantisce sia l'accesso ai tavoli di assaggio che ad un light buffet di accompagnamento. La partecipazione ai seminari e alla cena, è possibile solo su prenotazione.

      Percorsi di Vino sarà il blog ufficiale della manifestazione e seguirò in diretta tutti gli eventi con interviste esclusive. Previste polemiche....

      Quando: 27 e 28 gennaio 2012 

      Dove: Villa Aldobrandeschi, Via Aldobrandeschi 14/16

      Info e prenotazioni: Davide Bonucci 331 10.78.464, info@sangiovesepurosangue.it

      Orari: Venerdì 27 Gennaio 2012: 13.00 - 19.30 Sabato 28 Gennaio 2012: 10.00 - 19.00. Dedicato agli operatori: 27 Gennaio ore 10.30 - 13.00



      López de Heredia è un'esperienza di vita - seconda parte



      Saremmo rimasti ore a sentirla parlare delle sue viti però ancora non abbiamo visto tutto e il tempo, in questi casi, è tiranno. Imbocchiamo di nuovo El Calado e, dopo aver percorso metri e metri di antri oscuri colmi di botti di ogni tipo, ci fermiamo davanti ad una porticina. “Siamo al nostro “Cimitiero…. – esclama Maria con un sorriso – ma niente paura, qua non ci sono bare ma solo grandi vini”. 

      Il “Cimitero”, come lo hanno chiamato i vecchi dipendenti dell’azienda, altro non è che una sala dove la famiglia conserva tutte le bottiglie più vecchie, una sorta di museo d’epoca del vino della Rioja dove, se sarete bravi a togliere le mille ragnatele, potrete scorgere bottiglie anche del secolo scorso.

      Altro che Cimitero..
      C’è ancora un posta da visitare: la Tonnelleria della Bodega! La strada comincia di nuovo a salire e la luce, via via più intensa, ci ricorda che di fuori è ancora pieno giorno. Sentiamo dei rumori sordi e l’odore del legno comincia ad entrare nelle nostre narici. 

      Davanti a noi c’è un mastro bottaio che sta riparando alcune barrique. “Vedi Andrea – mi confida a voce bassa Maria – per mantenere le nostre tradizioni la Bodega deve avere al suo interno una zona dove costruire o riparare le botti, siamo i soli in Spagna ad avere una tonnelleria privata dove tutto ancora si svolge in maniera artigianale. In questa zona operano tre bottai e un falegname che hanno il compito di “curare” i nostri legni che, come sai, sono strumenti fondamentali per affinare i nostri vini. Non possiamo delegare questa attività a nessuno…”.

      Mastro Bottaio all'opera
      Mentre mi conduce nella sala degustazione, nostra ultima tappa del tour, penso e ripenso alla domanda che da giorni, forse da mesi, avevo in mente di chiederle.

      Arrivati nella piccola “tasting room” la guardo negli occhi e le chiedo: ”I vostri vini hanno un rapporto qualità/prezzo pazzesco. Potreste venderli a molto di più. Perché adottate questa poltiica?”. 
      La risposta è di quelle che scriveresti nella roccia, indelebile: ”Questa è un quesito che molti mi pongono e la risposta che continuamente fornisco è molto semplice: noi, da sempre, vogliamo che il nostro vino sia bevuto soltanto da chi lo apprezza veramente e non da chi se lo può permettere”. Poche parole per una lezione di etica che mette i brividi. Almeno a tutti noi presenti. 

      Parte dei vini degustati
      I vini di López de Heredia sono, al giorno d’oggi, anticonformistici e, soprattutto, anacronistici. Sono prodotti per essere conservati nel tempo, hanno uno stile ossidativo e, per molti profani, il fatto di essere commercializzati anche dopo dieci anni fa di questi vini veri e propri pezzi da museo che mai acquisterebbero. La forza di Maria e dei suoi antenati è stata proprio questa, rimanere sempre fedeli a se stessi nonostante le mode, le varie crisi mondiali che si sono succedute in oltre 130 anni di storia e….Parker!  

      La degustazione inizia con un Viña Gravonia Crianza 2001 (viura 100%), un bianco che, soprattutto al palato, mi fa venire in mente l’austera complessità del Manzanilla di Sanlúcar de Barrameda. Approcciarsi al Gravonia significa capire cosa sia bere un vino secco. Da brividi la sferzante acidità.

      Continuiamo con il Viña Gravonia Crianza 1991 (viura 100%), la cui espressione aromatica e gustativa, eccezionalmente solida nonostante l’anima retrò, rappresenta l’indelebile marchio di fabbrica di López de Heredia. Odori e sapori sono elegantemente terziari: mela cotogna, cera d’api, cedro, curry…. Acidità da manuale e persistenza infinita. Che altro volere da  un bianco d’annata? 

      Il Viña Cubillo Crianza 2005 (tempranillo 65%, garnacho 25%, mazuelo e graciano la restante parte) è il vino più “giovane” che attualmente troverete in commercio e questo la dice tutta. Questa tipologia di vino, forse, tra la gamma produttiva della Bodega spagnola è quello che risulta più pronto e di facile beva. Ha un bouquet complesso di aromi che spaziano tra la scatola di sigari alla viola fino ad arrivare al caffè e alla frutta di rovo essiccata. In bocca è dinamico, armonico, con tannini “gentili”, fresca acidità e persistenza da applausi. Lo vendono in Spagna a 10 euro a bottiglia….. 


      Il Viña Bosconia Reserva 2002 (tempranillo 80%, garnacho 15%, mazuelo e graciano per il resto) è un vino che vira decisamente verso un carattere fruttato, intensamente fruttato dove mora, ribes nero, marasca intersecano le loro anime con cenni di rosa passita e china. Bocca di sorprendente eleganza dove sapidità e acidità ben sorreggono una struttura importante. Ottima la PAI.   

      Il Viña Tondonia Reserva 2001 (tempranillo 75%, garnacho 15%, mazuelo e graciano 10%), l’ultima annata in commercio di questo Cru, si apre al naso con una complessità ed una finezza che definirei quasi borgognona. Ci sento i fruttini rosso di bosco mentre, con l’ossigenazione, il vino si apre mostrando una parte oscura fatta di sentori di animali e minerali. E’ ancora giovanissimo da bere, non cede nulla al palato. Da conservare per anni.

      Col Viña Tondonia Gran Reserva 1991 (tempranillo 75%, garnacho 15%, mazuelo e graciano 10%), ho abbracciato Maria López de Heredia e le ho confessato in un orecchio che questo vino valeva da solo il viaggio. Di fronte ad un grande vino non occorrono note di degustazione, vi lascio la sorpresa…. 

      Emozioni color granato
      E’ ora di tornare a casa, tra il buio e la luce sono passate circa tre ore. Di fuori, all’interno dell’elegante wine bar della Bodega, ci sono frotte di turisti americani che stanno comprando casse di vino. “Sai quale è il paradosso Andrea? Che, nonostante Parker e i vitigni internazionali, gli Stati Uniti sono il nostro maggior mercato. Strana la vita vero?”.  

      Guardo Maria per l’ultima volta, la invito a Roma per una degustazione. Ci sarò sono le sue ultime parole…

      ll moderno Wine Bar

      López de Heredia è un'esperienza di vita - Prima Parte


      Fa freddo, nonostante sia una maledetta mattina di Agosto, il termometro della macchina segna 12° e la strada per Haro presenta tratti più autunnali che estivi. Ci siamo, il GPS sta implorandomi di svoltare ad Avenida de Vizcaya. Sono nel posto giusto, questa strada sembra un piccolo distretto vinicolo formato da Bodegas dalla grande tradizione visto che, una di seguito all’altra, sorgono Muga , La Rioja Alta, Roda, De Gomez Cruzado e, ovviamente, López de Heredia, la mia destinazione finale, forse il motivo recondito del nostro viaggio in Spagna. Arriviamo presto, sono le nove del mattino, c’è ancora calma piatta, i gruppi di enoturisti in pullman non sono ancora arrivati. 
      Una voce, proveniente dall’ingresso degli uffici, mi scuote dal mio torpore mattutino:”Ola, sei Andrea?”

      Il "Txori Toki"
      Maria López de Heredia, indossa una grande sciarpa al collo ed una parannanza nera, mi stringe la mano sorridente, i suoi occhi sono modesti, orgogliosi e pieni d’amore per la sua Terra e il suo lavoro. Capisco subito che sono di fronte ad una grande donna ed incontrarla segnerà indelebilmente la mia storia personale, non solo in fatto di vino. 

      Iniziamo a parlare della storia delle cantina: tradizione e passato sono presenti in ogni atomo della Bodega fondata nel 1877 da D. Rafael López de Heredia y Landeta, un lungimirante studente di enologia che, a soli venti anni, credette nelle potenzialità del terroir della Rioja grazie anche alle continue visite dei negociants francesi di Bordeaux che, a quei tempi, stavano cercando nuove fonti di approviggionamento visto che le loro uve erano stato distrutte dalla fillossera.

      Don Rafael López de Heredia
      Chissà se quella che oggi viene definita una vera e propria “cattedrale del vino” era l’idea originaria del fondatore, sta di fatto che attualmente la “moderna” Bodega si estende su una superficie di oltre 50.000 mq divisa tra edifici (19.718 mq) e cantine sotterranee lunghe fino a 200 metri e profonde oltre 15 metri.

      Il piazzale d'entrata
      Maria è impaziente di farci vedere il suo mondo e apre il primo grande, pesante, portone in legno della giornata. Superata la soglia sembra di entrare in una macchina del tempo grazie alla quale vieni sbalzato in un altro mondo, in un altro tempo, tutto sembra essere rimasto come una volta e ti ritrovi lontano da Ysios e dalla falsa esteticità di progetti nati solo per attrarre gli enoturisti beoni della Rioja.

      Entriamo nella "Bodega Blondeau" pregni di un misticismo inaspettato. 

      Questo luogo – mi confida Maria – è uno dei più antichi dell’edificio ed è utilizzato per la prima fermentazione dei nostri vini rossi. Il legno delle botti proviene direttamente dagli Stati Uniti e dalla Francia assieme a piccoli quantitativi da Spagna ed ex Yugoslavia. Questi grandi spazi che vedi – continua – permettono all’area fresca di girare libera. Così si mantiene fresco l’ambiente e si controllano naturalmente le alte temperature provocate dalla fermentazione. Noi qua non facciamo nulla, l’unica cosa tecnologica sono le luci..”. 


      Scendiamo, giriamo angoli bui, entriamo ed usciamo da tetri accessi, il nostro Cicerone ci sta portando verso il cuore antico e pulsante della Bodega. Attorno a noi solo vecchie botti di vino di chissà quale anno scritte da chissàchi con un gessetto col quale si sono tracciate sigle indecifrabili per noi poveri umani. Respiriamo a pieni polmoni muffa e storia. 

      L’ennesima porta ci conduce all’interno della “Bodega Nueva”, uno spazio cantina costruito tra il 1904 e il 1907 a partire da una buca di grandi dimensioni a cui è stato applicato un tetto di cemento armato sorretto da colonne dello stesso materiale. La "Bodega Nueva" divenne in quel periodo uno dei primi edifici in Spagna ad utilizzare cemento armato a fini civili.

      Botti dappertutto nell'oscurità della cantina
      Superiamo una mezza dozzina di umide gallerie e ci troviamo all’interno della "Bodega Vieja", un luogo magico, ascetico, dove anche un bambino comprenderebbe il significato della parola TRADIZIONE STORICA. File e file di vecchie bottiglie coperte da sana e utile muffa ci danno il benvenuto e quasi sembra di scorgere, tra le ombre, la sagoma di D. Pedro López de Heredia, terza generazione della famiglia, che per soddisfare impellenti esigenze di spazio sacrificò parte della volta a botte della vecchia cantina per avere un’area di invecchiamento per i vini migliori classificati “Gran Reservas”. Quando si dice lungimiranza…

      "Vecchie" bottiglie di Tondonia nella Bodega Vieja
      Le sorprese non sono finite perché, scuotendoci dal nostro stato di soggezione misto a profonda venerazione enologica, Maria ci conduce verso “El Calado”, un bellissimo tunnel del 1892 di quasi 200 metri scavato nella roccia arenaria i cui lavori, commissionati da D. Rafael López de Heredia y Landeta in persona, sono durati quasi 15 anni. La galleria, che attraversa tutta la collina sovrastante, arriva fino alle sponde del fiume Ebro e permette di impilare fino a cinque barrique che stazionano costantemente ad una temperatura di 12°.

      El Calado
      Non facciamo in tempo ad ammirare il “panorama” che Maria blocca ogni nostro impuro pensiero sul nascere sottolineando che ”…tutta quella muffa e quei ragni che vediamo sulle pareti sono utili per combattere le fastidiose falene”. “Ogni cosa – continua – dentro le nostre cantine è al posto giusto da oltre 130 anni, è un microuniverso che non abbiamo intenzione di modificare visto i risultati che otteniamo”.

      Maria
      La fine del tunnel ci conduce ad una porta che, una volta aperta, apre la vista sulle sponde dell’Ebro. “Laggiù c’è il nostro vigneto più importante, il Tondonia, risale al 1913-14 ed è stato piantato dal nostro fondatore che già a quel tempo aveva ben presente l’importanza di avere vigne proprie di qualità. 
      Si trova all’interno di una depressione a forma di conchiglia (Tondonia deriva proprio dalla parola latina retondo) situata sulla riva destra del fiume e presenta un terreno argilloso sabbioso con alta percentuale di calcare. 
      Attualmente si estende per  oltre 170 ettari e produce in media 800.000 quintali di uva distinta tra le varietà tempranillo, garnacho, graciano e mazuelo per i rossi, e viura e malvasia per i bianchi. Da questo vigneto si producono i nostri vini migliori! 
      Andrea, dammi il tuo Moleskine che ti disegno come è fatto il Tondonia….” 

      Le sponde sul fiume Ebro
      Chiediamo dove sono gli altri vigneti dell’azienda e Maria, disegnando forme ellittiche nell’orizzonte, mi indica le zone dove trovano sede le vigne da cui derivano il Viña Bosconia, il Viña Cubillo e il Viña Gravonia
      Laggiù – indicandomi una zona vicino alle sponde dell’Ebro – si trova la vigna El Bosque, 15 ettari piantati ad un’altitudine di 465 metri con esposizione sud. Il suolo è un misto di argilla e calcare e le viti hanno un’età di 40 anni. Viña Cubillas, invece, là trovi da quella parte, è un po’ distante dalla Bodega, circa 4 Km. Ha un’altitudine di 410 metri e si estende per circa 24 ettari piantati su suolo argillloso e calcareo e le vigne hanno circa 40 anni. 
      Viña Zaconia, 24 ettari piantati esclusivamente a viura, si estende per 24 ettari e le vigne, che poggiano su un suolo estremamente povero e sassoso, ricco di calcare, hanno un’ età media di 45 anni. Il fatto di avere un terreno bianco aiuta moltissimo le uve bianche a maturare al punto giusto. Vieni qua che ti disegno anche questi vigneti…”.

      Mercoledì la seconda parte di questo viaggio al centro del vino