Con l'Enoclub Siena alla scoperta delle osterie senesi e del Chianti Classico Riserva Rancia

Sabato scorso con Stefania abbiamo rinnovato il gemellaggio con l’Enoclub Siena capitanato, come sempre, da Davide che per l’occasione ha organizzato un giro itinerante per le osterie di Siena, un tour, e lo premetto subito, che ci ha fatto tuffare per qualche ora nella vera cultura senese fatta di rivalità fra contrade, ironia toscana, ottimi vini (grande la verticale di Riserva Rancia organizzata) e grandissime opere d’arte.

I
niziamo il giro presso l’enoteca I Terzi dove, assieme ad ottimi crostini, ci viene servito il primo vino della giornata, uno Champagne Jérôme Prévost - La Closerie - Cuvée Les Beguines. Pinot Meunier 100% (e questo fornisce un’idea della prima chicca della giornata) invecchiato totalmente in legno, offre al naso intense sensazioni di mela cotogna, marzapane, nocciola, camomilla, farina di castagne. Se pensavate ad un vino dimesso vi sbagliate, in bocca è una lama acida, freschissimo e di grande sapidità (proviene da un terreno a prevalenza calcarea). Ottima la persistenza finale per un prodotto molto raro (ne fanno circa 6000 bottiglie) proveniente da un allievo di Anselme Selosse.
L'arco de' Pontani, in un angolo tutto senese, cova la pro
ssima osteria, Il Grattacielo, un posto che, a discapito del nome, è piccolo piccolo e col soffitto basso, all’interno del quale si trova la veracità senese fatta vecchietti mezzi ubrachi che parlano di Palio e di contrade, di storie più o meno immaginarie e di vita vissuta. Un piatto di salumi e il vino della casa (nemmeno male) ci hanno fatto immergere in questo angolo (sperduto) di Toscana.
Veloci come il vento siamo passati “Da Trombicche Vinaio”, altro locale tipico dove, assieme ad ottime zuppe toscane, abbiamo degustato la prima bottiglia della verticale Chianti Classico Riserva Rancia della Fattoria Felsina.
La 1998 è di grande personalità, presenta un naso profondo, di grande austerità se vogliamo, avvolge con le sensazioni di amarena, ribes nero, humus, china e ferro. Bocca di grandissimo equilibrio e setosità. Un vero nobile in bottiglia.
Ultima osteria, andiamo alla “Compagnia dei Vinattieri”, un locale bellissimo e di gran classe che sta agli antipodi rispetto al Grattacielo. Qua, assieme ad uno squisito brasato, abbiamo terminato il giro sulla verticale di Riserva Rancia.
La 1997, nonostante la sbandierata grande annata, non mi convince appieno soprattutto al naso dove escono sbuffi eterei, si sente lo smalto per unghie, la vernice, poi esce fuo
ri il frutto rosso maturo e, col tempo, una leggera puzzetta che stenta ad andar via. Alla gustativa è meglio, potente, caldo e persistente. Disarmonico.
La 1995 ha un naso più femminile, quasi dolciastro, dove si avverte chiaramente la visciola, l’amarena stramatura, i fiori rossi appassiti e un tocco ematico. Al gusto non intriga, troppo molle soprattutto se paragonato alla 9
8 che aveva un impatto granitico.
La 1994 ha un naso più diretto, preciso, la frutta, i fiori rossi e un leggero minerale/speziato si amalgamano tra di loro fornendo un ventaglio olfattivo non di grande dinamicità ma comunque
interessante. In bocca colpisce per la pulizia e la fresca acidità finale. Stiamo crescendo.
La 1993 è quella che forse mi ha più intrigato. Annata che parte sottovalutata ma che, invece, ci mette davanti ad un Chianti Classico dai toni alti, sia per l’intensità olfattiva dove la vi è una elegantissima terziarizzazione, sia per la qualità gustativa dove tutto è di grande impatto, dalla struttura fino ad arrivare all’interminabile persistenza. Sorpresa.

La 1990 è sicuramente il campione della serata insieme alla ’93, siamo di fronte ad una grandissima annata che, per null
a intimidita, si è mostrata da subito nel bicchiere con effetti psichedelici di frutti di bosco, china, terra bruciata, caffè, chiodi di garofano. Al palato è compatto, carnoso, a tratti maestoso nella sua irruenza ancora giovanile che ne fa di un vino ancora in divenire nonostante si fatichi a lasciarlo per troppo tempo nel bicchiere.

Concludo ringraziando tutti per la splendida giornata: Davide, Alberto, Patrick e la sua ragazza, Stefania…grazie di tutto e alla prossima, magari a Roma per un giro itinerante all’ombra del Colosseo.

Senza alcol o con alcol sintetico. Che vino volete?

Su internet e sulla carta stampata ormai non si parla d’altro, soprattutto dopo i severi limiti imposti dalla legge. Di cosa parliamo? Semplice, dell’alcol e del suo utilizzo o, meglio, del suo possibile non uso in campo enologico.

Due sono le correnti ideologiche: produrre vino senza alcol oppure produrre vino con alcol sintetico.

Per quanto riguarda il primo punto, come sappiamo, dal al 1° agosto è possibile vendere ed
acquistare in tutta Europa il vino senza alcool, nel quale è stato eliminato parte dell'alcol naturalmente contenuto attraverso pratiche enologiche industriali (che vi illustrerò in un altro post).
Lo scopo di produrre un vino dealcolato può essere duplice e cioè: pro
porre nuovi prodotti per le comunità ebraiche e musulmane e creare prodotti che possano permettere di superare i test alcolometrici.
La domanda, come diceva qualcuno, nasce spontanea: può dirsi vino, che è il risultato di una fermentazione alcolica, quello a cui poi, durante il processo produttivo, viene tolto tutto l'alcol?


Davvero un vino senza alcol mantiene tutti i benefici del vino di qualità?


Risponde a questa seconda domanda Andrea Poli, direttore della Nutrition Foundation of Italy, che sul Corriere.it osserva: «Sono francamente perplesso. I benefici cardiovascolari del vino, c'è poco da girarci intorno, derivano dal suo contenuto di alcol: non a caso si osservano anche con altre bevande alcoliche.
La proporzione di effetti positivi sul sistema cardiovascolare che dipende dalla presenza dei tanto decantati antiossidanti, resveratrolo in primis, è molto piccola: prima di tutto perché mediamente queste sostanze sono assorbite in maniera modesta dal nostro organismo, per cui per garantircene quantità consistenti dal vino dovremmo bere fino a star male – spiega l'esperto –. In secondo luogo, l'uomo ha un elevatissimo potere antiossidante “intrinseco”: se diciamo che il nostro “livello antiossidante base” è mille, introdurre resveratrolo attraverso il vino potrà spostare di uno o due questo valore. In sostanza, credere in un potere cardioprotettivo di un vino senza alcol è illusorio: per godere dei benefici del buon vino sul cuore non resta che berlo responsabilmente», taglia corto Poli.

Per rispondere, invece, alla domanda se un vino così possa esser chiamato tale, dal mio punto di vista la questione nemmeno si pone. Il vino deve essere vino, deve essere il risultato della f
ermentazione alcolica attraverso la quale lo zucchero si trasforma in alcol e altre sostanze. Commercializzare prodotti diversi con questo nome potrebbe generare confusione, a questo punto chiamiamoli bevande, surrogati, ma non vino. Se poi consideriamo l’aspetto sensoriale degustativo, è risaputo e fin troppo evidente che l'alcol svolge un ruolo fondamentale sia nell'equilibrio del vino sia nella percezione gustativa e tattile. Un vino senza alcol, mediamente, sarà sicuramente di mediocre qualità, un prodotto certamente diverso e come tale dovrebbe essere visto.

Pensate inoltre che i giovani ameranno questa bevanda? Per alcuni il vino senza alcol rappresenterebbe una delle soluzioni anti-sballo, non si rischia l’ubriacatura e tutte le possibili conseguenze. Di nuovo, su questo tema, Poli manifesta più di un dubbio: «I ragazzi che bevono non lo fanno certo perché vogliono godere dei benefici del vino. Se lo fanno, soprattutto, è per cercare gli effetti ansiolitici e disinibitori dell'alcol. Commercializzare un vino senza alcol con la pretesa di convincere i ragazzi a berlo perché così non sballano mi sembra avviarsi verso il più sicuro degli insuccessi: se funzionasse, certo, sarebbe risolutivo. Ma non credo che un vino simile possa far presa sui giovanissimi».

A questo punto le vie di uscita sono due: bere moderatamente (la mia preferita) oppure bere i vini con alcol sintetico……

Il mondo del vino piange Anna Martinengo, la regina del Barbera

E' morta Anna Bologna, poco più che sessantenne. Le campane del suo paese Rocchetta Tanaro, ai confini tra l'Astigiano e l'Alessandrino hanno suonato ieri pomeriggio per salutare questa straordinaria donna del vino che lottava da tempo contro un tumore. Anna Martinengo, fino al giorno di Natale del 1990 era conosciuta nel mondo del vino, soprattutto come la moglie di Giacomo Bologna: un colosso di simpatia e un genio enologico, scomparso a soli 52 anni. Fu lui a rilanciare la barbera partendo da «La Monella», briosa e beverina, e il possente «Bricco dell’Uccellone». Giacomo aveva il progetto di far costruire una nuova cantina. Ma la malattia lo vinse.

Anna da quel Natale di vent'anni fa si ritrovò sola, con due figli. «Dopo i giorni del lutto da un’altra azienda piemontese, mi fecero sapere che se avevo intenzione di vendere loro erano disposti. Capivano le mie difficoltà...». Ma non avevano messo in conto la capacità di questa donna di Belveglio, solida e tenace come una quercia. Decise di far costruire la nuova cantina, solo lambita, per fortuna, dalle acque del Tanaro nell’alluvione del 1994.

Negli anni scorsi con l'aiuto di Luigi Veronelli e altri amici ha organizzato un premio alla "Qualità della vita" dedicato al marito. Tra i premiati amche Gianni Rivera e Padre Eligio che erano stati coinvolti dalla simpatia della famiglia Bologna. A Rocchetta il fratello di Giacomo ha un famoso ristorante e i vini dell'azienda Braida sono conosciuti in tutto il mondo.

Vendemmia dopo vendemmia l’azienda si è consolidata: oggi firma oltre mezzo miliome di bottiglie, ha 35 ettari di vigne, un fatturato di 5 milioni di euro e 18 dipendenti. Per il 40% vende all’estero. Raffaella, il ritratto vivente del padre, segue le vendite in tutto il mondo con Norbert il marito austriaco che ha lasciato la laure in medicina per amore. Beppe con la moglie Cristina cura i vigneti e la cantina che è stata recentemente allargata.

Anna fino all'ultimo ha fatto la nonna dei bei nipotini e fino all'ultimo sulle decisioni importanti è stata lei con il buonsenso a decidere, «come avrebbe fatto Giacomo», il marito che l'aspettava tra i filari del cielo.

Fonte: La Stampa. Articolo di Sergio Miravalle

Andiamo in enoteca? Sì, da Ikea.....

Articolo che fa riflettere quello de Il Sole 24 Ore che dedica una spazio importante al rapporto tra vino e grande distribuzione.

In particolare, nell'articolo a firma di Manuela Soressi, si parla di grandi e piccole manovre che coinvolgono il vino, ormai ritenuto anche dalle principali multinazionali distributive come un prodotto-chiave per attrarre i consumatori. Perché, a dispetto della crisi dei consumi, il vino è sempre di più una bevanda che fa status e che, soprattutto sui mercati più giovani (come quello statunitense), detta gusti e mode. Inquesto modo si aprono nuovi canali commerciali che possono rivelarsi un'opportunità interessante anche per il vino made in Italy.

La sperimentazione di Starbucks

La prima notizia che ha attratto l'interesse dei mass-media è la caduta di un tabù: Starbucks, la catena di caffetterie più grande del mondo con oltre 16mila punti vendita in una cinquantina di paesi, ha sdoganato l'alcol. Si tratta solo di un test, ma, viste le dimensioni e la potenza del gruppo, è un segnale da non sottovalutare. Starbucks ha scelto la sua città natale, Seattle, per verificare un nuovo format, trasformando uno dei suoi locali storici in “15th Avenue Coffee and Tea”. Se l'insegna non lascia presagire molto di nuovo, in realtà all'interno le novità non mancano: a cominciare dall'offerta di vini e birre, con menu del giorno, che si affiancano ai classici te e caffè. E poi musica dal vivo con dj set per un locale che si dichiara “ispirato da Starbuck'” ma che calca soprattutto la mano sull'atmosfera europea, cibi e bevande comprese.

Franciacorta in salsa svedese

Starbucks non è solo sulla strada della valorizzazione del vino. Anche Ikea ha novità in questa direzione. Nei bar di alcuni store italiani viene proposto il prosecco biologico, mentre in altri nella zona ristorante è comparsa l'enoteca Ikea, con bottiglie di vino bianco, rosso e prosecco fornite da un produttore della Franciacorta e in vendita nel banco frigorifero del ristorante. Insieme al vino, Ikea suggerisce anche i calici perfetti per la degustazione.

Chianti e Lambrusco sugli scaffali di mezzo mondo

È il caso di Auchan (presente in 13 paesi e con 39,5 miliardi di euro di fatturato 2008) che ha varato di recente l'Operazione Prodotti Paesi Latini nel Mondo per promuovere prodotti, sapori e stili alimentari dei principali paesi europei. Nell'iniziativa commerciale, che ha preso il via in settembre, è coinvolto un assortimento di referenze provenienti da Spagna, Portogallo, Francia del Sud e Italia. Gli “ambasciatori” del food&beverage italiano sono circa 200, perlopiù private label, in rappresentanza delle principali merceologie, a partire proprio dal vino. La catena distributiva ha aspettative positive su questo progetto internazionale, che è stato messo a punto sulla base del successo riscosso da Operazione Prodotti Italiani 2008, un altro mega-evento promozionale che ha visto 171 referenze italiane sbarcare nei punti vendita della catena presenti in sette paesi (Francia, Spagna, Portogallo, Ungheria, Romania, Polonia e Cina).

Una particolare attenzione viene dedicata al prodotto forse più nobile della tradizione alimentare italiana: il vino, che attualmente rappresenta il 5% del fatturato export realizzato dall'insegna. Dal 2008 Auchan porta la cultura vinicola italiana in Ungheria, Romania, Polonia, Cina, Francia, Spagna, e Portogallo con i prodotti che partecipano all'Operazione Vini dal Mondo. La collezione, che oggi comprende un Chianti, due Lambrusco e un Primitivo di Manduria, viene etichettata per l'occasione con la traduzione nelle lingue dei Paesi di destinazione.
Inoltre, in occasione di Vinitaly 2009, Auchan Italia ha presentato alle strutture acquisti di 13 Paesi la produzione vinicola italiana e li ha messi in contatto con fornitori potenzialmente interessati all'esportazione diretta verso altri paesi della rete Auchan.
Così 10 etichette italiane, fra cui un Nero d'Avola, un Valpolicella e un Barolo, entreranno anell'assortimento continuativo degli ipermercati Auchan in 9 paesi europei.

Come riciclare il pessimo vino regalato dalla zia?

Siete dei rossisti e la vostra lontana zia vi ha regalato l’ennesima bottiglia di Falanghina comprata al supermercato in offerta speciale?
Siete dei grandi sommelier e i vostri amici, per fare bella figura con voi, vi hanno regalato un vecchio Barolo del 1947 morto e stramorto col livello del vino ormai a metà bottiglia? Vi fa schifo il vino e come ogni anno vi regalano una cassetta di cabernet del discount?

Bene, c’è un solo imperativo per voi: riciclare

La cosa non sembra così strana visto che, secondo l'osservatorio dell'Adoc, raddoppiano rispetto allo scorso anno i regali riciclati, che sono ormai quasi il 15% dei regali complessivamente ricevuti, ovvero un regalo su sei, e raddoppiano anche quelli messi in vendita su E-Bay. In particolare, sempre secondo l’Adoc, il vino rappresenta un buon 10% del totale dei regali riciclati.

Non male come percentuale se si pensa che è dietro solo alle solite cravatte e ai guanti e cappellini vari.

Allora che fare con queste bottiglie “scomode”?

Oltre al classico consiglio di metterle in vendita su Ebay, ma solo nel caso abbiano un minimo di valore economico, Percorsi di Vino vi fornisce, tra il serio e il faceto, qualche consiglio utile per il riciclo:
  • creare un serbatoio d’acqua per le piante quando partite per le ferie;
  • se avete delle magnum, svuotatele e con la bottiglia fate dei lumi;
  • creare delle dei portavasi moderni;
  • creare un simpatico recinto al vostro giardino
  • creare degli scaffali a casa vostra;
  • creare un tavolo;
  • fare collane “enologiche”
  • creare dei bicchieri
  • creare dei portacandele;
  • creare dei lampadari;
  • creare dei simpatici piattini.
Basta un po’ di fantasia no?

Vini Naturali a Roma 2010 - Seconda giornata

Vini Naturali a Roma 2010, sicuramente un grande successo anche se tanta gente a volte è deleteria per chi come me vorrebbe cercare di parlare qualche minuto col produttore preferito e magari prendere qualche appunto sul suo taccuino reso improponibile dalle tante botte delle persone che richiedevano l’ennesimo bicchiere di vino. Mission Impossibile.

Vabbè, detto questo, provo a buttar già qualche note dei vini che la scorsa domenica mi hanno colpito di più:

Franco Terpin – Sauvignon 2006: a me questi vini naturali fanno impazzire, sia dal colore che dai profumi non direi proprio si tratti di quel vitigno, alla cieca perderei alla grande. Colore ambrato e una complessità esplosiva che va dalla scorza di arancio allo zenzero, dal mallo di noce alla pietra minerale per eccellenza. Vino di grande struttura ed equilibrio grazie ad una sferzante acidità di fondo. Forse da meditazione o abbinato a qualche pesce molto grasso e strutturato.

Kristancic/Nando – Rebula 2004: la canzone “anvedi come balla Nando….” da oggi diventa “anvedi come vinifica Nando….”! Un estremista della macerazione sulle bucce questo Andrei Kristinacic che, con i suoi 5 ettari di vigneto posti a pochi passi dal collio italiano, tira fuori una ribolla esplosiva che ha un tannino quasi da sagrantino. Buono sicuramente, estremo, forse troppo per berne una bottiglia a tavola .

Oasi degli Angeli: Casolanetti mi doveva far provare il famoso Kupra però domenica non si è visto. M’ha dato la sòla!!! J

Ar.Pe.Pe.: qua non mi invento nulla, siamo di fronte ad un grandissimo produttore che, contrariamente ad ogni criterio commerciale, mette in vendita il suo vino quando lui pensa sia pronto. A parte un sempre grandissimo ed incantevole Sassella Rocce Rosse 1997, il mio palato e il mio cuore sono andati persi per il Grumello Buon Consiglio Riserva 1999, un vino timido che rilascia suadenti note di rabarbaro, chinotto, semi di papavero e una florealità di grande classe. Mi dicono che è ancora giovane ed inespresso…..

Azienda Agricola Antoniolo - Gattinara San Francesco 2004: più diretto ed essenziale rispetto al suo fratellone Osso San Granato, questo nebbiolo si fa sempre bere con grande gusto, trovo un frutto rosso perfettamente integrato con la componente floreale e speziata. Bocca solida, compatta, con un tannino di buona fattura e un finale ricco di acidità che richiama costantemente la mano verso l’ennesimo bicchiere.

Paolo Bea – Montefalco Rosso Riserva 2004: ebbene sì, rispetto al tanto osannato Sagrantino ho trovato questo vino di una categoria superiore, forse perché più pronto, forse perché dotato di una bevibilità disarmante. Intenso, frutta, fiori rossi e spezie sono armonicamente fusi all’interno di un registro olfattivo di grande personalità. Bocca calda, fresca, di ottima struttura tannica. Buoni i ritorni di frutta e spezie.

Il Cantante – Sicilia Igt Bianco 2007: da vigne di oltre 40 anni poste a 1200 metri di altezza nasce questo vino estremamente affascinante, di ottima spinta acido-sapida, che presenta un bouquet aromatico e gustativo fatto di fruttini gialli, mandorla e pietra bianca. Ottima la struttura e la persistenza finale. Da segnalare anche l’Etna Rosso 2002, da vigne di oltre cento anni di Nerello Mascalese e Nerello Cappuccio ottimamente combinati per dar vita ad un vino che ha tutta l’anima irrequieta del vulcano.

Altre ottime bevute:

Podere Le Boncie – Le Trame Chianti Classico 2006: ancora un vino oscuro, in divenire, che comunque rivela una struttura e una grinta da vero fuoriclasse. Da aspettare sicuramente.

Graci – Quota 600 Etna Rosso 2006: grande rosso da Nerello Mascalese, dotato di tanta frutta rossa, mineralità, terrosità e una persistenza da vero campione.


Alla prossima!

Piccolo report su Vini Naturali a Roma 2010

Bella giornata ieri a Vini Naturali Roma 2010, manifestazione creata ed organizzata da Tiziana Gallo. Bella giornata perché, in uno spazio non troppo grande, ho potuto bere vini di grande spessore e, cosa più importante, ho incontrato amici vecchi e nuovi come il mio “collega” Jacopo Cosatter con il quale ho condiviso qualche bicchiere. Butto giù qualche nota su quanto degustato fino ad ora con la promessa di approfondire successivamente.

Champagne Raymond Boulard Prestige Tradition
(Chardonnay 50 %, Pinot Noir 30%, Pinot Meunier 20%): sarà stato il caldo dell’ambiente o il fatto che la bottiglia era aperta da tanto, però mi aspettavo molto di più da questo champagne che si caratterizza per una buona sapidità e per una bocca poco convincente, specialmente in persistenza.

Klinec: lo sloveno timido, come amano definirlo, coltiva 5 ettari di vitigni vari con il sistema dell'agricoltura biodinamica nei pressi di Medana, non lontano dal castello di Dobrovo. Ho degustato in questo caso solo vini bianchi, splendidi, a partire da una Rebula 2007 dalla splendide note agrumate e di fiori, fino ad arrivare ad un Pinot Grigio 2007, dal colore aranciato (vedi foto) che, nel berlo, richiamava intensamente tutti i profumi e i caratteri della buccia dell’uva. Straordinario nella sua tipicità e caratterizzazione. Da non dimenticare, sempre di Klinec, il suo Tocai e la sua Malvasia.
Ciro Picariello: il suo Fiano di Avellino mi incanta sempre, per me la migliore tipologia di questo vigneto. Il 2005 mi intriga per la sua complessità mentre l’ultima annata in commercio, la 2007, è un’esplosione aromatica che non lascia mai la bocca. Un vino che riflette il produttore.
Azienda Agricola Bonaccorsi: altra scoperta, tra i vari vini da segnalare un posto d’onore lo attribuisco sicuramente al Valcerasa Etna Bianco 2007, 100% Carricante allevato ad alberello, caratterizzato da grande acidità e sapidità e profumi complessi. Forse sull’Etna hanno trovato l’altra faccia (bianca) del nerello mascalese.
Emidio Pepe: c’è chi lo odia per i suoi vini a volte “puzzettosi” mentre io, invece, lo amo visceralmente per le emozioni che il suo Montepulciano a volte sa dare, soprattutto nelle grande annate come il 2001 bevuto ieri, un vino di una eleganza netta e disarmante.
Bonavita: molti hanno parlato prima di me del loro Faro, un giusto mix di Nerello mascalese, Nerello cappuccio e Nocera che tra spezie e odori eterei ci porta in un’altra dimensione sensoriale. Ottimo anche il loro rosato, stesso uvaggio del Faro, che rappresenta un’ottima risposta allo stile provenzale.
Radikon: non c’è molto da dire su quest’altro artigiano del vino se non che il loro Merlot 1997 rappresenta un velluto sul mio palato e sulla mia anima. Oggi proverò i loro bianchi.
Oasi degli Angeli: oltre al “solito” Kurni, che nella versione 2007 trovo leggermente più equilibrato, da segnalare c’è soprattutto il loro Fragile 2000, Trebbiano vinificato in stile sherry che esce dopo aver fatto circa otto anni di botte. Un vino spiazzante, grasso, complesso, che non può esser paragonato a nulla se non a se stesso sia per complessità aromatica (ogni descrittore va bene secondo me) sia per impatto gusto-olfattivo (esplosivo). Peccato che sia una riserva privata e, per questo, un vino virtuale.
Camillo Donati: il Mio Lambrusco 2007 rappresenta una risposta, profonda e complessa, a tutte le bottiglie di “vinaccio” emiliano che troviamo in giro per i supermercati italiani. Non c’è dolcezza e stucchevolezza aromatica, la frutta nera si mischia alla terra, tutto è irresistibilmente speziato. Beva compulsiva.

Vini Naturali a Roma 2010

Torna a Vini Naturali a Roma, l’evento curato da Tiziana Gallo che, dopo il successo dello scorso anno, ha voluto bissare organizzando questa seconda edizione.

Il fine della manifestazione è permettere al consumatore di conoscere e degustare vini prodotti nel rispetto del territorio, della vite e quindi della natura. Alla manifestazione saranno presenti vignaioli aderenti a varie associazioni quali
Vini Veri, VinNatur, Triple "A", Renaissance Italia oltre ad alcuni indipendenti.

Sarà possibile degustare ai banchi di assaggio il 30 e 31 gennaio e il 1 febbraio 2010 presso le sale dell'
Hotel Columbus in via della Conciliazione, 33.

Noi di Percorsi di Vino saremo là con altri blogger ed appassionati romani, magari scopro qualcosa di davvero interessante all’interno di un modo che ancora non mi convince pienamente.


State sintonizzati perché ci saranno aggiornamenti costanti sull’evento.

Podere San Lorenzo, piccoli grandi Brunello crescono a Montalcino

Ho conosciuto Luciano Ciolfi quasi due anni fa, un rapporto di stima reciproca che si è concretizzato e ha preso vita solo qualche mese fa in occasione di Benvenuto Brunello 2009, happening enologico che raduna tutti i produttori del famoso vino toscano che, anno dopo anno, mostrano al mondo in anteprima il loro Brunello.
Luciano Ciolfi e Podere San Lorenzo sono una giovane realtà ilcinese, un connubio di tradizione ed innovazione che sta conquistando, vendemmia dopo vendemmia, bottiglia dopo bottiglia, traguardi importanti sia in Italia che all’estero.
Luciano è l’ultimo di cinque generazioni di vignaioli autentici, con la terra nel sangue, che ha preso il meglio da suo nonno Bramante e da suo padre Paolo (che lavorano tuttora in azienda) per ricercare un solo obiettivo: produrre un Brunello di Montalcino eccellente. Sanlorenzo si trova sul versante sud-ovest del comune di Montalcino e si sviluppa a 500 metri di altitudine sulla cresta delle colline che dal poggio della Civitella si allungano morbide fino al fiume Ombrone. I terreni si estendono sui due versanti delle colline, con il bosco verso nord e la Val d'Arbia, e i vigneti esposti verso sud e la Maremma.
Il terreno è mediamente argilloso e ricco di pietre, tendenzialmente magro e arido.
Il particolare microclima e le precipitazioni concentrate nei mesi primaverili e tardo autunnali caratterizzano la crescita dei tipici vitigni autoctoni e conferiscono alle uve un aroma unico. Sono quattro le principali vigne del podere: le principesse di Sanlorenzo. Si trovano nel versante sud della proprietà e sono esposte verso est o verso ovest, a seconda della morfologia naturale del territorio.
La "principessa della luce" esposta a sud-est è, fra tutte, la preferita dal Sole che la scalda dall'alba fino al tramonto. E' la vigna più grande con 6800 viti di Sangiovese Grosso che, per 1,4 ettari producono uve destinate a divenire Brunello di Montalcino, e per 0,4 ettari, Rosso di Montalcino.
La "principessa del risveglio" è la prima, al mattino, ad essere accarezzata dal sole. Quando ci si trova in questa vigna il silenzio è così intenso che sembra di essere soli al mondo. La principessa del risveglio è composta da due appezzamenti, impiantati a distanza di molti anni l'uno dall'altro, e coltivata a Sangiovese Grosso.
La "principessa di Bramante" è la vigna più antica, la signora del Brunello. Di sicuro è la più piccola per estensione, ma nessuno più di lei ha storie da raccontare e persone da ricordare. Dalla principessa di Bramante si produce unicamente Brunello di Montalcino che ha preso il nome di Bramante in onore del più anziano dei fondatori dell'azienda ancora in vita.
La "principessa di Lorenzo" è la vigna più giovane, anch'essa coltivata a Sangiovese Grosso rappresenta l’unione tra il passato e il futuro della famiglia. I suoi filari corrono giù lungo una piaggia scoscesa e nelle notti d'estate, quando la Luna è piena e il cielo limpido, i riflessi scintillano lungo i tralci e la principessa di Lorenzo sembra un pezzetto di cielo attraversato da milioni di stelle cadenti.
Durante l’anno le principesse vengono costantemente curate selezionando prima i tralci con la potatura verde che evita ammassi disomogenei di uva, successivamente, dal mese di agosto, selezionando i grappoli e controllando lo stato delle uve.
Verso la metà di settembre, si tolgono le foglie più vicine all'uva per
arieggiare e soleggiare i grappoli, e infine, di ottobre, si controlla l'avanzamento della maturazione perché per ogni vigna c'è un giorno esatto, che ogni anno viene scelto accuratamente, per iniziare la vendemmia che, di solito, cade verso la metà di ottobre, all'inizio dell'autunno, quando la terra è ancora tiepida dei solleoni estivi, e l'aria del mattino è già quella frizzante dell'autunno inoltrato. Immediatamente dopo raccolta, l'uva viene trasportata in cantina e accuratamente diraspata. Gli acini vengono spremuti e il tutto passa in apposite vasche d'acciaio dove avviene la fermentazione e la successiva macerazione che di solito ha la durata di 20-25 giorni ad una temperatura che varia dai 28 gradi dei primi giorni fino ai 20 degli ultimi giorni.
Durante tutto questo tempo vengono effettuate per
iodiche rimonte e delestage. Al termine della vinificazione il vino passa in vasche per il deposito dei residui solidi.
A questo punto, analizzando e assaggiando il vino, si decide la sua destinazione ultima, cioè se diverrà Rosso di Montalcino oppure Brunello di Montalcino.
Il vino destinato a diventare Rosso di Montalcino viene passato nei barriques senza togliere le fecce leggere.
Qui rimane per 10 mesi e viene periodicamente sottoposto a batonage. Trascorso questo tempo viene imbottigliato e lasciato riposare per almeno altri 3 mesi. Il Rosso di Montalcino viene messo in commercio dal febbraio del secondo anno dopo la vendemmia.

Il Brunello viene messo a riposare in grandi botti di legno da 30 ettolitri per 3 anni. Al termine di questo lungo periodo viene passato in acciaio per il tempo
necessario e successivamente imbottigliato e lasciato di nuovo riposare per almeno 6 mesi. Il Brunello di Montalcino viene messo in commercio dal primo gennaio del quinto anno successivo alla vendemmia.
L'annata 2004, come ormai anche i sassi sanno, si è distinta per il suo andamento climatico equilibrato, roba da far meritare al Brunello di tale millesimo il voto massimo delle cinque stelle.


Per i vigneti di Sanlorenzo questa (presunta) ottima annata si ritrova anche nel bicchiere dove il vino presenta al naso con un bouquet molto intenso di viola, ribes nero, mora e un filo di spezie scure. Al palato mostra stoffa da vendere con una trama tannica molto levigata, potente ed elegante.
Vino di grande personalità, davvero gustoso, da bere con un filetto di manzo alle ciliegie.

Foto tratte dalla rete

Arriva il personal wine shopper?

Sembra essere l’ultima tendenza del momento o, meglio, la professione del futuro: il personal food-shopper.
Leggendo l’articolo comparso tempo fa su TGCOM comprendiamo che questo consulente si occupa di accompagnare il goloso cliente tra i migliori indirizzi della città per permettergli di mangiare e/o acquistare i migliori prodotti enogastronomici.
Spiega
Alessandra Lepri, storica del costume e organizzatrice di sfilate ed eventi di moda: "Si tratta di una professione già diffusa in America, che va a braccetto con quella del 'personal shopper' e che sicuramente prenderà piede anche qui. Cibo, vino, olio, tartufi, cioccolato, formaggi e altre delizie sono apprezzatissimi dai turisti e dagli italiani stessi che vogliono conoscere anche questo aspetto della città in cui si trovano. Un 'food shopper' saprà indicare i prodotti tipici da acquistare, accompagnerà alle degustazioni, conoscerà i ristoranti, osterie, enoteche, cantine e non solo".

Proprio quest’ultima frase mi ha acceso la famosa lampadina: e perché no un wine-shopper? Accompagnare i tanti appassionati di vino in giro per le cantine del Lazio e d’Italia, far conoscere loro direttamente i produttori che potranno vendergli le bottiglie a prezzo di cantina, organizzare wine tasting personalizzati, organizzare mini corsi di vino direttamente al domicilio del cliente, portarlo nelle migliori enoteche e consigliarlo nell’acquisto di un determinato vino e sul relativo abbinamento gastronomico.
Sogni, stronzate e possibile realtà? Intanto butto il sasso e di certo non nascondo la mano, oggi è solo un pensiero, domani chissà….

Un'enoteca storica della mia città: Trimani

Trimani per gli appassionati di vino romani rappresenta da sempre un nome e una garanzia. Qualche giorno fa, spulciando tra la rassegna stampa enologica nazionale, ho trovato questo articolo su Il Giornale.it che, ultimo di tanti altri articoli scritti in merito, va a suggellare storica e culturale di questa importante famiglia di vinai di Roma.

Ecco cosa hanno scritto:
Dal 1876 è un punto di riferimento per i romani. Uno dei più antichi negozi di vini della Capitale, tra i più importanti punti vendita specializzati d’Italia, Trimani affonda le proprie radici nel lontano 1821. «Si ha notizia certa che già a quell’epoca un mio avo, Francesco Trimani, vendesse vino in un negozio su via di Panico - spiega Marco, titolare dello storico negozio di via Goito -. Fu però nel 1876, dopo un momentaneo trasferimento in via di Porta Salaria, l’odierna via Piave, che iniziò la nostra vera attività.
Mio padre Pietro e io poi ci stabilimmo nell’attuale sede e da allora abbiamo adeguato il punto vendita a seconda delle richieste del mercato, passando da vinaio con cucina fino all’attuale negozio che conta circa 4mila referenze tra vini italiani e da tutto il mondo. Nel 1991, al negozio di vini si è poi affiancato il Wine Bar di via Cernaia».

Marco Trimani, che oggi gestisce l’attività assieme alla moglie Rosalena e ai figli Paolo, Carla, Francesco e Giovanni, è un fiume in piena. Stimato critico enologico (ha lavorato anche per la Treccani), animatore dei primi programmi tv dedicati all’enogastronomia, spetta a lui il merito di aver fatto conoscere il Brunello di Montalcino a Roma e a «importare» la moda del wine-bar.

La crisi lo ha sfiorato appena, anche per merito di una clientela affezionata attenta più alla qualità che al prezzo. «Negli ultimi 3-4 anni abbiamo riscontrato la ricerca di una qualità molto alta, per tutte le zone e per tutte le fasce di prezzo- continua Trimani-.

Proponiamo vini selezionati in anni ed anni di pazienti peregrinazioni e puntuali assaggi tra i viticoltori nazionali». Oltre a nobili, politici, attori, professionisti, la famiglia Trimani annovera tra i fedelissimi anche personaggi del passato quali Luigi Pirandello, Ignazio Silone, Vittorio Emanuele Orlando e l’artista Mino Maccari che disegnò per la famiglia il logo che ancora oggi li rappresenta in tutto il mondo: le tre mani stilizzate.

Anche il presidente Giuseppe Saragat si affidò ai Trimani per un ricevimento in onore della Regina Elisabetta d'Inghilterra nel 1969. «In quell’occasione- racconta Marco Trimani-, invece dello champagne il presidente fece servire spumante italiano, superando anche le perplessità di chi reputava inopportuno apportare modifiche al consueto cerimoniale».

Delle atmosfere di un tempo, Trimani ha conservato nel negozio alcuni arredi originali degli anni Venti. Oltre all’antica fontana per la mescita, vi è anche una lista di prezzi a parete con lettere in foglia d’oro datata 1919 in cui erano riportati i prezzi dei prodotti di maggior vendita di quegli anni (Vermouth, Marsala, Ferro China).

Oggi, vino e olio Marco Trimani se li produce pure da sé. È infatti titolare dell’azienda vitivinicola Colacicchi di Anagni (nota per il rosso Torre Ercolana), e proprietario di alcuni oliveti nella zona di Torri in Sabina, da cui ricava un olio extravergine d’oliva biologico Dop, il San Vittore degli Uccellatori.

Foto prese dalla rete

Fattoria Le Casalte - Vino Nobile di Montepulciano 2006


Il Nobile di Montepulciano è un vino che difficilmente è riuscito a piacermi, spesso, soprattutto nelle nuove annate, è troppo legnoso e, comunque, troppo internazionalmente pompato per poter piacere alle mie papille gustative.

Tutto questo fino a poco tempo fa, fino al giorno in cui
Armando Castagno mi fa fatto bere qualcosa di diverso, di sconosciuto, di nuovo, che ha generato in me un’esplosione sensoriale che richiede, per nutrirsi e per nutrirmi, altre dosi di quel prugnolo gentile. L’artefice inconsapevole di questa rinascita gustativa, oltre a Castagno, è stata l’azienda Le Casalte, piccola realtà agricola sita in località Sant’Albino, vicino Montepulciano, che col suo Vino Nobile base, millesimo 2006, mi ha permesso di capire quanto sbagliavo bollando come “non affine ai miei sensi” tutta una prestigiosa denominazione come quella del Vino Nobile di Montepulciano. La storia della Fattoria Le Casalte è un bellissimo racconto di famiglia. Tutto iniziò nel '75, quando Guido Barioffi e sua moglie Paola, decisero di acquistare un vecchio casale in rovina, sulle colline di Montepulciano. Ci volle tutta la caparbietà e la determinazione di Guido, che si mise a studiare enologia e agronomia non conoscendo nulla del settore, perchè in poco più di 30 anni di sacrifici, il sogno di una casa in campagna si trasformasse in una piccola azienda vinicola.



Per amore di un cavallo, dal '95 la figlia Chiara cominciò a passare i fine settimana a Montepulciano, cominciando a scoprire una realtà di vita ben diversa da quella cittadina di Roma. Sarà proprio lei ad affiancarsi successivamente al padre nella gestione dell'azienda. Oggi sono 13 gli ettari in produzione su questo altopiano a sud di Montepulciano posto a circa 400 metri s.l.m dove, con una media di 34 anni, possiamo trovare solo vigneti di Sangiovese, Canaiolo e Mammolo. Nulla di internazionale.

In cantina, grazie al lavoro di Paolo Salvi e, soprattutto, di Giulio Gambelli, tutto è perfettamente “tradizionale”: vinificazione in vasche di acciaio, spesso affiancate da tini tronco-conici e maturazione in botti grandi per circa due anni.

Nulla di pirotecnico, di gridato, così come il
Vino Nobile di Montepulciano 2006 che ora è nel mio bicchiere, una giusta combinazione di prugnolo gentile (80%), canaiolo (15%) e mammolo (5%) che creano una finezza aromatica e gustativa tutta da scoprire.
L’impatto olfattivo non è da vinone, anzi, tutto è sussurrato, le pennellate aromatiche sono lievi ma decise, ci sento il ferro, una bella nota minerale, cenni di spezie e di un frutto maturo che è lontano dall’essere stucchevole, sciropposo. In bocca si conferma ampio e vellutato, non invade la bocca come un barbaro, la vena acida è sorprendente come la bevibilità del vino che, per un Nobile di Montepulciano, non è cosa da poco.

Un vino certamente non facile, per chi cerca potenza e immediatezza consiglierei di virare verso altri prodotti. Se, invece, volete cercare, scavare tra le intime emozioni di ciò che bevete, questo è il mio e il vostro vino.

Investire sul vino? Arriva Noble Crus, il primo fondo sul vino

La diversificazione è uno dei primi obiettivi di ogni investitore, tuttavia il processo di globalizzazione ha portato ad una crescente correlazione tra i diversi mercati internazionali, mentre il fenomeno del leveraging ha comportato che asset class tradizionalmente slegate dal settore finanziario, come ad esempio le opere d’arte, siano in realtà fortemente influenzate dalle dinamiche degli indici azionari. Nel contesto attuale, a prescindere dal segmento dei fondi comuni total return, risulta praticamente impossibile trovare forme di investimento liquide, realmente decorrelate dai mercati, come riesce ad essere il Nobles Crus, il primo fondo che investe in vini d’annata.

L’ideatore dell’iniziativa è Michel Tamisier, che dopo una lunga esperienza internazionale in Bnp Paribas, JP Morgan e Carmignac, ha deciso di sviluppare l’idea di investire in temi di passione, attraverso strumenti trasparenti e facili da capire, per sfuggire alla complessità attuale dei prodotti finanziari, in grado tuttavia di offrire performance e diversificazione; “tutto questo sembra molto ovvio oggi dopo la crisi, però il progetto risale al 2007. Investire in temi di passione deriva di una domanda semplice, cosa può volere un investitore benestante dopo avere comprato tutti i prodotti esistenti sul mercato ed avere partecipato a tutte le bolle speculative? La risposta è molto semplice, un prodotto che capisce e che possa piacere personalmente”, come spiega Tamisier.

Cosi è nato il concetto di Passion Investment e dopo il lancio del primo comparto Nobles Crus nel gennaio 2008, la Sicav Lussemburghese Elite’s Exclusive Collection, promossa da Elite Advisers, dovrebbe offrire dei fondi che investono in altri temi di passione quali arte, auto, diamanti, francobolli, gioielli e orologi da collezione, ma anche in altri temi ancora più di nicchia; “già nel corso del prossimo trimestre l’autorità lussemburghese dovrebbe autorizzare un nuovo comparto”.

Il Nobles Crus è un fondo aperto ed investe nei migliori vini del mondo e nelle migliore annate, secondo tre criteri; “una qualità estrema, perché solo tali vini vedono il loro prezzo salire anche in periodi di crisi; il potenziale d’invecchiamento, perché è il miglioramento del vino anno dopo anno che fa salire i prezzi; la notorietà, per motivi di liquidità i vini devono essere conosciuti in tutti i mercati compresi quelli emergenti”.

Il vino viene conservato nelle condizioni ottimali, all’interno del porto franco di Ginevra.
La gestione è propriamente attiva, attraverso la costante compravendita di vini, ed è affidata a Christian Roger, un gestore di grande esperienza e un appassionato della materia, che dopo un’esperienza ventennale nel settore bancario, ha deciso nel 1998 di dedicarsi esclusivamente alla sua passione per il vino. “Oggi Roger rappresenta uno dei maggiori esperti al mondo, vantando tra l’altro il titolo di Membro permanente del Gran Judy Europee di degustazione”.

Su questo mercato ancora poco standardizzato, è molto difficile trovare un parametro di riferimento, “seguiamo il Liv-ex 100 Index che tuttavia investe in prevalenza su Bordeaux di tutte le annate, in vini più recenti, ma anche di primo, secondo e terzo Crus. Nobles Crus invece, oltre ai Bordeaux, prende posizione su Borgogna e i vini esteri, privilegiando unicamente i premiers Crus su annate interessanti, ed infine i vini più vecchi”, un elemento che spiega l’extra rendimento del fondo rispetto al benchmark.

Passione, trasparenza, ma soprattutto diversificazione e performance; “dal 1950 non abbiamo mai visto i prezzi dei più grandi vini del mondo scendere, questi rimangono stabili durante le crisi per ripartire una volta superate. Nel 2008 il mercato dei vini d’eccellenza è andato bene, ed ha sentito l’impatto dell’attuale congiuntura soltanto all’inizio del 2009, quando il settore si è fermato per poi ripartire a settembre”.

Investendo in beni tangibili il Nobles Crus non è UCITS III, può tuttavia essere sottoscritto presso qualsiasi istituto in Italia, in modalità “Private Placement”, usando il codice ISIN del fondo (LU0332753077), come per qualsiasi altro strumento del risparmio gestito, sebbene spesso le banche stesse non conoscano questa modalità operativa.

Fonte: http://www.bluerating.com/


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La Famiglia Zonin e il Feudo Principi di Butera: il primo vino “open source”

Il progetto

Il progetto My Feudo nasce dalla tenuta Feudo Principi di Butera allo scopo di coinvolgere alcuni
esperti del mondo del vino nell’esperienza creativa di un vino tutto loro. Come? Mettendo a loro disposizione le stesse basi che Franco Giacosa, enologo e winemaker di Casa Vinicola Zonin, ha utilizzato per elaborare il nuovo blend che verrà presentato al Vinitaly del 2010.
Merlot, Cabernet Sauvignon e Petit Verdot: una volta ricevuti i campioni d
i vino a casa, i partecipanti dovranno combinare in diverse percentuali gli uvaggi per arrivare, dopo tutti gli esperimenti necessari, al perfetto assemblaggio che verrà imbottigliato in una dozzina di esemplari e degustato in una tavola rotonda tra azienda e partecipanti al Vinitaly (purtroppo non beneficerà dell’affinamento in bottiglia).
Saranno i partecipanti, a descrivere, degustare e valu
tare alla cieca al Vinitaly 2010 i diversi blend insieme a Francesco Zonin, Franco Giacosa – direttore tecnico di Casa Vinicola Zonin, e Antonio Cufari - direttore della tenuta. Una concezione del vino “open source” aperto all’interattività e alle idee del suo pubblico, che svela passo passo i progressi dei partecipanti e del processo di creazione del blend sul blog.

Il progetto potrà essere seguito quotidianamente sul blog dedicato (www.myfeudo.it)


L’idea


Il primo progetto di vino open source, frutto della filosofia con cui Casa Vin
icola Zonin combina la tradizione del vino di alta qualità e l’eccellenza versatile del territorio con l’innovativa volontà di aprire nuove strade di comunicazione e interazione con il suo pubblico: ecco Myfeudo, un progetto che nei primi mesi del 2010 coinvolgerà attivamente blogger, ristoratori ed esperti del settore.

Molto spesso l’interazione tra produttore e consumatore avviene dopo la creazione di un vino, e si chiede agli appassionati un giudizio ed eventuali commenti. Con il progetto Myfeudo si cerca di portare questa interazione in cantina, si cerca di far calzare agli appassionati le scarpe dell’enologo con tutti i du
bbi che questi ha nel momento più critico del suo lavoro, nell’assemblare il vino proveniente da diverse vigne dopo un anno di lavoro. Per il primo anno “di rodaggio” il progetto riguarda la creazione di un taglio bordolese tra le varietà Petit Verdot, Merlot e Cabernet Sauvignon prodotte da cru all’interno della Tenuta Feudo Principi di Butera. In futuro a questi vini si potranno affiancare anche il Syrah ed il Nero d’Avola se il gruppo di lavoro lo riterrà interessante. Ai partecipanti quindi verrà chiesto di creare un blend personale che sarà degustato insieme al blend creato da Franco Giacosa per cominciare la discussione su cosa ci si aspetti da un taglio bordolese made in Sicily. Ogni proposta verrà imbottigliata e degustata durante un incontro al Vinitaly 2010, in un confronto costruttivo e divertente fra le proposte del produttore e i gusti del suo pubblico che ne determineranno le scelte e gli orientamenti futuri.

Feudo Principi di Butera è la tenuta siciliana della famiglia Zonin che ha dato vita e sostanza al progetto, fornendo la prestigiosa materia prima.

Il sondaggio


Ma il coinvolgimento del pubblico non finisce qui: a battezzare il nuovo vino di Franco Giacosa saranno i lettori del blog MyFeudo www.myfeudo.it., che avranno la possibilità di scegliere il nome del nuovo vino attraverso un sondaggio aperto e articolato in tre opzioni. Le proposte saranno rese pubbliche all’inizio di febbraio.


I partecipanti


I tredici partecipanti al progetto MyFeudo appartengono al mondo del vino a 360º gradi: si tratta di blogger, giornalisti specializzati, proprietari di enoteche e ristoratori.


Verranno presentati sul sito di My Feudo giorno dopo giorno e condivideranno le loro riflessioni, le loro prove e i loro esperimenti online.


(fonte: http://www.socialmedianews.it/myfeudo)

Piccoli vini del Lazio crescono: Donato Giangirolami - Peschio 2005

Ho comprato questa bottiglia diverso tempo fa presso la Città dell’Altra Economia di Roma con la convinzione che, prima o poi, riesca a bere un vino biologico laziale di una certa qualità.
Mi avevano parlato bene di Donato Giangirolami, piccolo vignaiolo laziale che da un po’ di tempo si è convertito ai metodi di produzione naturali.
L’azienda si compone di quattro corpi di cui due ricadenti nell’area dei Castelli Romani Doc, una ricadente nella zona Doc di Aprilia e l’ultima é iscritta all’albo dei vigneti I.G.T. Lazio.
Giangirolami, come detto, pratica l’agricoltura biologica, la sua uva è prodotta senza l’ausilio di prodotti chimici di sintesi, sia per i trattamenti che per la concimazione. In alternativa viene usato rame (max 5kg per ettaro all’anno) e zolfo, nonchè il bacillus thuringensis contro la tignoletta, in caso di necessitá, dopo aver verificato l’effettiva presenza delle uova del parassita sui grappoli.
Il vigneto é allevato a spalliera con potatura tipo guyot o cordone speronato.
La densitá di impianto é di 4.000 piante per ettaro. I vitigni sono Merlot, Cabernet Sauvignon, Syrah, Petit Verdot, Sauvignon, Malvasia Puntinata, Pignoletto, Vermentino, Grechetto di Orvieto, Chardonnay, Viognier, Falanghina, tutti con portinnesto SO4 per complessivi ha 38.
Non viene praticata l’irrigazione se non quella di soccorso.
La resa produttiva per ettaro é contenuta grazie alla mancanza di qualsiasi tipo di forzatura.
Il Peschio è uno dei suoi tre vini rossi (produce anche un syrah in purezza e un blend di petit verdot e syrah) dell’azienda agricola, figlio dell’unione di Cabernet Sauvignon (50%) Merlot (25%) e Syrah (25%) prodotti in località Le Ferriere (LT), zona particolarmente vocata nel Lazio visto che da quelle parti, nel 1968, piantò i suoi vigneti anche Bernardino Santarelli di Casale del Giglio.
Il millesimo 2005 che ho nel mio bicchiere ha un naso dolce, poco dinamico, composto da frutta rossa matura, mirtillo e ribes su tutti, poi cioccolato al latte, vaniglia, qualche tocco di pepe e una nota artificiale di gomma pane che un pò disturba il quadro olfattivo.
Va meglio in bocca dove pensavo fosse più stucchevole data le dolcezza del naso, invece le cose cambiano, migliorano leggermente in quanto il vino risulta equilibrato e le varie componenti sono ben fuse. Sicuramente un vino semplice, con una persistenza abbastanza limitata che comunque non va ad inficiare la bevibilità del Peschio che si mantiene di buon livello. Sarei curioso di provarlo con meno anni sulle spalle, forse ne gioverebbe la parte olfattiva che, dopo quasi quattro anni, segna decisamente il passo.
Per quasi 6 euro di costo allo scaffale è un vino da preferire a tanti altri prodotti da supermercato.