Albanese parla dello scandalo del metanolo, lo fa a modo suo, alternando il (molto) amaro con qualcosa di più leggero. Non ce la fa però a farmi sorridere, almeno non con me.
La storia forse la sanno tutti, però chi come me nel 1986 aveva dodici anni non ricorda certi particolari, magari il babbo cambiava canale per non far sentire certe schifezze ad un ragazzino. La storia fa rabbrividire. Tra il marzo e nell' aprile dell 1986, tra la Lombardia, la Liguria e il Piemonte, morirono avvelenate dal metanolo, componente essenziale per la formazione di vernici e combustibile, 14 uomini e 5 donne. Nello stesso periodo altre undici persone riportarono lesioni alla vista così gravi da diventare cieche mentre per due i danni alla retina e al nervo ottico sono permanenti.
Tutti avevano bevuto vino prodotto dopo la vendemmia dell' ' 85 dalle cantine della ditta Ciravegna di Narzole, in provincia di Cuneo. Nella loro produzione, che commercializzavano con 12 ditte diverse, padre e figlio Ciravegna avevano aggiunto quantitativi elevatissimi di metanolo per alzare la gradazione alcolica dopo che il metanolo, sgravato dall' imposta di fabbricazione, era diventato un veicolo di adulterazione più a buon mercato dello zucchero.
Un traffico messo in piedi nel dicembre ‘85, nel più assoluto disprezzo delle possibili, drammatiche conseguenze. Un strage.
Una strage che forse si poteva evitare se non fossimo sempre nella solita Italietta: a Narzole molti sapevano, molti per convenienza tacevano, nel 1984, ben un anno prima dei fatti, sull' onda di voci, sospetti e "si dice", l'unità operativa Repressione frodi di Treviso fece visita alle cantine dei Ciravegna. Ci trovarono dei bidoni di alcol etilico rosa, un miscuglio di alcol derivato dalla fermentazione della frutta e del vino. Percentuale altissima di metanolo. Chiesero spiegazioni, ma la risposta fu poco convincente: ci serve per lavare le botti. Ordinarono allora un sequestro conservativo del vino immagazzinato, lo analizzarono per ben due volte. Il responso: percentuale di metanolo di gran lunga superiore a quanto consentito per legge. Nei confronti dei Ciravegna partì una denuncia e il vino sofisticato venne distrutto. Che fine abbia fatto l' inchiesta, su quale tavolo si sia arenata, non è dato sapere.
Quel che è certo, purtroppo, è che Giovanni e Daniele Ciravegna, padre e figlio, titolari della ditta, hanno continuato imperterriti a fare il loro sporco lavoro fino ad arrivare, ripetiamolo, a 19 morti e 11 persone diventate cieche.
Come si erano procurati il metanolo? Il costo dell' alcol metilico è altissimo, per cui non sarebbe affatto conveniente "tagliare" vino di prezzo infimo (400 lire al litro) con un componente più caro. In realtà, gli inquinatori si servono dei "rifiuti" di distilleria, le "teste" e le "code" che rimangono dopo aver prodotto grappe o brandy. Sono liquidi ad alto tasso alcolico, con altissime percentuali di metanolo, che per legge dovrebbero essere distrutti. Evidentemente qualcuno invece rivende questi intrugli a commercianti di pari onestà, che li aggiungono ai propri vinacci fino a ottenere del "buon" barbera. Un’associazione a deliquere di bastardi che buttò nella crisi più nera l’intero comparto vitivinicolo italiano ma che, per fortuna, segnò anche la sua rinascita.
Da quel momento in poi tutto (o quasi) cambiò, con la qualità si cerco di invertire la tendenza.
La giustizia lentamente e' arrivata. Per la strage del vino al metanolo sono state condannate dodici persone. Sedici anni sono stati inflitti a Giovanni Ciravegna; 13 anni e 4 mesi a Daniele Ciravegna. Giovanni Ciravegna, grazie però a vari cavilli legali, sconta circa la metà della pena. Esce dal carcere nel 2001.
Oggi, si legge in qualche intervista, fa ancora vino, per la sua famiglia e i suoi amici. Questa è l’Italia, un Paese senza anima se pensate che le famiglie delle vittime dopo venti anni ancora aspettano di essere risarcite.
Dopo un’ora circa finisce il mio 26 Dicembre, un Santo Stefano ora non più qualunque, ho rivissuto un pezzo di storia italiana, non ho riso di certo…