Anche questa edizione 2016 di Vignaioli Naturali a Roma, evento organizzato da Tiziana Gallo, è stata archiviata con notevole soddisfazione, almeno da parte mia, visto il notevole livello qualitativo dei produttori presenti.
Purtroppo, come spesso mi capita, le poche ore a mia disposizione per girare la fiera non sono bastate a degustare nemmeno la metà dei vini presenti per cui sono consapevole della parzialità dei miei giudizi che, almeno stavolta, hanno voluto dar luce a vini che solitamente non hanno un grande risalto mediatico.
Purtroppo, come spesso mi capita, le poche ore a mia disposizione per girare la fiera non sono bastate a degustare nemmeno la metà dei vini presenti per cui sono consapevole della parzialità dei miei giudizi che, almeno stavolta, hanno voluto dar luce a vini che solitamente non hanno un grande risalto mediatico.
Tra i bianchi in degustazione quello che mi ha stupito di più per originalità è questo Albariño galiziano chiamato Sesenta e Nove Arrobas 2013. L'Arrobas, così ho letto, è un'antica unità di misura spagnola che corrisponde a circa 14,5 litri e il numero 69, facendo i bene conti, sta a significare che di questo vino sono stati prodotti circa 1000 litri. Altra particolarità: le uve sono state selezionate da tre vigneti antichissimi di albariño di età media di circa 50 anni di cui, mi dicono, uno ancora a piede franco. Minimi interventi in cantina e un affinamento di circa sei mesi sui lieviti hanno generato questo vino estremamente diretto che odora di alghe e calce. Sorso penetrante come una lama e sapido come un chicco di sale. Bella scoperta!
Il suo grignolino è unico perchè oggi risulta un vino per pochi, troppo demodé in un mondo in cui concentrazione e alcol ancora sembrano essere parametri qualitativi importanti per un grande rosso.
Aveva ragione, in
questo, il grande Veronelli quando scriveva del Grignolino così:"....Vino Testabalorda, anarchico e individualista; rosso
chiaro, vivo di trasparenza porporina alla nascita, subito
asciutto senza cedimenti ed asprezze, vuole essere bevuto da giovane; uno, due,
cinque anni secondo volontà sua (capace, in certe annate, di andare avanti, a
dispetto), si fa colore rosso rubino (se ne ha voglia), si smorza (se ne
ha voglia) nell’aristocrazia; solo se ti riconosce amico, per come lo
ascolti, per cure che gli dai, svela tutto il bouquet sottile di verde nocciola
ed il gusto lieve amarognolo, pacato, e attento, controllato (finalmente) e
armonico!”
Le altre due piacevoli conferme, per fortuna, riguardano due vini a base cesanese di Affile (uva autoctona del Lazio) provenienti da territori vicini ma al tempo stesso differenti.
Il primo è il Cesanese di Olevano Romano "Cirsium" 2012 di Damiano Ciolli che ormai, anno dopo anno, conferma come in questo territorio sia una sorta di faro il cui fascio di luce, ancora oggi, dopo tanti anni, è ancora troppo solitario e non riesce quasi mai ad indirizzare nella giusta direzione le altre imbarcazioni che vagano nella nebbia più fitta.
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