Investire in vino? Mica male!


Un bicchiere di vino può aiutare a scacciare la tristezza per la crisi, ma può anche fare bene al portafogli. L'indice di Borsa mondiale del settore vinicolo elaborato da Mediobanca, una rarità nel panorama finanziario mondiale che raggruppa 46 società quotate attive nel settore del vino (tutte estere, dagli Usa alla Cina all'Australia alla Nuova Zelanda), dal gennaio del 2001 ad oggi ha registrato una performance positiva del 175%, quasi cinque volte tanto le Borse mondiali, che hanno segnato nello stesso periodo un progresso del 37,4%. Lo riporta l'Indagine sul settore vinicolo realizzata dall'Ufficio Studi di Mediobanca.

La migliore performance dei titoli vinicoli, al netto delle dinamiche delle Borse nazionali, spetta al Nordamerica(+193%), seguita dalla Francia (+105%) e dall'Australia (+10%). In altri Paesi, invece, i produttori di vino hanno reso meno delle Borse nazionali (Cina e Cile, -54% ciascuno). I titoli vinicoli sono poco legati al ciclo economico e quindi adatti agli investitori istituzionali, per diversificare i rischi del portafoglio di investimenti.

Del resto, secondo il rapporto, è americana la prima impresa vinicola del mondo per fatturato, mentre la prima italiana, le Cantine Riunite & Civ, si piazza al settimo posto. La leader mondiale è il gruppo statunitense Constellation, con un fatturato di 2.051 milioni di euro. Seconda la francese Lvmh (1.782 mln), specializzata però nello champagne, prodotto dai ricavi unitari mediamente molto più elevati rispetto a quelli del comune vino. Seguono la Treasury Wine, australiana, con 1.321 mln, la sudafricana Distell Group (1.076 mln) e la cinese Yantai Changyu (694 mln), che realizza il 100% del fatturato ma ha un'anima in parte italiana: la famiglia Reina, proprietaria dell'Illva di Saronno (quelli dell'Amaretto), detiene infatti il 33% dello Yantai Changyu Group, che controlla il 50,4% della società operativa Yantai Changyu Pioneer Wine Company. Si trovano poi la Concha y Toro cilena (629 mln) e la Cantine Riunite - Giv (498 mln), al settimo posto. In undicesima posizione figura poi l'italiana Caviro (247 mln); in sedicesima la divisione Vino della Campari (185 mln), in diciannovesima la Cavit (152 mln) e al ventesimo posto la P. Antinori (150 mln).

In Italia comunque il settore è in buona salute. Secondo l'indagine di Piazzetta Cuccia che ha preso in considerazione i bilanci delle 108 principali aziende, l'anno scorso il loro fatturato complessivo è salito del 7%, con forte spinta dell'export, portandosi del 20% sopra il livello pre-crisi mentre il fatturato dell'industria è sceso pesantemente. Bene anche l'occupazione (+2,6%) e le prospettive per il 2013: l'87% dei grandi produttori esclude un calo dei ricavi. Quanto alle tipologie, i grandi vini
(quelli che costano più di 25 euro a bottiglia) e i Docg sono passati al 15,7% delle etichette, dal 9,4% del 1996. Stabili le etichette Doc (36,6%), in calo le produzioni meno pregiate (Igt e vini comuni), dal 54,3% al 47,7%. Il 74% delle etichette è comunque rappresentato da Doc e Igt.


Fonte: Repubblica

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