Giorgio Cecchetto è un altro di quei produttori profondamente legati al proprio territorio, la Terra del Piave, tanto da credere fermamente da anni nel rilancio di un vino che fino ad allora era considerato un po’ da serie B, il Raboso del Piave, un vino di territorio dove il retaggio storico lo voleva/vuole "rabbioso", duro, aspro, a volte imbevibile.
E c’è riuscito, e sapete quando il signor Cecchetto ha capito che ce l’aveva fatta? Quando Luigi Veronelli (Corriere della Sera del 14 aprile 2002) ha descritto il suo Raboso come una "fascinosa realtà, per acidità profumi e struttura".
Durante la serata dedicata alle eccellenze di Franco Bernabei, di cui Cecchetto si avvale ormai da qualche anno, ho dedicati i miei assaggi al Sante Rosso 2006 e al Gelsaia 2005.
Il primo, 100% Merlot, si presenta di un colore rosso rubino intenso e già dal naso capiamo che ci troviamo di fronte ad un vino dove la morbidezza, a causa anche di una surmaturazione voluta delle uve, la fa da padrone: note di mora e ciliegia in confettura, prugna, leggera vaniglia data dal passaggio in barrique, bouquet di fiori rossi macerati. In bocca conferma il suo carattere un po’ “ruffiano” anche se acidità e tannino in discreta quantità smorzano leggermente questa morbidezza. Buona persistenza per un vino dalla grande beva. Per gli appassionati del genere.
Il Gelsaia, nome derivante da Gelso, pianta che all'inizio del secolo scorso nel Trevigiano veniva utilizzata come tutore o sostegno della vite, è un vino che nasce, come detto in precedenza, dal grande Amore di Cecchetto per il vitigno Raboso del Piave che in questa versione viene appassito per il 25% in fruttaio.
Il millesimo 2005, dalla bellissima cromaticità rubino intenso, presenta un naso anch’esso molto morbido anche se, a differenza del Sante Rosso, qua il quadro olfattivo risulta molto più complesso e terziarizzato: confettura di ciliegie, frutti di bosco, viola appassita, pepe, humus e cioccolato amaro. In bocca è rotondo, equilibrato e fine, forse un lontano parente del Raboso “rabbioso” che ti mordeva le gengive tanto erano aggressivi i tannini. Il Raboso ha solo cambiato anima, l’ha ingentilita, che l’abbia davvero venduta per sempre a quel “diavolo” di Cecchetto?
Durante la serata dedicata alle eccellenze di Franco Bernabei, di cui Cecchetto si avvale ormai da qualche anno, ho dedicati i miei assaggi al Sante Rosso 2006 e al Gelsaia 2005.
Il primo, 100% Merlot, si presenta di un colore rosso rubino intenso e già dal naso capiamo che ci troviamo di fronte ad un vino dove la morbidezza, a causa anche di una surmaturazione voluta delle uve, la fa da padrone: note di mora e ciliegia in confettura, prugna, leggera vaniglia data dal passaggio in barrique, bouquet di fiori rossi macerati. In bocca conferma il suo carattere un po’ “ruffiano” anche se acidità e tannino in discreta quantità smorzano leggermente questa morbidezza. Buona persistenza per un vino dalla grande beva. Per gli appassionati del genere.
Il Gelsaia, nome derivante da Gelso, pianta che all'inizio del secolo scorso nel Trevigiano veniva utilizzata come tutore o sostegno della vite, è un vino che nasce, come detto in precedenza, dal grande Amore di Cecchetto per il vitigno Raboso del Piave che in questa versione viene appassito per il 25% in fruttaio.
Il millesimo 2005, dalla bellissima cromaticità rubino intenso, presenta un naso anch’esso molto morbido anche se, a differenza del Sante Rosso, qua il quadro olfattivo risulta molto più complesso e terziarizzato: confettura di ciliegie, frutti di bosco, viola appassita, pepe, humus e cioccolato amaro. In bocca è rotondo, equilibrato e fine, forse un lontano parente del Raboso “rabbioso” che ti mordeva le gengive tanto erano aggressivi i tannini. Il Raboso ha solo cambiato anima, l’ha ingentilita, che l’abbia davvero venduta per sempre a quel “diavolo” di Cecchetto?
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