Ci sono degustazioni che sembrano semplici e quasi scontate e
invece non lo sono. Una così è stata quella che noi Giovani Promettenti abbiamo
fatto al Consorzio del
Frascati, durante la nostra riunione di qualche settimana fa.
Cosa volete che sia degustare una trentina di Frascati, nelle
varie declinazioni “base” “Superiore” “Riserva” e “Cannellino”?
Una cosa semplice per dei degustatori seriali come noi: se però iniziamo a
farci delle domande non tanto sulla qualità del vino ma sulle diversità emerse
dall’assaggio allora la cosa si complica e c’è bisogno di agronomi e enologi
locali per riuscire a farci capire qualcosa e a fugare dubbi che, per quanto mi
riguarda, risalivano al pleistocene.
Ma prima di fugarci i dubbi due notizie sulla qualità dei
Frascati degustati: consideriamo in primo luogo che siamo a novembre, cioè un
anno dopo la vendemmia di vini che, in teoria, dovrebbero durare lo spazio di
un respiro. Invece tutti i Frascati “base” degustati erano assolutamente in forma
e i Superiore e i Riserva addirittura giovanissimi. Infatti uno dei punti della
nostra degustazione è stato quello relativo al momento di beva di questi vini,
che piano piano si sta allungando e spostando da quello che l’immaginario
collettivo crede, specie per i Superiore e la nuova tipologia Riserva.
Per
quanto riguarda la qualità dei vini eccovi qua sotto quelli che ci sono
piaciuti di più, in rigoroso ordine casuale: li abbiamo selezionati con il
nostro solito sistema “a maggioranza”, cioè i vini devono essere piaciuti ad
almeno 3 dei 4 degustatori, cioè Carlo Macchi, Luciano Pignataro, Roberto
Giuliani e Andrea Petrini (Lorenzo Colombo e Stefano tesi erano assenti
giustificati).
Al di là del discorso qualitativo la cosa che ci ha colpito di più
è stata la diversità, spesso notevole, tra i vini: qualcuno puntava verso il
frutto bianco con bocca piena e armonica, altri andavano su note più speziate e
vegetali, magari con un’acidità abbastanza marcata: nel mezzo a questi due
estremi c’erano varie sfumature, tanto da farci domandare quale fosse la reale
tipicità del Frascati.
E
qui ci sono venuti incontro i tecnici, spiegandoci cose che sono davanti agli
occhi di tutti ma spesso non si riescono a vedere.Tu infatti pensi che Frascati sia una denominazione “a senso
unico”, cioè quasi monovarietale, tutta piantata su terreni simili e praticamente alla stessa altezza. In realtà questo è falso come una moneta da tre euro e lo si
è sdoganato solo perché in passato da Frascati arrivava comunque un mare di vino
di qualità non certo alta, e come fai a vedere differenze sostanziali in un
mare in movimento.
Oramai
il mare si è praticamente asciugato e, dovendo puntare sulla qualità e non
sulla quantità è bene dare qualche dato e qualche spiegazione.
Il Frascati nasce da un uvaggio di malvasia bianca di Candia e/o malvasia del Lazio (malvasia puntinata) min. 70%, max. 30% trebbiano toscano e/o trebbiano giallo e/o greco bianco e/o bellone e/o bombino bianco, possono concorrere altre varietà di vitigni a bacca bianca idonei alla coltivazione nella Regione Lazio, presenti nei vigneti, max. 15%
Ora, con una diversità ampelografica del genere, come è possibile avere vini simili?
Ora, con una diversità ampelografica del genere, come è possibile avere vini simili?
Ma
non è finita qui: i vigneti del Frascati partono da circa 100 metri sul
livello del mare e arrivano a quasi 400, con terreni ed
esposizioni che variano continuamente.
Quindi uve e uvaggi diversi da
cantina a cantina, terreni, esposizioni e altezze diverse: come è
possibili fare vini simili in questa diversità? Quasi sempre è impossibile e
quindi possiamo dire che la vera scoperta relativa al Frascati da parte di noi IGP è che non esiste un
Frascati (buono) ma ne esistono diversi tipi e forse sarebbe l’ora che queste
caratteristiche venissero capite e apprezzate sia sul mercato locale che
altrove.