Quindi, secondo la Redazione di Tiscali, il buon produttore neozelandese prenderebbe della pipì di gatto e la mischierebbe al vino attribuendogli così il "classico" aroma animale. Ah vedi quanto imparo da Tiscali, allora se sento in un rosso il sentore di humus devo pensare che l'enologo ha messo nel vino un pò di terra umida, delle foglie secche e magari una manciata di lombrichi che fanno tanto terroir?? MA VAF@@@@
Del sauvignon, della pipì di gatto e delle stronzate che si scrivono sul vino..
Quindi, secondo la Redazione di Tiscali, il buon produttore neozelandese prenderebbe della pipì di gatto e la mischierebbe al vino attribuendogli così il "classico" aroma animale. Ah vedi quanto imparo da Tiscali, allora se sento in un rosso il sentore di humus devo pensare che l'enologo ha messo nel vino un pò di terra umida, delle foglie secche e magari una manciata di lombrichi che fanno tanto terroir?? MA VAF@@@@
Le eccellenze di Franco Bernabei: Azienda Agricola Cecchetto
Durante la serata dedicata alle eccellenze di Franco Bernabei, di cui Cecchetto si avvale ormai da qualche anno, ho dedicati i miei assaggi al Sante Rosso 2006 e al Gelsaia 2005.
Il primo, 100% Merlot, si presenta di un colore rosso rubino intenso e già dal naso capiamo che ci troviamo di fronte ad un vino dove la morbidezza, a causa anche di una surmaturazione voluta delle uve, la fa da padrone: note di mora e ciliegia in confettura, prugna, leggera vaniglia data dal passaggio in barrique, bouquet di fiori rossi macerati. In bocca conferma il suo carattere un po’ “ruffiano” anche se acidità e tannino in discreta quantità smorzano leggermente questa morbidezza. Buona persistenza per un vino dalla grande beva. Per gli appassionati del genere.
Il Gelsaia, nome derivante da Gelso, pianta che all'inizio del secolo scorso nel Trevigiano veniva utilizzata come tutore o sostegno della vite, è un vino che nasce, come detto in precedenza, dal grande Amore di Cecchetto per il vitigno Raboso del Piave che in questa versione viene appassito per il 25% in fruttaio.
Il millesimo 2005, dalla bellissima cromaticità rubino intenso, presenta un naso anch’esso molto morbido anche se, a differenza del Sante Rosso, qua il quadro olfattivo risulta molto più complesso e terziarizzato: confettura di ciliegie, frutti di bosco, viola appassita, pepe, humus e cioccolato amaro. In bocca è rotondo, equilibrato e fine, forse un lontano parente del Raboso “rabbioso” che ti mordeva le gengive tanto erano aggressivi i tannini. Il Raboso ha solo cambiato anima, l’ha ingentilita, che l’abbia davvero venduta per sempre a quel “diavolo” di Cecchetto?
Lieviti autoctoni o lieviti selezionati? Il dibattito è iniziato
- i lieviti selezionati garantiscono qualità del vino elevata e costante. E allora chi usa quello autoctoni come fa a garantire tutto ciò?
- se parti da uve Bio puoi usare lieviti indigeni purchè il produttore li conosca benissimo. Eventuali problemi di fermentazione si hanno solo con uve NON Bio;
- meglio fermentare spontaneamente all'interno di vasche piccole, grandi tank consentono di raggiungere risultati apprezzabili;
- pensare che si costruisca un vino solo con i lieviti è affermare un falso, ci sono tante altre variabili che bisogna considerare;
- se si usano i lieviti autoctoni è meglio selezionarli tramite l'ausilio degli istituti di ricerca grazie ai quali si otterranno solo i ceppi migliori. Ma se li seleziono allora non sono più selvaggi! Mi sembra un paradosso;
- Sempre in tema di "selezione" di lieviti indigeni, Luca Risso scrive che " quello che succede in una fermentazione spontanea è che all'inteno del tino arriva una massa di uva pigiata che nel suo cammino dalla vigna alla cantina ha raccolto una variegata carica microbica proveniente dagli acini di uva, dalle mani del vendemmiatore, dal contatto con le attrezzature (ceste, cassette, pigiadirspatrice, piedi dei biodinamici, pompe sporche,ecc.). Tutta questa flora comprendente ovviamente anche lieviti apiculati, batteri lattici ecc. ecc., si sviluppa in un brodo di coltura (il mosto) che senza interventi esterni (SO2 ad es.) seleziona naturalmente dei ceppi "momentaneamente" dominanti: apiculati all'inizio, ellittici dopo, se tutto va bene. Se va male possono prendere il sopravvento lieviti veramente deleterei (Brettanomyces, Schizzosaccaromyces, Hanseniaspora ecc. Non sono accademia, sono cose reali che soprattutto in passato capitavano spesso). Vorrei far notare anche una "ipocrisia" di fondo che c'è nel ragionamento seguente. Io sono per il vino naturale quindi non uso lieviti selezionati. Poi con la SO2 mi tolgo dalle scatole gli apiculati, con la temperatura alta o bassa mi tengo solo i lieviti termotolleranti o criotolleranti. Senza aver fatto nulla che non sia ammesso da ogni disciplinare biologico o biodinamico, DE FACTO ho realizzato una selezione di lieviti, magari senza saperlo";
- utilizzare è lieviti indigeni significa effettuare un processo di sperimentazione precedente che può richiedere molti anni prima che si possa applicare ad un mosto che possa portare ad un vino da commercializzare;
- per avere una fermentazione spontanea, con lieviti indigeni o autoctoni, c'è bisogno che in cantina non ci siano inoculi di lieviti selezionati ad altre vasche altrimenti quella fermentazione spontanea al 90% è fatta dal lievito selezionato e,cosa più importante, tutte le fermentazioni sponatenee in cantina sono date da lieviti che abbiamo introdotto noi quando abbiamo usato lieviti selezionati, anche dopo 3,4,5 anni che non lo usiamo.
(foto prese da www.diwinetaste.it e www.tigulliovino.it)
Il Roma Wine Festival come non l'avete mai visto...
Il Rome Wine Festival è una grande kermesse dove tutti i romani, e non solo, possono scoprire e, in alcuni casi, riscoprire i grandi vini italiani con particolare riferimento al Lazio.
Percorsi di Vino vuole dare un volto a tutte le persone che in queste ore stanno animando la manifestazione menzionando i migliori i produttori di vino presenti.
Il volto del Lazio ha i tratti di due grandi produttori di Cesanese, Anton Maria Coletti Conti e Damiano Ciolli.
Coletti Conti da qualche anno ormai è il punto di riferimento unico per il Cesanese, fresca D.O.C.G. del Lazio. Grande è il suo Hernicus 2007, Cesanese di Affile in purezza, che ci inebria con i suoi sentori di incenso, ciliegia, amarena sotto spirito e viola macerata. In bocca è potenza e materia allo stato puro. Un vino da prendere o lasciare. Il Romanico 2006 è ancora un bimbo che dorme anche se al naso esprime di già una complessità e una eleganza paragonabile solo a qualche grande Borgogna. Ottimo ora, da standing ovation se lasciato affinare altri tre anni in cantina.
Cantine Ciolli mi ha invece entusiasmato con il suo Cirsum, Cesanese di Affile allevato ad alberello. Il 2005, appena uscito, è entusiasmante con i suoi ricordi di prugna matura, cuoio, tabacco da pipa e spezie orientali. Bocca di grande eleganza e persistenza. Damiano Ciolli è una persona molto umile, non sa che diventerà un grande.
Il Rome Wine Festival ha anche il volto femminile di Cincinnato, interessante Cantina Cooperativa di Cori, impegnata da sempre nel recupero e nella valorizzazione di alcuni vitigni autoctoni come il Nero Buono di Cori, un vino che grazie alle base rese per ettaro e ad un attento uso del legno stupisce per la sua morbidezza tutta incentrata su ricordi aromatici di frutti di bosco, china, mallo di noce e chiodi di garofano. Ad avercele di Cooperative Sociali così.......
Poggio alla Meta, piccola azienda laziale alle pendici del Parco Nazionale d'Abruzzo, si conferma ai vertici qualitativi col suo Piluc 2008, splendido esempio di Passerina vinificata in purezza a cui quest'anno si aggiunge la novità chiamata Intesa, interessante esempio di vino aromatizzato laziale che crea un legame indissolubile tra il Merlot e le erbe mediterranee.
La folla di appassionati al Roma Wine Festival è tanta e le aziende della Toscana, come sempre, sono prese d'assalto. Il volto di questa splendida Regione, secondo Percorsi di Vino, può essere rappresentato da due grandi realtà: Castello del Terriccio e Mastojanni. Due grandi assaggi, il Lupicaia 2005 che Carlo Ferrini ha ancora una volta plasmato in maniera sublime e che ci incanta con le sue note di ribes, mora, liquirizia, tabacco e vaniglia e con una potenza ancora forse da domare ma che sprigiona tutta la classe di un vino che da anni ormai raggiunge un'incredibile costanza qualitativa. Il Brunello Mastrojanni 2004, fratello minore del cru Schiena d'Asino che ci ha incantato nel corso dell'ultimo Benvenuto Brunello, rappresenta in pieno l'ottima annata di cui è figlio, è un Sangiovese di carattere cristallino, di nobile austerità che solo il tempo potrà far diventare veramente grandissimo. Da aspettare come tutti i grandi vini toscani.
Il Piemonte, infine, durante la manifestazione ha avuto il volto, la simpatia e la competenza di Paolo Ghislandi di Cascina I Carpini, interessantissima azienda situata sui Colli Tortonesi. Ho già avuto modo di presentare in un precedente articolo i Vini d'Arte di Paolo celebrando sia il suo Sette Zolle sia il suo Bruma d'Autunno, barbera in purezza da meditazione. Il Rome Wine Festival mi ha dato, invece, occasione di apprezzare appieno il suo Falò d'Ottobre, un vino a prevalenza Barbera che con la sua eleganza ci seduce e ci ammalia. E' un vino Femmina caratterizzato da note floreali di rosa canina e peonia a cui seguono scie di frutta rossa e spezie dolci. Grande equilibrio e grandissima beva per un vino che davvero mi stupisce ogni volta che lo bevo. Bravo Paolo.
Ah non ho finito! Il Rome Wine Festival ha anche il volto di tutte le persone che con grande professionalità lavorano per la sua riuscita, tra queste sicuramente ringrazio i sommelier di servizio dell'Associazione Romana Sommelier che, per questa edizione, posso far degnamente rappresentare da Makiko.
Grazie Gambero e alla prossima edizione!
Notizie sul vino che non vorremmo mai leggere....
Ma il massimo si raggiunge quando si afferma che la bacchetta magica "porta all’eliminazione dei vapori alcolici all’interno della bottiglia, di zuccheri in eccesso e di residui di tannino, utilizzato per la fermentazione. Abbassa notevolmente anche l’acidità, tutto in pochi minuti".
Cioè ossigenare significa eliminare i vapori alcolici, ridurre gli zuccheri in eccesso ed eliminare i residui di tannino UTILIZZATO PER LA FERMENTAZIONE??????
Sopriamo il Cesanese di Coletti Conti
Il menù della serata è il seguente:
Per cominciare
1° maggio ( crema di fave con cacio e ova)
Primi piatti
Risotto alla vignarola
Raviolo di ricotta e pecorino all'Amatriciana
Secondo piatto
Guancia di manzo brasata al cesanese su crema di pane e patate
Per finire
Tortino al cioccolato extra fondente con ristretto di Cesanese
Ogni piatto avrà il suo abbinamento, Arcadia, Cosmato, Hernicus e Romanico saranno i vini che ci accompagneranno lungo un viaggio alla scoperta di questo grande vitigno italiano.
Costo della serata 40 euro.
Le eccellenze di Franco Bernabei: Drei Donà - Tenuta La Palazza
Subito dopo aver apprezzato questa interessante versione di Sangiovese di Romangna, l'occhio mi cade sul Graf Noir e la curiosità di degustarlo aumenta vedendo che era presentato il millesimo 2000. Sono quasi commosso, finalmente un vino che non sia 2007 o 2008, finalmente un vino che possiamo apprezzare a 360° senza dover compiere complesse analisi prospettiche di evoluzione.
Il Graf Noir è un blend composto da Sangiovese (55%), Uva Longanesi (30%) e Cabernet Franc (15%) ed è il risultato della vinificazione di uve provenienti da un vigneto di nemmeno un ettaro. Il Graf Noir è un vino che non viene prodotto ogni anno, Claudio Drei Donà lo crea solo quando è possibile e solo quando sa che alla fine avrà nel bicchiere un vero cavallo di razza (ho dimenticato di dire che tutti i vini dell'azienda sono stati battezzati coi nomi dei cavalli del piccolo allevamento-scuderia di famiglia). Il Graf Noir, anche se son passati 9 anni, è un vino ancora estremamente giovane, non ha ceduto nulla nonostante i 24/28 mesi di barrique e i successivi 36 mesi di bottiglia, rimane elegantemente austero sia all'olfattiva che al palato dove una bella freschezza fatica ad equilibrare la vivacità nei tannini e nella nota alcolica. Con tutte le dovute distanze, mi è sembrato un pò come bere un giovanissimo Barolo. Avrà lunga vita questo Graf Noir, sarei curioso di riprovarlo tra cinque anni almeno per vedere se questa bellissima larva si è trasformata in farfalla.
Riesling a Roma: mission impossible?
Come dicevo, tutto apparentemente molto interessante perchè, alla fine, il risultato (e parlo solo per la giornata di oggi) è stato una sorta di vorrei ma non posso.
I motivi?
- il prof. Fischer purtroppo parlava solo in tedesco e la simpatica signora Mallebrein, una sorta di gemella Kessler de Noantri, traduceva come poteva spesso non conoscendo, visto che si parlava di enologia, l'equivalente significato della parola in italiano;
- i vini, tranne qualche eccezione, erano di aziende di media qualità. Saranno pure stati produttori emergenti come si è detto durante la degustazione, però se ci volete fare innamorare davvero del Riesling dateci anche le punte di diamante. Un base di J.J. Prum non costa così tanto;
- le annate, tranne uno spätlese 1999, erano tutte recentissime, 2007 e 2008. Per carità, il millesimo 2007 è stato fantastico da quelle parti però se volete far capire a noi italiani quanto è grande davvero questo vitigno, fateci degustare un Riesling con almeno 20 anni sulle spalle. Perchè, come ha detto anche Dario Cappelloni del Gambero Rosso, farci bere solo vini che sono al 10/15% della loro potenzialità? Io ho comprato in Mosella vecchie annate a nemmeno 20 euro;
- durante i seminari, per questione di tempo, si è parlato di tutto ma molto superficialmente. Il prof. Fischer lo avrei "utilizzato" meglio anche se capisco la voglia di far comprendere a tutti le nozioni base del Riesling.
Percorsi di Vino miglior wine blog secondo Blog Cafè
Sempre in diretta dal Blog Cafè ma col Pc rotto
In diretta da Squisito ore 16.45
Si parte per Squisito 2009. Pronti per la diretta dal Blog Cafè?
Piccoli Appunti dal Vinitaly. Ore 17.00. La Bruciata di Oscar Bosio.
Allo stand, oltre a Maurizio, mi attende il titolare dell’azienda, Oscar Bosio, che mi descrive brevemente la sua “creatura”: situata a Santo Stefano Belbo, La Bruciata, da generazioni di proprietà della famiglia Bosio, si estende sulla collina più alta della frazione Valdivilla per circa
L’Ermenegildo 2007, vino da Moscato Bianco raccolto tardivamente, rappresenta un altro esempio di come questa uva aromatica possa dare importanti risultati anche vinificata in questa maniera “alternativa”. Di un bel dorato intenso, il vino presenta al naso i caretteristici aromi primari dell’uva solo che, stavolta, sono più evoluti. La pesca diventa matura così come la mela, non ci sono più i fiori bianchi ma troviamo il miele di acacia e la frutta secca. Alla gustativa è pieno, denso, forse manca appena un pelino di freschezza visto che l’alcol (parliamo di 14%) risulta un tanto in evidenza. Bella persistenza finale.E ora la chicca finale: il MosChin, primo esempio, se non erro, di Moscato Chinato col quale Oscar Bosio vuole ripercorrere, in chiave moderna, le gesta del dottor Cappellano, suo eminente conterraneo. Avente come vino base l’Aivè moscato secco, il MosChin si presenta di un giallo ambrato ed è caratterizzato al naso dalla tipiche note aromatiche alle quali, in tale versione, si aggiungono i sentori di china, genziana, cannella, noce moscata, cardamomo, rabarbaro. Al palato apprezzabile è l’equilibrio tra l’amaro e il dolce che si fondono in un finale di bella persistenza. Avrà lo stesso successo del suo fratellone maggiore? Oscar te lo auguro!
Piccoli Appunti dal Vinitaly. Ore 15.30. Da Erede di Chiappone Armando con Davide e Cosimo
E’ ora, quindi, di incontrare due miei amici, due persone veramente valide e preparate che da tempo operano nel mondo del vino e nell’organizzazione di eventi enogastronomici. Davide Canina, di Terra dei Vini, e Cosimo Errede, patron di Eat-Alia, ci aspettano nello stand di un promettente produttore piemontese, Erede di Chiappone Armando. Daniele, enologo e deus ex machina della proprietà insieme ai genitori e alla sorella Michela, ci accoglie come al solito cordialmente nonostante gli invadiamo tutto lo spazio possibile e immaginabile.
L’azienda a conduzione famigliare produce annualmente circa 30.000 bottiglie da
Durante il meeting di “lavoro” degustiamo la loro più importante selezione di Barbera, la 'RU' che si può fregiare della prestigiosa sottozona NIZZA e che ci viene servita insieme ad un fantastico salame piemontese (di cui ora cerco notizie perché lo rivoglio!). Al naso il vino presenta l’inconfondibile e tipica nota di ciliegia sotto spirito (ricorda molto quelle della Fabbri), china, cacao in polvere e pepe nero. Al palato il vino entra caldo, intenso, con un tannino misurato e controbilanciato da una morbidezza e una alcolicità ben definite ma certamente non eccessive. In chiusura tornano le note di frutta sotto spirito e cioccolato. Qualcuno direbbe Mon Chèri. Finale di struttura e sapidità. Bell’esempio di Barbera che naviga tra rusticità e gusto internazionale.
Un grazie di cuore a Daniele per la calorosa accoglienza, mi riprometto di gustare con meno caos tutta la sua produzione che molti mi dicono essere estremamente interessante.
E l’incontro come è andato? Benissimo, come al solito il c’è un ottimo feeling tra me, Terra dei Vini e Cosimo Erede. Il risultato di questa riunione sarà l’organizzazione di un evento a Roma dove Davide Canina presenterà i vini della sua associazione sia al pubblico, sia alla stampa e agli operatori commerciali romani. A metà Maggio ne vedremo delle belle, state sintonizzati e lasciate un messaggio qua sul blog se volete prenotare un posto un prima fila!
Blog Cafè, ultimi quattro giorni per votarmi!
P.S.: ho visto che la giuria ha inserito un premio speciale he affiancherà i tre premi decisi dalle votazioni pubbliche.
Queste le Nomination del Premio Speciale:
www.dissapore.com
http://bressanini-lescienze.blogautore.espresso.repubblica.it/
http://vino.blogautore.espresso.repubblica.it/
Chissà, alla luce di questi nomi forse qualcuno ora dirà che Blog Cafè ha fatto giustizia....
Piccoli Appunti dal Vinitaly. Ore 14.00. Tenuta San Leonardo
Con Anselmo parliamo un po’di tutto, discutiamo di vino, di wine blog (a proposito lui è un affezionato di Percorsi di Vino ma non ditelo a nessuno…), del caos del Vinitaly, della visita in azienda che prima o poi dovrò fare. L’atmosfera è molto cordiale, rilassata, mi sento “quasi” a mio agio.
Il tempo a disposizione è poco, c’è tanta gente che vorrebbe parlare con lui, lo stand di Tenuta San Leonardo devo ammettere che è un via vai di importatori, distributori, giornalisti e semplici appassionati. Nessuno, e dico nessuno, viene snobbato, tutti hanno il loro piccolo/grande spazio per poter bere o, semplicemente, per poter parlare con qualcuno dell’azienda.
Decidiamo di aprire le danze e subito ci viene versato nel bicchiere il Villa Gresti 2004, ottimo rosso “base” dell’azienda da uve Merlot (90%) e Carmenère (10%). Di un rosso rubino intenso, il Villa Gresti è un vino che fin dalla prima olfazione fa presagire che si è di fronte al frutto di una annata molto importante in Trentino. Tutto è estremamente pulito, elegante, i profumi sono intensi e complessi e spaziano dal ribes al mirtillo, dalla peonia alla violetta, dal tabacco da pipa al cioccolato al latte. Palato di grande equilibrio dove la tannicità evidente e ben sorretta dall’alcol e da una soave morbidezza donata dal sapiente uso del legno (un anno di barrique di rovere francese). Finale avvolgente e persistente.
Arriva il San Leonardo 2004, Anselmo mi aveva avvertito che era “grande” ma la realtà stavolta ha superato le mie aspettative. L’ho sempre detto e l’ho sempre sostenuto, il vino è spesso l’espressione del produttore e se conoscete Carlo ed Anselmo Guerrieri Gonzaga non potete non ritrovare nel loro taglio bordolese la stessa classe che li contraddistingue. Il San Leonardo 2004 stupisce fin da subito per la grande eleganza e la raffinatezza che trovo fin dal colore, un rubino non particolarmente carico che strizza l’occhio alla Francia e che nel bicchiere, rotazione dopo rotazione, ti inebria con profumi di ribes nero, mora di rovo, scorza di arancia, marasca, pepe, humus, cuoio, tabacco, cacao, liquirizia e la solita, grande e inconfondibile nota mentolata, caratteristica ormai imprescindibile di ogni grande San Leonardo. Al palato rivela un bel carattere, con tannini di ottima fattura e una vena acida che bilanciano egregiamente le morbidezze del vino. Chiude su ritorni di frutta di rovo e sottobosco. Non oso immaginare cosa potrà diventare questo vino tra 5/6 anni. Un monumento.
Chiudiamo il nostro piacevole incontro con altri due grandi annate di San Leonardo: 2001 e 1999.
Il millesimo 2001 è sicuramente quello che ad oggi preferisco, raffinato, complesso e potente allo stesso tempo. Naso su note di frutta di rovo matura, erbe medicinali, spezie nere e la classica nota mentolata. In bocca ha grande struttura, perfettamente centrato su morbidezza, freschezza e sapidità. Chiude con grande persistenza su ricordi fruttati.
Il San Leonardo 1999, di un rubino tendente al granato, ha un naso dominato ancora una volta da note di eucalipto seguite da lievi tocchi di minerale, tabacco e prugna. Alla gustativa il vino è ricco, polposo, con un tannino ancora non del tutto domato. Nonostante l’età, al palato, sembra più giovane del millesimo precedentemente descritto. Chiude di media persistenza su ricordi minerali.
Piccoli Appunti dal Vinitaly. Ore 12.00. Allo stand dell'indimenticato Gianni Masciarelli
Il bellissimo stand della Masciarelli è stracolmo ma, nonostante ciò, Rocco ci trova uno spazio, un tavolino solo per noi che subito viene riempito di piatti stracolmi di pane, olio e buonissimi salumi e formaggi abruzzesi. L’ospitalità di queste persone è commovente, questa è l’accoglienza dell’Abruzzo, Terra ora deturpata dal terremoto ma che, contando su queste persone, non può non risollevarsi in fretta.
Tutti insieme decidiamo di non degustare i vini aziendali (Villa Gemma in testa) perché, oltre a conoscerli molto bene, siamo curiosi di provare la gamma dei vini che Masciarelli seleziona e distribuisce in tutta Italia.
Abruzzo, Piemonte, Borgogna e Mosella sono i territori dove si cercano piccole grandi perle enologiche da poter importare/distribuire nel nostro Paese. Rocco Cipollone ci fa degustare veramente tanta roba, Riesling e Pinot Nero vengono versati nei nostri bicchieri con cadenza estremamente serrata perché la gamma di prodotti è estremamente ampia e noi abbiamo poco tempo e, soprattutto, vogliamo lasciar spazio anche ad altri ospiti che aspettano in piedi.
Tra i vari vini degustati, interessanti sono stati i Riesling “targati” Weingut St.Urbans-Hof.
La cantina, il cui nome si ispira al santo protettore del vino, è stata fondata nel 1947 da Nicolaus Weiss, calzolaio con la passione del vino, a Leiwen, piccolo paese sul fiume Mosella. Oggi la cantina dispone di
Tra i vari riesling 2008 che Rocco e Marina ci hanno fatto provare, ho trovato il St. Urban-Hof QbA abbastanza elegante, fresco e fruttato e con quel pizzico di residuo zuccherino che lo rende morbido e un po’ “piacione”.
L’Ockfener Bockstein Riesling Kabinett 2008, da uno dei migliori vigneti della valle della Saar, è una delizia al naso con un minerale che si fonde con sensazioni floreali di fiori di sambuco e frutta esotica. Bellissima l’acidità. Un riesling di grade beva.
Il Piesporter Goldtröpfchen Riesling Kabinett 2008, da uno dei migliori cru aziendali, è un riesling più impegnativo di quelli precedenti, si percepisce anche al naso che nel bicchiere c’è più profondità e struttura. Naso vagamente vegetale che si combina con note di ribes bianco, uva spina e pompelmo, scorza di arancia e litchi. In bocca è sapido e fresco e con soli 7,5% di alcol rappresenta un vino che potremmo bere in un attimo durante una fresca sera di estate.
L’ultimo riesling è la versione Auslese del precedente vino. Frutto di uve parzialmente colpite da botrite, presenta un naso più “maturo” dove si possono cogliere le note di nocciola, mela cotogna e miele. Al palato è naturalmente denso, pieno, anche se non manca di eleganza e freschezza. Finale di grande persistenza dove tornano le note di frutta gialla matura, quasi in confettura. Da bere da qui all’eternità.
Piccoli Appunti dal Vinitaly. Ore 11.30. Andiamo in Friuli da Borgo del Tiglio
L’avevo letto, me lo avevano confidato, Nicola Manferrari, dietro i suoi baffoni neri, nasconde un animo schivo, non è fatto per le pubbliche relazioni, ti guarda, ti studia e cerca di rispondere con uno sguardo e io, piccolo wine blogger in erba, riesco solo in quel momento a capire se ho carpito o meno la sua attenzione.
Inizialmente al suo stand ci accolgono con freddezza, ci studiano per vedere se sei un altro di quelli che “scroccano” da bere senza nessun ritegno e rispetto per ciò che c’è dentro il bicchiere. Purtroppo al Vinitaly ce n’è tanta di gente così.
Chiedo di poter provare i loro vini bianchi.
Il gentile ragazzo dietro il bancone inizia con un gesto che penso abbia fatto mille volte in quei giorni: prende il bianco “base” dell’azienda e lo versa con fare quasi automatico, impersonale.
Il Milleuve Bianco 2007, costituito da un blend di cinque uve diverse, viene “creato” con il vino che avanza dopo che questo è stato utilizzato per dare vita alle bottiglie principali. Fresco e sapido, il Milleuve presenta una beva estremamente accattivante. Servitelo fresco e sarà il vostro aperitivo.Facciamo qualche domanda tecnica, ci presentiamo e, soprattutto, presentiamo il Percorsi di Vino ed Enoclub Roma. Dall’altra parte capiscono che forse abbiamo voglia di comprendere veramente, che siamo da loro perché ci interessa veramente Borgo del Tiglio e non perché hanno “er bianco bono”.Altra bottiglia, stavolta spunta il Collio Tocai Friuliano 2007, dai profumi di pera matura, susina gialla, agrumi, biancospino e dalla sapida vena minerale. In bocca tornano le note olfattive, media persistenza. Sono curioso di provarlo con qualche anno sulle spalle.Ormai abbiamo spezzato il ghiaccio, anche Nicola Manferrari ogni tanto viene da noi e con un sorriso approva la degustazione che seguirà: una piccola grande verticale di Collio Chardonnay. Borgo del Tiglio ne produce due tipologie: quelle con l’etichetta chiara (proposte in verticale) sono gli Chardonnay versione “base” mentre l’etichetta scura sta a significare la versione riserva.L’annata 2007 si presenta di un bel giallo dorato scarico e, sorpresa delle sorprese, nonostante la fermentazione e l’affinamento in barrique, non appare un vinone standardizzato dagli aromi di burro, vaniglia, etc. Nicola Manferrari ama
La sorpresa maggiore riguarda lo Chardonnay 1995, grande regalo del produttore al quale, ora, cominciamo addirittura a stare simpatici. Con questo millesimo siamo all’apice delle “goduria” enologica per questa mattina: oro antico, al naso mostra tutta la complessità e l’eleganza che può fornire una giusta ossidazione: terra bagnata, fungo porcino, miele di castagno, cotognata, spezie orientali, crosta di pane, frutta secca tostata. In bocca nonostante un’acidità che stenta a decollare rimane un vino ampio, equilibrato, persistente e dal finale dove si percepisce chiaramente il miele di castagno e la frutta secca. Bella maturità.Proseguiamo la carrellata con due ultimi bianchi, altra piccolissima verticale di Studio di Bianco, che ci fanno degustare nelle annate 2007 e 1999. Il vino, come dice la parola stessa, rappresenta il frutto di vari studi/esperimenti che da anni Nicola Manferrari sta portando avanti sul Tocai Friulano, Sauvignon Blanc, Riesling, sulle loro possibili combinazioni e la loro evoluzione in legno.Il 2007 presenta complessi richiami di arancia candita, pompelmo rosa, frutta tropicale, sambuco e spezie dolci. Bocca sapida, fresca, piena, lo Studio di Bianco lo trovo un vino estremamente equilibrato, dotato di una morbidezza che è ben supportata dalla vena fresco-sapida. Ottima la persistenza.Per quanto riguarda il 1999, ho ritrovato nei miei appunti delle note di degustazione del Maestro. Nulla risulta più esplicativo di quanto scritto da Veronelli nel 2001: “ogni volta che assaggio i vini di Borgo del Tiglio si sovrappongono gioia per il vino in sè e gioia per il ricordo noumenico della bellezza senza uguali della sua osteria in Brazzano di Cormons... un amore puro, solo esaltato dallo studio e dal progetto”.
E su Blog Cafè anche Il Giornale la pensa come me...
Piccoli Appunti dal Vinitaly. Ore 11.00. Marisa Cuomo e i vini estremi
Il secondo vino bianco che gentilmente ci offrono è il Furore Bianco 2008, fratello minore del Fiorduva, che mi sorprende non poco per il suo carattere per nulla prostrato al più blasonato vino aziendale. Qua i colori rispetto al precedente sono più intensi, vividi, e mettendo il naso nel bicchiere non possiamo non tornare con la mente al paesaggio naturale della Costeria Amalfitana: sentori di cedro, arancia e mandarino si fondono su eleganti tocchi di susina gialla, pesca, ginestra, erbe aromatiche e un lieve minerale. In bocca tutto è equilibrato, di grande intensità e persistenza. Un vino di grande beva e con un rapporto q/p estremamente interessante.
Il Fiurduva 2007, la vera star aziendale, prodotto da uve Fenile (30%), Ginestra (30%) e Ripoli (40%), è un vino che Marisa Cuomo chiama estremo. I Vini estremi sono vini eroici, figli della fatica, del sudore, della laboriosità dell'uomo e il Fiorduva, vino proveniente da vigne sdraiate sulle rocce a picco sul mare, rappresenta davvero un vino estremamente difficile da produrre, frutto di una selezione maniacale delle uve che sono raccolte surmature in maniera del tutto manuale (e non vedo come fare altrimenti vista la pendenza del vigneto). Al naso il vino mantiene tutte le promesse con una complessità molto marcata: frutta tropicale, albicocca disidratata, agrumi canditi, fiori di arancio, camomilla, miele di fiori di arancia, fiori gialli essiccati e un tocco di spezie dolci donate dal sapiente uso del legno. In bocca il Fiorduva è denso, con un bilanciamento tra morbidezza e acidità che lascia il palato vellutato e al tempo stesso equilibrato. Vino dalla grande persistenza e dalla bella chiusura sapida.
L’unico neo, secondo me, è che il Fiorduva rappresenta un altro di quei vini “muscolari” che trovo difficile da abbinare a tavola, meglio il Furore Bianco che, nella sua elegante snellezza, rimane il miglior assaggio dei bianchi di Marisa Cuomo.