Le Casalte, il Vino Nobile di Montepulciano con la tenacia e l'orgoglio di Chiara Barioffi

Il fango si attacca alle scarpe, il vento freddo mi entra tra i vestiti ma non posso tornare indietro, Chiara è già dieci metri avanti a me e, quando si trova da queste parti, sembra non subire fatica ed intemperie.
"Quando mi trovo a Quercetonda sento che c'è qualcosa di diverso nell'aria, è per questo che con la mia famiglia abbiamo scelto questa terra come sede di elezioni del Cru aziendale ". Me lo ripete spesso Chiara da quando sono a Le Casalte, non mi vuole convincere e non ne ha bisogno, cerca solo di farmi entrare nel suo mondo per qualche attimo.
Quando arriviamo nel punto migliore per apprezzare tutti i 6 ettari del vigneto Quercetonda divisi tra filari (4.5 ettari) ed alberello (1.5 ettari) allora sì, ti rendi conto che questo è un posto speciale. Il sole, che improvvisamente si fa largo tra le nuvole nere scaldandoci con i suoi raggi, conferma la tesi. 

Chiara sorride.

Le Casalte non è un'azienda certificata "bioqualchecosa" ma, se si cammina tra queste vigne di prugnolo gentile (il primo ettaro piantato nel 1992, gli altri tra il 1998 e il 2001) noti che la gestione del vigneto segue criteri agronomici di grande saggezza contadina. 
Facendomi osservare l'inerbimento tra i filari di alberello Chiara mi spiega che:"Non uso diserbi di alcun tipo, vivendoci a stretto contatto, tratto il vigneto SOLO se ce ne è bisogno e uso in questo ambito esclusivamente rame e zolfo. Rivendico il diritto di non appartenere a nessun gruppo in particolare, di fare vino a modo mio, credendo in me stessa e nei miei vigneti. Come convinzione, sono molto biologica, biodinamica e naturale, ma non faccio parte di nessuno di questi club. Non solo. Tocco le viti solo con le mani dell'uomo e non con le macchine, cerco di sentire il vigneto ed i vini con la pancia più che con le analisi (anche se le guardo sempre con estrema attenzione perchè fidarsi di se stessi va bene, ma una conferma scientifica mi piace averla). Ah, ultima cosa: là sotto c'è il fiume. Sai che abbiamo rinunciato a vitare quella parte di collina per evitare di trattare contro la muffa che inevitabilmente attaccherebbe quelle uve?".






In lontananza vediamo un cavallo che corre. Chiara ci confida, nostalgica, che ne possedeva uno nel lontano 1995, ed è grazie all'amore verso questo animale che ha cominciato a passare i fine settimana a Montepulciano assieme ai suoi genitori.
Le Casalte, infatti, è stata acquistata da suo padre Guido e sua madre Paola nel 1975, inizialmente era un vecchio casale toscano abbandonato ma, col passare degli anni, diventò  una vera e propria azienda vinicola.
"Quello che Le Casalte sono oggi lo devo tutto a mio padre che, essendo bancario, inizialmente non aveva alcuna intenzione di vendere vino. Inizialmente lo faceva per sè e per gli amici, poi, per rientrare di alcuni investimenti fatti, cominciò a vendere le uve alle aziende del luogo. La passione e i successi furoni tali che cominciò a studiare agronomia ed enologia e così, tra tante difficoltà, nel 1979 è uscita la prima annata del Nobile di Montepulciano.




Chiara, nonostante la sua giovane età, dopo aver affiancato suo padre è alle redini dell'azienda da circa 20 anni. E' decisa, ha le idee chiare, e durante questi anni ha perseguito obiettivi di grande spessore qualitativo che, purtroppo, non tutti i consulenti enologi che l'hanno affiancata si sono dimostrati all'altezza dei suoi sogni. 
La svolta stilistica è avvenuta solo a partire dal 1999 quando entrano a far parte della famiglia Paolo Salvi con la supervisione del compianto Giulio Gambelli. Un sodalizio che, materialmente e spiritualmente, continua fino ad oggi con grande soddisfazione per tutti.



E' tempo di ritornare, ci sono degli amici che aspettano in cantina, un luogo che, nel corso degli anni, pur essendosi ampliato ed ammodernato, ha sempre mantenuto un profilo di grande tradizione e rigore. Vinificazione in acciaio e maturazione in botti grandi (dai 15 ai 34 Hl) per un anno, nel caso del Rosso di Montepulciano, e due anni per Nobile e Quercetonda. La Riserva, quando è prodotta, affina per tre anni. La famiglia Barioffi ha anche una piccola produzione di Vin Santo, non prodotti tutti gli anni, che affina in caratelli di legno per almeno 10 anni.



Durante il nostro tour in cantina Chiara ci parla delle difficoltà climatiche di questi anni:"Purtroppo il caldo delle ultime annate non ci sta dando una mano, ed è per questo che ho preferito uscire con l'annata 2011 solo col Rosso e, tanto per fare un altro esempio, non uscire per nulla con la 2009 perchè non mi rispecchiavo il quel vino. Certo che se continua così sarà dura anche perchè le spese qua a Le Casalte sono alte e non diminuiscono mai.....".

Girando notiamo tutti, su una vasca, la targhetta "2012". Ma non era un'annata calda quella dello scorso anno? Chiara sorride, pensava di non produrla ma, come dice lei stessa, "pensavo venisse un vino di scarso valore, le viti lo scorso anno erano in grande sofferenze, ed invece, non chiedetemi perchè, la Natura ci ha messo lo zampino e ha dato questo vino. Attenzione, va valutato in prospettiva visto che è ancora in vasca..."

Aveva ragione, il (vino atto a diventare) Nobile di Montepulciano 2012 spillato ha un bel colore violaceo e ha un'espressione di frutto intensa, nobile, ma della calura non si sentono cenni. In bocca è già rotondo, ampio, lungo, cavolo se promette....



Visto che siamo in cantina, e in attesa di degustare i vini imbottigliati, verifichiamo anche le condizioni dell'annata 2010 che ci viene servita nelle due varianti, Nobile di Montepulciano e Quercetonda. Pur essendo giovanissimi, andranno in bottiglia tra breve, sono già buoni e riconoscibili, con un Quercetonda che mette una marcia in più grazie ad una profondità ed ad una complessità che lascia ben sperare per un futuro ricco di premi. 

Chiara sorride.

Il vino le piace e sa che è un grande risultato per lei.




Saliamo tutti in casa, sopra un tavolone ci aspettano tante bottiglie, nuove e vecchie annate da scoprire.

Il Quercetonda 2007 si fa notare subito tutti per la sua grinta e la sua progressione. Ha un naso molto scuro, compatto, fatto di frutta selvatica e visciola. In bocca ha un corpo importante ma la freschezza dona equilibrio e sobrietà. Tannino ben integrato. La sapidità finale accompagna il finale di beva.

Il Quercetonda 2006, da annata più fresca della precedente, è invece un vino che ti conquista subito per i profumi più intensi di frutta e fresca balsamicità, per la bocca intensa e profonda che si avvale di un tannino raffinatissimo ed una lunghezza da primo della classe. Ad oggi è un grandissimo bere.



Tra i vari vini degustati successivamente, sicuramente l'acuto maggiore l'ha eseguito il Nobile di Montepulciano 1998, bottiglia che ha anche una storia particolare visto che il vino è stato fatto da Guido Barioffi in solitaria in quanto il rapporto con Cipresso, suo enologo per qualche anno dopo Bernabei, era cessato pochi momenti prima della vendemmia?.
Bene, sarà felice il papà di Chiara di sapere che tutte le ore buttate sui libri per imparare l'arte della vinificazione sono state spese alla grande, il Nobile è ancora bello vispo, integro, austero quanto basta e un sorso davvero entusiasmante visto che tutte le componenti della struttura, dai tannini all'acidità, sembrano cesellate da mani esperte ed artigiane. Una grande sorpresa e un grande vino, una rivalsa per chi non credeva nel progetto Le Casalte.


E' ora di mettersi in viaggio verso Roma ma, a Chiara, viene riservata una grande sorpresa: un bellissimo millefoglie di arrivederci. La ragazza se lo merita davvero e darà a noi appassionati, in futuro, ancora tante soddisfazioni!! 




Angelo Gaja Presidente della Repubblica? Oh my god!!

Senza offesa per Andrea Terraneo, presidente di Vinarius, l’Associazione delle Enoteche Italiane, però quello che ho letto in giro spero sia solo una mera provocazione per farsi sana pubblicità perchè, al contrario, candidare Angelo Gaja come Presidente della Repubblica significherebbe sminuire ed oltraggiare il ruolo della massima carica istituzionale italiana.


Cosa ci garantirebbe Gaja? Franco Ricci come premier? Più degustazioni per tutti?

Terraneo, lei è a conoscenza dei poteri che la Costituzione (art. 87) attribuisce al Presidente? 

Ecco l'elenco:

Può inviare messaggi alle Camere
Indice le elezioni delle nuove Camere e ne fissa la prima riunione
Autorizza la presentazione alle Camere dei disegni di legge di iniziativa del Governo
Promulga le leggi ed emana i decreti aventi valore di legge e i regolamenti
Indice il referendum popolare nei casi previsti dalla Costituzione
Nomina, nei casi indicati dalla legge, i funzionari dello Stato
Accredita e riceve i rappresentanti diplomatici, ratifica i trattati internazionali, previa, quando occorra, l'autorizzazione delle Camere
Ha il comando delle Forze armate, presiede il Consiglio supremo di difesa costituito secondo la legge, dichiara lo stato di guerra deliberato dalle Camere
Presiede il Consiglio superiore della magistratura
Può concedere grazia e commutare le pene
Conferisce le onorificenze della Repubblica
Ce lo vedete il nostro produttore a presiedere le nostre forze armate mentre parla al telefono con Obama o Putin?
Ce lo vedete a parlare con Grillo, Berlusconi e Bersani su chi ci dovrebbe governare?
Seriamente, Gaja è un grande produttore e sicuramente è una figura di autorevolissima del mondo del vino italiano, una nostra bandiera nel mondo enologico ma, all'interno di una fase politica ed economica così delicata, vorrei che il Parlamento facesse altre scelte. 
Non si scherza con la crisi che stiamo vivendo tutti noi e Terraneo lo dovrebbe sapere.
Ah, volete sapere le motivazioni a sostegno della candidatura lanciata da Terraneo? Eccole!
"Ci piacerebbe proporre la candidatura di Angelo Gaja, una delle personalità più significative del mondo del vino, alla Presidenza della Repubblica Italiana".
E' questo l'appello che Andrea Terraneo, Presidente di Vinarius, l'associazione delle Enoteche Italiane, rivolge a tutte le componenti singole e associative della filiera agroalimentare.
Settantatre anni, piemontese, produttore di vino in Langa, a Montalcino, a Bolgheri, Angelo Gaja è in assoluto una delle personalità del vino italiano più conosciute al mondo. Ha straordinarie caratteristiche umane e morali e possiede il carisma necessario per rivestire un ruolo tanto importante. 
Il suo è certamente un nome nuovo, in quanto non è stato coinvolto nelle passate gestioni amministrative del Paese Italia.

"Gaja -spiega Terraneo- rappresenta tutti gli italiani in quanto cittadino, lavoratore, simbolo di eccellenza. È uomo di spicco del mondo agroalimentare, e per Vinarius, in un momento economico tanto complesso, è una vera risorsa avere un candidato di tale levatura per il ruolo di Presidente della Repubblica".

L'idea nasce dall'analisi che Vinarius fa dell'attuale momento di crisi economica e sociale. 

"Da questa crisi - continua per conto di Vinarius, Andrea Terraneo- si può uscire puntando alla costruzione di un nuovo sistema economico e produttivo che ponga al primo punto l'utilizzo di quella che è la maggiore ricchezza del paese, ovvero il patrimonio culturale che attualmente è valorizzato solo in minima parte. Un patrimonio che vede ai primi posti le eccellenze dell'agroalimentare, dal vino alla gastronomia, all'artigianato. Inoltre il made in Italy gode nel mondo di straordinaria attenzione, cosa che contribuisce ad aprire nuovi canali di affermazione del nostro stile di vita con tutto ciò che esso comporta in termini di sviluppo. A questo si aggiunga che la richiesta pressante, emersa anche dalle ultime consultazioni elettorali, è che la cosiddetta società civile metta a disposizione, per l'amministrazione della cosa pubblica, personaggi che non siano coinvolti con la partitocrazia degli ultimi trent'anni. Per tutti questi motivi Angelo Gaja ci appare come il candidato ideale, il personaggio che assorbe tutte le caratteristiche necessarie per rappresentare l'Italia nel mondo".

Nasce Bibenda Tv: nuovi volti enotelevisivi cercasi!

Franco Ricci, sempre lui, ha dato il via alla trasmissioni di BIBENDA TV, la televisione via web che per tutto il mese di aprile proporrà 4 numeri zero.

La notizia più succosa l'ho letta nell'ultimo numero di Bibenda7 dove c'è scritto testualmente che:"la Redazione è pronta a ospitare chiunque dei nostri lettori voglia dire la sua. BIBENDA TV ospiterà tutti coloro che desiderano dare un contributo “mettendoci la faccia”.

Per partecipare basta mandare mail a bibendatv@bibenda.it


Oddio, la voglia di partecipare e dire due paroline a Ricci ce l'avrei ma sono sicuro che non riuscirei a varcare la soglia dello studio di registrazione.

Voi, invece, partecipereste e, nel caso, cosa vorreste dire?

C'è un vino del Lazio che spopola negli Stati Uniti. Lo sapevate?

Strana la vita. In Italia la mia Regione, il Lazio, enologicamente parlando, conta come il due di coppe quando regna bastoni mentre da altre parti, negli Stati Uniti, c'è un IGT Lazio che sta letteralmente spopolando. 
Sono bravi loro o siamo delle capre noi a valorizzare il nostro patrimonio? Sicuramente gli americani ci sanno fare, come i francesi sono maestri nel marketing e questa bottiglia dimostra tutta la loro abilità nel vendere.
Il nome del vino, infatti, è già di per sè una provocazione. 

Si chiama "If You See Key", lo spelling di una parola inglese che un pò tutti conosciamo: FUCK
Un vino che ti manda a quel paese ovviamente non può passare inosservato ed infatti, per essere venduto nello stato del New Hampshire, c'è stato bisogno di una decisione della State Liquor Commission’s, sentenza duramente criticata da due consiglieri dello Stato americano che ritengono l’etichetta controproducente per il turismo locale:“non è certo il tappetino di benvenuto che il turista si aspetta arrivando da noi: abbiamo bisogno di standard ben più elevati”.

Fonte: http://www.huffingtonpost.com

Il vino, prodotto dalla Hundred Acre Winery del vulcanico Jayson Woodbridges (considerato da Robert Parker tra "i più individualisti e non convenzionali produttori della California"), oltre a provocare punta su un deciso e furbetto richiamo territoriale visto che viene venduto con la seguente dicitura:"Coming from the Lazio region of Italy, just south of Rome, the grapes are being nurtured by a climate very similar to the one you'll find here in the Napa Valley with warm summer days and cool nights".

Quindi, traducendo al volo, il Lazio rappresenterebbe una sorta di nuova Napa Valley visto che il clima è molto simile. Capito???????

Fonte: acevola.blogspot.com

Ah, non vi ho parlato dell'uvaggio. Si tratta di un vino a base Cabernet Sauvignon con piccole aggiunte di Petit Verdot e Primitivo. Ok, non saranno vitigni propriamente autoctoni ma da queste parti, nel Lazio, ho visto piantare anche di peggio.

La cosa che conta, secondo me, è che ci sia qualcun altro nel mondo che sta valorizzando il "marchio" Lazio sfruttandone anche tutte le potenzialità. 
Noi, invece, da queste parti stiamo ancora fermi alle guerre tra Strade del Vino ed a un paio di paginette di recensioni sulle principali guide.

Quando cominceremo a svegliarci? Non dico di produrre il vino che ti manda a fanculo ma qualche rudimento di marketing territoriale sarebbe importante che venisse insegnato a tanti vignaioli ed aziende del Lazio.

Jayson Woodbridge. Fonte: Drink Business.com

Negli Stati Uniti il vino sta vendendo tantissimo (costa circa 20$), l'Huffington Post gli ha dedicato un articolo, Robert Parker ne ha parlato, lo scandalo del nome e relative polemiche mantengono alta l'attenzione mentre noi, nel Lazio, a malapena raggiungiamo due paginette di vini recensiti nelle guide.


Franco Biondi Santi è morto. Il Vinitaly gli dia il giusto omaggio!

Strano inizio di 2013. 

Più che strano direi una merda.

Quest'anno si è portato via già Jannacci, Califano, Mennea, il mio amico Simone ed ora Franco Biondi Santi.

Fonte: Luciano Pignataro

Molti, oggi, l'hanno soprannominato "il custode del Brunello" ma, per me, era anche altro. Un vero signore, prima di tutto, un grande esteta ed un rivoluzionario del vino. Solo se hai tutti questi requisiti puoi produrre un vino che è il punto di riferimento per ogni vignaiolo che si rispetti. Di ogni latitudine e longitudine di Italia!

Ecco, domani il Vinitaly dovrebbe dedicargli un minuto di raccoglimento e, se fossi un produttore, la prima cosa che farei è quella di attaccare la foto di Biondi Santi all'interno del mio stand. In segno di rispetto perchè oggi, direttamente o indirettamente, molto di ciò che sono lo devo a questo visionario del sangiovese.


Investire in vino? Mica male!


Un bicchiere di vino può aiutare a scacciare la tristezza per la crisi, ma può anche fare bene al portafogli. L'indice di Borsa mondiale del settore vinicolo elaborato da Mediobanca, una rarità nel panorama finanziario mondiale che raggruppa 46 società quotate attive nel settore del vino (tutte estere, dagli Usa alla Cina all'Australia alla Nuova Zelanda), dal gennaio del 2001 ad oggi ha registrato una performance positiva del 175%, quasi cinque volte tanto le Borse mondiali, che hanno segnato nello stesso periodo un progresso del 37,4%. Lo riporta l'Indagine sul settore vinicolo realizzata dall'Ufficio Studi di Mediobanca.

La migliore performance dei titoli vinicoli, al netto delle dinamiche delle Borse nazionali, spetta al Nordamerica(+193%), seguita dalla Francia (+105%) e dall'Australia (+10%). In altri Paesi, invece, i produttori di vino hanno reso meno delle Borse nazionali (Cina e Cile, -54% ciascuno). I titoli vinicoli sono poco legati al ciclo economico e quindi adatti agli investitori istituzionali, per diversificare i rischi del portafoglio di investimenti.

Del resto, secondo il rapporto, è americana la prima impresa vinicola del mondo per fatturato, mentre la prima italiana, le Cantine Riunite & Civ, si piazza al settimo posto. La leader mondiale è il gruppo statunitense Constellation, con un fatturato di 2.051 milioni di euro. Seconda la francese Lvmh (1.782 mln), specializzata però nello champagne, prodotto dai ricavi unitari mediamente molto più elevati rispetto a quelli del comune vino. Seguono la Treasury Wine, australiana, con 1.321 mln, la sudafricana Distell Group (1.076 mln) e la cinese Yantai Changyu (694 mln), che realizza il 100% del fatturato ma ha un'anima in parte italiana: la famiglia Reina, proprietaria dell'Illva di Saronno (quelli dell'Amaretto), detiene infatti il 33% dello Yantai Changyu Group, che controlla il 50,4% della società operativa Yantai Changyu Pioneer Wine Company. Si trovano poi la Concha y Toro cilena (629 mln) e la Cantine Riunite - Giv (498 mln), al settimo posto. In undicesima posizione figura poi l'italiana Caviro (247 mln); in sedicesima la divisione Vino della Campari (185 mln), in diciannovesima la Cavit (152 mln) e al ventesimo posto la P. Antinori (150 mln).

In Italia comunque il settore è in buona salute. Secondo l'indagine di Piazzetta Cuccia che ha preso in considerazione i bilanci delle 108 principali aziende, l'anno scorso il loro fatturato complessivo è salito del 7%, con forte spinta dell'export, portandosi del 20% sopra il livello pre-crisi mentre il fatturato dell'industria è sceso pesantemente. Bene anche l'occupazione (+2,6%) e le prospettive per il 2013: l'87% dei grandi produttori esclude un calo dei ricavi. Quanto alle tipologie, i grandi vini
(quelli che costano più di 25 euro a bottiglia) e i Docg sono passati al 15,7% delle etichette, dal 9,4% del 1996. Stabili le etichette Doc (36,6%), in calo le produzioni meno pregiate (Igt e vini comuni), dal 54,3% al 47,7%. Il 74% delle etichette è comunque rappresentato da Doc e Igt.


Fonte: Repubblica

Rosso Pradarolo 2008: quando la volatile è tutto!

Chi mi segue, quei pochi, sanno che, in genere, non amo parlare male dei vini perchè rispetto moltissimo il lavoro del produttore che so perfettamente il mazzo che si fa.
Bevendo questa bottiglia a Pasquetta non ho potuto ripensare alla parola che ho usato prima: RISPETTO. E vi spiego il perchè.
Al ristorante, dove ho ordinato il Rosso Pradarolo 2008, con Stefania ci beviamo solitamente una bottiglia in due, amiamo abbinare il buon cibo con il vino e non sapete quanto siamo rimasti contenti nel trovare nella carta dei vini dell'osteria, accanto ai soliti noti, il nome di Podere Pradarolo presente sia con due bianchi che col rosso.


Il Rosso Pradarolo 2008 è una vendemmia tardiva a base di Barbera (90%) e Croatina (10%) vinificate tramite macerazione di 90 giorni e successivo invecchiamento di 15 mesi in botti grandi di rovere. Va in commercio dopo aver fatto almeno 6 mesi di affinamento in bottiglia. Ovviamente, nessun uso di lieviti selezionati, nessuna filtrazione e stabilizzazione. 

Sembra tutto perfetto ma quando lo apri e lo versi nel bicchiere la poesia cambia. Anzi, non c'è proprio poesia ma solo un grande, grosso difetto chiamato acidità volatile

Troppa, tremenda, invadente!

E col cavolo che, come spesso sento dire, se ne va facendo ossigenare il vino.

Già, il vino. Il mio Rosso Pradarolo era totalmente massacrato dall'acetica che al naso non riuscivo a percepire altro sentore. Le eleganti note di frutta rossa che il produttore riporta nella scheda tecnica? Un atto di fede.
Il problema maggiore, comunque, riguarda la gustativa. L'acido acetico "brucia" leggermente la gola per cui dopo un bicchiere e mezzo, sforzandoci, non riusciamo più a bere. Non siamo masochisti.

Risultato? Bottiglia lasciata per oltre la metà. Soldi buttati. Incazzatura galloppante.

Quello che mi chiedo è se Alberto Carretti, il simpatico produttore che ho personalmente conosciuto tempo fa a Faenza assieme all'ineffabile Nossiter, abbia bevuto il suo Rosso prima di imbottigliarlo e venderlo. Non posso immaginare che un vignaiolo etico come lui, dopo averlo fatto, abbia dato il via alla vendita. Non si può!

E' una questione di RISPETTO! Eccola qua la parolina magica di cui sopra. Non si possono mettere sul mercato bottiglie così anche se le analisi dicono che tutto è ok. Non serve uno chimico per capire che il vino ha un problema e, per una volta, mettiamo da parte il concetto di naturalità se questo è il risultato. Cavolo, non offriamo il fianco a chi sparla dei vini naturali. Vedi la voce: Ricci e Co&. 

RISPETTARE il consumatore finale con vini degni della loro destinazione finale è pur utopia da queste parti?

In tema di acidità volatile, per chi vuole approfondire, consiglio questo link VINIX.

Alberto Carretti in cantina

La Stoppa e i suoi vini in verticale

Deve essere molto difficile il mestiere di Elena Pantaleoni e Giulio Armani, rispettivamente proprietaria ed enologo de La Stoppa, perchè combattere contro i pregiudizi può essere davvero un'attività stremante. 
Dopo la verticale storica dei loro vini tenutasi a Roma qualche giorno fa, ho definito l'Ageno, il Macchiona ed il Vigna del Volta come vini "antagonisti" perchè vanno contro chi pensa che Bonarda, Barbera e Malvasia di Candia siano vitigni buoni solo per lo sfuso da osteria, perchè vanno in contrasto con l'idea che i colli piacentini siano un territorio vitivinicolo sfigato, e , soprattutto, perchè danno una spallata ai tanti commenti presenti nel web che descrivono come "puzzolenti" il Macchiona ed i suoi fratelli.


Elena che spiega....
Giulio che si riposa...
Certo, non sono vini semplici, a volte spiazzano e hanno bisogno di aria e tempo per esprimersi al meglio, spesso bisogna entrarci in sintonia perchè oltre ad essere terreni sono anche vini mentali. Vini "antagonisti" e difficili, certamente, ma dopo questo viaggio nel tempo all'interno del mondo La Stoppa tutto non potrà essere più come prima. Almeno per me.

Ageno 2007 (Malvasia di Candia Aromatica 60%, Ortrugo e Trebbiano 40%): macerato sulle bucce per circa un mese come avveniva per i vecchi vini bianchi piacentini, è un vino che non lascia indifferente sia nel colore, arancione chiaro, sia negli odori che sono ben definiti e decisi. Sensazioni di mandarino, spezie orientali, foglie di the, zolfo. Bocca di grande struttura, ricca, dove acidità e tannino (sì c'è anche lui) la fanno da padroni. Un sorso alternativo che si vedrei benissimo con una bistecca al sangue. Perchè no?

Ageno 2005 (Malvasia di Candia Aromatica 60%, Ortrugo e Trebbiano 40%): rispetto al fratello minore l'ho trovato più timido e scontroso anche se a livello gustativo si lasciava andare meglio visto che l'età ha giocato favorevolmente sull'equilibrio del vino. Curiosità: Ageno è il nome è un omaggio al precedente proprietario de La Stoppa, l'Avvocato Ageno che per primo ha creduto nella grande potenzialità della zona e l'ha voluta valorizzare. 


Ageno 2007 e Ageno 2005
Macchiona 2005 (Barbera 50%, Bonarda 50%): Giulio Armani, spiegandomi questo vino mi ha chiaramente detto che, ad oggi, è troppo giovane per valutarlo. Sgranando gli occhi e avvicinando il naso nel bicchiere ho capito subito cosa voleva dire. Il Macchiona, per dirla alla Venditti, era "chiuso come le chiese quando ti vuoi confessare" e solo con la santa pazienza e un pò di esperienza riesci a capire il potenziale di un vino che è in mortale ritardo per il decollo finale. Al sorso è puro territorio, sa di frutta matura e terra e tutta l'impalcatura è ben sorretta da una struttura solida e magistralmente definita da una scia sapida finale.

Macchiona 2002 (Barbera 50%, Bonarda 50%): l'annata piovosa ed un maggior invecchiamento danno vita ad un vino più agile del precedente che, a mio parere, è ancora con i piedi troppo ancorati per terra. Questo millesimo, avendo minore "ciccia" da smaltire, cerca nel suo piccolo di mettere le ali e, sospinto da un vento fresco, va ad esaltare tutte le caratteristiche dell'annata che aiuta gradevolmente il sorso e, bicchiere dopo bicchiere, la bottiglia è finita. Certo, non sarà un mostro di complessità ma, ad oggi, è al suo massimo di godibilità. Ora o mai più!


Fonte: Sorgente del Vino
Macchiona 1995 (Barbera 50%, Bonarda 50%): quando ho aperto la bottiglia e versato il vino nel bicchiere, appena odorato, sono subito corso a cercare Elena e Giulio e, con un pizzico di emozione, gli ho sussurrato:"Ragazzi, ho capito il senso delle vostre parole di prima, quando sottolineavate chela 2005 era troppo giovane per essere capita!!". Nel calice, davanti a me, ho un vino nudo, crudo, che ha disperso nel tempo molte delle zavorre che, per dirla come il mio amico Francesco Vettori, lo tenevano distante dal cielo e dalle alte vette dell'eleganza. Il naso è articolato su note di spezie, fiori, ricordi di rosa, viola, foglie secche e fruttini rossi di montagna. Bocca di classe dal sapore terso, minerale, con un tannino perfettamente fuso nella massa e una chiusura lunga e sapida. Alla cieca lo scambieresti per un nebbiolo. Solo una domanda che sa di provocazione: ma si può aspettare un vino per così tanto?

Macchiona 1987 (Barbera 50%, Bonarda 50%): l'artigianalità e la naturalità di un vino che corre nel tempo senza guardarsi indietro. Questo può essere il titolo di questo Macchiona che, a partire dalla bottiglia sporca e senza etichetta portata da Elena, rappresenta un vero tocco di storia per La Stoppa che con questa versione di Macchiona si prende una sana rivincita contro il territorio e contro chi, troppo spesso, ha sottovalutato il potenziale evolutivo dei suoi vini. Pur sottolineando la diversità qualitativa tra le varie bottiglie presenti alla degustazione, il vino nel mio calice si è presentato perfettamente integro, autunnale, con tocchi balsamici e salini. Sorso di grande personalità, sapido, pericolosamente compulsivo. Chapeau!

Chiudiamo la serata in bellezza con le annate 2007 e 2005 del passito Vigna del Volta (Malvasia aromatica di Candia 95%, Moscato 5%).  Tra i due millesimi ho preferito l'annata più giovane per una maggiore precisione ed ampiezza aromatica e gustativa che ricorda la frutta disidratata, la scorza di agrume, il miele di acacia. Sorso cremoso, avvolgente, agrumato, freschissimo e dotato di un finale che si arricchisce di canditi e sbuffi iodati. 


Fonte: Altissimo Ceto
P.S.: visto che non ci sente e non ci legge nessuno.....Elena mi ha confidato che se passate in azienda a nome mio vi apre anche un Macchiona '83 e, se siete stati bravi, anche il Buca delle Canne, uno dei più grandi vini dolci italiani di sempre.... Shhhhhhhh, acqua in bocca........

Rocco Siffredi.....e il suo Magnum

'Rocco non solo magnum', è questo il nome, inequivocabile, del vino nato da un'insolita unione professionale  tra il celebre attore del cinema hard internazionale, Rocco Siffredi, e l'ex pilota di Formula 1 Jarno Trulli.

Fonte: Globalist.it

La bottiglia, frutto della Colline pescaresi Igt e a base di uve Montepulciano, sarà presentata in anteprima al Vinitaly. Il vino farà parte di un progetto commerciale dell'attore, che ne prossimi mesi aprirà a Budapest il primo 'Rocco's world caffè', un locale inteso come luogo di ritrovo coviviale e tappa irrinunciabile per gli amanti del genere hard, sarà infatti possibile acquistare oggetti vari e gadget, mentre 'sullo sfondo' verranno trasmessi video con i backstage dei set cinematografici dello studio di Siffredi.

"Il vino, ha spiegato l’attore, ha un legame profondo con l'erotismo e con la persona giusta è in grado di creare l'atmosfera perfetta per una serata divertente. L'Abruzzo è la mia terra d'origine e Jarno è un caro amico, che produce vini ottimi e che, con la giusta ironia, si è prestato a produrre questa nuova etichetta con il mio nome". Siffredi non è il primo attore hard che si affaccia al mondo del vino, prima di lui Savanna Samson ha cominciato a produrre bottiglie a Montalcino nella terra del Brunello.

Il Consorzio del Vino Brunello di Montalcino risponde a Gianfranco Soldera. E guerra sia!

Il Consorzio del Brunello di Montalcino ritenendo fortemente lesive le affermazioni rilasciate al Corriere della Sera di quest’oggi nei confronti dei produttori e del territorio nel suo complesso da Gianfranco Soldera, desidera chiarire la propria posizione rispetto a tali accuse infondate per evitare ulteriori strumentalizzazioni che danneggiano Montalcino e l’immagine del Brunello nel mondo. Ad iniziare dalla proposta del Presidente del Consorzio di donare a Case Basse il “vino della solidarietà” con bottiglia ed etichetta diversa da quella nomale oggi considerata “irricevibile e offensiva, una truffa al consumatore”, ma che ieri meritava “il nostro sentito ringraziamento”. Il Consorzio sottolinea come volesse essere un gesto simbolico e di solidarietà dal momento che allora, sulla base delle sue stesse dichiarazioni, si pensava che tutta la sua produzione fosse scomparsa con l’atto vandalico e con il ricavato poteva fare beneficenza all’asilo o alla casa di riposo degli anziani. Oggi sappiamo che non è così (Soldera ha dichiarato che ci sono 7000 bottiglie ad annata), ma il significato di quel gesto di solidarietà rimane e riteniamo offensivo che ciò venga considerato alla stregua di una truffa. 


Anche perché quell’atto e tutte le illazioni fomentate a margine per ora stanno danneggiando in modo considerevole l’immagine del Brunello e del territorio, mentre continuano a garantire una platea mediatica a chi l’ha subito per avere visibilità continua e lanciare accuse infondate. Lo stesso vale per quanto riguarda l’idea ribadita che il Consorzio non voglia fare ricerca visto che che ha deciso di investire 150.000 € affidandosi al maggior centro di ricerca enologica presente in Italia, la Fondazione Edmund Mach di San Michele all’Adige. La ricerca si è sviluppata su tre filoni: lo sviluppo dei metodi che considerano il DNA oppure gli antociani per stabilire l’origine varietale, e gli isotopi stabili, questi ultimi per tracciare l’origine geografica del vino Brunello. Dopo molte e approfondite considerazioni la Dr.ssa Stella Grando, referente per la genetica dell’Istituto di San Michele all’Adige, ha confermato che il metodo del DNA su cui Soldera insiste tanto non è applicabile perché i risultati non sono riproducibili e improponibili per stabilire la purezza di un vino, dato che le miscele di DNA non sono quantificabili con precisione. Ciò non permette un controllo sicuro ed esteso su tutta la produzione. 

Per quanto riguarda “la moltiplicazione del pane e dei pesci e non c’è territorio” desideriamo sottolineare come in un comprensorio di 24.000 ettari, solo il 15% è occupato dai vigneti. Inoltre va puntualizzato che a partire dall’anno 2006 i produttori di Montalcino hanno volontariamente ridotto la produzione ad ettaro del loro Brunello, passando da 80 a 70 quintali per poi scendere ulteriormente da 70 a 60 quintali nel 2011 nell’ottica di un ulteriore miglioramento qualitativo. Sui motivi della sentenza e del movente dell’atto vandalico che non convince invece non entriamo ma come ha fatto emergere l’inchiesta ribadiamo l’assenza di collegamenti tra esecutore materiale ed il territorio ed il fatto che secondo le indagini l’atto sia stato il risultato di una questione puramente riconducibile a problematiche aziendali. Quello che in conclusione più ci preme è tuttavia ribadire una volta per tutte e per buona pace di Gianfranco Soldera che, contrariamente a quanto lui pensa, nessuno in questo territorio e tantomeno il Consorzio ha parlato di cose diverse dal Sangiovese 100%, questo prevede il Disciplinare e questo viene rispettato. Dal 1967 noi siamo per il rispetto del Disciplinare, per i controlli e per le ricerche. Chi parla di altro o di truffe senza averne le prove offende profondamente il territorio, la comunità dei produttori, il patrimonio comune che è Montalcino ed il suo Brunello, al solo scopo di innalzare la propria immagine calpestando il territorio e gli altri produttori. 

Raccogliamo quindi con piacere le indicazioni del sindaco di Montalcino Silvio Franceschelli secondo il quale “soprattutto in questo momento bisogna valorizzare il territorio ed il patrimonio imprenditoriale che esso esprime, una vera e propria eccellenza nel panorama internazionale. Chi al contrario utilizza la visibilità che il Brunello offre per valorizzare solo se stesso a scapito del territorio, chiunque esso sia, va condannato senza indugi.”

Gianfranco Soldera e quel "piccolo" difetto di comunicazione

Non è passato troppo tempo da quando Gianfranco Soldera ha subito quell'infame attentato a opera di Andrea Di Gisi, ex dipendente della sua cantina, che proprio qualche giorno fa è stato condannato a 4 anni di reclusione
E' passato ancora meno tempo, inoltre, da quando Soldera, con un apposito comunicato stampa, ha deciso di uscire dal Consorzio del Brunello di Montalcino inoltrando a Bindocci le sue dimissioni irrevocabili.
Leggendo le ultime righe del comunicato prendo atto di un altro colpo di scena che, in parte, tranquillizza tutti i disperati fan di Soldera che avevano pensato di dover rinunciare al famoso Brunello per anni. Così non sarà. Tutti contenti allora? No. Almeno io qualcosina al Gianfranco nazionale la vorrei dire perchè, commercialmente, un pò mi sta scocciando.



Già tre anni fa, infatti, tanti appassionati come me avevano dovuto ingoiare il rospo circa la decisione dell'azienda di confondere le acque imbottigliando sotto un'unica etichetta i due Cru "Intistieti" e "Case Basse" che, da quel momento in poi, potevano essere rintracciati solo ed esclusivamente codificando il numero di lotto delle bottiglie. Sarà anche per loro una questione di lana caprina ma come consumatore avrei diritto a sapere cosa compro senza dover fare mille telefonate in azienda per comprendere che tipo di Brunello sto comprando. Che poi l'Intistieti venga venduto allo stesso prezzo del Case Basse è un'altra trovata geniale. A precisa mia domanda Soldera mi rispose:"Non so nulla, è una decisione di mia figlia che si occupa del marketing...".

Vabbè, turiamoci il naso e passiamo oltre fino ad arrivare all'infame atto posto in essere dal Di Gisi che, svuotando le botti della cantina, ha scatenato tra gli appassionati, oltre ai normali sentimenti di solidarietà verso Soldera, anche tanta disperazione. Come non ricordare l'articolo del Corriere della Sera del 4 dicembre 2012 che scriveva testualmente:"I malfattori hanno aperto i rubinetti di botti e barriques, lasciandole intatte ma distruggendo l'intera produzione vinicola che riguarda le vendemmie dal 2007 al 2012: circa 600 ettolitri finiti negli scarichi della cantina. Sei annate perdute. Il pavimento trasformato in un lago di vino, ma null'altro è stato toccato o sottratto". 

Ovviamente qualcuno, letto la notizia, ha cavalcato l'onda della speculazione e, come scritto anche qua, le vecchie annate di Soldera hanno cominciato a lievitare di prezzo raggiungendo anche le 500 euro. Uno schifo a cui, in verità, l'azienda ha messo una pezza facendo uscire un ennesimo comunicato stampa dove, oltre a prendere le distanze da ogni pratica speculativa, informava che la vendita dell'annata 2006 del suo Brunello era temporaneamente sospesa fino a data da destinare.

Di Gisi, il "killer del Brunello". Fonte: Montalcino News
Ebbene, sono passati oltre 4 mesi ed arriva l'ultimo comunicato stampa col quale Soldera comunica al mondo sia la nuova distribuzione della 2006 sia, squilli di trombe, che è rimasto un pò di 2007, 2008, 2009, 2010, 2011 e 2012 le cui vendite avverranno in futuro.

Come scrivevo all'inizio del post, la lieta notizia che ha messo fine alla paure di molti per me ha avuto, purtroppo, un risvolto alquanto amaro visto che, pensandoci bene, sbagliando i tempi della comunicazione Soldera non ha fatto altro che alimentare quell'attività speculativa che tanto dicono di combattere. 
Se proprio volete fare chiarezza circa le inesatte notizie circolate, non potete svegliarvi quattro mesi dopo l'accaduto quando tutti i giornali più importanti al mondo, dal Corriere della Sera al Guardian scrivono di una produzione azzerata per cinque anni. Cavolo, mica sono Percorsi di Vino che lo leggono in due!!
Caro Soldera, visto che fin da Dicembre sapevi bene che qualcosa si era salvato, perchè non hai smentito tutti i giornali con un altro comunicato soffocando sul nascere ogni intento speculativo?
Così facendo si sono avuti tre risultati pericolosi per noi appassionati: 
  • le annate storiche, se le trovi, si sono apprezzate minimo del 50%;
  • la 2006 (ultima annata prodotta prima del presunto black out) ha raggiunto quotazioni improbabili; 
  • 2007, 2008, 2009, 2010, 2011 e 2012, prima scomparse e ora miracolosamente riapparse in quantità pari alla metà della produzione normale (così ha dichiarato Soldera al Corriere della Sera di due giorni fa) saranno considerate talmente di culto che si apriranno aste selvagge per accaparrarsele.
Il risultato, pertanto, è che il Brunello Case Basse, da qua in poi, sarà prezzato come un grande Bordeaux. 
E' vero, qualitativamente il sangiovese di Soldera non ha nulla da invidiare ai francesi però, caro Gianfranco, mi permetta di tirargli amichevolmente le orecchie....

Gianfranco Soldera. Immagine: greatwinenews.com

Nel frattempo, qualcuno si è incazzato......

Orto 2009: Venezia e l'Isola di S.Erasmo hanno il loro vino

La storia di questo vino viene da lontano ed è un racconto che sa di Natura, recupero ed antiche tradizioni.
Siamo sull'isola di S. Erasmo, nella laguna di Venezia, famosa per essere considerata da sempre l'orto dei dogi perchè, per secoli, ha fornito verdura e ortaggi freschi (famoso il carciofo violetto) alla città di Venezia.

Da qualche tempo l'Isola di S. Erasmo non è famosa solo per la sua verdura ma anche per un vino, l'Orto, il cui papà è Michel Thoulouze, ex presidente di Tele+ e deus ex machina di Canal Plus per venti anni, che una volta andato in pensione ha pensato bene di diventare un contadino provetto rilanciando nell'isola la coltivazione della vite e la produzione del vino, utilizzando i metodi tradizionali degli agricoltori locali e la competenza tecnica di Lydia e Claude Bourguignon, ingegneri agrari, e Alain Graillot (Crozes Ermitage), produttore vinicolo i cui vini sono famosi in  tutto il mondo.


Partendo da una mappa settecentesca dell'isola su cui c'era scritto «Vigna del Nobil uomo», Thoulouze ha liberato dai rovi 11 ettari di terreno attravero il rinnovo dell’antico sistema di drenaggio che raccoglie l’acqua piovana entro i canali che passano tra i filari delle vigne e fluisce poi in laguna con la bassa marea attraverso sistemi idraulici di “chiuse”. Prima di impiante i vitigni, i terreni sono stati preparati seminando per tre anni ravanello, avena e radice cinese secondo il metodo “duro su duro” cioè senza mai arare e senza dare, ovviamente, concimi e diserbandi chimici.

Michel Thoulouze Fonte: avis-vin.lefigaro.fr

Un unico vino, dicevamo, 15.000 bottiglie derivanti da 4.5 ettari di vigneto a piede franco dove spicca la presenza di malvasia istriana, vermentino e fiano di Avellino, vitigni che lo stesso Thoulouzeè andato a selezionare all'interno del Vivai cooerativi Ruscedo.

L'Orto 2009 (60% malvasia, 30% vermentino e 10% fiano) degustato poco tempo fa è un vino sapido, salmastro, verticale, di grande beva. Trovo particolarmente riuscito il mix di uve che tra aromaticità, acidità e struttura danno vita ad un equilibrio di ottime proporzioni. 
E' un vino adattissimo per il pesce e Thoulouze, da vecchio volpone, lo sa perfettamente! 


Simone, ci mancherai



Più di un decennio con in mano un calice di vino e mai un momento noioso. Per me il vino è oltre il lavoro che faccio: amici da scoprire, terre da visitare, contadini da cui imparare. Tutto ciò non mi affatica mai.Non amo punteggi o classifiche, quello che faccio bevendo un vino è chiudere gli occhi e riporlo dentro la bottiglia. Un percorso inverso che mi porti dentro la cantina, mentre il proprietario ne spilla dalla botte e ne porge qualche calice. Uscendo all'aria aperta cammino tra le vigne e cerco di imprimere nei miei ricordi una storia intera.