Casale del Giglio contro Jonathan Nossiter. Botta e risposta su Dissapore in merito all'articolo apparso su GQ.

Sul Dissapore non si è fatta attendere la risposta di Casale del Giglio, nota azienda vitivinicola del Lazio, che risponde le rime a Jonathan Nossiter in merito alle sue accuse, che potete leggere qui, di essere industriali del vino non ecocompatibili.

LETTERA APERTA A JONATHAN NOSSITER

Caro Jonathan,


sono Antonio Santarelli, titolare della Casale del Giglio (non Casal). Con il mio enologo, Paolo Tiefenthaler, abbiamo letto il tuo assai infelice articolo dal titolo “Attenti al Vino”, apparso sul mensile GQ di Gennaio 2012 a pagina 30.
Rispettiamo il tuo approccio “NO-GLOBAL” (meno la tua competenza tecnica), ma non possiamo restare indifferenti alle pesanti e ingiuste accuse verso la nostra azienda, le altre aziende vinicole citate e verso gli stimati amici ristoratori romani.
Fai bene ad esaltare lo sforzo di quei viticultori che producono vini naturali e che riducono l’uso di prodotti di sintesi, ma questo vale anche per aziende come la nostra, che segue realmente da molti anni un protocollo “ecocompatibile”. Questo protocollo prevede l’assoluto non utilizzo di gran parte degli anticrittogamici in commercio, facendo uso di rame e zolfo secondo il protocollo applicato in Trentino e seguito da uno dei piu’ prestigiosi istituti di ricerca: Istituto agrario di San Michele all’Adige. Le analisi di controllo sulle uve dimostrano gia’ da molti anni l’assoluta assenza di qualsiasi residuo al momento della raccolta, cosi’ da allinearsi ai livelli della certificazione biologica, che potremmo facilmente richiedere e sfruttare a livello commerciale, ma che applichiamo silenziosamente come stile di lavoro. Dunque l’accusa di utilizzare “sostanze chimiche, “tossiche per qualsiasi cosa vivente” e’ veramente da dilettanti alla ricerca di effimera visibilita’.
Il tuo attacco alla Casale del Giglio e’ tuttavia ben congegniato e si ripete piu’ volte nel corso dell’articolo, anche per bocca del commesso di enoteca di primo pelo, tal Francesco Romanozzi (che lavora nell’affermata enoteca Bulzoni di Roma), che confonde l’antipatia personale con valutazioni oggettive, tenuto conto che il livello di apprezzamento dei vini della Casale del Giglio da parte del pubblico, romano e non, non crediamo si possa basare sull’indolenza del consumatore.
Questo giovane presuntuoso ha poi utilizzato termini confusi e generici,di cui non comprende forse neppure il significato e la giusta attribuzione.
Forse, caro Jonathan, hai voluto perfidamente sfruttare la sua incauta vanita’?
Ti facciamo osservare che,disponendo di una congrua estensione di vigneti propri, con annessa cantina vinicola, siamo tecnicamente considerati una azienda agricola vitivinicola e dunque non industriale.
Quando invece si parla di “tradimento”, rispetto a cosa lo si intende? Al fatto di aver ottenuto un’alta qualita’ e non alte rese? Al fatto di aver costruito una buona immagine rispetto alla bassa considerazione che il nostro territorio aveva in passato? Al fatto di essere orgogliosamente diventati una cantina di riferimento sul proprio mercato di appartenenza(Roma e Lazio), riuscendo a contrastare, battendosi ad armi pari, l’invasione dei vini nazionali che la facevano da padroni?
Al fatto di essere riusciti (insieme ad altre cantine laziali) a rappresentare la produzione regionale a livello nazionale con una capillare presenza nelle carte dei vini dei ristoranti d’Italia? Al fatto di aver creato una struttura di accoglienza altamente dignitosa, con uno staff professionale, rispetto alla riottosita’ e all’ignoranza verso l’ospite di certe cantine laziali del passato? Se cosi’ fosse, allora ci dichiariamo sicuramente dei “super traditori”!!!
Quanto all’abuso del termine “commerciale”, anche questo e’ un “non sense”, in quanto assecondare la spontanea richiesta del mercato e’ un fatto assolutamente “naturale” (ti disturba questo termine?).

Se fossi l’amico Alessandro Bulzoni, titolare dell’omonima enoteca, non mi terrei in azienda un imberbe khomeinista come Francesco Romanozzi, che divide le aziende fra “buone” e “cattive”, creando perplessita’ nei suoi clienti…
Quanto al termine “tossico”,poi, ti informiamo ulteriormente che anche la nostra cantina lavora,in parte, uve biologiche. Aggiungiamo inoltre che la nostra azienda e’ da anni coinvolta in attivita’ di ricerca anche tramite convenzioni universitarie e attraverso progetti di studio come “MAGIS” e “TERGEO”.
Abbiamo di recente sottoscritto un accordo di collaborazione con la Provincia di Latina nell’ambito del progetto europeo ”LIFE”, per il risparmio delle risorse idriche in agricoltura.
Nel 2010 l’azienda ha realizzato un impianto fotovoltaico da 200KW, sulla copertura della propria cantina, rendendosi cosi’ quasi totalmente indipendente a livello energetico.Evidentemente non documentarsi e’ ormai diventata la caratteristica di giornalisti sensazionalisti che non meritano di appartenere alla categoria.
Quanto alla strenua difesa degli autoctoni, che condividiamo, va detto che non si puo’ generalizzare in quanto nella storia c’ e’ sempre stata una “prima volta”, quando una nuova varieta’ approdava in un territorio. Quasi tutte le varieta’ viticole provengono dall’Asia Minore, per fare un esempio. In Friuli ci sono molti vitigni di origine francese o slava, oggi considerati “assolutamente” autoctoni. Nell’Agro Pontino (da noi) vi erano le paludi pontine,poi bonificate, dove non si potevano rintracciare vitigni storici, per cui e’ pienamente legittimo aver piantato, dopo anni di studi, le varieta’ che meglio si adattavano senza alcun pregiudizio alla Jonathan!
Piu’ a Nord, in Toscana, sempre sulla costa, c’e’ la Maremma (molto simile al nostro Agro Pontino), anch’essa un tempo paludosa. Vai a vedere, caro Jonathan, che razza di territorio vocato (lo ricordiamo anche al buon Romanozzi) ne e’ venuto fuori e che varieta’vitigni hanno piantato!!

Partecipiamo poi a progetti di valorizzazione del territorio, come gli scavi archeologici dell’antica citta’ di Satricum(documentati caro Jonathan!!!) e piste ciclabili (da noi promosse in una collaborazione bipartisan fra PDL e PD).
Infine disponiamo di una piccola oasi naturale che comprende un lago con pesci “viventi”che viene di frequente utilizzato dalla avifauna di passaggio, in particolare da aironi.
Pensa, caro Jonathan, in azienda ci sono anche numerosi conigli selvatici che negli ultimi anni si sono spontaneamente moltiplicati; forse saranno resistenti alle sostanze tossiche da te malevolmente immaginate. C’e’ tanto ancora, ma forse e’ giusto fermarsi qui. Chi ha potuto farci visita conosce la nostra passione, il nostro rigore e la nostra serieta’, qualita’ che non sembrano appartenerti. Tuttavia vogliamo augurarci che tutto cio’ non sia farina del tuo sacco ma che concorrenti sleali, che a fatica digeriscono il lavoro da noi fatto, ti abbiano facilmente manipolato…
In ogni caso ci riserviamo di tutelare la reputazione della nostra azienda nelle opportune sedi giudiziarie.

Distinti saluti


La risposta di Nossiter non si è fatta attendere e, devo dire, merita un plauso per pacatezza ed intelligenza. Magari a pensarci prima...

Egregio Sig. Santarelli,

Mi dispiace che il tono del mio articolo abbia provocato da parte sua una lettera talmente sarcastica. Ho ovviamente instaurato un dialogo incivile e questa non era la mia intenzione.
La verità è che lei non è il bersaglio del mio articolo. Sono preoccupato invece della speculazione – intesa come il contrario della produzione – che sta, nei miei occhi, distruggendo l’economia e la società occidentale. In linea di principio anche lei dovrebbe sentirsi scandalizzato, dato che vende i suoi vini a 5 euro e li trova rivenduti a 25. A lei sembra giusto? Non vorrebbe controllare un po’ la speculazione dei ristoratori che guadagnano sul vostro lavoro? E fra l’altro non ho la minima intenzione di mettere in discussione la vostra buona fede nell’elaborazione dei vostri prodotti. Volevo solo mettere in discussione il tipo di prodotto come espressione di un territorio e il fatto che una sola azienda domini il mercato locale di una grande città.
Ma leggendo la sua lettera mi chiedo anche perché un’azienda talmente forte, grande, riuscitissima – nel senso commerciale e critico – perda tempo con una piccola e singola voce critica in una rivista fuori settore e dopo tanti anni di ammirazione generalizzata? Mi dispiace soprattutto la reazione all’opinione di un giovane come Francesco Romanazzi. E’ una democrazia, il luogo in cui si può ancora esprimere un giudizio, no? E infatti l’ho citato perché mi sembra uno dei giovani appassionati più informati e impegnati nella ricerca etica della cultura del vino che abbia conosciuto: nonostante la sua età ha già lavorato in alcuni dei posti più impegnati nel vino a Roma, come Roscioli, Settembrini e Bulzoni.
Non siamo liberi, tutti e due, di dire che i vostri vini non ci piacciono? O che consideriamo il successo di marketing delle uve internazionali, sull’onda di ciò che si vende più facilmente dall’Australia alla Maremma fino all’Argentina, il contrario di un impegno necessario per salvare le tante bellissime uve autoctone laziali in pericolo? Ovviamente, come scrive lei, una tradizione comincia a volte con un gesto innovatore. Ma non può pretendere che mettendo sul mercato 1.2 millioni di bottliglie di Syrah, Merlot, Cabernet, Chardonnay, Sauvignon e gli altri “best seller” internazionali che tutti stanno impiantando in tutte le regioni del mondo, lei stia facendo un gesto di avanguardia! Lei ha assolutamente il diritto – per carità – di fare il tipo di prodotto che vuole, dove e quando lo vuole, ma la prego, lasci ai pochi che non sono convinti di questa scelta la possibilità di esprimere la propria opinione.
Per quanto riguarda poi la discussione sul biologico-non biologico, non ho capito bene. Siete in agricoltura biologica o no? Lei mi ha scritto una mail affermando chiaramente che non siete in agricoltura biologica. Praticamente vuol dire che utilizzate sostanze chimiche. Per via di questa sua affermazione, oltre che per quello che trovo scritto ad esempio nella guida Slow Wine (“Casale del Giglio: diserbo chimico/meccanico”), capisco che utilizzate prodotti di sintesi. Oppure vuol dirmi che nelle vigne e in cantina, non lasciate che una sola gocciolina di sostanze chimiche tocchi le uve e il vino? Perché tecnicamente, come lo sa molto meglio di me (io sono un regista di cinema che ama il vino e ne parlo come un laico ad un altro laico), il momento in cui qualsiasi sostanza chimica entra nella terra, nella pianta o nell’uva, il vino che ne risulta contiene almeno tracce di “tossicità”, perfettamente riscontrabili tramite analisi chimiche.
Forse la mia terminologia non è sempre preciso in Italiano: sto ancora imparando a maneggiare la vostra bellissima lingua. Ma ci tengo davvero a sottolineare che non era la mia intenzione di identificare l’azienda come eccezione.
Anzi, bisogna dire che 99% dei vini del mondo sono fatti così (anche molti che dichiarono uve biologiche dopo fanno tante cose in cantina che non si può sapere la “naturalità” di quello che si beve). Come la maggioranza delle cose che mangiamo. E so bene che anche molte stimabili persone che seguono il movimento del vino naturale con simpatia non sono d’accordo sull’idea della “tossicità” (sostenendo per esempio che l’alcool in sé sia già tossico…oppure altri che dicono che lo zolfo in sè è tossico, cose tecnicamente giuste*).

Accetto volentieri che non siamo tutti d’accordo su cosa sia un vino chimico, industriale o tossico. Però, visto quello che è successo per decenni nei campi (e nelle cantine) in Italia, in Francia, negli Stati Uniti e nel resto del mondo, io personalmente sento il bisogno di reagire. Per la salute delle persone e dell’ambiente. Da qui nasce la mia ammirazione per l’impegno, coraggioso e innovatore, dei vignaioli naturali, da Elena Pantaleoni a Aubert de Villaine e Dominique Lafon (che non toglie il fatto che posso anche stimare chi non ha (ancora?) scelta questa strada).
Bisogna anche dire che negli ultimi anni, grazie al sorprendente successo di mercato della viticoltura biologica, biodinamica e naturale, sono state elaborate molte strategie aziendali per suggerire al consumatore che sta mangiando o bevendo cose sane – cosa spesso non vera – con frasi di marketing come “lutte raisonnée”. Mi perdoni se lo dico, ma mi sembra che “ecocompatibile” sia un’altra frase che rischia di confondere il consumatore. Inutile dire che se lei può affermare e provare che non c’è un gocciolino di sostanza chimica che entra nel suolo o nel suo vino, sarò il primo a scrivere una ritrattazione e chiederle scusa.
Anzi, se vuole, perché non facciamo un lavoro insieme? Chiediamo ad un agronomo ed un chimico di studiare durante l’anno tutte le vostre pratiche, nelle vigne e in cantina, e dopo facciamo un’analisi dei risultati da condividere a più voci (dagli specialisti, dal suo enologo, da lei, da un nutrizionista, da me, da un giornalista indipendente). Io conosco un bravissimo agronomo, Stefano Pescarmona, specialista in biodinamica, che insegna in vari posti in Italia, fra l’altro in un centro di ex tossicodipendenti ed anche all’Università di Slow Food a Bra. Potrei chiamarlo, magari insieme a Claude e Lydia Bourguignon, grandissimi biologi francesi, specialisti della vita del suolo. Qualsiasi sia il risultato (o i risultati), avremmo senz’altro molto da imparare, noi tutti.
Infine, lei sostiene che sono stato manipolato dai vignaioli naturali per motivi di concorrenza sleale. Lei mi lusinga. Invece credo che i produttori di vini naturali che conosco abbiano troppo lavoro nelle vigne per perdere tempo con un cineasta appassionato di vino.

Invece, vista l’ubiquità del suo vino nei ristoranti e nelle enoteche romani (ripeto, sono stupito del fatto che molti ristoratori lascino ad enoteche e altri “middlemen” la possibilità di costruire le loro carte dei vini), non credo che lei debba avere paura che anche qualche piccolo produttore di territorio possa trovare uno spazio accanto a voi. Non c’è nessuna minaccia per il vostro ampio dominio del mercato locale.
Ma se vuole, facciamo insieme anche uno studio economico-commerciale durante un anno per vedere da vicino le pratiche di distribuzione tra i ristoratori e enotecari di Roma. Con questo studio approfondito e dettagliato, potremmo imparare molto sulle strategie commerciali e di marketing che fanno la differenza nel mercato libero. Sarà senz’altro un insegnamento democratico per noi tutti.
Non sono contro di voi (e mi dispiace di offendere qualsiasi essere umano), nel modo più assoluto, anche se non amo i vostri vini (il che non è nulla più di un giudizio personale). Noto solo che in questo mondo il più grande e il più forte prende sempre più spazio – che lo voglia o no – lasciando al cittadino (di qualsiasi paese, in qualsiasi posto) meno scelta. Io, modestamente, vorrei difendere chi non riesce a trovare neanche un piccolo posto alla grande tavola della cultura e del piacere del vino. Non posso (e neanche vorrei) minacciarvi.
Vi auguro un successo democratico con la vostra visione, e auguro anche lo stesso agli altri con visioni diverse.

Cordiali saluti

Jonathan Nossiter


Jonathan Nossiter nemico di Robert Parker e...dei ristoratori romani


Jonathan Nossiter, nonostante l'aria da artista sognatore giramondo, è abituato a rompere certi sistemi di potere, non c'è dubbio, e dopo aver preso posizione su una certa élite del vino all'interno del suo film Mondovino, da qualche tempo, vivendo a Roma, se la sta prendendo con i "poveri" ristoratori della capitale rei di avere carte dei vini disastrose caratterizzate da ricarichi killer.
In pratica, dopo Robert Parker e Michel Rolland, i nuovi nemici del regista americano sono Felice a Testaccio e Il Convivio, ristoranti che, tra i vari a Roma, non hanno avuto la lungimiranza di inserire nello loro carta i vini naturali che, secondo Nossiter, rappresentano oggi una vera rivoluzione culturale.


Felice a Testaccio, in particolare, è reo, secondo il regista, di avere come carta dei vini un "massiccio ma decrepito raccoglitore di carta infilati nella plastica, che ha pretese di esaustività ma a volte presenta un triste nome solitario in cima a pagine vuote. Nell'elenco predominano cantine industriale e semi-industriali di tutte le principali regioni italiane: non certo i vini peggiori ma poco autentici e artigianali". I nomi? Ciccio Zaccagnini, Tasca d'Almerita, Antinori e Casale del Giglio, cantina laziale che, sempre secondo Nossiter, è un un'azienda che fa un vino industriale, tecnico, ruffiano, fatto nel posto meno vocato al vino al mondo. Amen. 


Il Convivio, ristorante della famiglia Troiani, viene visto dal regista di Mondovino come un ex punto di riferimento del periodo bunga bunga che si caratterizza per avere una "lista dei vini con ricarichi che farebbero inorgogliore qualsiasi tangentomane. Molti vini costano al bicchiere più di quanto il ristorante abbia pagato la bottiglia: un sovrapprezzo del 1200%! Che dire, per esempio, di un Verdicchio Garofoli, vino semi-industriale, a 14 euro? In tutto il mondo è considerato ragionevole un ricarico del 250% anche se in Italia o in Francia, data la vicinanza delle cantine, i ristoranti più etici si limitano al 100%, scendendo in alcuni casi al 50".

Il Sanlorenzo, altro ristorante cult di Roma, viene invece citato locale che, nonostante una carta dei vini dove sono presenti vini naturali come il Trebbiano di Emidio Pepe, ha ricarichi eccessivi che snaturano la volontà del vignaiolo di mantenere prezzi bassi di cantina.

L'ultima chicca riguarda i ristoranti che si lasciano fare la carta dei vini dalle enoteche. Secondo Nossiter è "come delegare ad uno sconosciuto la scelta delle proprie pratiche sessuali...".

Ma c'è qualche ristorante di Roma che piace al regista americano? Sì, sul sito Puntarella Rossa a precisa domanda Nossiter sbandiera il suo amore per l'osteria "Da Cesare", al Casaletto, che a suo giudizio ha una carta meravigliosa perché non ha una carta: la carta è lui. Le sue scelte sono all'antica: ti consiglia vini naturali quando chiedi di mangiare e quando ti manifesti come persona. Poi Settembrini e Primo al Pigneto.

Siete d'accordo con tutto questo? Io qualche generalizzazione di troppo e qualche "talebanismo" enoico (vedi Garofoli) l'ho trovato. Magari ne parlerò con lui di persona se vorrà. Benvenuto a Roma!



Addio a Giulio Gambelli


Addio Bicchierino



Daniele Cernilli, Montalcino e le sue denominazioni


Premessa: sto solo condividendo e commentando una notizia apparsa in Rete per cui, visti i tempi, sottolineo che il mio post non ha alcun intento polemico nei confronti dell'ex direttore del Gambero Rosso.
 
Daniele Cernilli, sull'ultimo Bibenda7, propone questo personale quadro delle denominazioni di Montalcino: 

[....]. Ma se proprio dovessi immaginare un disciplinare che tenesse conto delle diverse posizioni espresse dai produttori, che a maggioranza hanno votato per il mantenimento del Rosso di Montalcino con una base ampelografica di solo Sangiovese, ma che vede una minoranza qualificata che la pensa diversamente, e che rappresenta la parte maggiore della produzione effettiva della denominazione, allora farei come segue.   

Il Brunello non si tocca, questo deve essere chiaro. Io sarei addirittura per il divieto di botti piccole e limiterei le pratiche di “ringiovanimento”, oggi consentite per ben il 15%. 

Poi aprirei la Doc Montalcino Rosso al 15% di uve diverse dal Sangiovese, ma con al massimo il 5% di Cabernet Sauvignon, eliminando contemporaneamente la Doc Sant’Antimo che è stata utilizzata finora da poche aziende. 

Infine farei una nuova Doc Montalcino Sangiovese con quel vitigno in purezza, e che, questa solo, sia collegata alla Docg Brunello con la possibilità di declassamento di quest’ultimo. Questo obbligherebbe chi volesse produrre del Rosso di Montalcino, a questo punto più “moderno” e più vicino ad uno stile chiantigiano, a separarsi in modo preciso dal Brunello, e tutelerebbe tutti coloro che vedono nel solo Sangiovese la reale tipicità di Montalcino con una denominazione specifica, che sottolinea in modo inequivocabile proprio questo fatto. Ovviamente tutto questo è solo un mio personale punto di vista, ormai i giochi sono fatti e nulla cambierà. Ma immaginare realtà diverse e ragionare con logiche che possano andare al di là delle sterili contrapposizioni credo che sarebbe stata una buona cosa.

Una visione interessante, bipartisan, che lascia dentro di me un solo punto interrogativo: perchè modificare la denominazione Rosso di Montalcino creando confusione al mercato
Ok per la terza nuova DOC, comprendente i vitigni internazionali, che chiamerei, che ne so, Terre di Montalcino, un nome nuovo, slegato dal passato che, comunque, contiene quel riferimento territoriale tanto caro agli uffici marketing di molti grande aziende. Che ne dite?

Ezio Rivella, Presidente del Consorzio. Fonte: Acquabuona

Antonello Maietta e i suoi Spunti di Svista


Caro Presidente Maietta, chi scrive di vino sul web, si sa, oltre a commettere possibili reati ed essere un visionario è anche una persona che si documenta molto per nutrire la propria passione. Proprio in questo ambito, in orari post  lavorativi, mi sono recentemente imbattuto in alcuni post riguardanti l'Associazione Italiana Sommelier (meglio ora?) che in quest'ultimo periodo, a mio modesto parere, non se la sta passando bene a livello comunicativo.
Caro Maietta, essendo un frequentatore del web, avrà certamente letto la dichiarazione di Daniele Cernilli, responsabile della comunicazione Associazione Italiana Sommelier, il quale imputa all'autorevole figura del Presidente Associazione Italiana Sommelier, quindi lei, la responsabilità di aver allontanato Franco Ziliani dall'Associazione anche se, giorni dopo, lo stesso Ziliani riferisce di un vostro colloquio basato su futuri progetti del sito dell'Associazione che rappresenta.

C'eravamo tanto amati. Fonte: Pignataro Wine Blog
Signor Presidente, la strana coppia Cernilli/Ziliani le ha fatto fare una discreta figuraccia per cui sono qua a chiederle se conferma o smentisce quanto scritto da Ziliani o Cernilli che a livello comunicativo, ci tengo a  sottolineare, pochi giorni fa ha dovuto "subire" lo strano editoriale di Ricci sul mondo del vino raccontato via web.
Bel pasticcio, non trova? Che ne pensa ora di questo Spunto di Svista?

Vinnatur e il concetto di Terroir di Claude Bourguignon




Mentre sono d'accordo che il concetto di Terroir debba riferirsi necessariamente ad arie vocate, non trovo giusto alla fine ricondurlo ad un concetto "naturale" dove solo chi produce senza pesticidi e senza tecnicismi di cantina sia un figo. Ci sono molti vini di Terroir che vengono prodotti da vignaioli che oggi non rientrano tra i naturali puri. Chi? A Montalcino c'è ne è uno chiamato Biondi Santi.

Bevuto a Natale: Emidio Pepe Montepulciano d'Abruzzo 1995



Guardo la bottiglia perplesso, so bene che Emidio Pepe, ultimo contadino vero dell'Abruzzo del vino, divide da sempre gli enoappassionati per il suo essere non omologato e per la variabilità delle sue bottiglie che rischiano di mandarti all'inferno o in paradiso in un attimo.
Guardo la bottiglia perplesso e mi dico che sarà per la prossima volta, che questo è il prezzo che devo pagare per la "naturalità" della cantina e per una artigianalità contadina (imbottigliano, dicono, ancora a mano) che spesso incenso ma che oggi, mentre scrivo, stramaledico visto il risultato finale: vino gettato via. Sì, non ce l'ho fatta a berlo tutto.
Appena apro la bottiglia e verso il montepulciano nel bicchiere la prima sensazione che ho avuto è di essere all'interno di una scena del crimine di CSI: l'odore ematico che si sprigionava dal bicchiere era talmente forte che, se chiudevo gli occhi, immaginavo di essere dentro ad uno dei film splatter Peter Jackson.

Poco dopo, però, arriva lui, il vero killer di Natale: Monsieur Brettanomyces. Da quel momento in poi non c'è ne è stato più per nessuno. Lascio il vino respirare per ore, lo travaso, lo lascio anche un giorno ad ossigenare. Nulla. Il vino sa di fattoria, di cavallo, non altro in questo odore, per molti considerato caratteriale e tipico, che mi possa affascinare a tal punto di proseguire con questo vino che in bocca, bisogna sottolinearlo, risulta davvero ottimo come equilibrio e lunghezza anche se minato da quel retrogusto tremendo. Apro un'altra bottiglia del '95. Lo stesso odore.

Mi perdonerà Emidio se scrivo queste cose, so perfettamente che ferirò la sua anima fiera di vignaiolo, però in una carriera prestigiosa come la sua certi incidenti possono accadere. Penso anche che non sia la prima volta che glielo dicono.
Ricordo ancora il suo Montepulciano 1977. Ecco, rivoglio quelle sensazioni e sono sicuro che in futuro le ritroverò nei suoi vini.

Il Regalo di Natale più inutile del mondo


Per me se la battono queste due "creazioni"

Fontana
La bottiglia con due colli e due bicchieri
Avete altre idee?

L'ES 2009 di Gianfranco Fino vola più alto di tutti!


Gentleman, il mensile di Milano Finanza, anche quest'anno ha tirato le somme circa i giudizi delle principali guide italiane del vino (manca Slowine che pur non fornendo voti numerici ha comunque ha premiato produttore e vino) come Gambero Rosso, L’Espresso, Veronelli, Associazione Italiana Sommelier e Luca Maroni. Nella Top 100 curata dal giornale la vittoria è andata all'ES 2009 di Gianfranco Fino che quest'anno pare abbia messo tutti d'accordo. 
Una domanda mi pongo: cosa accadrà con la 2010 che a mio parere è superiore?


La risposta di Franco Ricci su Bibenda7


Ecco cosa ha scritto oggi Ricci su Bibenda7.

Che ho detto:
  1. Che Ais non è un acronimo di comunicazione penetrante perché riprodotto nel tempo da oltre 30 Marchi e quindi non andrebbe usato. Che dice Antonello Maietta? Dice: “non facciamo passare il termine Ais, ma comunichiamo la nostra associazione con il nome per esteso, Associazione Italiana Sommelier”.
  2. Che scambiarsi pareri sul web, nei forum o altro durante l’orario di lavoro è reato.
Che dicono l’ex Ministro Brunetta e la Legge dello Stato? Uguale.

Ah, e questo qua sotto l'ho scritto io?  

Ci danno pensiero, però, altri tipi di messaggi: alcuni navigatori della rete, ad esempio, anziché apparecchiare la tavola aspettando gli amici, per servire un piatto caldo e un bel bicchiere di vino per viverne insieme qualità ed emozioni, quel bicchiere se lo bevono invece virtualmente. 
Mi riferiscono, perché io non frequento, che hanno lanciato la moda di giudicare il vino e parlarne in maniera interattiva con più persone, scambiandosi pareri positivi o negativi di quella e di quell’altra etichetta. 
Insomma, delusioni o esaltazioni di Barolo o di grandi Champagne, vengono trasmesse da una stanza, seduti davanti a un computer.
Una visione distorta del vino, diciamo noi, abituati a far capire il meraviglioso prodotto, dalla Sicilia al Piemonte, nelle aule dei nostri corsi, avvezzi ad assaggiare insieme lo stesso vino e, soprattutto, in uguale bicchiere...  
Siamo profondamente convinti che non si possa parlare opportunamente e tecnicamente di un vino semplicemente sulla base del ricordo d’averlo bevuto.

Vabbè, tutto ok, non c'ho capito un cazzo io e tutti noi che scriviamo sul web siamo dei rincoglioniti che, oltre ad interpretare male le parole, commettono anche reato.
Ognuno guardi nel suo orticello e alla polvere sotto al tappeto. Grazie.

Caro Babbo Natale ti scrivo.....


Caro Babbo Natale queste, così mi dicono, sono Feste di crisi per cui, adeguandomi, dovrò chiederti solo pochi regali. Pochi ma buoni eh!
La prima cosa che desidero è che tutti i media, soprattutto quelli bacucchi, evitassero anche quest’anno di propinarci i dati circa la presunta sfida tra Champagne e Spumante italiano. Non ce la faccio più a sentire proclami nazionalistici circa la presunte maggiori vendite del nostro metodo classico. Sai, Babbetto mio, la quantità spesso non significa qualità.

L’altro regaletto che vorrei è che il prossimo Febbraio, a Montalcino, si evitasse una pioggia di stelle simile a quella di San Lorenzo. Sai, caro Babbo Natale, ci sono anche le annate di merda per cui sarebbe opportuno, in tempi di austerity, essere più onesti con se stessi e col mercato. Magari vendi il tuo sangiovese (?) a dieci euro in meno e fai contenta tanta gente in più. Dei giornalisti fottitene.

Un altro desiderio sarebbe quello di mandare in esilio Luca Maroni per qualche anno, diciamo fin quando l’Italia non ripiana il debito pubblico. Mi va di traverso il torrone quando questo signore, per pubblicizzare Sensofwine 2012, dichiara che “…il vigneto regionale lo stato di salute e' ''eccezionale. Siamo davanti ad un anno di ulteriore crescita, sia nelle produzioni base che nei picchi. E' un momento di grazia per i produttori del Lazio, e i ristoratori rispondono bene, dimostrandosi pronti a mettere in carta i nuovi vini laziali”. Babbo Natale un piccolo sforzo lo fai per me?

Se non sono invadente vorrei aggiungere alla letterina quelli che…il naturale fa figo. Premesso che sono d’accordo con loro nel salvaguardare la Terra, il mio desiderio per il 2012 è di far capire a queste persone che c’è gente seria anche tra i loro nemici “convenzionali” che oggi sembrano esser visti come degli unturi. Babbo Natale mio come si fa a spiegare alle varie associazioni naturali che anche tra il loro vino c’è della merda e che non bevo merda, in generale, solo perché “non ce metto gniente dentro”. Ops, Babbo, ma si può dire merda?

L’ultima cosa me la concedi? Ti prego, mi metto in ginocchio sopra una tappeto di fagioli di Controne, regala un Ipad a Franco Ricci. Magari all’inizio gli sembrerà uno specchietto utile per togliersi i “tarzanelli” dai denti ma poi, vedrai, arriverà qualcuno, spero un altro suggeritore di fiducia, che gli spiegherà che premendo un solo tasto quella cosa piatta si illuminerà di immenso connettendolo col futuro. Ah, caro Babbo Natale, attaccaci un post-it di spiegazione vicino perché quasi sicuramente, pensando di esser dentro la pubblicità di Vodafone, cercherà Totti ed Ilary con la bottiglia di Romanzo in mano. 

Caro Babbo Natale, sono stato troppo esigente, un visionario, oppure il prossimo anno qualcosa cambierà? Intanto, tanti Auguri a tutti voi!
 

Ciao Franco!


Ci siamo visti poche volte però quelle mi son bastate per capire che eri una grande persona..in tutti i sensi. Riposa in pace.

Franco Solari Foto: Luciano Pignataro

Daniele Cernilli cosa penserà dell'editoriale di Ricci su Bibenda?


Mi riferiscono, perché io non frequento, che hanno lanciato la moda di giudicare il vino e parlarne in maniera interattiva con più persone, scambiandosi pareri positivi o negativi di quella e di quell’altra etichetta. Insomma, delusioni o esaltazioni di Barolo o di grandi Champagne, vengono trasmesse da una stanza, seduti davanti a un computer.  

Una visione distorta del vino, diciamo noi, abituati a far capire il meraviglioso prodotto, dalla Sicilia al Piemonte, nelle aule dei nostri corsi, avvezzi ad assaggiare insieme lo stesso vino e, soprattutto, in uguale bicchiere... Siamo profondamente convinti che non si possa parlare opportunamente e tecnicamente di un vino semplicemente sulla base del ricordo d’averlo bevuto.

Riflettendo ieri a mente fredda mi è venuto in mente che Daniele Cernilli, amico e collaboratore di Ricci, non dovrebbe essere molto d'accordo con le parole del patron di Bibenda visto che proprio l'ex direttore del Gambero Rosso, ora responsabile della comunicazione di AIS, ha un interessantissimo wine blog dove non solo si parla di vino virtualmente ma, pensate un pò, i lettori possono anche commentare un articolo disquisendo di delusioni o esaltazioni di Barolo o di grandi Champagne. 

Ma a Ricci lo hanno informato di tutto ciò perchè, a mio modesto parere, questo è un altro autogol provocato dall'editoriale. A meno che Cernilli sia immune da tutto ciò....


L'editoriale di Bibenda che non avrei mai voluto leggere.


L'avevo rimosso come un brutto sogno ma Andrea Federici mi ha fatto ripiombare nell'incubo di Natale: l'editoriale di Franco Ricci all'interno dell'ultimo numero di Bibenda
Poche righe, tante inesattezze e una figura da ignorante (come lui stesso ha ammesso) che un uomo del suo ruolo avrebbe dovuto evitare. Cosa ha scritto lo trovate di seguito.

ADESSO CI SI METTE PURE IL VINO! 

Oramai il messaggino, o meglio l’SMS, ha sostituito tutto, o quasi. Pur nella sua brevità, ha sostituito la lettera, il biglietto di auguri, la telefonata, una sana litigata e tanto altro.
Certo, è una considerazione ormai fatta e rifatta, in questi ultimissimi anni.

Passi pure, purtroppo, tutto questo, anche perché nessuno potrà far tornare in auge il biglietto d’auguri. Ci danno pensiero, però, altri tipi di messaggi: alcuni navigatori della rete, ad esempio, anziché apparecchiare la tavola aspettando gli amici, per servire un piatto caldo e un bel bicchiere di vino per viverne insieme qualità ed emozioni, quel bicchiere se lo bevono invece virtualmente.
 
Mi riferiscono, perché io non frequento, che hanno lanciato la moda di giudicare il vino e parlarne in maniera interattiva con più persone, scambiandosi pareri positivi o negativi di quella e di quell’altra etichetta.
Insomma, delusioni o esaltazioni di Barolo o di grandi Champagne, vengono trasmesse da una stanza, seduti davanti a un computer.
Una visione distorta del vino, diciamo noi, abituati a far capire il meraviglioso prodotto, dalla Sicilia al Piemonte, nelle aule dei nostri corsi, avvezzi ad assaggiare insieme lo stesso vino e, soprattutto, in uguale bicchiere... Siamo profondamente convinti che non si possa parlare opportunamente e tecnicamente di un vino semplicemente sulla base del ricordo d’averlo bevuto.

Ma forse va bene anche questo? L’importante è parlarne del vino!
Quello che invece non va bene è che questi scambi “culturali” avvengono soprattutto durante il giorno, durante un orario in cui normalmente la maggioranza si trova al lavoro. Forse è noia, o poco interesse del proprio mestiere, fatto sta che al posto di archiviare pratiche in un qualunque ufficio di una qualunque Compagnia di Assicurazioni o di compilare della modulistica in un altro qualunque ufficio di un qualsiasi Ministero, il signor X parla del vino con altri colleghi collegati.
L’importante è che passi il tempo della noia del proprio lavoro. Senza sapere, o forse sì, che tutto ciò è reato.

Ora, visto che Ricci si confessa estraneo al mondo del web 2.0, il mio pensiero va a quelle persone che gli riferiscono certe cose perchè, se l'ignoranza è scusabile, la malafede un pò meno. 

Prima inesattezza: gli riferiscono che è stata lanciata la moda di giudicare il vino e parlarne in maniera interattiva con più persone, scambiandosi pareri positivi o negativi di quella e di quell’altra etichetta. Vorrei dire al suggeritore di Ricci che i forum sul vino esistono da diversi anni, forse 10, e che il fenomeno è tutt'altro che una moda. Forse è il futuro. Chi ha suggerito questa cosa a Ricci magari ha acceso il computer ieri.

Seconda inesattezza: il vino ce lo beviamo invece virtualmente anzichè con gli amici. Il suggeritore di Ricci deve sapere che ogni vino che viene recensito e condiviso su internet è stato bevuto realmente, il 99% all'interno di cene o degustazioni dove invitiamo tanti amici appassionati.Basta andare alla sezione Eventi del Forum del Gambero Rosso. Non ci facciamo seghe virtuali, grazie!

Terza inesattezza: non si può parlare tecnicamente di vino sulla base di un ricordo. Il suggeritore di Ricci deve sapere che esiste il blocchetto degli appunti su cui scrivere immediatamente le impressioni della bevuta. Ah, questo se sei un vecchio che ama la carta. I più cool hanno il telefono connesso ad internet e scrivono i loro appunti in tempo reale...

Quarta inesattezza: scriviamo dall'ufficio commettendo reato. Il suggeritore di Ricci forse pensa che siamo tutti figli della pubblica amministrazione e magari ignora che esiste del tempo libero (non si lavora 24 ore al giorno) a cui dedicare la propria passione. Basta un'ora, non di più.

Spero davvero, come scrive Andrea Federici, che qualcuno si accorga dell'autogol e faccia fare a Ricci pubblica ammenda. La finisco qua va che altrimenti commetto davvero reato....



Franco Maria Ricci e la futura rivoluzione AIS BIBENDA


Alla fine se ne sono accorti anche loro che c'è un pò di confusione quando si parla di AIS, Bibenda e tutti gli annessi e connessi. Ecco quello che scrive Ricci su Bibenda 7: 

Pochi giorni fa si è tenuta a Milano la Riunione dei Delegati dell'Associazione Italiana Sommelier. Il Presidente Antonello Maietta in apertura ha evidenziato quanto AIS sia un marchio pericolosissimo per la sua riconoscibilità.
Infatti, ne ha fotografato una decina che avevano lo stesso acronimo: c'era AIS Associazione Italiana Sociologia, c’era Associazione Italiana Soccorritori, c'era Associazione Italiana Strumentisti ma anche Ambiente Igiene e Sicurezza...
Mentre Antonello parlava ai Delegati il mio pensiero è andato immediatamente al nostro lavoro, pensiero che negli ultimi anni è divenuto costante e martellante, per il successo del brand.
L'ultimo "strafalcione" della comunicazione, in ordine di data, è del 9 Dicembre scorso su IL TEMPO di Roma, dove una notizia su DUEMILAVINI è stata titolata: "In libreria le guide Ais vini e ristoranti" (sic!).
Ma non è soltanto Ais a non dare chiarezza di comunicazione, per DUEMILAVINI va anche peggio.
Il nome, soltanto per pochi informati intimi significa il riferimento all'anno di nascita 2000. Per gli altri si tratta della selezione di n° 2.000 vini. Poi, e solo poi, si scopre che invece sono 16.500 e oltre. E questo nonostante sia la Guida più amata e più venduta in Italia.
Decisione immediata: dal 2013 si chiamerà BIBENDA e avrà nuovi contenuti e un nuovo look. Per Ais ci stiamo pensando. 

Secondo me Ricci si prenderà tutta l'AIS, prima o poi lo farà e tutto verrà messo sotto Bibenda Holding....


Critical Wine: il mercato dei contadini critici al Forte Fanfulla di Roma


Guardate attentamente le foto sottostanti perchè vedrete etichette e volti "diversi", lontani dalle luci della ribalta perchè spesso e volontieri non fanno "enofighetto" o  magari perchè non hanno i mezzi per farsi pubblicità


Questo, ad esempio, è Giovanni dell'azienda agricola Il Casale, una piccola realtà biologica incastonata nella Montagnola Senese che produce, a mio parere, un ottimo Chianti dei Colli Senesi.

Giovanni dell'azienda agricola Il Casale
Al Fanfulla Giovanni ha portato varie etichette tra cui spiccava un Chianti Riserva 1999 di grande profondità ed ampiezza che, bevuto alla cieca, potrebbe far sobbalzare dalla sedia più di un esperto. Il costo? 14 euro.

Andrea Andreozzi
Questo sopra è Andrea Andreozzi de I Botri di Ghiaccioforte, azienda bio di Scansano che per prima è uscita dalla DOC e DOCG per confluire nella DE.CO tanto cara a Veronelli. Il loro Nero di Scansano Vigna I Botri Riserva 2007 (100% sangiovese) è un vino caratteriale che, con questa annata, punta molto sulla dinamicità e sulla succosa acidità. Davvero ben fatto, bevibilissimo e per quanto costa, circa 10 euro, sarebbe un ottimo regalo di Natale per appassionati.

Emilio Falcone - La Busattina
La Busattina, azienda agricola biodinamica condotta egregiamente da Emilio Falcone e sua moglie, è un vero e proprio microcosmo contadino che oltre ad ottimo vino produce anche olio d'oliva, coltiva cereali antichi ed alleva bestiame di antiche razze in via d'estinzione. Dalle uve coltivate nei loro 25 ettari di tenuta (Sangiovese, Ciliegiolo, Trebbiano, Malvasia, Ansonica) producono vari vini tra cui il San Martino 210, bianco di Maremma IGT, che invade il bicchiere di note fruttate e floreali per poi passare a tocchi di miele di acacia e soffi di intensa mineralità. La bocca è acida, sapida, minerale, intensa e persistente. Che altro volere da un bianco toscano di qualità?

I Calcabrina
La foto precedente invece mostra Diego e Angelo Calcabrina, due giovani ragazzi hanno pensato bene di declassare il loro Sagrantino uscendo dalla DOCG per produrre il loro Vino da Tavola Rosso. L'annata che ho degustato, la 2007, mi ha conquistato per i profumi di frutta di rovo e radici e per una freschezza e bevibilità che non risulta affatto compromessa nonostante il tannino tipico dell'uva. Qualcuno che siede sul piedistallo di alto di Montefalco dovrebbe prendere esempio da questi piccoli vignaioli. Nota importante: notare la bella confezione del vino con tanto di valori nutrizionali e spiegazione dei solfiti.


La Fattoria Cerreto Libri ha invece presentato un interessante Chianti Rufina 2006 che, nello stile del terroir di quella zona, ho trovato austero, rigoroso, scuro, di ampio respiro anche se lontano dalle vette stilistiche del Vigneto Bucerchiale. Una conferma comunque che la Rufina, se valorizzata, può dar vita davvero ad ottimi Chianti.


Chiusura per un vino molto amato da Brera e Veronelli: il Gaggiarone, blend di Croatina (90%) e Uva Rara (10%) prodotto dall'Az. Agricola Alziati Annibale. Il vino prende il nome da una vecchia vigna di quaranta anni esposta a sud ovest su un declivio a forte pendenza, tanto estremo da lavorare quanto generoso in qualità, con un terreno in cui oltre ad argilla si riscontra anche presenza di tufo. Il Gaggiarone è opulenza selvatica, equilibrio contadino e sana, elegante, rusticità.


Dominio de Pingus, l'esclusiva di Percorsi di Vino. Parte II.


Per chi si è perso la prima parte cliccare qua.

Patricia ci versa con cura nel bicchiere l'annata 2010 e la 2009 che andrà in bottiglia in questi giorni.

Barrique di Pingus 2009
Due annate decisamente diverse che soddisferanno i palati dei vari degustatori: il primo millesimo, le cui uve sono state vendemmiate il 18 e 19 ottobre (due settimane dopo quanto accaduto nel 2009), ha un'anima decisamente soave, elegante, rispetta l'annata fresca e al naso si caratterizza per una grande complessità dove puoi cogliere ogni frutto rosso e nero che sta su questa Terra accanto ad una vena decisamente balsamica. 
In bocca capisci perchè molti in questo mondo si sono innamorati del Pingus: il vino è di un’avvolgenza incredibile, ha tannini maturi, sensuali, ha un equilibrio circense frutto di una sferzante acidità e una progressione inaspettata. Ok, per certi tratti può essere un vino anche "piacione" però posso assicurarvi che non è un prodotto da segheria arricchito da zuccheri. Tutt'altro, ha le sue spigolature che lo rendono molto attraente per i palati europei. 


Pingus 2010
L'annata 2009, altro grande millesimo, è stata più calda per cui il Pingus che mi ritrovo nel bicchiere è un piccolo mostro di materia che tridimensionalmente attacca i tuoi sensi lasciandoti basito, sorpreso, perché pensi di coglierlo in fallo ma invece sta là, in equilibrio sopra la follia come scriverebbe Vasco Rossi. Patricia ci dice che per lei questa annata presenta un Pingus da meditazione, da bere in silenzio accanto al fruscio del fiume Duero che, aggiungo io, ancora una volta ha tenuto a battesimo l’ennesima opera d’arte spagnola plasmata ad immagine e somiglianza di chi crede nella biodinamica e nell’eleganza innata delle vecchie vigne.  

Al nostro palato manca solo "Amelia", la cuvée speciale creata da 500 vigne centenarie che ogni anno riempie una sola barrique. Vorremmo chiedere dov'è ma non siamo troppo ingordi.

Pingus 2009
La nostra visita è finita, salutiamo con un forte abbraccio Patricia e Paula con la promessa di rivederci presto, chissà, forse a Roma. 
Usciamo e prima di entrare in mancchina, per l'ultima volta, giriamo lo sguardo verso quel luogo sospeso tra realtà ed immaginazione e cominciamo a cantare...

Seconda stella a destra
questo è il cammino
e poi dritto, fino al mattino
poi la strada la trovi da te
porta all'isola che non c'è.

E ti prendono in giro
se continui a cercarla
ma non darti per vinto perché
chi ci ha già rinunciato
e ti ride alle spalle
forse è ancora più pazzo di te


Dominio de Pingus, l'esclusiva di Percorsi di Vino. Parte I.


Quintanilla de Onésimo è un puntino sulla nostra mappa, un posto di frontiera nella Ribera del Duero che per certi versi mi ricorda l'Italia del Sud degli anni '50. C'è un vecchio cinema che trasmette l'ennesima replica di un vecchio film, pochi negozietti dove entri e compri tutto, dalle lamette per rasoi non più in commercio al melone dell'orto della vicina. 

Il cinema di Quintanilla de Onésimo
E poi c'è lui, Pe­ter Sis­seck col suo Dominio de Pingus, la cui cantina è mimetizzata in una stradina secondaria del paesino. Trovarli è un'impresa, abbiamo solo l'indicazione che la struttura è bianca, a due piani ed è situata vicino al ponte sul fiume Duero. Basta. Non si vogliono far trovare, non amano la folla di enoturisti con tanto di pullman, la struttura può essere visitata solo da pochi come per pochi è il loro vino.

La struttura vista dall'esterno
Suono il campanello di una casa ma non so se è quella giusta, sulla targhetta non c'è scritto nulla, magari sto disturbando il sonno di un tranquillo vecchietto che rimanendo a casa sta sfuggendo al caldo di queste parti. Suono ancora, mi apre la porta Paula, il mio contatto, sono nel posto giusto. Evviva.

Peter Sisseck non c'è, è fuori per lavoro, Paula mi spiega che in Agosto è sempre in giro tra Danimarca e Stati Uniti. Faccio spallucce, non è un problema, so già molto di lui: Sisseck, nato a Copenhagen nel 1962, si è laureato all’Università di Bor­deaux e prima di costituire la sua azienda ha lavorato con suo zio, l'enologo Peter Vinding Diers, a Bordeaux (Chateau Raohul) e poi in California con Zelma Zong. 
Nel 1990 giunge in Spagna dove diventa enologo di Ha­cienda Mo­na­ste­rio (con la quale ancora collabora come consulente) ma la voglia di mettersi in proprio è talmente forte che nel 1995, dopo aver trovato ed acquistato vecchissime vigne di Tinto fino (tempranillo) nel piccolo villaggio di La Horra, fonda Dominio de Pingus.

Peter Sisseck
Ad accoglierci, oltre a Paula, c'è la sorridente Patricia, l'enologa "residente" dell'azienda che, per le due ore successive, sarà il nostro Cicerone. 
Iniziamo a parlare del tesoro di Pingus: le sue vigne. Non riusciamo ad andare a vederle di persona ma, mappa catastale alla mano, Patricia ci spiega che i circa cinque ettari di Tinto fino (tempranillo) si dividono nelle seguente parcelle: una in località San Cri­stó­bal (circa 1,2 et­tari con ceppi di ol­tre 70 anni), le al­tre due nei dintorni di Par­roso (una vigna di 2,5 et­tari con ceppi di ol­tre 60 anni e un’altra di circa 1 et­taro). 
I suoli sono sono ovviamente diversi, passano dall'essere estremamente calcari ad essere prevalentemente argilossi, tutti ricoperti di sassi. 



Inizialmente biologico, Dominio de Pingus dal 2000 si è convertito alla viticoltura biodinamica con rese per ettaro ridicole che, mediamente, non superano i 12 hl/ha (stiamo alla stregua di un grappolino per pianta) anche se, in certe annate, si è arrivati anche a 9...

Mentre la giovane enologa ci conduce in cantina, mi rendo conto che, riguardo l'azienda, sono entrato dalla porta con molti pregiudizi.
Mi aspettavo il fighettismo più assoluto mentre, al contrario delle altre Bodegas della zona, da queste parti tutto è a dimensione umana, tutto è assolutamente artigianale e (quasi) familiare. Quella poca tecnologia che ho visto ha riguardato il laboratorio di analisi chimiche che Sisseck ha voluto all'interno della struttura e che Patricia diligentemente dirige.

La cantina è semplice e rispetta la filosofia tutta al "naturale" di Pingus: una pressa rudimentale è affiancata da una manciata di tini d'acciaio (usati per il Flor de Pingus) e qualche botte di legno aperta usata per fermentare separatamente le varie parcelle di Tinto fino usato per produrre il Pingus. Stop, tutto qua. 

Tini di fermentazione in acciaio
Botti per il Pingus
Dopo la fer­men­ta­zione, che av­viene sia in tini di ac­ciaio inos­si­da­bile che in grandi tini di le­gno, la ma­lo­lat­tica si svolge in barrique nuove di Dar­na­jou e Taransaud dove il vino ri­mane da 18 a 20 mesi e non viene chia­ri­fi­cato né fil­trato. 
Ad Agosto, ovviamente, la malolattica era già terminata e il vino stazionava in legno in attesa di essere travasato nel successivo locale di maturazione. 

La sala dove si svolge la malolattica


E' ora di bere! Patricia comincia a farci degustare i vari campioni di botte del Flor de Pingus, 100% Tinto fino da uve acquistate da piccoli viticoltori della zona di La Horra. Le vigne sono vecchie, minimo 35 anni e la prima annata del Fleur è la 2005. 
Degustiamo l'annata 2010, abbastanza fresca, e prendiamo due campioni dalle barrique di Dar­na­jou e Taransaud perchè, ci spiega l'enologa, "il vino è diverso a seconda del tipo di legno che usiamo e prima di fare il blend definitivo assaggiamo ogni botticella per capire come esprimere al massimo il Flor de Pingus". Ovviamente ha ragione, il vino preso dalla barrique di Dar­na­jou è più caldo, potente, tannico, mentre Taransaud esprime caratteri floreali, femminili, sensuali. A prescindere dalle differenze questo tempranillo è tutt'altro che legnoso (pensavo peggio) ed è un piccolo mostro di elegante persistenza.
Non so come sarà il blend definitivo ma, se questo è il "secondo vino" della casa, mi aspetto che il Pingus sia strepitoso. Il prezzo deve valere la candela....o no?


Già, il prezzo, perchè Peter Sisseck di certo il vino non te lo regala, anzi, per qualcuno il pricing di quel tempranillo è scandaloso, non vale quanto costa e la sua mitizzazione è frutto di una astuta strategia di marketing dove c'ha messo lo zampino quel diavoletto di Robert Parker
Comunque sia la "leggenda" Pingus inizia nel 1995, anno in cui viene prodotta la prima annata, 325 casse che Sisseck prezzò subito arditamente a 200$ a bottiglia. 
La sua fortuna, però, la deve a Jeffrey Davies, un négociant di Bordeaux specializzato nella scoperta di "vin de garage", che portò qualche campione di Pingus '95 in Francia vendendolo "en primeur" alla stregua dei grandi bordolesi. Tutti impazzirono per quel vino, soprattutto Adam Brett-Smith di Corney & Barrow che, una sera, portò una bottiglia durante una cena presenziata da Robert Parker il quale, stando alle cronache, dopo aver bevuto il vino di Sisseck, saltò su dalla sedia esclamando:"One of the greatest and most exciting wines I have ever tasted"

Fonte: Vivino.com
Il conseguente punteggio di 96/100 attribuito da Wine Advocate aprì al rampante enologo danese le porte del paradiso anche se è solo un anno più tardi, nel novembre 1997, che il Pingus divenne un vino di culto. Quell'anno, infatti, naufragò al largo delle isole Azzorre la nave contenente tutte le casse di vino, ben 75, destinate agli Stati Uniti. L'effetto è cosa ben nota: il mercato americano impazzì letteralmente per la conseguente scarsità di vino e i prezzi aumentarono vertiginosamente arrivando a circa 500$ a bottiglia. 
I 100/100 dati da Robert Parker all'annata 2004 dichiararono l'impossibilità per moltissimi di acquistare il vino che oggi, valendo più di 1000 euro a bottiglia, è considerato da molti un bene speculativo.

Patricia non entra nell'ambito commerciale, non fa polemiche, guarda le barrique di Pingus come suoi figli e ci versa con cura nel bicchiere l'annata 2010 e la 2009 che andrà in bottiglia in questi giorni. 

Ci vediamo per la seconda parte!