di Carlo Macchi
Quando, per la nostra guida vini, abbiamo fatto il conto dei vini degustati e dei Vini Top ci siamo accorti subito che c’era qualcosa che non andava, nel senso che, rispetto all’anno scorso, ci siamo trovati con ben 26 Vini Top in meno, non certo giustificati dai circa 150 vini degustati in meno rispetto all’anno precedente. Anche rispetto al 2021 ci siamo ritrovati con 20 Vini Top in meno. A questo punto ci è venuta l’idea di controllare come, negli anni, sia andata la media punti per ogni tipologia di vini bianchi degustati e ci siamo accorti che la stragrande maggioranza della denominazione da noi degustate, da nord a sud, aveva una media punti sempre più alta a mano a mano che dal 2006 (primo anno della guida) si arriva ad oggi.
In definitiva, prendendo in considerazione gli ultimi 5-6 anni della nostra guida, siamo di fronte a due situazioni che potremmo sintetizzare così: da una parte, anno dopo anno cresce la qualità media dei vini bianchi italiani ma contemporaneamente diminuiscono i vini di altissimo profilo. Se da una parte c’è sicuramente da essere contenti dall’altra crediamo occorra una seria riflessione. Prima di farla vogliamo inimicarci la maggioranza dei colleghi mettendo in discussione l’aumento annuale, spesso spropositato, dei premi distribuiti a destra e a manca. Questa ubriacatura di onorificenze, più o meno vere, mette delle dorate fette di prosciutto sugli occhi del sistema vino italiano, sugli appassionati, sul mercato, comunque sempre più increduli di fronte a questa “premiazione continua”.
Veniamo al dunque: i bianchi italiani sono mediamente più buoni ogni anno che passa e questo è un dato di fatto: i miglioramenti in vigna e in cantina sono stati continui e hanno portato a ottimi risultati, che si ripercuotono sul mercato e sull’aumento del gradimento e delle vendite di questa tipologia.
Sono sempre più buoni ma si assomigliano sempre più. La domanda è perché? Sicuramente gli sviluppi dell’enologia hanno aiutato e stanno aiutando a uscire dalle montagne russe di annate non solo molto più calde ma molto diverse tra loro, però alla fine si arriva solo a buoni bianchi che in più si assomigliano troppo spesso anche tra denominazioni diverse. Forse anche perché si vendemmia sempre più in situazioni dove la maturità delle uve non è il primo punto all’ordine del giorno; meglio stare attenti all’acidità, alla conservazione di determinate caratteristiche aromatiche che, grazie a lieviti e nutrimenti di lieviti si assomigliano al momento che vedranno la luce in cantina.
Scrivendo queste righe ci è venuto in mente il grido di dolore che lancia Yves Confuron (nel bel libro intervista di Camillo Favaro) dall’alto della Borgogna, parlando di standardizzazione che elimina il concetto di annata, ma soprattutto colpisce l’ammissione che con queste stagioni si possono fare dei buoni vini per il mercato ma non dei grandi vini, dei vini da vitigno ma non di territorio.
Anche in Italia il clima nelle ultime annate non ha certo aiutato e questo può essere forse il motivo principale di questa situazione: pur lavorando bene si può arrivare solo fino ad un certo (buon) punto, ma è difficile andare oltre. Inoltre (ops!) con il positivo andamento del mercato dei bianchi è forse logico puntare ad un buon risultato e a vini con precise aromaticità, freschezza e nerbo, ma ciò sembra inficiare la strada al grande bianco, sempre più difficile da trovare. Forse tante vigne sono state piantate o ripiantate da poco e anche questo può concorrere a creare un quadro molto buono per buoni/ottimi vini, ma ancora non adatto per il grande bianco, quello che va oltre i pur ottimi standard, quello che quando metti il bicchiere sotto il naso o lo assaggi ti fa sobbalzare e dire, come i bambini della canzonetta, ohhhhh.
Per favore non venite fuori con il solito ritornello che i grandi vini sono quelli rossi! I bianchi italiani hanno grandezza da vendere e vorremmo capire perché, partendo da una base sempre migliore, sempre meno vini bianchi si trasformano da bruco (pur bello) in farfalla. Se volessimo fare un paragone musicale potremmo definire tanti bianchi italiani “Belli senz’anima”.
Forse siamo soltanto noi di Winesurf in questa situazione e qui chiediamo consiglio ai colleghi assaggiatori delle altre guide, o forse ci siamo “adeguati al meglio” nel senso che l’assaggio di migliaia di vini ti porta ad essere un po’ meno attento ai particolari. Sinceramente non crediamo sia così ma lasciamo la porta aperta per il confronto.
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