di Roberto Giuliani
Se “marchigiano” fosse traducibile in inglese come “toscano”, potremmo chiamare il Pelago “Supermarchigian”, ma evidentemente questa regione non ha la stessa notorietà o, semplicemente, non è mai stato trovato un termine adeguato che riunisca in una sola parola quello reale di “from the Marche region”.
Pazienza, quello che conta è che di fatto questo vino nato nel 1994 è in qualche modo figlio dei “Supertuscans”, quei vini nati al di fuori dei disciplinari affinché i loro creatori fossero liberi di produrli nella massima libertà possibile, intesa come uve e legni utilizzati, come metodi di coltivazione e vinificazione ecc.
Sin dall’inizio, infatti, i tecnici della Umani Ronchi hanno voluto unire un’uva autoctona come il montepulciano alle internazionali più note al mondo: cabernet sauvignon e merlot. Non solo, ma in un’epoca che ormai aveva sdoganato i piccoli legni francesi, ecco che il vino viene fatto maturare in barrique nuove per 14 mesi.
E grazie alla spinta data dal premio ottenuto all’International Wine Challenge di Londra nel 1997, il Pelago era divenuto uno dei vini più ambiti e quotati in quel periodo. Oggi è ancora nella gamma aziendale, sempre 14 mesi in barrique, sempre un assemblaggio di quelle tre uve, segno che la formula era decisamente azzeccata e non ha perso smalto.
Ma, domandina che esce spesso nei social fra appassionati: i Supertuscans (e similari) sono capaci di durare nel tempo? E se sì, quanto? O sono solo vini per le guide, piacioni subito e spenti dopo pochi anni?
Bene, stappiamo questo 1995 (26 anni dalla vendemmia), seconda annata uscita, rigorosamente conservato in cantina condizionata a 12 gradi – a dirla tutta avevo aperto il 1996, sulla carta decisamente migliore, ma purtroppo l’odioso TCA lo ha rovinato - e vediamo come si presenta.
Intanto il tappo è in condizioni perfette, meglio di qualsiasi previsione possibile. Il colore è un granata intenso con unghia ancora piuttosto compatta, appena tendente all’aranciato-mattonato. Bene.
Veniamo al profumo. Intanto devo dire con stupore che appena aperto non ha dato segni evidenti di riduzione, come sarebbe stato lecito aspettarsi. Ottimo.
Entriamo nel vivo: una nota vegetale aleggia nella fase iniziale, poi si schiude a note di humus, cuoio, prugna secca, ematite, tabacco, grafite, terra umida. Col passare dei minuti si “rinfresca”, sembra ringiovanire sempre di più, la componente terziaria e matura regredisce a favore del frutto e di spezie dolci, ma nel complesso il vino sta più che bene, non si spegne, continua a muoversi.
L’assaggio è rincuorante, l’acidità c’è ancora ed evita prevedibili derive surmature, il profilo è equilibratissimo, sapido, avvolgente, non cede, se devo fare un’osservazione è nell’eleganza, che non è il suo punto di forza, ma caspita, è buonissimo e alla cieca non gli daresti più di 6-8 anni!
Bene, in questo caso, abbiamo sfatato alcuni luoghi comuni…
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