di Carlo Macchi
La Famiglia Ciolfi fino al secolo scorso non era certo stata baciata dalla fortuna: tra tanti che a Montalcino vendevano i loro vini a peso d’oro i Ciolfi dovevano accontentarsi di vendere l’uva a destra e a manca, anche perché a quasi 500 metri e con rese non certo morigerate il sangiovese maturava maluccio.
Con il nuovo secolo le cose sono cambiate drasticamente, merito di Luciano Ciolfi, che ha capito le reali potenzialità di quei vigneti a 500 metri e del signor clima, che ha pensato bene di rimescolare le carte. Così quelle vigne, ben seguite, ben curate e con un clima che permetteva alle uve di maturare perfettamente e con tempi lunghi (ancora oggi Luciano è uno degli ultimi a vendemmiare a Montalcino) hanno portato a vini di grandissimo pregio e di assoluta longevità.
Ne ho avuta la prova provata durante una serata con Luciano, che ha messo in tavola alcuni suoi vini, bendati, da degustare. Erano quasi tutti Rosso di Montalcino, tipologia che io ancora non riesco a sdoganare completamente anche se la vendemmia 2019 ha dato un “duro” colpo alle mie remore.
Ma i vini di Luciano mi sono sempre piaciuti e quindi ben vengano i suoi Rosso e anche (obviously) i suoi Brunello.
Ma veniamo alla serata e agli assaggi. Mi mette nel bicchiere uno dei vini bendati. Ancora rosso rubino con una lievissima tendenza all’aranciato sull’unghia. Il naso è ampio, balsamico, con un legno perfettamente dosato e una complessità aromatica importante, da dove spuntano note di sottobosco ma anche sentori agrumati.
Quello che mi colpisce è la freschezza, non un accenno di evoluzione verso il basso o di ossidazione. Visto che di un bel silenzio non si è mai scritto sentenzio: “Al naso mi sembra un Brunello di una grande annata non recentissima, diciamo 2010”.
Luciano mi guarda senza muovere un ciglio (deve essere un ottimo giocatore di poker) e io continuo l’analisi assaggiandolo: potente è potente, con un tannino rotondo ancora ben vivo e dinamico. L’alcol non marca più di tanto, certo da non inficiare l’equilibrio generale anche perché una nota fresca aleggia al palato e accompagna il vino nella sua lunga chiusura.
Mentre sono lì che elucubro e sono pronto alla sentenza il giocatore di poker mi spiazza “Guarda che è più vecchio del 2010”. I quattro neuroni che ancora difendono la postazione vengono sopraffatti dalla mia voglia di protagonismo e così mi sento dire “Ribadisco grande annata, anche al palato, quindi se è più vecchio deve essere un Brunello 2006”. (Luciano ha cominciato a imbottigliare nel 2003.n.d.r.)
A quel punto Luciano ha pietà di me e scopre la bottiglia e l’arcano: Rosso di Montalcino 2003, la prima annata prodotta!
Non posso rimanere a bocca aperta perché mi cadrebbe il vino ma penso alla 2003, annata caldissima, ad un Luciano alle “prime armi” con i suoi vini, a tanti 2003 (di tutta Italia!) cotti o squilibrati dall’alcol che ho assaggiato e invece di gridare al miracolo faccio l’unica cosa giusta della serata, mi verso un secondo e abbondante calice di questo grandissimo Rosso di Montalcino 2003 che, sono convinto, darebbe del filo da torcere a tanti Brunello (e Barolo e Barbaresco etc) della stessa annata.
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