La mia nonna paterna si chiamava Dina. Mentre la ribollita è, per i toscani, il massimo piatto della memoria.
Che c'entra? C'entra!
Giorni fa ero un giocoso giurato, nell'ambito della Biennale Gastronomica Fiorentina, al Palio della Ribollita allestito al Mercato di San Lorenzo: una ventina di agguerrite massaie (e massai), tutte rigorosamente dilettanti, in lizza per l'ambìto titolo.
Una grande varietà di interpretazioni del classico piatto povero. "Giusto", pensavo tra me e me. Nulla come la ribollita rammenta del resto, riflettevo, il mangiare di casa nelle sue mille sfumature, tutte legittime, e nelle sue mille varianti, sempre dipendenti dalla quantità degli ingredienti e dall'estro della cuoca, maestra per definizione nel fare di necessità virtù.
Ecco perchè dello stesso piatto si trovano così tante versioni, a volte poco ortodosse e perfino spurie o addirittura eretiche, ma quasi sempre ricadenti in un quella meravigliosa eterogeneità domestica capace di sfuggire a ogni gabbia.
Ed ecco anche il motivo della mia radicale contrarietà ad ogni tentativo di codificare la cucina, anzi ogni produzione tradizionale, che della propria elasticità si alimenta e grazie alla quale sopravvive, con buona pace dei surgelati.
Lo pensavo, lo pensavo, sinceramente.
Poi è comparsa al nostro cospetto lei: Dina. Di cognome: Betti. Anni: 88. Altezza: 1 metro e 50 coi tacchi. Minuta, appena imbarazzata, più che altro smarrita in quell'orgia di selfie, di dirette radiofoniche e di fugace notorietà mediatica.
Per me era la migliore, per altri no. Non ha vinto infatti.
Ma il mio vicino di tavolo e di giuria non ha saputo trattenersi e si è commosso quando Dina è salita sul palco per ritirare, quasi incredula, la"menzione speciale" che le abbiamo voluto attribuire. " Mi ha ricordato quella di mia nonna", ha detto lui asciugandosi una lacrima.
A me quel piatto non ha ricordato la ribollita di mia nonna, che era una pessima cuoca, ma mia nonna e basta. Ha dato un senso alla coesione del vissuto di cui il cibo quotidiano è uno, se il non principale mastice.
E all'eroismo di certe massaie avvezze a quelle cose semplici che troppo spesso perdiamo di vista.
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