Quando un vino si può dire "alla francese"?

Giuro che non mi va di parlare male dei miei "colleghi" blogger, però leggendo l'ultimo post uscito su Avvinando (wine blog del TG COM) mi è scappato più di un sorriso. 
Il titolo dell'articolo era abbastanza stuzzicante: Tenuta Rapitalà Casalj: il grande bianco siciliano “alla francese”.

Ah però, penso, fammi vedere fino a che punto si spinge il paragone tra un vino siciliano e uno francese?

Nell'articolo si parla del Casalj, vino bianco della grande e nota azienda siciliana che, leggo, dal 2011 viene prodotto solo con Catarratto. Il perchè della scelta è spiegato nell'articolo di Sergio Bolzoni che ha riportato le seguenti affermazioni di Laurent Bernard de la Gattinais, titolare di Rapitalà insieme al Gruppo italiano vini:“Volevo andare verso un vino che si caratterizzasse per l’eleganza e quindi abbiamo deciso di fare a meno dello Chardonnay”.


Caspita, un francese figlio di un conte francese che rinnega lo chardonnay battezzandolo come simbolo di non eleganza? Boh, vabbè, proseguo la lettura cercando a sto punto di capire sempre di più perchè il Casalj è un grande bianco siciliano "alla francese". 

L'articolo va avanti presentando una piccola verticale di tre annate del vino in questione, dal 2010 al 2012. Dando una scorsa alla descrizione dell'annata 2011 si può leggere quanto segue: vira sulla mineralità, sulla sapidità e su una certa asciuttezza e compostezza il 2011 che si rivela con grande sorpresa uno dei bianchi con la maggiore persistenza assaggiati negli ultimi mesi (dove per persistenza si intende quanti secondi il sapore di un vino resta intatto nel palato prima di sparire o degenerare). Diremmo quasi alla francese..

Ecco, siamo forse arrivati al punto. Forse ho capito male io ma, secondo l'autore, un vino può definirsi "quasi francese" solo quando questo ha questi tre caratteristiche: mineralità, sapidità e persistenza. Tutti gli altri, per esclusione, saranno "quasi qualcosaltro".

O forse il "quasi" è dovuto alla NON presenza di chardonnay....

O forse il "quasi" è dovuto al fatto che il vino è,  a prescindere da tutto, prodotto in Italia....

Ma il titolo non diceva che il Casalj era un grande bianco alla francese senza il quasi??

Intanto, per esercizio, comincio a buttar giù una lista delle caratteristiche di un vino "quasi italiano". Idee a tal proposito? Magari se qualche amico francese mi risponde.....


Belva 2010: c'è del buono tra San Gimignano e Scansano

Eravamo a Monte Compatri per partecipare a Degustando 2013, ospiti dell'amico Paolo Gherardi de Candei che, grazie alla sua professionalità, ci aveva riservato uno stand. EnoRoma, Enoclub Siena e Riserva Grande tutti assieme per promuovere il vino di qualità. Quella domenica di maggio erano presenti anche Gianpaolo Paglia e Mattia Barzaghi, due produttori a me cari che sono venuti dalla Toscana solo per un motivo: rendere onore a Simone Morosi, scomparso prematuramente poco tempo prima e che con tanti appassionati abbiamo voluto ricordare con un bel brindisi in piazza.


Giampaolo e Mattia
Questo post non vuole essere triste però, assolutamente, perchè oggi il mio intento è quello di scrivere due righe su un vino che proprio quel giorno Mattia e Gianpaolo hanno portato in degustazione. Il nome è tutto un programma: Belva 2010.
Il vino è nato da un'ispirazione di Simone che dopo aver lavorato a San Gimignano da Mattia è passato a Poggio Argentiera
L'idea, così come mi ha riferito lo stesso Paglia, era al tempo stesso semplice ed audace: mettere assieme due mondi apparentemente diversi come San Gimignano e la Maremma Toscana. L'obiettivo: capire se la rocciosa mineralità della Vernaccia si poteva sposare con la solare mediterraneità dell'Ansonica.
Gianpaolo e Mattia si sono messi subito a lavoro nelle rispettive cantine dove ognuno ha vinificato il proprio vino. Successivamente, Barzaghi ha portato le prime 10 damigiane di Vernaccia (distruggendosi anche una mano) a Banditella di Alberese dove il vino, una volta unito all'Ansonica, è andato in bottiglia senza filtrazione, chiarifica o altri accidenti per essere poi dimenticato in cantina per circa un anno e  mezzo.


Il risultato di questo lavoro/gioco tra amici è stato di assoluto livello. Il vino dopo tre anni ha raggiunto un bellissimo equilibrio con un naso che esprime in maniera chiara e netta la visione primitiva del progetto. L'energia e l'ardore della Maremma Toscana, infatti, si fondono perfettamente con il rigore minerale e la frutta turgida della Vernaccia di San Gimignano.
Il legame diventa intenso ed avvincente soprattutto alla gustativa dove, al momento, sembra prevalere la parte algida della vernaccia che caratterizza un sorso teso, fresco, roccioso, persistente. Qualcuno ha azzardato un paragone con uno Chablis francese....
Io, senza pretese, penso solo che il sogno un pò visionario di Simone, Gianpaolo e Mattia sia diventato realtà e, da appassionato, li ringrazio per questo regalo che forse nemmeno loro pensavano di farci così grande.
Ah, il costo del vino si aggira attorno alle 10 euro. Ottimo anche il rapporto q/p!

Quando bere è un lusso per pochi eletti

Ha iniziato Salvatore Calabrese, barman del “Salvatore at Playboy” di Londra. Il suo Salvatore’s Legacy, con un prezzo di 5.500 sterline a bicchiere, veniva giustamente considerato il cocktail più costoso al mondo tanto da entrare di prepotenza nel Guinness dei Primati. Il motivo? E' realizzato con quattro ingredienti: Cognac Clos de Griffier Vieux del 1778, liquore Kummel del 1770, Curacao Dubb Orange del 1860 e due gocce di angostura bitter del 1900.

Salvatore Calabrese, l'ideatore
Le bottiglie

C'era una volta il Salvatore's Legacy perchè in Australia Joel Heffernan ha deciso di strappare lo scettro del barman più cool del mondo. 
Infatti, all'interno del Club Crown Melburne 23, ha realizzato The Winston, un cocktail da ben 12.900 dollari composto da un rarissimo cognac Croizet del 1858, con l’aggiunta di un pizzico di Grand Marnier Quintessence, Chartreuse Vieillissement Exceptionnellement Prolonge e un sorso di buon Angostura Bitters.

Joel Heffernan e il suo The Winston

In questo contesto di bevute sfarzose per pochi eletti non poteva mancare sua maestà lo Champagne che balza all'onore delle cronache per la sinergia appena costituita tra la Maison Goût de Diamant e il designer Alexander Amosu al fine di realizzare per un facoltoso cliente una bottiglia speciale, unica, tanto che per acquistarla ci vogliono ben 1.2 milioni di sterline.....!!!!
Come si fa ad arrivare a queste cifre mostruose? si prende una placca di oro bianco massiccio da 18 carati (simile allo stemma di Superman) e la si piazza sulla bottiglia assieme ad un diamante da 19 carati
L'etichetta, anche essa in oro, è lavorata a mano e porta inciso il nome del cliente. Dentro, ma non sembra essere importante in questi lidi, c'è pinot nero, pinot meunier e chardonnay proveniente dal villaggio di Oger. Insomma, anche le uve sono Grand Cru.



La domanda che mi pongo è: quando dovremo aspettare perchè anche questo record sia battuto? Secondo me poco, molto poco....

Cantine Federiciane oggi in degustazione

Si terrà venerdì 28 giugno alle 20, la serata evento che apre le porte delle Cantine Federiciane, un percorso sensoriale che unisce le due anime delle cantine: la tradizione e l’innovazione.
Vino da osservare, da annusare, da assaporare, da toccare e ascoltare.
Un viaggio per solleticare i sensi che lega ogni prodotto delle cantine ad una diversa percezione sensoriale, un gioco divertente per proporre una nuova idea di degustazione, per rendere l’esperienza dell’assaggio di un vino ancora più coinvolgente.
Accanto al Piedirosso, al Lettere, al Gragnano ed alla Falanghina, storici prodotti delle cantine, ognuno dei quali sarà associato ad uno dei nostri sensi, i riflettori saranno puntati su Flaegreo, lo spumante di falanghina, simbolo del rinnovamento e della speranza per le Cantine Federiciane.
La famiglia Palumbo produce vino da ben quattro generazioni nel territorio dei Campi Flegrei. La loro storia affonda le radici nei primi del 900:  ha origine a Bacoli con Paolo che vinificava le uve tipiche del territorio, falanghina e per’’e palumm’ ed offriva ospitalità ai villeggianti di Napoli.
L’effetto di un marketing rudimentale, ma quanto mai efficace, il passaparola, ha richiamato sempre più acquirenti aprendo la strada a quella che oggi è diventata una vera e propria realtà imprenditoriale.




Oggi, infatti, le Cantine Federiciane continuano a produrre vino nel territorio dei Campi Flegrei ed i giovani fratelli Luca, Antonio e Marco hanno preso, con grande energia, le redini dell’azienda di famiglia. Luca ha appena 27 anni, si è laureato in enologia presso l’Università degli Studi di Milano con il professor Attilio Scienza. 
Lo spumante da falanghina Flaegreo segna la sua entrata in campo e le bollicine flegree sono quindi simbolo di rigenerazione e di temperamento giovane. 
Le uve utilizzate provengono dal vigneto ai Camaldoli, entro le mura della città di Napoli. Una vera e propria chicca considerando la forte urbanizzazione cittadina. Anche se, pochi sanno che Napoli è uno dei centri urbani italiani più vitati.

I vigneti sono posti ad un’altitudine che va dai 350 ai 500 metri, particolare che permette di mantenere una certa acidità delle uve e un buon corredo aromatico. 
Il suolo sciolto e vulcanico dà il timbro territoriale al vino, arricchendolo di sentori minerali e conferendo una buona agilità al sorso. 
Flaegreo fa quindi da ponte tra la storia millenaria legata alla viticoltura di questo territorio e l’innovazione delle tecniche moderne ben presenti in cantina. 

La filiera di produzione si compie interamente in azienda, dove le uve, appena arrivate dalla vendemmia, sono vinificate e poi spumantizzate con il metodo Charmat nelle proprie autoclavi. Se ne producono con grande successo 60.000 bottiglie. E’ uno spumante molto versatile, che offre grandi possibilità di abbinamento con il cibo. I profumi minerali e agrumati insieme al sorso sottile e fresco lo rendono particolarmente piacevole. 

Flaegreo sarà il protagonista della serata Welovewine, i cinque sensi, la grande festa prevista per venerdì 28 giugno.

Vino + cooperazione + buone pratiche = la ricetta per il successo?

Vi segnalo questo interessante workshop organizzato per sabato 29 giugno 2013 presso il Teatro Castagnoli di Scansano nell’ambito delle celebrazioni per i 40 anni della Cantina Vignaioli del Morellino di Scansano.

L’obiettivo di questo workshop sarà quello di sondare la ricetta del successo, raccogliendo testimonianze variegate e importanti, anche da fuori regione, su vino, cooperazione e buone pratiche, cercando di offrire spunti di riflessione utili in un’epoca di crisi. E se fosse infatti proprio la cooperazione, assieme alle buone pratiche e a un vino di qualità, vera ricetta vincente? Non a caso i due universi a confronto saranno quelli della Toscana, ovviamente, ma anche del Veneto, un’altra regione di fondamentale importanza nel panorama vitivinicolo e cooperativo italiano.

Nel corso della mattinata interverranno Flavio Tosi, sindaco di Verona, Matteo Renzi, sindaco di Firenze, l’antropologa dell’alimentazione Lucia Galasso, Luigi Turco, presidente di Cantina Valpantena, Gianni Bruno, brand manager di Vinitaly e per finire Sergio Bucci, direttore della Cantina Cooperativa dei Vignaioli del Morellino di Scansano.
Saranno presenti anche Leonardo Marras, presidente della Provincia di Grosseto, Gianni Lamioni, presidente CCIAA di Grosseto, Sabrina Cavezzini, Sindaco di Scansano. A chiudere la mattinata, le conclusioni verranno tirate dal presidente della cantina dei Vignaioli del Morellino di Scansano, Benedetto Grechi.

Hashtag ufficiale per seguire il live-tweeting dell’evento: #coopevino


Il Greco di Tufo di Cantine dell'Angelo: percezioni sulfuree allo stato puro

Pietre intarsiate di giallo e di bianco che affiorano dal terreno, ovunque le calpesti all'interno di questo vigneto che gira dietro la collina. Tutto attorno solo il silenzio squarciato a tratti dal rumore dei trattori agricoli.

A Tufo, da questo parti, l'aria sapida ti entra nei polmoni, il respiro sulfureo non esce dalla bocca del drago ma direttamente dalla terra che fa da tetto alle vecchie miniere di zolfo che Francesco Di Marzo scoprì nel lontano 1866 e che per molto tempo furono il fulcro dell'attività economica non solo locale ma di tutta la Campania visto che, in pieno regime, davano lavoro ad oltre 900 persone provenienti da tutta la Regione.




Angelo Muto, terza generazione di una famiglia vignaioli, è orgoglioso della sua Terra, del suo Territorio e dei suoi Vigneti di Greco di Tufo situati in zona Campanaro, cinque ettari le cui altitudini variano dai 350 metri ai 500 metri s.l.m.


Il vigneto sopra la miniera


Una parcella di Greco di Angelo Muto. Viticoltura eroica!
Dopo aver visitato i suoi vigneti, Angelo ci porta a scoprire un pò tutta la zona vinicola di Tufo che, a mia sorpresa, è composta quasi esclusivamente da piccolissime parcelle di vigneto, a volte suddivise tra più proprietari, il cui aspetto mi richiama, più che la Campania, i paesaggi della Mosella.
Passiamo di fianco al Vigneto Cicogna di Benito Ferrara, ai vari appezzamenti di proprietà Di Marzo (bellissima la loro storica cantina) fino a giungere al "mitico" Vigneto Cutizzi, quello dei Feudi di San Gregorio. Il loro vino non è più nelle mie corde ma la bellezza del paesaggio merita la foto!


Cutizzi
Dopo un giro per il centro di Tufo arriviamo nella casa/cantina/sala di degustazione di Angelo per una mini verticale del suo Greco magistralmente vinificato e maturato in acciaio grazie anche all'ausilio di Luigi Sarno, giovane enologo e produttore di Cantina del Barone. Prima, però, piccola visita nella cantina!


Angelo Muto in cantina
Greco di Tufo 2010: il terreno che entra dentro l'uva che restituisce tutto al vino. E' questo quello che ho pensato dove aver odorato il vino che sbuffa zolfo e gesso da ogni atomo. E' un vino duro, tosto, al cui corredo aromatico vanno aggiunte anche incalzanti note di idrocarburi e frutta tostata. Al sorso è come mordere e succhiare quei sassi visti all'inizio, ha un'acidità sferzante e tagliente che crea dinamicità e beva compulsiva. Se ti innamori di Tufo non puoi non apprezzare questo vino che nasce dalle sue viscere.



Greco di Tufo 2011: rispetto alla precedente annata c'è un maggiore bilanciamento tra la parte fruttata e la parte minerale. Col tempo, infatti, le durezze tipiche di questo Greco vengono smussate dal vigore del frutto che prende le sembianze dell'agrume, sopratutto cedro e pompelmo, e della mela quasi verde. Echi di erbe aromatiche e fiori bianchi. In bocca il vino è perfettamente bilanciato e dotato di suprema sapidità che ben si armonizza con una certa avvolgenza del Greco di questa annata.



Angelo produce mediamente 20.000 bottiglie. Non perdete occasioni di portare un piccolo pezzo del terroir Tufo a casa vostra!

Cantina Bambinuto e la scoperta di un grande Greco di Tufo: il Picoli!

Marilena Aufiero, "La Tosta", come l'hanno soprannominata da queste parti, ci aspetta dietro il bancone della sua saletta per degustazioni attigua alla cantina. Per certi versi tutto il suo mondo, vigneti esclusi, si trova racchiuso in pochi metri quadrati.

E' primo pomeriggio e, sebbene abbiamo fatto un piccolo spuntino a pranzo, la frittata con asparagi selvatici che ci aspetta è troppo invitante per non sbranarla in un attimo. 


Marilena, la figlia e...la frittata

Nel frattempo, Marilena ci racconta un pò di sè e degli inizi di Cantina Bambinuto datati 2006 dopo che le uve del territorio avevano subito un brusco calo di prezzo. Il valore agricolo e il lavoro famigliare dovevano essere difesi per cui, invece di vendere le uve a terzi, tutta la famiglia decise di mettersi in proprio per dar vita ad un progetto enologico coadiuvati dal bravo Antonio Pesce.

Prima di passare alla degustazione dei vari vini, Marilena ci porta nella piccola cantina, una spazio ristretto ma ben modulato dove trovano spazio vasche di acciaio e poche barrique.


Torniamo a sedere perchè ci aspetta il primo bianco, una Falanghina IGT Campania 2011 molto fresca e fruttata che scorre giù che è una meraviglia. Finale pulito, sapido, un ottimo aperitivo. Notare anche olive di fianco...


Questa zona, però, è famosa per il Greco di Tufo, l'antico vitigno indicato col nome di Aminea gemina dai Georgici latini ed importato dai Greci della Tessaglia nel 2000 a.C. circa.

Siamo nel territorio di Santa Paolina dove, a differenza di Tufo in cui prevale il calcare, i terreni sono costituiti in larga misura da puddinghe poligeniche, più o meno cementate, generalmente con alternanze di livelli sabbiosi o sabbioso–argillosi di età pliocenica.

Marilena produce due tipologie di Greco, un "base" e un Cru chiamato Picoli. 

Il primo, che ci viene declinato nell'annata 2011, si caratterizza per un corpo snello e dinamico e per un bel bouquet aromatico che spazia tra i fiori bianchi e la frutta, mela limoncella e pesca su tutti. Sorso nervoso, sapido, di ottima persistenza. Gran bel Greco di Tufo, accidenti.

Il Picoli, rispetto al precedente, proviene da uno specifico vigneto situato nell'omonima località e, come ci racconta la stessa Marilena, viene vendemmiato circa 10 giorni dopo il greco base e fa sosta per circa sei mesi sulle fecce. Ovviamente, essendo un vino "importante" ha colore e struttura più intensi del "base" e, visto che è spesso più  indietro del suo fratellino minore, esce sul mercato più tardi. Quando? Ovviamente quando "La Tosta" decide assieme all'enologo che è pronto!


Del Picoli abbiamo degustato un mini verticale iniziando dall'annata 2011 che caratterizza il vino con tutte le durezze che un greco minerale deve avere. Sorso sontuoso, teso, di grande progressione e sapidità. E' giustamente ancora molto indietro ma la materia prima c'è tutta. Da aspettare!

La 2010 si conferma grande annata per i bianchi qua in Irpinia ed il Picoli, ovviamente, non è esente dalla questione. Anzi! Rispetto alla 2011 questo millesimo si caratterizza per una maggiore profondità, sia olfattiva che gustativa. Al naso la ricchezza di frutto fa da contraltare alla mineralità mentre la ginestra e le erbe aromatiche creano una cornice aromatica di grande personalità. Al sorso è un vino assolutamente tridimensionale con un equilibrio tra morbidezze e durezze da far invidia. Non so se è nel momento di massima espressione ma, oggi, è una bevuta assolutamente di livello.

La sorpresa Marilena la riserva sul finale della degustazione quando apre una bottiglia del suo spumante metodo classico a base Greco.


Come è possibile notare dalla foto sopra, il vino è ancora in fase di affinamento e la nostra visita è stata la scusa per valutare tutti assieme lo stato evolutivo della spumante che, alla vista, si presenta in questo modo....


Di buone speranze la parte olfattiva mentre al sorso il vino è ancora molto indietro, ha un'acidità assolutamente tagliente e, per questo, ha ancora bisogno di molto...molto...riposo. Vero Lello?

Prima di andare, ci salutiamo con un piccolo bicchiere di Gre.Cò, splendida acquavite a base di greco e mele cotogne Marilena ha magistralmente abbinato ai cioccolatini fatti da lei stessa.  

Fonte: Pignataro Wine Blog


Come salutarsi in maniera migliore?


Ciro Picariello: Fiano di Avellino 2011

Se passi in Irpinia come fai a non andare a trovare Rita e Ciro Picariello? No, non si può, soprattutto se per questa famiglia hai una stima e una simpatia infinita.

La prima cosa che noti, arrivando a Summonte, è che Ciro ha messo i cartelli stradali per indicare la cantina. Gli investimenti, in tempo di crisi, crescono. Sorriso.

La seconda cosa che noti, arrivando in azienda, è che le vigne ubicate proprio davanti sono meravigliose anche se, così mi confida Ciro, leggermente in ritardo. Il cattivo tempo dei mesi scorsi sta lasciando i suoi strascichi nonostante il caldo improvviso che è arrivato.

Le vigne di Ciro
Non vogliamo rubare troppo tempo a Ciro e a sua moglie Rita, conosciamo bene la gestione dei loro vigneti e la loro cantina per cui, visto che è anche ora di pranzo, ci dirigiamo verso la piccola sala di degustazione per capire quanto sarà grande il loro Fiano di Avellino 2011.

Ciro mi dice simpaticamente di "andarci piano", che il vino è quasi finito e che lo stanno centellinando per andare incontro a tutte le richieste. 

"Beati voi! Vuol dire che se mi piace mi ruberò solo poche bottiglie...". 



Rita sorride mentre il  marito stappa con orgoglio la sua ultima creazione.

Annuso il vino e penso subito alla fondatezza circa tutti i responsi positivi che ho letto in giro su questo vino irpino.


Questo è un Fiano profondo, carnale, che sbuffa mineralità, energia, vivacità, corroborato da un contorno aromatico che prende la forma del biancospino, del mughetto e della pesca nettarina. Le "classiche" note fumè, almeno in questa annata e in questa fase evolutiva del vino, sono ancora piuttosto nascoste.
In bocca è fremente per la sua carica acido e per un epilogo fruttato e quasi salino. Persistenza da vendere.



Da questi parti, da questo angolo della provincia di Avellino, non si sbaglia un colpo e a me, come al solito, non resta che fare ulteriore spazio nella mia cantina per accogliere ancora qualche cassa di Fiano di Ciro Picariello. Sono i problemi della vita....

P.S.: ho bevuto anche il Brut Contadino 2011 e il ragazzo sta migliorando...eccome.....

Masseria Murata: appunti di viaggio irpini. Capitolo 1

Masseria Murata, a Mercogliano, è la prima azienda che ho visitato durante il mio viaggio alla scoperta dei vini dell'Irpinia grazie all'aiuto dell'infaticabile Lello Tornatore.

Geograficamente siamo appena sotto l'Abbazia di Loreto, i cui terreni, parte dei quali ora sono  di proprietà della Masseria, sono da più di otto secoli impiegati per produrre grande uva da vino. Un atto notarile del 1138, infatti, attesta che questi poderi erano già coltivati a vigneto quando il conte Enrico, signore di Sarno e di Avellino, rinunciò al censo che gravava sul vigneto a favore dell'Abbazia dei monaci Benedettini.

I vigneti e l'Abbazia di Loreto

Masseria Murata oggi appartiene ai fratelli Argenziano che, dopo aver conferito uve ad altre aziende, hanno deciso, visto anche che non ne valeva più la pena dal punto di vista economico, di iniziare un progetto imprenditoriale tutto loro.

Attualmente l'azienda si estende per circa 8 ettari di cui 4 a fiano (piantati per due terzi a Mercogliano e un terzo a Candida), 2 a greco (piantato a Chianchetelle) e 2 a coda di volpe (impianti a Mercogliano di età anche centenaria).

Vigneti con Gianluca Argenziano

Vigneti di Fiano
In cantina, aiutati dall'enologo Carmine Valentino, per i bianchi si usa solo acciaio mentre per i rossi, un Aglianico e un Taurasi, si converge verso l'uso di un legno mai invasivo.

Acciaio
Legno

All'interno della sala degustazioni, assieme a formaggi dal sapore antico, beviamo una mini verticale del loro Fiano.

Fiano di Avellino 2012: ancora in embrione con un residuo zuccherino piacione. Difficilmente valutabile oggi ma, a leggerlo attentamente, mi fornisce l'idea di un vino dalle grandi potenzialità. Basta farle esprimere al meglio.

Fiano di Avellino 2011: naso che profum di glicine, erba, agrumi con striature tostate. Bocca piena, equiibrata, con preziosi rimandi alle percezioni sapide ed erbacee. 

Fiano di Avellino 2010: vabbè, si inizia a capire che la 2010 è un'annata clamorosamente buona per il fiano. Almeno da queste parti. Spiccata intensità di glicine, mandorla, fieno, mela, cedro, echi minerali. Bocca sapida, dinamica, dà soddisfazione sorso dopo sorso stentando ad andare via. Gran bel bere!

Greco 2011: da vigneti posti a circa 700 metri di altezza nasce un vino di grande freschezza e sapidità il gusto profilo gusto olfattivo vira tra toni fruttati e minerali. Chiusura bella sapida.

Coda di Volpe 2008: il vino che non ti aspetti, davanti a Fiano e Greco sembrava piccolo piccolo ed invece il piccolo Davide non sfigura contro i Golia irpini. Sarà che le vigne sono quasi centenarie, sarà che la famiglia Argenziano crede molto in questo vitigno, il risultato è affascinante: il Coda di Volpe, di cinque anni fa, è ancora un vino vivo, freschissimo, verticale, non ha grande complessità ma le poche cose che ha le esprime ai massimi livelli. Fresca è una bottiglia che berrei in un minuto da solo.

Peccato 2009: questo aglianico 100% si caratterizza per la grande dinamicità. Profuma di fiori e frutti rossi e, grazie alla freschezza, va giù che è un piacere. Per chi non rinuncia a bere aglianico anche d'estate!

Passione 2007: il Taurasi di Masseria Murata, rispetto al precedente, ha profumi più terrosi e maschili e in bocca è di maggiore avvolgenza. Ottima anche in questo caso la bevibilità. Uva proveniente dai vigneti di Venticano.

Passione 2009: ancora in fasce si caratterizza per una maggiore carica materica e un carattere più definito. L'uva, questa volta, viene da Montemarano.


Star Trek diventa anche un vino. Anzi, tre vini!

E te pareva!!!

Aò so Ammmericani per cui non si lasciano mai sfuggire l'occasione di fare business anche se  a noi europei certe cose ci fanno ridere o...inorridire.

Vabbè, fatto sta che in occasione del lancio mondiale del film Into Darkness - Star Trek dodicesima pellicola della serie cinematografica di Star Trek, è uscito il vino legato alla famosa saga fantascientifica che ha avuto inizio nel 1966 con la serie televisiva ideata da Gene Roddenberry.


Il vino, da quanto leggo in giro, è stata prodotto dalla Viansa Winery, azienda italo americana (ahhhhhhh, ci siamo anche noi allora?!!?) localizzata a Sonoma, distretto vinicolo della California estremamente interessante.

I vitigni usati per produrre il vino? Uno strano connubio di italianità e internazionalità: merlot, sangiovese, cabernet franc, dolcetto, tinta cao e tempranillo. Roba da far drizzare i capelli ad un pelato!

Le etichette, ben tre ispirate a tre episodi della serie originale di Star Trek, portano i seguenti nomi:  The City on the Edge of Forever” “The Trouble with Tribbles” e “Mirror, Mirror”.


Ma il vino è lo stesso!! Potere del marketing e del collezionismo sfrenato..

Ah, i bicchieri giusti ve li possono ordinare io. La scelta può andare sui seguenti:




Ok, Ciao a tutti!!




Vino come garanzia per le banche? Forse si può!

I vini super pregiati come colleterale di un prestito? Sì, se a ricevere il finanziamento è una persona di alto rango che in passato ha lavorato tra i vertici della banca creditrice. E quel che è successo a Goldman Sachs, che ha accettato quasi 15.000 bottiglie di vino proveniente dalle regioni francesi del Bordeaux e della Borgogna come forma di garanzia per un prestito concesso a Andrew Cader, ex direttore della divisione di trading specializzato dell'istituto finanziario. E' quanto emerso da documenti depositati presso le autorità competenti americane secondo cui tra le bottiglie pregiate ce ne sarebbe una datata 1929 e prodotta dal Domaine de la Romanée-Conti.

La mossa, a giudicare dai commenti che circolano negli ambienti bancari e negli studi legali americani, sembra piuttosto insolita: le banche sono state generalmente poco propense a proteggersi da un eventuale default di un cliente debitore con vino, per quanto pregiato. Nemmeno la performance dell'indice benchmark della bevanda pregiata è attraente: il Liv-ex 100 Fine Wine Index, che riflette la variazione dei prezzi dei 100 vini più ricercati, è cresciuto in media a un tasso annuale dell'11% negli ultimi 10 anni fino allo scorso aprile, meglio del +7,9% dell'S&P 500. Eppure opere d'arte e immobili sono sempre stati preferiti come collaterale. Perché? Non è tanto il sapore di tappo a intimidire le banche quanto il sapore di truffa che potrebbe nascondersi dietro casse di vino dall'apparente valore inestimabile.
Lo sa bene il miliardario americano William Koch: pensava di aver comprato 24 bottiglie di pregiato Bordeaux francese e invece si trattava di vino contraffatto. Il fondatore dell'azienda attiva nel campo delle materie prime, Oxbow Group, in Florida, ha ora ottenuto giustizia e, dopo aver vinto una causa da 379.000 dollari contro il venditore truffaldino, ha anche ottenuto 12 milioni di risarcimento danni dalla stessa giuria.
Il giudice di Manhattan che lo scorso aprile ha emesso il verdetto ha giudicato il venditore Eric Greenberg colpevole di aver imbrogliato Koch circa l'autenticità e la provenienza del vino. La cifra stabilita dalla sentenza comprende il costo totale sostenuto da Koch per le bottiglie – comprate all'asta nel 2005 – e 1.000 dollari di risarcimento danni per ogni bottiglia. Cifre, queste, in linea con il valore stimato della collezione di vini dell'ex manager di Goldman Sachs, intorno alle decine di milioni di dollari. Insomma, la banca ribattezzata la 'piovra della finanza' nel mezzo dell'ultima crisi finanziaria si sta proteggendo con quanto prodotto dai migliori vigneti francesi.
Cader si è trincerato dietro un no comment attraverso il suo legale Seth Lapidow, dello studio newyorchese Blank Rome. Goldman Sachs ha replicato all'articolo di Bloomberg - che ha pubblicato la notizia - con la seguente nota: "mentre non rilasciamo commenti in merito a prestiti individuali nel rispetto della riservatezza dei clienti, abbiamo estrema cura nell'usare standard di gestione del rischio di alto livello per valutare ogni forma di collaterale su tutti i prestiti".
Per quanto i termini del prestito restino sconosciuti, quel che è certo è la stretta relazione tra Cader e Goldman. Il manager era a capo di Spear, Leeds & Kellogg quando la banca acquisì la società specializzata nelle transazioni di opzioni put e call per 6,2 miliardi di dollari nel novembre del 2000. Attraverso l'operazione di buyout, Cader ha ricevuto azioni Goldman Sachs. Tra gennaio e ottobre 2002 ha venduto 1,1 milioni di quei titoli con profitti di almeno 85 milioni di dollari. Probabilmente sta ancora brindando all'incasso.
Fonte: America24