Antica Osteria l'Incannucciata, Dino De Bellis e il suo Sudafrica

I mondiali di calcio sono alle porte Dino De Bellis, chef dell'Incannucciata, ha pensato di creare una
serata speciale sul Sudafrica.
Lo chef non ha fatto altro che prendere e rivedere in chiave “De Bellis” alcune ricette tradizionali locali abbinando ad ogni piatto, grazie all’aiuto di Afriwines ed RGS, una selezione dei migliori vini sudafricani. Il risultato è tutto da scoprire.

Menù della serata

Quiche ai porri con panna acida abbinata a Gewurztraminer Belbon hill

Fusa zana al ragù di piccione abbinati a Rhino park Merlot Shiraz


Bobotie abbinato a Belbon Hill shiraz


Pollo soweto con patate ripiene abbinato a Rhino Park Merlot Shiraz


Budino di Riso e coulis di fragole abbinato a passito Belbon Hill


Costo euro 35 tutto compreso

Prenotazioni al 389 6726923

Il segreto per un olfatto bionico? L'irrigazione nasale, è ovvio!

Andando ogni tanto alle terme mi è capitato di leggere, tra i vari trattamenti proposti, questo: IRRIGAZIONE NASALE.


Incuriosito ed anche un pò impaurito dalla cosa ho cercato un po’ di notizie su internet e devo dire che quello che ho trovato mi ha svelato un mondo che non conoscevo e che potrebbe essere utile per tutti quelli che dicono di non sentire l’odore di banana nello chardonnay o l’odore di goudron nei vini invecchiati.

La parola d’ordine da oggi in poi è:
STURATEVI IL NASO!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

Per avere un olfatto da campione dovete farvi passare nelle cavità nasali soluzioni idrominerali, in genere soluzioni saline ipertoniche, attraverso un ampolla che viene chiamata lota neti (in inglese neti pot). Una volta riempito questo aggeggio con la soluzione salina, non dovete far altro che piegare la testa ed infilare il becco del lota nei nella narice superiore e, cercando di non strozzarvi, far uscire il liquido dall’altra narice ben aperta.



Dopo questa doccia nasale tutti i profumi saranno perfettamente nitidi e sarete dei campioni nel riconoscere esteri, eteri, alcoli e terpeni.

A me la tecnica fa ribrezzo solo a guardare la foto, mi tengo le mie allergie e la voglia di sparare stronzate quando tento di riconoscere il profumo del vino…

I terroristi del vino in Borgogna

Non c’è molto da scherzare perché di matti nel mondo ce ne sono tanti e la storia seguente ne è la riprova.

Un uomo, ex detenuto che aveva lavorato nei vigneti della Borgogna, ha inviato una serie di lettere minatorie al Domaine de la Romanée-Conti minacciando loro di avvelenare tutti i vigneti se non avessero pagato un milione di euro.
Secondo quando trapelato dalle agenzie di stampa la stessa tipologia di lettera è stata inviata anche al Domaine Comte Georges de Vogue che ha subito la stessa minaccia per il suo vigneto di Musigny.

Per dimostrar loro la determinazione, il ricattatore aveva scritto nella lettera di aver già avvelenato due vitigni particolari che, per precauzione, sono stati immediatamente estirpati e consegnati alle autorità dalla stessa proprietà. Stessa sorte è accaduta per due vitigni del Grand Cru Romanée-Conti che sono stati fatti analizzare per precauzione.
Fortunatamente, promettendogli un falso riscatto da versare presso il cimitero di Chambolle-Musigny, l’estortore è stato arrestato anche se la paura per Aubert de Villaine, condirettore del DRC, è ancora viva visto che questa sorta di terrorismo enologico può essere esteso a tutti i più grandi vigneti al mondo.


Foto tratta da Il Giornale del Vino

I mondiali di calcio e i vini del Sudafrica

I mondiali di calcio sudafricani mi danno lo spunto per parlare un pò di questo paese che, assieme al Cile, all’Australia e alla Nuova Zelanda, rappresenta una della nazioni emergenti nel panorama vitivinicolo mondiale.
Avente quasi tre volte la superficie dell’Italia, in Sud Africa oggi 4000 aziende agricole coltivano circa 102.000 ettari di vigneto con una prevalenza di vitigni a bacca bianca (Chenin Blanc o Steen in dialetto locale ) rispetto a quelli a bacca rossa dove la fanno da padrone i vitigni internazionali come cabernet sauvignon, shiraz, merlot e pinotage.
La viticoltura in Sud Africa si sviluppa prevalentemente a latitudini comprese tra 27° e 34° nell'emisfero sud, dove prevale un clima di tipo mediterraneo temperato.
Le zone costiere atlantiche, ad ovest e sud-ovest del Capo, risentono del beneficio della corrente del Benguela, proveniente dalle regioni antartiche, che permette di ottenere temperature relativamente più fresche, se riferite alle latitudini del luogo. Durante la primavera e l'estate, inoltre, le coste a sud-ovest del Capo vengono spesso lambite da un vento secco proveniente da sud-est, il Cape Doctor che, oltre a ripulire l’aria di Cape Town, provoca anche un processo di inibizione nei confronti di alcune malattie tipiche della vite, in particolare funghi e muffe.
Il suolo del Sud Africa è molto vario e diversificato, e questo appare come uno dei principali motivi che contraddistinguono la personalità e l'unicità dei vini prodotti nelle diverse aree del paese. Per voler fare un esempio, il solo distretto di Stellenbosch, divenuto oggi il più famoso ed importante produttore di vini di qualità del Sud Africa, è caratterizzato da terreni prevalentemente sabbiosi nel fondovalle occidentale, che divengono invece più pesanti se ci si sposta verso le catene montuose (Stellenbosch Mountains, Simonsberg Mountains, Helderberg Mountains, Jonkershoekberge Mountains ecc.), dove prevalgono terreni composti da detriti granitici. Questo fa si che vini prodotti nell'ambito di una stessa area viticola, così come accade appunto anche al distretto di Stellenbosch, presentino note organolettiche caratterizzate spesso da una spiccata personalità.

Il Sud Africa gode di un sistema a denominazione d'orgine dei vini e dei prodotti derivanti da fermentazione alcolica, che ricalca in buona parte i sistemi già adottati da lungo tempo in molti paesi europei, come le A.O.C. francesi (l’Appelation d'Origine Controlée, ossia Denominazione d'Origine Controllata) o le D.O.C.G. italiane. La certificazione "Wine of Origin", identificata come W.O., fu istituita ufficialmente nel 1973, in base ad uno schema che non protegge solamente la origine delle materie prime, ma anche le cultivar e le annate di produzione (vintage). L'organo di controllo per la W.O. è il Wine and Spirit Board, o Comitato dei Vini e delle bevande Alcoliche, costituito da 12 membri.

La certifica
zione della origine dei vini si basa fondamentalmente sulla identificazione di due fattori principali nella determinazione dei caratteri e della qualità dei prodotti, ossia: fattori naturali come il suolo, il clima, la posizione; fattori derivanti dall'uomo come la scelta della cultivar, la pratica viticola, le tecniche di vinificazione ed affinamento.
I confini che delimitano una W.O. sono definiti per legge, così come sono definite per legge le cultivar ammesse all'interno di ognuna delle unità di produzione.
In totale, sono oggi ammesse circa 75 tipologie di vitigno differenti nell'ambito delle W.O., tra le quali troviamo anche tre uve di origine italiana: Nebbiolo, Barbera e Sangiovese. Il nome del vitigno può essere menzionato in etichetta se presente per almeno il 75%, oppure per un minimo del 85% se il prodotto è destinato all'esportazione in Europa o per tutti i vini prodotti dal 1 gennaio 2006.
Discorso analogo si ottiene per il termine Vintage, che indica la provenienza di almeno il 75% delle uve – oppure l' 85% per i vini esportati in Europa - dalla vendemmia dell'anno specificato in etichetta.
Infine, se il termine Wine of Origin viene associato in etichetta al nome geografico – ad esempio Stellenbosch – è automaticamente certificata la totale provenienza delle uve dalla zona in cui il vino è stato prodotto.

Le aree di demarcazione delle W.O., più propriamente definite unità di produzione, possono essere:
Single Vineyard Unit (Vigneto Singolo): normalmente appartenenti ad una unica azienda, con estensione del vigneto sempre inferiore a 5 ettari;
Estate Wine Unit (Unità Aziendale): unità di produzione normalmente più ampia di 5 ettari, che può comprendere una o più aziende (estates). Se viene indicato in etichetta il termine "Estate Wine", è certificata la provenienza delle uve dalla unità di produzione stessa;
Ward (Circoscrizione): combinazione di più aziende vitivinicole, a volte appartenenti ad un distretto, come la ward Franschhoek del distretto di Paarl, altre volte no, come accade ad esempio alle wards Cederberg e Costantia;

District (Distretto): unità distrettuali, come Paarl, Stellenbosh o Robertson;
Region (Regione): regione vitivinicola, come Klein Karoo o Coastal Region.
Dal 2 aprile 1993 è stato integrato lo schema delle W.O. con l'aggiunta di due Geographical Unit: Western Cape e Northern Cape.
Le due aree di produzione più importanti del Sud Africa sono oggi Paarl e Stellenbosch, entrambi distretti inseriti all'interno della Coastal Region.

LA DEGUSTAZIONE

Ci troviamo nell’area vitivinicola di Stellenbosch dove il pinotage, varietà ottenuta dall’incrocio tra due Vitis Vinifera europee, pinot nero e cinsaut (detto anche hermitage), nacque nel 1925 grazie ad Abraham Perold, ricercatore universitario che volle unire l'eleganza e la finezza del primo vitigno, con la resistenza alle malattie del secondo.
L’azienda Delheim, di proprietà della famiglia tedesca Sperling, di estende per 364 ettari di grande bellezza di cui 150 vitati e produce tutta una serie di vini dallo stampo marcatamente internazionale.

Il Pinotage 2007 che ho bevuto durante il Vinòforum di Roma è un vino dalla facile beva che può essere usato da un neofita come base di partenza per capire pregi e difetti di un vino prodotto per i mercati mondiali. E’ ruffiano ma non troppo visto che dispone di una adeguata complessità, è intenso, giocato su note di frutta di bosco, ciliegia matura, spezie scure e un tocco di goudron. Purtroppo la vaniglia e, in generale, l’uso della barrique si fa sentire anche se devo dire che non è così marcato come ho sentito in altri vini sudafricani. In bocca è piacevole, equilibrato, di buona persistenza, è tutto al suo posto anche se forse manca di quell’anima che lo renderebbe speciale. Al pubblico costa circa 11 euro, una base di partenza non troppo costosa per capire da che parte state.

Fonte: winecountry.it e
Wosa (Wine of Sud Africa)

Radda in Chianti è nel MIO bicchiere!


Radda in Chianti è un altro angolo di paradiso toscano circondato da vigneti, gli stessi che, nel bene o nel male, hanno prodotto quelle uve e quel vino che sabato scorso ha girato e rigirato nel mio bicchiere in cerca di una sua identità e di una sua collocazione nel firmamento, a volte un po’ nebuloso, del Chianti Classico.
Radda in Chianti, un fazzoletto di terreno dove puoi trovare di tutto, grandi e piccole proprietà, vignaioli dalle mani tatuate di terra o wine maker in giacca e cravatta, sangiovese o merlot, colorino o syrah, tutti assieme per formare un caleidoscopio di filosofie enologiche che fai fatica a dipanare quando ti approcci al sorso.
Durante Radda nel Bicchiere ho cercato, nel mio piccolo, di comprendere, discernere e valutare da che parte della barricata sta il mio gusto, se deve mettere l’elmetto da combattente o viaggiare in prima classe, biglietto di sola andata. Questi sono i miei appunti sparsi. Fatevi un’opinione.


Brancaia – Chianti Classico 2007 (85% Sangiovese, 15% Merlot): prescindendo dalle polemiche che si sono accese in questi giorni su questa azienda, direi che il vino ha una espressione territoriale non dissimile alla gentile donzella che versava il vino allo stand: minigonna e scollatura e tanta gente attorno.

Castello di Radda – Chianti Classico 2007
(100% Sangiovese): un vino abbastanza fresco, fruttato e poco altro. Ho trovato ancora tanto legno da assorbire, forse due anni di barrique sono troppi oppure è da aspettare ancora un po’ anche se la struttura del vino non è da grande invecchiamento. Per dodici euro compro sicuramente altro.

Castello di Volpaia – Chianti Classico Riserva 2006 (100% Sangiovese): concentrato al colore, ha profumi complessi di marasca, frutta di rovo, humus, grafite. In bocca entra potente, la nota alcolica si fa sentire un po’ troppo per i miei gusti, poi il vino va scemando in un finale che sembra andare in direzione opposta. Non mi fa impazzire. Bello senz’anima canterebbe Cocciante un po’ sconsolato guardando il bicchiere.


Castello d’Albola – Chianti Classico 2007 (Sangiovese e Canaiolo): lo ammetto, mi aspettavo un vino più piacione ed invece questo Chianti “made in Zonin” mi ha sorpreso per pulizia e, soprattutto freschezza. Pecca un po’ in ampiezza e complessità però è un vino che si lascia bere senza problemi. Dieci euro spesi bene.

Valdellecorti – Rosè 2009 (VdT) (Sangiovese 100%): non si parla di Chianti in senso stretto in questo caso, però voglio segnalare a tutti questo rosato da sangiovese, freschissimo e bevibilissimo nonostante la tanta ciccia che lo caratterizza. A sei euro è uno dei rosati con il migliore rapporto q/p che abbia bevuto. Il Chianti Classico 2005, invece, è una piccola opera d’arte di Roberto Bianchi che, nonostante l’annata difficoltosa, è riuscito a dar vita ad un vino di grande finezza e tipicità. Se amate il vino piacione non passate da queste parti. Piccola nota di servizio: il Chianti Classico 2007 di Valdellecorti è risultato uno dei migliori durante la degustazione alla cieca di tre Sangiovese e tre Nebbiolo nel refettorio del Convento di Santa Maria al Prato con la guida di Carlo Macchi.


Caparsa – Chianti Classico Doccio a Matteo 1999 (Sangiovese 100%): della verticale degustata a Radda ritengo che l’annata 1999 di Doccio a Matteo sia la migliore in assoluto perché dà vita ad un vino integro, intenso, a tratti ancora ruvido, che trasmette senza compromessi territorio e carattere del produttore. In bocca stupisce per persistenza e sapidità. Plauso a Paolo Cianferoni che, tra l’altro, ha anche un interessante blog!


Montevertine – Pergole Torte 2007
(Sangiovese 90%, Canaiolo 5%, Colorino 5%): so che sarò deriso da molti ma per me rappresenta la migliore versione degli anni duemila e una delle migliori di sempre. Mi ha ricordato nei tratti il Brunello di Montalcino Biondi Santi Riserva 2004, un vino di grande complessità ed equilibrio nonostante le sue durezze e che, col passare del tempo, non potrà che evolvere in maniera divina. Metterà d’accordo veramente tutti in futuro. Da segnalare uno stratosferico Pian del Ciampolo 2008 che mi ha ricordato molti village della Borgogna. Un vino che non ha paragoni come rapporto q/p.


Monteraponi – Chianti Classico 2007 (Sangiovese 90%, Canaiolo 10%): Michele lo sa, questo è davvero il mio coup de coeur, un Chianti che a berlo di manda in estasi, un velluto rosso sangiovese leggero che entra nell’anima e non la molla più. Lontano mille miglia dall’America. Il Chianti Classico Riserva 2006 Il Campitello è un vino più orizzontale del precedente, ha la saggezza del fratello maggiore, profondo e intellettuale è secondo solo al Pergole Torte 2007 nella mia classifica personale anche se, compulsivamente, non smetterei di bere la versione giovane del Chianti di Monteraponi.

Il premio della VERGOGNA internazionale del vino

Poche righe che dovrebbero far vergognare un'associazione che si dice promotrice della cultura del vino. Mi spiace ma stavolta per l'AIS Roma e Franco Ricci il pollice è decisamente all'ingiù!

Il Premio Speciale della Giuria 2010 è stato assegnato dal patron Franco Ricci a John e Cristina Mariani per l’azienda vitivinicola Castello Banfi di Montalcino (Siena) con la seguente motivazione: “Pionieri e protagonisti dell’ambizioso progetto italiano mirato al mercato internazionale del vino di qualità hanno contribuito in maniera determinante al successo del nostro paese, fino a renderlo il primo assoluto nel mercato americano. In Italia le loro sperimentazioni e ricerche, in vigna e in cantina, hanno fatto scuola alla nuova enologia nascente. Un’azienda nata con un sano rapporto con l’ambiente e sviluppata attraverso importanti investimenti nella cultura che hanno prodotto un fondamentale arricchimento del territorio”.




Stregoneria enologica: la "chiave del vino"

Oggi mi sento un vero mago, no…no, non questo qua sotto


Sono venuto in possesso di una stregoneria che mi dirà tutto sul vino, soprattutto mi fornirà informazioni sul suo futuro. Iniziano i tarocchi enologici.
Le fasi sono queste. Fate come vi dico altrimenti lo spirito del Tavernello si impossesserà di voi.

Riempite un calice da 10 cl di vino rosso (anche bianco o rosato va bene).
Degustate rigorosamente con mignolo dritto (anche no..).



Memorizzate le sensazioni
.

Prendete la stregoneria in mano e immergetela con cautela nel bicchiere per un secondo (o anche due…poi vi dico).

Assaggiare nuovamente anche se vi ha fatto schifo cosa avete immerso.

E’ cambiato qualcosa? Sì? No? Forse? Vi sembra invecchiato? Sì? No? Forse?

Bene, vi svelo l’arcano segreto.

Quello che avete immerso altro non è che un aggeggio che modifica gradualmente, in modo controllato, le qualità organolettiche (gusto, odore, sapori e bouquet) del vino.
Praticamente è un catalizzatore che scatena e accelera un fenomeno del tutto naturale, qual'è l’ossidazione del vino. Una sorta di invecchiatore precoce del vino.


Le istruzioni, rigorosamente formato IKEA, mi dicono che basta immergere la stregoneria per 1 secondo in un calice contenente 10 cl (o in una bottiglia di 75 cl se si usa il modello specifico) per ‘fare evolvere’ il vino stesso di un anno; due secondi, due anni; tre secondi, tre anni…
In altre parole si potrà capire se il vino che abbiamo nel calice evolverà correttamente o migliorerà col tempo oppure se la sua dinamica temporale sarà tale da consigliare una rapida bevuta visto che col tempo, magari, prenderà odore di topo o pollo morto.


Vi dico anche il nome di questa stregoneria: si chiama Clef du Vin, la chiave del vino, è l’ha inventata più di 10 anni fa da Lorenzo Zanon, chimico ed enologo, professore di chimica e di biologia, al vertice oggi di un’importante azienda di Champagne, in collaborazione con il sommelier Franck Thomas (miglior Sommelier di Francia e d’Europa nel 2000) e consulente internazionale.


Leggendo ciò che si dice della chiave, mi sono fatto un po’ di risate esaminando i possibili vantaggi: fare le scelte giuste nelle fiere e in enoteca, testare le bottiglie della propria cantina per sapere quali consumare rapidamente e qual
i invece lasciare invecchiare, oppure apprezzare un vino senza aspettare, perché la Clef accelera lo sviluppo aromatico del vino e ne ammorbidisce la struttura.

Già immagino l’appassionato di vino che, durante le visite in cantina o le fiere, “puccia” la chiave in ogni dove per verificare se effettivamente il vino evolverà bene. Caro Antinori mi faccia vedere se sto Solaia 2007 sarà un grande vino. Evvai, giù di chiave!! Caro Soldera vediamo se questa annata è migliore della precendete. Ciaf Ciaf, intingiamo la Clef per due secondi….

Sai i vaff………..!!

E questo sabato sono a Radda nel Bicchiere

Radda in Chianti è uno splendido borgo medievale nel cuore della Toscana che farà da cornice, ancora una volta, alla quindicesima edizione di "Radda nel bicchiere", in programma sabato 5 e domenica 6 giugno, promossa dalla Pro Loco, dal Comune di Radda in Chianti e dal Consorzio Vino Chianti Classico.
Per me e Stefania sarà l'occasione di incontrare i vecchi amici dell'Enoclub Siena e per degustare la nuova produzione (e spero anche la vecchia) di alcuni dei miei produttori di vino del cuore: Martino Manetti (Montevertine), Michele Braganti (Monteraponi), Paolo Cianferoni (Caparsa) e Paolo Bianchi (Val delle Corti).

La mia giornata inizia sabato alle ore 10 presso il Convento di Santa Maria al Prato con il seminario dal titolo "Sangiovese del Chianti e Nebbiolo del Barolo: vitigni cugini?", condotto da Carlo Macchi, direttore del giornale online "Winesurf", che guiderà i presenti attraverso le differenze e le similitudini di questi due grandi vitigni. Nel pomeriggio, dalle ore 14 fino alle 19, la festa si sposterà lungo la via centrale del paese per le degustazioni e l'acquisto, grazie all'offerta "Prezzo di fattoria", di bottiglie al prezzo della vendita diretta, nelle enoteche del paese.
In tale ambito non mancherò di fare una scorpacciata di Sangiovese, almeno qua Rivella ancora non è arrivato....
Domenica non ci sarò ma vi suggerisco di non perdere l'evento organizzato dall'Enoclub Siena dal titolo emblematico: l'elogio dell'invecchiamento. Si degusteranno vecchie annate dei Cru dei Viticoltori di Radda in Chianti: Montevertine, Poggerino, Caparsa, Vignavecchia, Monteraponi, Pruneto, Val delle Corti, Castello d’Albola, Monterinaldi e Terrabianca. Appuntamento alle 17.30 presso la Saletta in Piazza Castello.

Lunedì pubblicherò tutte le mie impressioni.

Buon fine settimana!

La magia della Mosella: Jos. Christoffel Jr., Erdener Treppchen Riesling Auslese***** 1975

Da uno dei migliori produttori della Mosella nasce questo riesling ha la forza di trasportarci in un quadro aromatico più campano che teutonico, dove la tavolozza di Christoffel jr ci regala lampi di marmellata all’arancia, cedro, scorza di mandarino, pompelmo candito, mela cotogna, frutta esotica matura, fiori di campo e tanta mineralità territoriale.
In bocca è tutto quello che vorremmo da un grande vino bianco e il riesling, in questo, conferma di non avere rivali soprattutto se pensiamo che questo vino ha (solo) 36 anni. Consigliato come grandissimo finale per una cena davvero speciale.

Sangiovese e Brunello di Montalcino...


E' Ezio Rivella il nuovo presidente del Consorzio del Brunello di Montalcino; succede a Patrizio Cencioni. Astigiano, 77 anni, Rivella e' cavaliere del lavoro dal 1985 e, per anni, ha ricoperto il ruolo di vicepresidente di Villa Banfi Cellars e direttore generale di Villa Banfi. Oggi e' produttore a Montalcino dov'e' presidente dell'azienda Pian di Rota. Rivella e' stato anche presidente dell'Unione Italiana Vini, del Comitato Nazionale Vini Doc, dell'Unione Italiana ed Internazionale degli Enologi, nonche' Vicepresidente dell'Office International de la Vigne et du Vin di Parigi e Presidente della Confederazione Italiana della Vite e del Vino-Unione Italiana Vini.

Esistono vini sopravvalutati?

Avete mai pensato, dopo aver aperto la bottiglia dei vostri sogni, di aver buttato i vostri soldi? A me, ad esempio, è capitato moltissime volte e non solo in riferimento a vini costosissimi. Mi succede spesso quando degusto molti supertuscan da 30/40 euro che tutto mi danno tranne che emozioni.
Ma quand’è che un vino è sopravvalutato? Seguirei in questo caso due strade: vini che presentano un rapporto qualità\prezzo pessimo e vini che hanno ricevuto voti strabilianti e che al bicchiere mostrano tutta la loro debolezza.
E’ chiaro che in entrambe i casi stiamo di fronte a valutazione puramente soggettive visto che per il russo coi soldi spendere 500 euro per un Masseto potrebbe costituire un affare mentre per altri, invece, potrebbe essere un furto.
In termini di qualità prezzo la cosa migliore sarebbe quella di degustare vini della stessa tipologia alla cieca, dare loro un punteggio, e solo dopo scoprire quanto costa quello che si è bevuto.
In tal senso, e mi espongo, ritengo il Masseto un’etichetta sopravvalutata come rapporto q/p di fascia alta. Mi spiego meglio: è sicuramente un bel merlot, ottimo in certe annate come la 2001, però mai e poi mai spenderei certe cifre per comprare un vino che, in media, non regge un lungo invecchiamento (le annate ’90 sono per me tutte in fase di decadenza spinta). A questo punto, con la stessa spesa, mi compro qualche Bordeaux serio oppure viro la mia scelta su altri merlot come il Messorio che, nonostante tutto, ha un costo minore di almeno un terzo. Per non parlare del Montiano che, seppur piacione e costruito come molti dicono, nelle grandi annate come 1997 e 2001 potrebbe dare i resti a molti compagni blasonati con una spesa che non supera mai i 30 euro al ristorante.
Butto là un’altra provocazione. Romanée Conti per me è un vino sopravvalutato, parliamo sicuramente di una bevuta assimilabile ad un’esperienza mistica, però spendere 10.000 euro per un vino, seppur immenso e mitico, è troppo. Alla cieca un La Tache, tanto per rimanere in famiglia, potrebbe schiantarlo con un risparmio notevole sul portafoglio.
E i vini premiati dalle guide e, soprattutto, da Parker dove li mettiamo? 100/100 possono cambiare la vita del produttore e far schizzare in alto il prezzo di bottiglie che solo il critico americano ha giudicato di grande qualità e futuro. L’esempio classico italiano? Il Solaia 1997, miglior vino al mondo secondo Wine Spectator, che dopo aver ricevuto il premio è passato in enoteca dalle 80 mila lire alle 400 mila lire (oggi si vende a circa 250 euro di media). Bene, se lo aprite non troverete un cattivo vino, anzi, ma un prodotto che non vale quel prezzo, tanto meglio aprire un Solaia 1994 che costa meno della metà ed è un ancora emozionante. Finchè parliamo di Solaia, comunque, rimaniamo nella sfera dei prodotti premiati, sopravvalutati ma, nonostante tutto, buoni. Vi è mai capitato invece di aprire una bottiglia premiata e di “lavandinare” subito il contenuto perché inacettabile?

Io la risposta ce l’ho, tutti i vini valutati da Maroni con un IP sopra 90…..

Percorsi di Vino denuncia: il Wcc sfratta l'ultima vigna di Parma

Il cemento e l’uva, la città e la campagna. Non siamo in una favola di Esopo ma in via Budellungo, civico 37. E’ qui, su questa cerniera sottile fra centro e periferia sud-est, che l’azienda agricola Bernardi attende di sapere di che ‘morte’ morire. In ballo c’è la sopravvivenza della fattoria, cent’anni di storia e ultima vigna nel perimetro urbano, minacciata dal Welfare Community center voluto dal Comune. Il mega quartiere di servizi integrati rischia infatti di sfrattare l’azienda, 7 ettari di tralci e grappoli che dal 1920 producono Lambrusco, Malvasia, Chiaretto, Fortana. Così sembrano dire le carte dei progettisti, che destinano i terreni della fattoria all’edificazione del Wcc. “Ma finora l’Amministrazione cittadina non ci ha comunicato nulla di ufficiale – dice Ermete Bernardi, classe ‘26, il titolare – le uniche notizie le abbiamo avute dai giornali”. E’ l’aspetto che più infastidisce il coltivatore: la mancanza di dialogo con il Comune. “Speriamo che prima dell’arrivo delle ruspe qualche responsabile si faccia vivo” alza le spalle, occhi malinconici e sorriso buono.

Diverso il trattamento riservato alla fattoria dalla Provincia, che nei giorni scorsi ha consegnato un attestato a Bernardi “per l’impegno profuso nella salvaguardia della biodiversità agraria – sta scritto su una pergamena – e nella realizzazione della viticoltura parmense”. Il riconoscimento è firmato da Tiberio Rabboni, assessore regionale all’Agricoltura e da Pier Luigi Ferrari, vicepresidente della Provincia. Piazzale della Pace premia l’azienda, il Comune vorrebbe invece cacciarla.

“Silenzio sul nostro destino” - Basta guardare le carte del piano per sospettarlo. I terreni dell’azienda potrebbero essere ‘mangiati’ dai nuovi edifici del Wcc, una cittadella da 550mila metri quadrati e 100milioni di euro (di cui 60 sborsati da privati).”Come faremo a mandare avanti la nostra produzione – domanda intanto Anna Bernardi, figlia di Ermete – una realtà che produce utili per due famiglie e per quattro dipendenti stagionali?” Mistero. “Hanno fatto tutto senza avvisarci” ripete Anna. L’aspetto più paradossale, per la donna, è “l’idea del Comune di edificare all’interno del Welfare community center fattorie e luoghi destinati alla valorizzazione dell’ambiente”. Per farlo, infatti, i costruttori dovrebbero tirare giù un’azienda agricola già esistente.

Ma Ermete Bernardi non demorde. Dice che la sua fattoria ne ha viste di tutti i colori. Incendi dolosi, trombe d’aria, la guerra. Fino a due anni fa allevava anche “le bestie”. Vacche soprattutto. Poi ha deciso di lasciar perdere, di dedicarsi solo al vino. “Negli anni abbiamo superato tante difficoltà – sorride – possibile che stavolta debba finire tutto?”. E’ pronto a trattare il coltivatore, a sedersi intorno a un tavolo con il Comune. Ma per dialogare serve essere in due. E finora nessun interlocutore s’è fatto vivo. Il calendario dei lavori per il Wcc, intanto, promette già per il 2011 la consegna dei primi edifici. I tempi sono strettissimi. Ancora poco, poi la moderna favola di Esopo potrebbe finire con l’ultimo vignaiolo che s’inchina a sua maestà il cemento.
Fonte: La Repubblica. Articolo di Marco Severo.


Forza Ermete siamo tutti con te!!

Dai Campi di Fonterenza nasce il Brunello di Montalcino delle gemelle Padovani

Fonterenza è un altro dei luoghi incantati che possiamo trovare girando nei pressi di Montalcino. Il suo nome richiama la purezza dell’acqua dalla cui fonte gli abitanti di Sant’Angelo in Colle hanno sempre bevuto in maniera abbondante. Quest’acqua sicuramente avrà rifocillato i tanti arieti, o birri in vernacolo locale, che fino a poche decine di anni fa erano allevati nella tenuta e che la gente del posto considerava così strambi che, qualcuno, in paese, ricorda un modo di dire di qui: “matto come un birro di Fonterenza”.
L’azienda agricola Campi di Fonterenza oggi ha le sembianze di due sorelle gemelle, Margherita e Francesca Padovani, le “gemelle di Milano” come dicono da queste parti, due ragazze che, sebbene cresciute nel capoluogo lombardo, hanno passato fin da bambine ogni estate ed ogni momento libero in questo angolo di paradiso acquisito dai genitori negli anni ’70.
La “pazzia di Forterenza”, assieme alla crescente voglia di passare più tempo tra la Terra, ha colpito inizialmente solo Margherita che, stabilitasi a Montalcino nel 1997, ha iniziato a valorizzare gli oliveti, imparando dai vecchi esperti i segreti della cura degli olivi, a cominciare dalle potature. Due anni dopo è stata raggiunta dalla sorella Francesca. Due gemelle non si separano mai.

La passione per il vino è nata piantando personalmente la prima vigna, nel 1999, in un appezzamento di terra circondato per tre quarti da un bosco
di lecci, querce, corbezzoli e ginepri, che sul quarto lato si apre sul paesaggio della val d’Orcia. Attualmente l’azienda può vantare circa 2,5 ha di vigneto in produzione tutto coltivato con i metodi della biodinamica.
La cantina, situata al podere e ricavata da ex stalle e granai, è divisa in spazio di vinificazione ed affinamento. In fermentazione, per il Brunello, il Rosso di Montalcino e il Lupo di Fonterenza (un IGT 100% Cabernet Sauvignon), vengono utilizzati dei tini-botte troncoconici in legno o serbatoi in legno da 5hl.
Nessun controllo della temperatura e solo utilizzo di lieviti selvaggi. L’utilizzo della solforosa è in discussione in azienda, per il momento l’obiettivo è quello di diminuire il più possibile la sua presenza che ad oggi viene utilizzata in fermentazione ed imbottigliamento.

Per l’affinamento si utilizzano a seconda della tipologia, tini-botte (18hl-38hl), botti (23hl), tonneaux, e barriques (ambiente condizionato).


Il Brunello di Montalcino 2005, la seconda annata prodotta, è inaspettatamente e schiettamente agreste, le gemelle Padovani non trasmettono al Sangiovese Grosso nulla di effimero, già al naso possiamo percepire il lato rustico del loro carattere che, ormai, è lontano dalla visioni cittadine della Milano da bere.
Ruotando il bicchiere si percepiscono evidenti le note di catrame e gomma, arricchiti da sensazioni di sottobosco umido, bacche selvatiche nere, humus, carrube. Davvero un profilo olfattivo scuro e terrestre. Al gusto deflagra per vigore e carattere, il tannino è un pò rustico, scalpitante, coerenti col naso i ritorni frutta nera e catrame. Chiude lungo, sapido, impertinente. Un Brunello fatto da due terribili “maschiacce” del vino che consiglio di seguire anche nei prossimi anni. Ne vedremo delle belle!

Ubriacature vintage: Orson Welles e lo champagne Paul Masson

Un connubio fortunato quello che negli anni '70 legò Orson Welles alla casa vinicola Paul Masson: per l'azienda pioniera del vino californiano il regista e attore girò numerosi e celebri spot trasmessi dalla televisione americana. I rapporti però si interruppero negli anni '80 quando in un'intervista televisiva Welles dichiarò di non aver mai bevuto vino Paul Masson.
A dire la verità neanche io l'ho mai bevuto. E voi? Intanto che ci pensate gustatevi questo video dove vedrete un Orson Welles che non riesce a dire nemmeno una battuta.


Il giudizio di Wine Advocate sull'annata 2007 di Tignanello, Solaia e Guado al Tasso

Sono cominciati ad uscire i primi giudizi dell'annata 2007 in Toscana. In particolare, Antonio Galloni, referente italiano di Wine Advocate, ha commentato così i vini di Antinori:

I vini annata 2007 di Antinori si sono rivelati tra i più brillanti e mozzafiato che abbia mai assaggiato da questa “azienda-punto di riferimento”. Renzo Cotarella poteva tranquillamente dormire sui suoi allori: dopo tutto, ad oggi lui è già uno dei più acclamati enologi italiani. Invece, Cotarella continua a curare e migliorare la qualità dei suoi vini in modo significativo.

Ho degustato per la prima volta le annate 2007 di Tignanello e Solaia due anni fa, quando erano ancora vini separati in singoli lotti, ma già allora era evidente che sarebbero divenuti vini speciali. Assaggiare le varietà Sangiovese e Cabernet Sauvignon, provenienti dai vigneti di Tignanello e Solaia situati nel Chianti Classico, è stata un’esperienza indimenticabile per l’unicità di questi due grandi terroirs. In particolare il vigneto di Solaia è assolutamente uno dei migliori in Italia per personalità e carattere. Uno delle più grandi e recenti modifiche che la Marchesi Antinori ha fatto è stata la vinificazione separata dei vini Guado al Tasso, Tignanello e Solaia, iniziata a partire dall’annata 2004.
Nel 2007 Cotarella ha portato questo approccio anche più avanti, creando piccoli lotti di vinificazione che hanno consentito di avere una massima flessibilità fino alla creazione del blend finale assemblato per ogni vino. L’annata 2007 porta con sé un numero significativo di cambiamenti. La varietà Syrah è stato eliminata dalla composizione del Guado al Tasso a favore del Cabernet Franc, un’uva che dimostra di essersi eccezionalmente ben adattata alla costa toscana. Se l’annata 2007 è indicativa, Guado al Tasso sta acquisendo sempre più la personalità tipica dei vini provenienti dalla zona di Bordeaux. L’azienda sta anche gradualmente utilizzando tonneaux più grandi per le varietà internazionali e sempre meno legno nuovo sul Sangiovese.

L’annata 2007 di Guado al Tasso richiama fortemente Bolgheri. Aromi di erbe dolci, caffè, spezie e confettura di amarena si esprimono in un generoso e avvolgente insieme. C’è un meraviglioso senso di opulenza e di calore nei sentori di frutta con un finale armonioso e rotondo e note pulite e minerali, che lo arricchiscono in freschezza. Questo vino è semplicemente favoloso oggi, ma è ancora giovane, e il legno ha ancora bisogno di integrarsi. Ciononostante, non è possibile non ammirare il Guado al Tasso 2007. Guado al Tasso 2007 è composto da 65% di Cabernet Sauvignon, 25% Merlot e 10% Cabernet Franc. Le uve Cabernet Franc, particolarmente mature e utilizzate al posto delle uve Syrah per la prima volta nell’annata 2007, conferiscono al vino freschezza, una caratteristica che nelle precedenti annate mancava. 94/100
Maturità presunta: 2012-2014.

Il Tignanello 2007 è meravigliosamente maturo e seducente nei suoi aromi di amarena, fiori, spezie, tabacco, salvia, cedro, menta e minerali. Si tratta di un Tignanello opulento come mai prima d’ora, ma al tempo stesso, dotato di acidità e struttura, grazie al Sangiovese, che lo trattengono ancora dall’essere al top. La ricchezza del vino e il suo calore sono tali che in una degustazione alla cieca l’ho scambiato per un vino proveniente dalla Maremma! Le note fruttate, dense e muscolose, portano ad un finale impeccabile senza spigolosità e che chiude incredibilmente bene, con tannini morbidi. In poche parole, il 2007 è un’annata magnifica per il Tignanello. Il Tignanello 2007 è composto all’80% da Sangiovese, invecchiato in botti francesi nuove di rovere da 300 lt., 15% Cabernet Sauvignon e 5% di Cabernet Franc, entrambi affinati al 100% in barriques di rovere francesi. 95/100

Maturià presunta: 2012-2027.

Il Solaia 2007 riempie il palato con una composizione inebriante di amarene mature, susine, cassis, caffè e aromi dolci di rovere francese. C’è una nota esotica in Solaia che lo rende a mio parere irresistibile. A dispetto della sua ricchezza e maturità, il Solaia 2007 non è mai pesante, ma piuttosto impressiona per la sua straordinaria finezza ed equilibrio. Note minerali, di grafite e pietrisco contornano un lungo e seducente finale. Questo è un Solaia meraviglioso contraddistinto da questa annata e dal carattere del suo vigneto. Il Solaia 2007 è costituito da 75% di Cabernet Sauvignon, il 20% di Sangiovese e il 5% di Cabernet Franc, invecchiato al 100% in legno di rovere nuovo. 97/100

Maturità presunta: 2017-2027.

Fonte: Serena Storri - Brand Manager Antinori

Tre vini bianchi per la prossima estate!

So benissimo che è difficile trovarli in circolazione però, se vi capita di entrare in enoteca, buttate un occhio sullo scaffale del Friuli Venezia Giulia o della Francia, ne potrebbe valere davvero la pena. Quelli recensiti di seguito sono tre vini bianchi davvero interessanti e freschissimi nonostante l'età. L'estate, scimmiottando una canzone dei Righeira, non sta finendo.....

Volpe Pasini - Pinot Bianco Zuc di Volpe 1999: è stato tre bicchieri nel 2001 e, a posteriori, i degustatori del Gambero ci hanno visto lungo date che a distanza di qualche anno il vino si conferma in ottima forma con le sue note di mela appena matura, pesca, agrumi e una viscerale scia minerale che segna il territorio inesorabilmente. In bocca si conferma ampio, a tratti grasso, e di buona persistenza. Potenza del grande Pinot Bianco italiano.


Château Rayas - Châteauneuf-du-Pape - Blanc 1999: 50% Granache Blanc e 50% Clairette per un vino espresso fin da subito nel mio bicchiere con intense note di mela matura, miele, cedro e una montagna di pietre frantumate che ti teletrasportavano nel centro esatto del terroir di Châteauneuf-du-Pape. Bocca anch’essa grassa, imponente, un filo alcolica che, comunque, rimaneva elegante e di buon equilibrio e persistenza.


Maison Trimbach - Clos St. Hune 1997: all’inizio parte un pò monocorde, l’impronta olfattiva non si discostava da una nota di idrocarburo e gomma pane che a molti di noi non piaceva particolarmente. Col tempo, però, il vino si pulisce ed esce tutta l’anima di questo riesling, forse la migliore espressione di questo vitigno al di fuori dei confini tedeschi. Il Clos St. Hune, minuto dopo minuto, diventa dinamico, esce la frutta matura, la grande mineralità e tutta una ricchezza organolettica che solo chi sa aspettare può godersi appieno. Lungo il finale, sostenuto da una brillante freschezza e sapidità.



Il Villa Gemma, Gianni Masciarelli e la terra d'Abruzzo

Un lungo filo conduttore lega il 5 ottobre 2008 con il 17 maggio 2010: l’amore verso Gianni Masciarelli, un uomo di Abruzzo, un vignaiolo di terra e di sole che nella sua vita ha dato tanto al mondo del vino e, forse, ha raccolto troppo poco.
Marina Cvetic, sua figlia Miriam e Rocco Cipollone poco tempo fa a Roma hanno tenuto una piccola ma significativa verticale di Villa Gemma, una delle massime espressioni del Montepulciano d’Abruzzo assieme ad Emidio Pepe ed Edoardo Valentini.
Marina parla di suo marito
con tanto amore e rispetto, ci parla di Villa Gemma, una vigna unica, generosa, dove Gianni amava portare i figli raccontando loro dell’uva, della potatura, della vendemmia, un amore incondizionato verso una territorio che Marina non ha paura ha definirlo simile ad un giardino zen, dalle proprietà magiche e spesso terapeutiche per il corpo e per l’anima. Oggi il vigneto ha circa 16 anni, presenta una densità media di 9000 ceppi per ettaro e una produzione di circa 56/58 q/ha. Il risultato? Un Montepulciano concentrato come amava Masciarelli, impetuoso e profondo come la terra da cui nasce.

Il 1994 è frutto della vecchia vigna ormai espiantata ed è figlio di una bella annata. Al naso intenso, viscerale, gioca su note di frutta rossa matura, cioccolato al latte, fiori rossi macerati, dattero, fico, possiamo perderci tra le spezie dolci che vengono avvolte da una fresca balsamicità. In bocca è vivace, la frizzante acidità e un tannino maturo sostengono la struttura del vino che rimane di grande equilibrio. Nobile la scia sapida finale che diventa protagonista del nostro palato. Nella verticale proposta rimarrà un vino unico nel suo genere.

Il 1998 sembra un vino totalmente diverso rispetto al precedente, complice forse un’annata non al top noto all’olfattiva i caratteri della terziarizzazione, c’è poco frutto, gli aromi di cuoio e caffè sono netti, poi tutto è terra, spezie nere, radici, china, rabarbaro e una balsamicità meno netta ma più avvolgente della 1994. In bocca tornano le note olfattive, ci si accorge subito però la struttura è più esile del millesimo precedente, il vino ha meno amplificazione, meno progressione anche se rimane ampio ed emozionante. Finale meno sapido del precedente. Bella espressione di un’annata normale.


Il 1999 ci porta all’interno di un’altra dimensione aromatica, il vino sembra più crudo, diretto, nette in questo caso sono le sensazioni erbacee, minerali, percepisco anche un sottofondo selvatico e solo alla fine, sommessamente, esce la frutta rossa e un fresco floreale. Il palato ci conferma che l’uva non ha preso tantissimo sole, la sovramaturazione cara a Gianni Masciarelli ha dovuto per una volta cedere il passo a caratteri enologici meno gridati ma comunque eleganti. Un bicchiere per veri intenditori di Villa Gemma.

L’annata 2000, grandiosa, ha dato vita forse ad uno dei sogni reconditi di Gianni Masciarelli: produrre il Villa Gemma perfetto, l’archetipo del suo Montepulciano, potente, concentrato ma, al tempo stesso, di straordinaria eleganza gustativa. Nel mio bicchiere ho un vino grasso, imponente già alla visiva, che esprime tutta la sua complessità e la profondità al naso dove ritroviamo tutto ciò che abbiamo scoperto nei precedenti millesimi. Non avrei spazio per inserire tutti i descrittori aromatici. In bocca mi rendo conto ancora di più che sono davanti ad un monolite, nel vino tutto è perfettamente fuso, il tannino, di grandissima maturità, sembra diventare un elemento di morbidezza, l’equilibrio è supremo così come la progressione finale del vino, lenta ed inesorabile. Se amate il Montepulciano è vino da avere a qualunque costo.


Il
2001 sarebbe il miglior vino della serata se non fosse stato offuscato dalla precedente versione. Ha un naso che parte da nette sensazioni floreali, di violetta appassita, per poi aprirsi in tutta la gamma aromatica vista per il 2000 senza però avere la sua esplosività. Una sorta di vino scia che rappresenta un altro tassello verso una perfezione che, col passare del tempo nel vigneto e con la maggiore esperienza in cantina, si sta raggiungendo anno dopo anno. Bocca che rispetto al Villa Gemma 2000 è leggermente più morbida e con un tannino più levigato. Per il resto stessa progressione e persistenza.

Aprire il Villa Gemma 2005 rappresenta il consueto infanticidio che i degustatori perpetrano normalmente durante le verticali. Naso caldo ed avvolgente, ancora da interpretare nella sua chiusura giovanile che, comunque, lascia percepire una dolcezza di frutta e fiori rossi abbinata ad una bella scia balsamica. Al sorso è potente, esuberante ancora un po’ nell’alcol e nelle durezze anche se in bocca, alla fine, tutto magicamente prende il suo posto, un tetris che porta ad un profilo aromatico retrolfattivo che ci lascia intuire il grande futuro di questo vino. Da aspettare ma non troppo.