Le Piane: ieri, oggi e domani

Pensavo di averli persi, lo giuro, ed invece i miei appunti dedicati all'ultima tappa del mio #AltoPiemonteWineTour2015 sono magicamente ricomparsi svelandomi ancora le emozioni e i sapori della visita fatta circa un anno fa presso Le Piane di Christoph Kuenzli che negli anni '90, assieme al suo amico enologo Alexander Trolf, ha investito e rilanciato il territorio di Boca, ormai quasi abbandonato, dopo aver conosciuto l'ottantenne Antonio Cerri ed essere rimasto folgorato dal vino, praticamente invenduto, che questi teneva custodito nelle sue vecchie botti. Non so con certezza cosa sarebbe oggi questa terra senza la forza, anche finanziaria, di Christoph ma, di certo, so che da allora, ovvero da quando l'areale del Boca poteva contare solo su 10 ettari vitati, molte cose sono cambiate, migliorate se pensiamo che, oggi, solo Le Piane possiede circa 8 ettari di vigneti, tra nuovi e vecchi, grazie ad un costante lavoro di acquisizione di tanti piccoli appezzamenti di bosco trasformati poi in vigne di almeno un ettaro e mezzo.



Ad aspettarmi, questa volta, non ci sarà Christoph ma Giampi (Giampiero Renolfi), il suo fido responsabile commerciale, che con la macchina già accesa parcheggiata davanti al punto vendita aziendale è pronto per coinvolgermi nel "classico" giro dei vigneti.

Iniziamo dal vigneto Traversagna  che si trova ad un’altezza che va dai 450 ai 470 metri s.l.m., e comprende le aree denominate “Chiò”, “Alta Vecchia”, “Alta Nuova” e “Bassa”, nel comune di Prato Sesia. Ha una superficie di 17.200 metri, ed è composto da 6000 piante, allevate con sistema Guyot semplice ed in parte a terrazza, delle varietà nebbiolo 72,5%, vespolina 27%, sirah 0,5%. In particolare Giampi mi fa vedere l'ultimo pezzo di vigna che è stato piantata, circa 8000 metri, che si caratterizza per le piante provenienti da elezione massale dei vigneti vecchi di Maggiorina di Boca e consiste di 60% vespolina, 20% croatina, 8% nebbiolo e malvasia di Boca 2%.


Per motivi di tempo non passiamo presso Mottosergo (1 ettaro e mezzo nel comune di Boca composto da nebbiolo 85%, vespolina 14%, uva rara 1%) e Valvecchi (1 ettaro e mezzo nel comune di Boca composto da nebbiolo 63%, vespolina 25%, uva rara 2%, barbera, syrah e croatina 10%) perchè ci dirigiamo dritti al cuore storico dell'azienda visitando il Cru Le Piane. 

Il vigneto si trova ad un’altezza che va dai 420 ai 460 metri s.l.m., e comprende le aree denominate “Cerri” (impianti anni '20 ristrutturati nel 2001) e “Meridiana”. Ha una superficie di 14.000 metri, ed è composto da 7000 piante, allevate con sistema Guyot semplice, delle varietà Nebbiolo 88%, Vespolina 11%, uva rara 1%. 

Un posto magico, dal silenzio assordante. Solo ora capisco perchè Christoph si è innamorato di questo territorio. 

Alzo lo sguardo verso la vigna del Cerri e la mia mente si immagina il buon Antonio chino sulla schiena a coccolare le sue piante.

 
 

Sotto la vigna “Meridiana” proseguono due vigne vecchie, appartenenti a Santino Oldrati e Bruno Duella, dove da 10 anni si raccolgono le uve che finiranno nel vino "Maggiorina". 

Riprendiamo il tour e scendiamo leggermente a valle dove Giampi mi fa visitare velocemente la zona denominata Montalbano-Castello "Le Vecchie Maggiorine". La tutela del passato in questo caso è ancora più evidente visto che l'azienda, con sforzi notevoli, è riuscita a custodire e valorizzare, grazie anche all'opera di Anna Schneider dell’Università Agraria di Torino, oltre 10 appezzamenti piccoli (ca. 1000-2000 metri quadri ciascuno) di vecchie vigne (anno 1915 circa)  allevate a “Maggiorina” composte da croatina 70%, nebbiolo 10%, vespolina 10%, e 10 altre varietà autoctone fra quali anche uve a bacca bianca come erbaluce e malvasia di Boca. Le uve vengono usate per il vino “Maggiorina” e da una selezione dei vigneti più alti e ripidi per il vino “Piane”.


Terminiamo la discesa tra boschi e (pochi) vigneti e, ripresa la strada principale proseguiamo verso la cantina situata, guarda un po', a Via Cerri. Una moderna cancellata in ferro fa da guardiano ad un altro pezzo di storia preservato da Cristoph e i suoi soci.





Passando vicino a quelle botti che un tempo furono del Cerri e che oggi, ovviamente, sono state integrate da altri contenitori, vengo pervaso come da un senso mistico che Giampi riesce a farmi passare invitandomi ad assaggiare i vari vini in affinamento molti dei quali, oggi, in commercio.

Partiamo degustando la Maggiorina 2014 (40% nebbiolo, 40% croatina, 5% vespolina, 15% altre uve autoctone, anche di bacca bianca) che in questa fase giovanile risulta ancora leggermente scomposta ma dotata di grande complessità giocata tra frutta rossa e spezie.


Il Mimmo 2013 (65% nebbiolo, 30% croatina, 5% vespolina) è invece molto più pronto del precedente è grazie al suo cuore "vinoso" risulta già ora di beva irresistibile.


Il Le Piane 2012 (90% croatina e 5% vespolina) mi piace molto per la sua spigliatezza mediata da un affinamento in tonneaux che ne addolcisce la carica tannica rendendola al tempo stessa fresca, vivace e di grande profondità. Le vecchie vigne da cui proviene non mentono.


Del Boca (nebbiolo 85% e vespolina 15%), degustato dalla botte nei millesimi 2013, 2012 e 2011, non mi sento di fornire giudizi visto che, con le ovvie differenze date dall'annata, sono oggi ancora abbastanza enigmatici e in evoluzione. L'unica cosa certa riguarda la piacevolezza del vino che anno dopo anno Cristoph e il suo staff riescono a migliorare regalandoci Boca sempre più misurati ed eleganti. Il Cerri ha lasciato la sua eredità in buone mani.


Come al solito si è fatto tardi e dobbiamo rientrare alla "base" anche perchè nel primo pomeriggio ho l'aereo per Roma. Giampi, però, un'ultima chicca me l'ha lasciata e prende le forme liquide del Plinius 2007.


Il nome, anzitutto, deriva da Plinio il Vecchio, scrittore romano, che già nella sua Naturalis Historia (23 – 79 d.C.) aveva parlato dei vini di questa bellissima terra piemontese. La storia del Plinius è invece più recente e ha una sceneggiatura che solo dopo molte peripezie ha raggiunto il lieto fine. Giampi, infatti, mi spiega che il Plinius è il risultato di un mosto "impazzito" di nebbiolo da Boca che, per chi sa quali motivi, durante la fermentazione in una specifica vasca di acciaio aperta ha raggiunto temperature proibitive che hanno toccato anche i 38°. "Ovviamente - mi spiega - i lieviti hanno cessato di lavorare prima che tutto lo zucchero residuo, ce ne erano ancora 12 g/l, fosse trasformato in alcol.

Tutto sembrava perso ma, colpo di scena, il vino ricomincia a fermentare anche se in maniera lentissima. E pur si muove, deve aver esclamato Cristoph che a gennaio 2008, segue il suo istinto e, dopo aver svinato, travasa il vino all'interno di una grande botte di rovere di Slavonia. Il nebbiolo ripaga il suo coraggio, lentamente si "muove" e, anno dopo anno, evolve, migliora, perde ogni sentore di ossidazione. Il baco sta prendendo le sembianze della farfalla e finalmente, dopo cinque anni,  Cristoph riesce a domare questo vino che, dopo essere stato tagliato con  un saldo di vespolina, è stato imbottigliato ed affinato per altri 18 mesi".



Degustando il vino, curioso come una scimmia, ho potuto notare che, in effetti, questo Boca ha una marcia in più. Probabilmente questa (inattesa) modalità di vinificazione, e il successivo affinamento, hanno conferito a questo vino una tridimensionalità che altri stentano a raggiungere. E' profondo e di grande struttura ma, al tempo stesso, di grandissima bevibilità. E' fresco e verticale ma, contemporaneamente, si fa spazio in bocca allargandosi prepotentemente e puntellando il cavo orale di insospettabili rotondità. Memorabile se dovessi dare un giudizio per quanto riguarda la persistenza. Territoriale fino al midollo che mi si chiedesse di descriverlo in poche parole.

Di Plinius 2007 sono disponibili solo 1998 bottiglie e 600 magnum e, al dettaglio, costa più o meno 85 euro. Molto? Beh, Cristoph ha lanciato la sfida: il grande Boca, anche sui mercati internazionali, non è secondo a nessuno!

Al TWIGA di Briatore i russi festeggiano spendendo 250 mila euro in Champagne!

Scandalo in Russia perchè i due calciatori Aleksandr Kokorin e Pavel Mamaev, dove essere usciti malamente da Euro 2016 con la propria nazionale, sono stati ripresi al Twiga di Montecarlo mentre ordinavano 500 bottiglie di champagne “Armand de Brignac” spendendo 250 mila euro.

I festeggiamenti, come vedete, sono stati sobri....



La difesa dei due calciatori? Beh, hanno detto che la festa non è stata organizzata da loro e anche Flavio Briatore, proprietario del locale, ha confermato su Istagram che, in effetti, durante una festa privata i due calciatori sono stati riconosciuti dagli ospiti che per rendergli omaggio gli hanno inviato tutti i tipi di bottiglie di champagne. I giocatori, però, hanno toccato alcolici. 

Gli crediamo? Ma sì, dai! Nel caso, caro Briatore, la prox volta fai uno squillo che ai russi ci penso io. 

Ho già sete!

Le Morette - Lugana Benedictus 2014 per il Vino della settimana di Garantito IGP

Di Angelo Peretti

Mandarino, tanto mandarino. Mi piace quando i vini sanno d’agrumi. Con la sua indole agrumata, il Benedictus 2014 delle Morette è un Lugana che ho gradito assai nel calice, e che serberò nella memoria. 


E poi ha il sale, e anche questo mi piace, e molto. Da una vendemmia tarda da vecchie vigne.

Gli agrumi di Sicilia dentro la bottiglietta - Garantito IGP


DI Angelo Peretti
Da incallito bevitore di chinotto qual sono, Tomarchio è per me un nome di culto. Azienda siciliana di Acireale (venne fondata nel 1920 dal Cav. Filippo Tomarchio, che andava a vendere porta a porta la sua gassosa torbida), fa un chinotto che è tra i miei preferiti, e insieme col chinotto ci metto la sambuca, che imbottigliata da loro non è un liquore, bensì una rinfrescante, gradevolissima bibita gassata che sa di anice. Ordunque, ho scoperto che adesso in casa Tomarchio si fa anche una linea di bibite bio. O meglio, come dicono loro, si fa "Sicilia in bottiglia bio", ché la produzione di cui parlo è tutta a base di agrumi siciliani. O meglio ancora - è un'escalation -, trattasi di cinque differenti fragranze agrumate fatte, assicurano, con agrumi da agricoltura biologica di Sicilia, con acqua dell'Etna, con zucchero di canna biologico, con aromi naturali e oli essenziali e senza conservanti.
"La linea Tomarchio bio - garantiscono sul loro sito - è il primo progetto di filiera che garantisce succhi di agrumi dalla provenienza interamente tracciabile grazie a una collaborazione con il Distretto produttivo agrumi e i Consorzi di tutela arancia rossa igp e Limone di Siracusa igp".
Io queste nuove bibite gassate bio agli agrumi me le sono bevute di gran gusto e sono qui a dire che hanno tirato fuori dei bellissimi prodotti, superandosi. D'altro canto, l'esperienza conta eccome, e di esperienza ne hanno parecchia.
Oh, quasi quasi dimenticavo di dire quali sono le bibite della nuova serie.
Ordunque: aranciata rossa bio con il 16% di succo di arancia rossa di Sicilia igp, limonata bio con il 16% di succo di limone di Siracusa igp, aranciata bio con il 16% di succo di arancia di Sicilia, mandarino bio con il 16% di succo di mandarino di Sicilia e, ovviamente, chinotto bio con estratto di chinotto.
Provare per credere.
Sibat Tomarchio
Via Loreto Balatelle, 52
Piano d'Api, 95020 Acireale (CT)
Tel. +39 095 7652192

AL VIA LE AUTOCANDIDATURE AL “PREMIO KYLE PHILLIPS" 2016

Sono ufficialmente aperte le (auto)candidature alla III edizione del PREMIO KYLE PHILLIPS, istituito da ASET (www.asettoscana.it) e destinato al giornalista enogastroagroalimentare under 35 più anticonformista dell'anno, il cui lavoro abbia cioè meglio rappresentato il modo di fare informazione che fu del collega e amico Kyle Phillips, prematuramente scomparso nel 2013: assoluta mancanza di pregiudizi, curiosità professionale, serenità di giudizio, voglia di esplorare, franchezza, brillantezza nello scrivere e sobrietà nel comportamento.

KYLE PHILLIPS

Il concorso è aperto a tutti i giornalisti iscritti all’Ordine operanti sul territorio nazionale che, non avendo compiuto il 35° anno al 31 dicembre 2016, si occupino in modo non occasionale di vino, enogastronomia, cibo, alimentazione, agricoltura, agroalimentare e ristorazione.

L'invio delle candidature (con segnalazione da parte dei colleghi della stampa o tramite autocandidatura dei soggetti in possesso dei requisiti di cui sopra), che dovranno essere necessariamente motivate e possibilmente accompagnate da materiale giustificativo e/o curriculum professionale, dovrà avvenire entro lunedì 22 agosto 2016 all’indirizzo premiokyle@gmail.com


Il premiato verrà scelto dopo un’adeguata istruttoria ad insindacabile giudizio del direttivo di Aset. La targa di riconoscimento sarà consegnata personalmente da Elisabetta, moglie di Kyle, nel corso di una cerimonia aperta al pubblico in programma martedì 20 settembre all'Hotel Regency di Firenze. Se toscano, il vincitore verrà cooptato in Aset; se non toscano otterrà la qualifica di socio onorario.
ll bando di concorso completo è visionabile sul sito www.asettoscana.it

Per maggiori informazioni è possibile chiamare il 338.8469801.

Attenzione il vino blu esiste ed è già in mezzo a noi!!

Tanto tempo fa, se vi ricordate, ci fu un grande scandalo legato alla mozzarella blu le cui cause erano dovute alla presenza di batteri del tipo Pseudomonas fluorescens. 

Ovviamente nessuno aveva intenzione di mangiare quel latticino che sembrava uscire dal mondo dei Puffi.


Foto: www.meteoweb.eu

Se invece vi proponessero un vino blu, lo berreste? Io, ad esempio avrei più di una remora ma, a ben vedere dagli articoli apparsi in questi giorni sul web, molti wine lovers come me nel mondo non hanno battuto ciglio quando l'azienda spagnola Gik ha proposto loro di bere il primo VINO BLU al mondo. Sì, avete capito bene, un gruppo di giovani spagnoli (viticoltori, designer, programmatori, artisti e musicisti), con l'aiuto dell'Università dei Paesi Baschi, ha avviato questa start up utilizzando l'uva di vari vigneti sparsi in Spagna ovvero da La Rioja, Zaragoza, León e Castilla-La Mancha.


Il vino, prodotto attraverso la vinificazione di uve a bacca bianca e rosse a cui sono aggiunte, per ottenere il colore blu, antocianina, contenuta nelle bucce dell'uva rossa, ed indiogotina, un colorante naturale.


"Abbiamo mescolato un po' le carte per vedere cosa sarebbe successo" così i sei creativi dietro il vino blu hanno commentato il loro nuovo prodotto che si prefigura facile da bere grazie al suo grado alcolico di 11,5%.  

Il video sottostante spiega velocemente come questo "blue wine" è prodotto.



Il vino oltre in Spagna sarà presto in vendita in Germania, Francia e Regno Unito a circa 10 euro. Non vedete l'ora di comprarlo eh!!!


Ci vediamo il 6 Luglio presso Vyta Santa Margherita - Villa Borghese?


Clicca sull'immagine

La Costa - San Giobbe 2005 per il VINerdì di Garantito IGP

Di Lorenzo Colombo

Apri una bottiglia che davi ormai per spacciata ed ecco il miracolo.
Un vino elegantissimo, equilibrato e dalla lunga persistenza, che ha tutto quello che ci si aspetta da un Pinot nero invecchiato.


E' un vino da tavola, le cui uve, vendemmiate nel settembre 2005 provengono dalla Valle del Curone, nella Brianza lecchese…ed ovviamente era l'ultima bottiglia.


Produttori del Barbaresco: Le MGA del Barbaresco (di Barbaresco) - Garantito IGP

Di Lorenzo Colombo

La Cooperativa PRODUTTORI DEL BARBARESCO nasce dalle ceneri delle “Cantine Sociali di Barbaresco” volute nel 1894 da Domizio Cavazza, preside della Regia Scuola Enologica di Alba e “padre” del vino Barbaresco.
Fondata nel 1958 da Don Fiorino Marengo, parroco di Barbaresco, riuniva allora diciannove viticoltori.

Attualmente l’azienda può contare su oltre cento ettari vitati a Nebbiolo (circa due quinti della superficie a Nebbiolo del comune), suddivisi tra cinquanta soci e tutti situati nel comune di Barbaresco. Qui la “Produttori” vanta inoltre vigneti in ben nove delle venticinque MGA comunali.

L’azienda produce un Nebbiolo Langhe Doc, con uve provenienti dai vigneti più giovani, un Barbaresco Docg (prodotto sin dal 1958), con uve provenienti dalle diverse MGA e, unicamente nelle migliori annate nove Barbaresco Riserva Docg con la Menzione aggiuntiva in etichetta. 
Appunto su queste MGA, dell’annata 2011, verteva la degustazione effettuata in azienda, e condotta da Aldo Vacca, in occasione di Nebbiolo Prima, nello scorso mese di maggio.


I vini sono stati presentati a gruppi di tre, ecco le nostre osservazioni:
  
MGA Pora

Ventidue ettari e mezzo di vigneti che arrivano quasi a lambire il Tanaro, situati tra i 170 ed i 250 metri d’altitudine, confina a nord e ad est con la Mga Faset e ad est con le Mga Asili e Martinenga.
La maggior parte dei vigneti sono di proprietà di soci della Produttori, i rimanenti sono suddivisi tra altre cinque aziende.
16.666 le bottiglie prodotte in quest’annata.
Color granato di buona intensità.
Bel naso, balsamico, un poco chiuso all’inizio.
Alcolico, sapido, dotato di buona struttura, lunga la persistenza su sentori di liquirizia. 85-86/100


MGA Pajé

E’ una tra le più piccole Mga, con meno di otto ettari di superficie, collocata nel cuore dei vigneti di Barbaresco, è suddivisa tra quattro produttori ed è situata ad un’altitudine compresa tra i 210 ed i 260 metri. Confina ovest con la Mga Secondine ed a sud con la Cars.
10.000 le bottiglie prodotte nel 2011.
Granato di buona intensità.
Frutto rosso leggermente macerato, note di terra bagnata, balsamico.
Buona la struttura, alcolico ma fresco, con bella trama tannica e lunga persistenza su note di liquirizia forte. 87/100
  
MGA Ovello

Con i suoi oltre settantotto ettari è la più grande Mga del comune di Barbaresco, situata nella parte nord del comune, confina con le Mga Vicenziana, a nord e con la Montefico a sud. L’altitudine varia dai 160 ai 275 metri. Date le dimensioni è suddivisa tra dodici diverse aziende, anche se la parte più cospicua appartiene a conferitori della Produttori.
16.560 le bottiglie prodotte, oltre a 1.720 magnum.
Color granato di buona intensità.
Intenso ed elegante al naso, presenta note balsamiche.
Fresco, balsamico, sapido strutturato, con tannini importanti (è il più tannico tra i primi tre vini), lunghissima la persistenza su sentori di radice di liquirizia. 87/100

MGA Rio Sordo

Venticinque ettari tra i 190 ed i 315 metri d’altitudine, confina ad ovest con la Mga Cà Grossa ed a est con la Tre Stelle, mentre a sud, al confine con Treiso, con la Pajorè. I suoi vigneti sono suddivisi tra otto aziende.
Le bottiglie prodotte nel 20122 sono state 13.333.
Granato luminoso.
Un poco chiuso all’inizio, balsamico, con sentori di frutto rosso maturo.
Di buona struttura, alcolico, balsamico, note di legno dolce, bella la trama tannica -con tannini morbidi-, lunga la persistenza su note di liquirizia. 89/100

MGA Asili

I quattordici ettari di vigneti, collocati tra i 200 ed i 290 metri d’altitudine, sono suddivisi tra dieci aziende e sono circondati dalle Mga Pora, Faset, Cars, Muncagöta, Rabajà e Martinenga.
13.333 le bottiglie prodotte nel 2011
Granato luminoso.
Mediamente intenso al naso, balsamico, molto elegante.
Intenso, di buona struttura, asciutto, con tannini importanti ma ben amalgamati, lunga la persistenza su note di liquirizia forte. 87-88/100
  
MGA Montefico

Piccola Mga (otto ettari circa) situata ai confini sud della Ovello e che fronteggia, verso sud, la Monte Stefano, la maggior parte dei vigneti sono di soci della Produttori, i restanti sono suddivisi tra altre quattro aziende, l’altitudine varia tra i 170 ed i 280 metri.
La produzione nel 2011 è stata di 13.333 bottiglie.
Color granato luminoso di buona intensità.
Naso balsamico, elegante, intenso, con note di legno dolce.
Bel frutto speziato, buona la struttura, sapido, note di liquirizia forte, lunga la persistenza. 88-89/100
  
MGA Muncagöta

Poco meno di dieci ettari, situati tra i 250 ed i 315 metri sul livello del mare. Confina ad ovest con le Mga Rabajà Bas, Cars e Asili, a sud con  Rabajà e ad est con Ronchi. Oltre alla Produttori vi si trovano i vigneti di altre tre aziende.
16.666 le bottiglie prodotte nel 2011.
Granato di buona luminosità.
Naso elegantissimo e complesso, balsamico. Notevole.
Note dolci al palato, alcolico, strutturato, sentori di spezie dolci, lunghissima la persistenza su note di liquirizia dolce. 90-91/100
  
MGA Rabaja

Sono poco più di quindici gli ettari di questa Mga rivendicata da diversi produttori. Si sviluppa tra i 235 ed i 315 metri d’altitudine e confina a nord con Muncagöta, ad ovest con Martinenga, a sud con Trifolera e ad est con Cottà.
Nel 2011 sono state prodotte 16.524 bottiglie e 1.738 magnum.
Granato di buona luminosità.
Bel naso, elegante, delicato, balsamico con sentori di legno dolce.
Morbido al palato, elegante, con tannini decisi ma vellutati, sentori di liquirizia forte, lunga la persistenza. 88-89/100
  
MGA Montestefano

Circa dieci ettari situati tra i 175 ed i 265 metri d’altitudine, confina ad ovest con Cole, a sud con Ronchi ed a ovest con Cottà, mentre a nord fronteggia (senza però confinarvi) con Montefico. Oltre alla Produttori posseggono qui vigneti altre cinque aziende.
16.584 bottiglie, oltre a 1.708 magnum, la produzione del 2011.
Abbiamo già terminato la degustazione del vino e messo su carta le nostre annotazioni quando Aldo Vacca stabilisce che la bottiglia non è perfettamente a posto, ne viene quindi aperta una seconda ed in effetti la nostra opinione cambia (in positivo).
Granato di buona intensità.
Bel naso, elegante, leggermente austero, intenso e balsamico.
Fresco al palato, balsamico, minerale, alcolico, con tannini importanti e lunghissima persistenza su note di liquirizia. 89-90/100


La nostra degustazione s’è conclusa con una miniverticale di due annate della Riserva Monte Fico.
  
2007: Color granato tendente al mattonato.
Intenso al naso, con sentori terziari che rimandano al cuoio ed ai fiori appassiti, elegante e di buona complessità.
Fresco e balsamico, con accenni di rabarbaro e leggera pungenza, sapido, lunga la persistenza su sentori di radice di liquirizia. 89/100
  
2005: Granato di buona profondità, unghia aranciata.
Intenso al naso, leggere note macerative, sentori chinati, asciutto, austero, con tannini vivissimi, chiude lunghissimo su sentori di bastoncino di liquirizia. 86-87/100

Dell'artigianalità del vino e di Loreto Aprutino


Doveva essere, e in parte sicuramente lo è stato, un seminario sulle specificità del Trebbiano, del Cerasuolo e del Montepulciano d’Abruzzo prodotti a Loreto Aprutino (PE), territorio di grande vocazione agricola situato a metà strada tra il mare Adriatico e il Gran Sasso ma, quando si ha a che fare con i tre vignaioli come Francesco Paolo Valentini, Fausto Albanesi (Azienda Agricola Torre dei Beati) e Stefano Papetti (Azienda Agricola De Fermo), c’è sempre il rischio che il tema della serata, ideata e condotta da Giampaolo Gravina all’interno della manifestazione Amelia DOC, possa imboccare strade alternative, ma al tempo stesso affascinanti, dove i vini in degustazione sono solo un pretesto per intraprendere discorsi ben più ampi ed articolati che, come in questo caso, hanno puntato dritto su un concetto che sta molto a cuore ai “tre moschettieri loretesi” ovvero quello dell’artigianalità del vino.


Secondo Francesco Paolo Valentini, che per primo ha preso la parola scuotendo come al solito la platea, “il vino artigiano non è direttamente riconducibile alla mano dell’uomo ma deriva espressamente dal territorio che ne è il vero artefice, è la vigna e non la cantina la vera forza di questo concetto. Essere artigiano, pertanto, significa lavorare essenzialmente con la materia prima, rispettare di conseguenza il vino e, cosa fondamentale, salvaguardare il consumatore. Cosa faccio io, in pratica, per considerarmi artigiano? Lavoro in vigna con metodi tradizionali, non uso sistemici, uso rame e zolfo e soprattutto pongo in essere grandi lavorazioni del mio terreno che, per come gestisco io il vigneto, sono attività fondamentali. In cantina, come detto in precedenza, faccio ben poco, tutte le fermentazioni sono spontanee senza controllo di temperatura. Non acquisto lieviti estranei questo perché questi, assieme al tipo di cultivar, vanno a marcare inevitabilmente le sensazione organolettiche del vino e non voglio che questo accada. In tema di fermentazioni spontanee devo anche sottolineare che negli ultimi anni queste stanno diventando sempre più difficili da gestire visti i grandi cambiamenti climatici in atto che, come detto prima, vanno ad interferire nella parte iniziale del processo di vinificazione che ultimamente sta scontando il problema delle temperature esterne spesso estremamente elevate che, tra i vari problemi, possono creare arresti di fermentazione che, se ben gestiti dall’artigiano che conosce perfettamente la sua materia prima, possono anche non essere così deleteri come si potrebbe pensare visto che alla fine si crea una selezione a scalare di lieviti che donano complessità al vino. So perfettamente che è un gioco rischioso ma il gioco dell’artigiano è anche questo, non c’è nulla da fare. Poi, a mio parere, il vino dell’artigiano va in bottiglia senza altre operazioni post vinificazione se non rapidi travasi e tanto amore….”

Per leggere l'articolo completo cliccare QUA e verrete portati sul sito di VINIX

Vignaunica, Chardonnay veronese IGP 2014 - Guerrieri Rizzardi per il VINerdì di Garantito IGP

Di Stefano Tesi


Tremilatrecento bottiglie in un due ettari ‎di vigna sono la riprova che lo Chardonnay può piacere pure a me, se è profondissimo e austerissimo come questo. 

Dicono possa campare anche quattro anni, io dico di più. 

Ma non posso dimostrarlo, perchè ho finito le scorte.

Ho assaggiato in anteprima i vini olimpici made in Brasil - Garantito IGP

Di Stefano Tesi

Tu chiamala, se vuoi e prima di tutto, curiosità. Poi compiacimento. Poi divertimento. Ma alla fine devi confessare a te stesso che, giornalisticamente parlando e non solo, bicchiere alla mano i vini commissionati dal Comitato Olimpico Brasiliano per celebrare gli imminenti Giochi di Rio de Janeiro sono interessanti.


Primo, perché da un punto di vista europeo e, aggiungo, più ampiamente occidentale, il Brasile tende tuttora ad essere considerato una sorta di ufo enoico. E non è facile convincersi che anche laggiù esistano il clima, il suolo, le professionalità, la tecnologia e i mercati per produrre vino di qualità.

Secondo, perché l’assaggio dimostra che il livello della produzione di qualità è sia  ampiamente in linea con gli standard medi internazionali, sia non privo di prospettive in termini di identità propria.

Terzo, perché a mio modesto parere è altamente significativo che quel paese, certamente molto noto più per altre ragioni che non come produttore vinicolo, abbia invece deciso di mettere proprio il vino tra i suoi testimonial olimpici.

Non escludo, lo ammetto, che sulla mia favorevole impressione finale abbia potuto influire la cornice scelta per la presentazione alla stampa: una sala del secondo piano dell’ambasciata brasiliana a Roma, affacciata su piazza Navona, in una magnifica giornata di giugno. Ma il contenitore, si sa, fa in qualche modo parte del prodotto.


Il Comitato ha scelto, per realizzare la linea principale dei “vini olimpici”, la Lidio Carraro, azienda dal lungo curriculum specifico (hanno realizzato anche i vini per i Mondiali di calcio del 2014 e per gli Open di tennis di quest’anno), con soli vigneti di proprietà (50 ettari attualmente, 200 in prospettiva) in Serra Gaucha, una delle aree a massima vocazione vinicola del paese, ubicata nel più meridionale degli stati brasiliani, il Rio Grande do Sul, al confine con Argentina e Uruguay.

Le bottiglie griffate con i cinque cerchi portano il marchio “Faces”, alludendo al fatto che cercano di mostrare i diversi “volti” dell’enologia del paese. Prevedono tre spumanti metodo Martinotti (un moscato dolce, un brut e un rosato) e tre vini fermi (uno chardonnay, un rosato di pinot nero e un rosso a base merlot). La tiratura è di 350mila pezzi (su un totale di 500mila bottiglie olimpiche), per una forcella di prezzo tra i 4 e i 40 euro. I formati previsti sono la 0,75 e la 0,125 (il “bicchiere”). La commercializzazione avverrà solo in Brasile e unicamente durante il periodo dei Giochi.


Abbiamo assaggiato tre campioni:

Spumante rosè: rosa pallido molto trendy, un naso con sentore molto intenso e quasi sorprendente di lievito e di farina, in bocca è asciutto, piuttosto acido e facile, prodotto esplicitamente per un pubblico ed un consumo vasti.

Chardonnay 2015 (nb: vendemmiato a febbraio del 2015): il colore è giallo oro molto pieno, al naso è floreale, ma meno stucchevole del previsto, con marcati e inattesi sentori di roccia; in bocca risulta molto varietale, secco, con buona acidità e lunghezza.

Merlot 2013 (con cabernet sauvignon e tannat): colore rubino scuro e opaco, al naso ha uno stile molto internazionale con marcata frutta rossa, mentre in bocca è asciutto, con tannini marcati ma armonici e buona profondità.

Vini da medaglia d’oro? Direi di no.

Ma la scommessa è interessante. Doppia, anzi tripla: lanciare il vino come prodotto  “nazionale” presso la vasta quota di pubblico brasiliano che non ne consuma affatto, proporre le bottiglie made in Brasil all’attenzione del mercato mondiale non come alternativa, ma come qualcosa di diverso dai più celebri vini cileni e argentini e infine utilizzare la leva enoica come strumento di marketing territoriale a favore delle aree del paese turisticamente meno conosciute, come appunto il Rio Grande do Sul.

E infatti, comunque vadano le Olimpiadi, la voglia di andare a vedere le vigne è già tanta.

Cottanera - Etna Rosso Contrada Zottorinotto Riserva 2011

Se proprio dobbiamo confrontare la Borgogna e l'Etna, i cui vini sono spesso paragonati in maniera azzardata, l'unico tratto comune che potrebbe legare questi due territori riguarda la recente consapevolezza da parti di molti vignaioli siciliani che le varie contrade etnee, grazie alla loro eterogeneità pedoclimatica, possano rappresentare dei veri e propri Cru dai quali tirar fuori vini fortemente caratterizzati dal terroir di appartenenza. 

Di tutto ciò ne sono estremamente convinti a Cottanera tanto che, dal 2011, Mariangela, Francesco ed Emanuele Cambria, assieme allo zio Enzo, decisero che era giunto il momento di valorizzare queste differenze all'interno del loro Nerello Mascalese creando la prima riserva dell'azienda: l’Etna Rosso Contrada Zottorinoto.

Mariangela Cambria - Foto: www.siciliainrosa.it

Cosa ha di speciale questa parcella? Cercherò di spiegarlo in poche parole. Siamo tra i 780 e gli 820 metri di altezza ma nonostante tutto il mare, che nelle giornata terse si può vedere in lontananza, è sempre presente nell'aria che dalla costa soffia verso la montagna. 


Francesco Cambria ricorda bene quando nel 2000 il vigneto Zottorinoto - l’unico appezzamento fuori dal corpo centrale dell’azienda - venne acquistato da suo padre e suo zio:“Erano alla ricerca del clone ottimale di nerello mascalese che, per loro convinzione, doveva essere ad acino piccolo e spargolo. E' stata una ricerca lunga che fortunatamente si concluse quando trovarono questi 4 ettari di nerello, con cui poi furono innestate tutte le viti della nostra azienda.”

La vigna
A Zottorinoto le viti, che hanno una media di 60 anni di età, si aggrappano su un terreno tipicamente lavico, una terra nera dove le sabbie etnee impolverano i filari dove le viti sono piantate a spalliera o ad alberello secondo l’esposizione, la pendenza e l’altitudine. 
Da un punto di vista strettamente tecnico il vino è il risultato finale di una fermentazione a temperatura controllata in acciaio a cui segue una malolattica ed un affinamento 24 mesi in botte di rovere francese. Altri 24 mesi di "bottiglia" e la Riserva può uscire sul mercato.

Ingresso della cantina
Cantina

L'annata 2011 (1978 bottiglie prodotte) ha dato vita ad un nerello mascalese assolutamente didascalico dove l'anima nera del vulcano, suprema e regale, dota il vino di un impatto olfattivo austero e complesso grazie alla formazione di tante piccole "finestre" aromatiche dove, a diverse cadenze temporale, spuntano fuori intense ed avvolgenti note di fiori rossi, rabarbaro, erbe officinali, liquore di carciofo e felce.



Al sorso il vino è purezza ed energia, dinamismo e simmetria, tattilità e progressione balsamica. Questo Etna Rosso Contrada Zottorinoto è davvero un vino delizioso e territoriale, come se ne trovano pochi in giro, per cui l'unica colpa che posso fare alla famiglia Cambria è di farne troppo poco. La vita è troppo breve per bere vini cattivi!

Valle Reale - Vigneto di Popoli 2009 per il VINerdì di Garantito IGP



di Luciano Pignataro

Sono ormai più di dieci anni che Leonardo Pizzolo lavora tra freddo siberiano e neve abruzzese lì dove il Gran Sasso si sbaciucchia con la Majella: 40 ettari tra Popoli a San Callisto sui 350 metri e una ventina a Capestrano. I suoi bianchi mi piacciono davvero tanto. Non solo il Capestrano. Anche il Popoli sfida bene il tempo, come questo 2011 in forma smagliante, cremoso e fresco allo stesso tempo.

www.vallereale.it


Camerlengo 2009, l’Aglianico del Vulture di Cascarano - Garantito IGP

Di Luciano Pignataro

Antonio Cascarano è il Camerlengo del Vulture. Antonio Cascarano e il Camerlengo del Vulture. In Usa sarebbe un weekender, ossia uno che fa dell’hobby un lavoro nel tempo libero perché la sua attività principale è fare l’architetto a Roma.
Ma per chi è figlio del Sud, faccia da brigante e colorito olivastro, fare vino significa rivivere l’infanzia e i suoi ricordi, soprattutto se si è originari di una zona come il Vulture, patria dell’Aglianico, a lungo unica doc regionale e ora con una docg che è talmente incasinata che nessuno ci crede.


Antonio è una di quelle persone che mi piace frequentare perché a tavola sciampagna e mangia con la gioia di chi ama la vita. Palato pre-omogeneizzati, viva i sapori forti, dal pecorino allo gnummariddo.
E il suo vino, potevate dubitarne, serve proprio ad accompagnare questi cibi solidi, rurali. Il Camerlengo 2009, carico di frutta nonostante l’annata complicata e piovosa nel finale, ha tannini strepitosi e freschezza ancora più appagante. Forse un filo di stanchezza al naso, ma in poca è pimpante e frizzante come non mai.

L’azienda di Antonio è a Rapolla, un comune attaccato a Barile e, come il paese di origine albanese, ha le sue cantine scavate nel lato nord della collina. In una di queste il nostro amico ha fissato il suo regno con un trono dove ama farsi fotografare per interpretare un personaggio delle fiabe, cattivo e o buono di pende dal vostro animo.
La sua campagna vulcanica a quota 550 metri pullula di fiori, è viva, perché da weekender non lesina sui costi e ha scelto il biologico duro e puro insieme all’enologo Fortunato Sebastiano. Lieviti indigeni, nessuna filtrazione, legno grande e via: Antelio e Camerlengo anno dopo anno fanno capolino, appena 15mila bottiglie in tutto. Ogni tanto un bel bianco macerato, Accamilla, da malvasia, Santa Sofia e cingoli.
Scorre così la vita di questa azienda, una chicca per appassionati fuori dalle ansie di prestazione: provolone, soppressata, agnello e Camerlengo. E io, quando sono stanco delle minchiate della città, amo venire qui, rifugiarmi tra le acque, il vino, i boschi e i castelli di questo territorio incantato e dimenticato.

Sede a Rapolla, via Torquato Tasso, 3. Tel. 0972.760738. www.camerlenodoc.com. Ettari: quattro di proprietà. Bottiglie: 15.000. Enologo: Fortunato Sebastiano. Vitigni: aglianico, malvasia, Santa Sofia, cingoli.


Prosecco al posto del Dom Perignon, cosi il Boujis a Londra truffava i suoi clienti

Le immagini del The Sun parlano chiare, qualche cameriere malandrino del Boujis, un tempo il locale preferito dai Principi William and Harry, prendeva le bottiglie vuote di Dom Perignon da 360 sterline e le riempivano del presunto vino italiano da 8,95 sterline



Non solo Champagne.

Lo staff era abile anche nel riempire bottiglie vuote di Grey Goose e Belvedere vodka, vendute a circa £260, con 1860 Imperial vodka da £10.


Il Boujis è ora temporaneamente chiuso e il personale è stato licenziato ma lo scandalo potrebbe avere conseguenze ancora impreviste.

Vi è mai sorto il dubbio, al ristorante o presso le enoteche/wine bar, che qualcuno non vi stesse servendo quanto richiesto? A me sì. A Roma. Bocca mia taci!

Barbera d’Asti Valdevani 2015 Mauro Sebaste - Il VINerdì di Garantito IGP

Di Carlo Macchi


Dopo 120 barolo va bene tutto ma non altro vino. 
  
Poi Mauro mi racconta la storia della sua nuova Barbera d’Asti, apre la bottiglia e mi trovo sotto il naso la barbera più buona che abbia bevuto da anni. 
  
Frutto, profumi, freschezza tannino leggero, equilibrio, beva assoluta. Da vigne vecchissime un vino buonissimo.


www.maurosebaste.it 

A Macchiascandona il tortello maremmano più buono del mondo - Garantito IGP

Di Carlo Macchi
Scordatevi i locali con maître e camerieri che vi accompagnano al tavolo, scordatevi tavoli con mollettone e tre-tovaglie-tre una sopra all'altra dotati di apparecchiatura stellare, scordatevi menù elaborati scritti da mani sapienti, scordatevi carte dei vini che pesano un quintale, scordatevi pranzi con otto mini portate, preappetizer, benvenuto dello chef, post-post dessert.

Scordatevi tutto questo perché il ristorante Macchiascandona è nella rustica Maremma, in un posto non certo bello, in una costruzione non certo bella (eufemismo), però…
Però se riuscite a fare a meno di quanto detto all'inizio, se vi basta un'apparecchiatura-da-trattoria essenziale-ma-pulita, (purtroppo color rosa salmone, lo stesso delle tende), se riuscite a non digrignare i denti davanti a quadri alle pareti che meriterebbero di ardere all'inferno, insomma se non siete schiavi della stelleria michelin ma semplicemente amanti del buon cibo, allora potrete essere fra coloro che (fino a quando Mamma Milena non si rompe le scatole) avranno la possibilità di gustare i più buoni tortelli maremmani che essere umano possa desiderare.

Attenzione! Come dovrebbe essere fatto, per me, un tortello maremmano? Dovrebbe essere la sintesi suprema della finezza e della concretezza, il tutto raccolto in uno spazio di non meno di 10 cm x 10 cm. Un raviolo maremmano è composto da una sfoglia possibilmente sottile ma resistente e da un impasto di ricotta e spinaci amalgamati assieme da un pizzico di sale e di noce moscata. Questo quadrato irregolare viene condito con abbondante ragù di carne, che può essere anche di cinghiale.
Al ristorante Macchiascandona, che si trova in Maremma ma vicino al mare (dieci chilometri da Castiglione della Pescaia) fanno sicuramente il miglior raviolo maremmano che abbia mai mangiato in vita mia. Ognuno pesa più di un etto, è ripieno di ripieno sino quasi a scoppiare, eppure la sfoglia è finissima ma non cede: cede soltanto quando la metti in bocca, allora si scioglie come un burro.
Mamma Milena che di cognome fa Rabiti, li prepara da quasi cinquanta anni e la sua bravura andrebbe salvaguardata come i Panda, anche perché non fermandosi ai ravioli, anche l’acquacotta è di assoluto livello. In precedenza come non cadere sui classici crostini toscani oppure su qualcosa di sfizioso e saporito come le alici con le cipolline fresche.

Per secondo consiglierei il coniglio in tegame (in bianco, senza pomodoro) oppure l’agnello alla cacciatora, le costolette d’agnello alla brace o l’arista di maiale, magari accompagnata da fiori di zucca o altre verdure fritte alla perfezione, in modo da essere croccanti e saporite.
Come capite siamo tra piatti semplici e concreti, però la scelta delle materie prime ripaga sempre della “spartanità” del locale. Anche la carta dei vini, dove si trovano una ventina di buone etichette locali, per lo più Morellino di Scansano e Montecucco, è improntata alla semplicità, unita all’ottimo rapporto qualità prezzo.
Lo stesso validissimo rapporto lo avrete al momento del conto, visto che difficilmente, vino compreso, spenderete per un pasto completo più di 30-35 euro.
Ma un pasto completo potrebbe già essere il vostro piatto di tortelli, magari con una mezza porzione ulteriore come secondo.
Spesso, se non mi fermasse la poca saggezza rimasta, un piatto di tortelli della Milena li prenderei anche come dessert!

Ristorante Macchiascandona

Via Castiglionese snc, 58043 Castiglione della Pescaia (GR)
Telefono: 0564944127