Di Stefano Tesi
Tu chiamala, se vuoi e prima di tutto, curiosità. Poi compiacimento. Poi divertimento. Ma alla fine devi confessare a te stesso che, giornalisticamente parlando e non solo, bicchiere alla mano i vini commissionati dal Comitato Olimpico Brasiliano per celebrare gli imminenti Giochi di Rio de Janeiro sono interessanti.
Primo, perché da un punto di vista europeo e, aggiungo, più ampiamente occidentale, il Brasile tende tuttora ad essere considerato una sorta di ufo enoico. E non è facile convincersi che anche laggiù esistano il clima, il suolo, le professionalità, la tecnologia e i mercati per produrre vino di qualità.
Secondo, perché l’assaggio dimostra che il livello della produzione di qualità è sia ampiamente in linea con gli standard medi internazionali, sia non privo di prospettive in termini di identità propria.
Terzo, perché a mio modesto parere è altamente significativo che quel paese, certamente molto noto più per altre ragioni che non come produttore vinicolo, abbia invece deciso di mettere proprio il vino tra i suoi testimonial olimpici.
Non escludo, lo ammetto, che sulla mia favorevole impressione finale abbia potuto influire la cornice scelta per la presentazione alla stampa: una sala del secondo piano dell’ambasciata brasiliana a Roma, affacciata su piazza Navona, in una magnifica giornata di giugno. Ma il contenitore, si sa, fa in qualche modo parte del prodotto.
Il Comitato ha scelto, per realizzare la linea principale dei “vini olimpici”, la Lidio Carraro, azienda dal lungo curriculum specifico (hanno realizzato anche i vini per i Mondiali di calcio del 2014 e per gli Open di tennis di quest’anno), con soli vigneti di proprietà (50 ettari attualmente, 200 in prospettiva) in Serra Gaucha, una delle aree a massima vocazione vinicola del paese, ubicata nel più meridionale degli stati brasiliani, il Rio Grande do Sul, al confine con Argentina e Uruguay.
Le bottiglie griffate con i cinque cerchi portano il marchio “Faces”, alludendo al fatto che cercano di mostrare i diversi “volti” dell’enologia del paese. Prevedono tre spumanti metodo Martinotti (un moscato dolce, un brut e un rosato) e tre vini fermi (uno chardonnay, un rosato di pinot nero e un rosso a base merlot). La tiratura è di 350mila pezzi (su un totale di 500mila bottiglie olimpiche), per una forcella di prezzo tra i 4 e i 40 euro. I formati previsti sono la 0,75 e la 0,125 (il “bicchiere”). La commercializzazione avverrà solo in Brasile e unicamente durante il periodo dei Giochi.
Abbiamo assaggiato tre campioni:
Spumante rosè: rosa pallido molto trendy, un naso con sentore molto intenso e quasi sorprendente di lievito e di farina, in bocca è asciutto, piuttosto acido e facile, prodotto esplicitamente per un pubblico ed un consumo vasti.
Chardonnay 2015 (nb: vendemmiato a febbraio del 2015): il colore è giallo oro molto pieno, al naso è floreale, ma meno stucchevole del previsto, con marcati e inattesi sentori di roccia; in bocca risulta molto varietale, secco, con buona acidità e lunghezza.
Merlot 2013 (con cabernet sauvignon e tannat): colore rubino scuro e opaco, al naso ha uno stile molto internazionale con marcata frutta rossa, mentre in bocca è asciutto, con tannini marcati ma armonici e buona profondità.
Vini da medaglia d’oro? Direi di no.
Ma la scommessa è interessante. Doppia, anzi tripla: lanciare il vino come prodotto “nazionale” presso la vasta quota di pubblico brasiliano che non ne consuma affatto, proporre le bottiglie made in Brasil all’attenzione del mercato mondiale non come alternativa, ma come qualcosa di diverso dai più celebri vini cileni e argentini e infine utilizzare la leva enoica come strumento di marketing territoriale a favore delle aree del paese turisticamente meno conosciute, come appunto il Rio Grande do Sul.
E infatti, comunque vadano le Olimpiadi, la voglia di andare a vedere le vigne è già tanta.
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