Colonnara e il Cuprese nel tempo e nell'anima


Era il 1959 quando un pugno di viticoltori marchigiani fondano la cantina sociale di Cupramontana che solo nel 1985, dopo una rapida fase di crescita ed ampliamento commerciale, cambia ragione sociale per diventare “Colonnara, società cooperativa agricola a responsabilità limitata”, nome già da tempo utilizzato come marchio per il Verdicchio dei Castelli di Jesi Doc classico e per lo spumante brut.
Oggi, Colonnara è una grande azienda di territorio che vanta circa 110 soci conferitori con circa 120 ettari di vigneto che, gradualmente, si sta riconvertendo al biologico. Piccolissimi appezzamenti, caratterizzati da diverse esposizioni e terroir, che rappresentano un grande patrimonio per la cooperativa.

Ogni appassionato di buon vino, così come ho fatto io, dovrebbe passare almeno una giornata in Colonnara perché solo in quel modo si è in grado di capire come una società dai grandi numeri possa avere un carattere così familiare e, per certi versi, artigianale.
Le grandi dimensioni e la conseguente tecnologia, infatti, da queste parti non sono caratteri in antitesi al concetto di territorialità, tradizione e manualità, termini che ritrovo ogni qual volta giro per la cantina di invecchiamento dove, tra barrique e pupitre con spumanti che effettuano ancora il remuage a mano, si possono ancora scovare in qualche angolo buio vecchie annate di Ubaldo Rosi, straordinario metodo classico a base verdicchio e, soprattutto, del vino che ha fatto e farà la storia dell’enologia italiana: il Verdicchio dei Castelli di Jesi Doc Classico Superiore CUPRESE.

Spumante in affinamento

Questo grande bianco italiano proviene da una selezione di uve dei migliori vigneti dei soci dei territori di Cupramontana, Maiolati Spontini e Staffolo, posti su terreni composti da marne argillose e, subordinatamente, di marne e calcari marnosi biancastri finemente detritici. 
Una vinificazione senza troppi fronzoli, in acciaio, e un imbottigliamento la primavera successiva la vendemmia, tranne eccezioni, concludono il processo di produzione del “nostro” verdicchio del quale voglio conoscere storia, anima e potenzialità. Sono a Cupramontana essenzialmente per questo.

Con Massimiliano Latini, giovane e dinamico presidente della cooperativa, Daniela Sorana, responsabile vendite e l’agronomo Agostino Pisani, che ringrazio per il tour tra i vigneti dei soci, approntiamo una mini verticale di Cuprese, quattro annate. Da queste parti mi dicono che non servono molte bottiglie per capire di che stoffa è fatto.

Verdicchio dei Castelli di Jesi Doc Classico Superiore Cuprese 2011: giovanissimo, appena versato si presenta con note molto acerbe di frutta a polpa bianca come la mela e la pera, agrumi, mandorla, mineralità gessosa. In bocca è coerente col naso, ampio, tipico e senza alcun eccesso di struttura. Finale amarognolo anch’esso coerente con la tipologia. Promette benissimo.


Verdicchio dei Castelli di Jesi Doc Classico Superiore Cuprese 2001: torniamo indietro di dieci anni. Il colore del verdicchio diventa leggermente più dorato, gli aromi mutano, si arrichiscono di sfumature, diventano aristocratici. Inizialmente il Cuprese sfoggia un corredo aromatico salmastro, salino, per poi mutare in note più armoniose di miele di acacia, mela cotogna, biancospino. Lasciato respirare il Verdicchio cambia ancora, diventa minerale, sa di pietra focaia, agrumi canditi. In bocca, poi, è uno spettacolo, la solare morbidezza del vino arriva fino a centro bocca per poi modificarsi e diventare inaspettatamente acido, minerale, salato e progressivo. Una PAI interminabile.  


Verdicchio dei Castelli di Jesi Doc Classico Superiore Cuprese 1991: la macchina del tempo capitanata dallo staff di Colonnara ci porta indietro di un’altra decade…ma non sembra. Questo ’91, rispetto al 2001, ha un colore meno evoluto e, appena messo il naso nel bicchiere, direi non solo il colore. Ancora una volta, inizialmente, il vino si apre su note salmastre, saline, per poi aprirsi su intensi effluvi di polline, cera, mallo di noce a cui seguono, col tempo e l’ossigenazione, sentori di spiccata mineralità ed erbe. Alla gustativa il vino è incredibilmente fresco, giovane, non c’è la morbidezza del 2001 ma solo progressione salina che attraversa struttura che, come un mosaico, piazza i suoi tasselli a 360° all’interno del palato. Un vino immenso, un capolavoro di cui non solo Colonnara ma tutta l’Italia dovrebbe essere fiera. Francesi? Prrrrrrrrrrrr

Il New York Times celebra il vino della Valle d'Aosta

Forse in Italia non tutti lo sanno ma è proprio in Valle d’Aosta, al di là dei ghiacciai e sulla cime più alte d’Europa, che si produce uno dei più spettacolari vini alpini del mondo: Il Blanc de Morgex e de La Salle. Se n’è accorto invece, eccome, l’autorevole quotidiano americano New York Times che dedica uno ampio speciale firmato da Eric Pfanner ai fantastici vigneti di montagna della regione amministrata da Augusto Rollandin. “Sul Monte Bianco si trova il villaggio vinicolo di Morgex che ospita il vigneto più alto d’Europa a 1.050 metri.
Ad altezze così elevate – sottolinea il New York Times – l’aria è asciutta, il clima soleggiato e ventilato con pendii scoscesi che consentono una maggiore esposizione al sole e aiutano le viti a maturare senza l’uso di pesticidi chimici. Inoltre, le variazioni di temperatura tra il giorno e la notte contribuiscono ad aumentare l’acidità, dando ai vini un sapore più fresco. La tradizione vinicola di questa regione – continua  Pfanner – è molto antica e risalente ai tempi dei romani.
Le terrazze, sostenute da muri a secco, ne sono una testimonianza e presenza intrinseca a un magnifico paesaggio. A Morgex i viticoltori che riforniscono la Cave du Vin Blanc coltivano una sola varietà chiamata Prié Blanc, sopravvissuta alla fillossera che nel 19esimo secolo cancellò molte viti europee. Di conseguenza – conclude il New York Times – alcune viti risalgono al 1850 e sono apprezzate per la ricchezza e il carattere che danno al vino. Ma la Valle d’Aosta è anche un luogo di infinite bellezze che si possono apprezzare meglio assaporando un bicchiere del caratteristico La Piagne del 2010 o il più generoso Fumin Vigne La Tour del 2009” 
Fonte: Iris Press

Tavole Romane e Cristina Bowerman: binomio vincente

Mi fa sempre piacere pubblicizzare le iniziative dei ragazzi di Tavole Romane che da un pò di tempo si occupano a Roma di Tour enogastronomici.
Sabato 23 hanno previsto un evento da non perdere: Metti un sabato mattina con Raffaello e Cristina Bowerman.


In pratica ci si vede la mattina di sabato 23 a Trastevere, si va a fare un giro a Villa Farnesina per ammirare gli affreschi di Raffaello, con tanto di guida turistica professionista, ed  infine ci si tuffa all'interno di Glass Hostaria dove degusteremo le creazioni dello chef stellato Cristina Bowerman coccolati, inutile dirlo, da Fabio Spada e tutto il suo staff.

Tutte le info dettagliate, compreso menù, le trovate a questo link.

Brave Tavole Romane!

Vincenzo Mercurio e i suoi vini: appunti disordinati di degustazione

Vincenzo Mercurio è un giovane e bravo enologo, candidato anche all'Oscar 2012, che sta facendo la fortuna di molte aziende italiane, principalmente campane.
Pochi giorni fa il frutto del suo lavoro, i "suoi" vini, sono stati presentati all'interno di un evento AIS Roma che, come al solito, ha visto la partecipazioni di molte persone visto anche lo splendido banchetto di prodotti tipici dove spiccava il sempre ottimo Conciato Romano di Manuel Lombardi.

Non potevo degustare tutte le tipologie di vino presenti, pena lo strappo della patente in caso di posto di blocco, per cui mi sono limitato a degustare poche cose. Ciò che segue è la trasposizione disordinata dei miei appunti, soprattutto di bianchi (visto il caldo) con un intruso finale...

Vincenzo Mercurio. Fonte:irpiniadabere.it



Biancolella di Ponza 2011 (da vigne vecchie), IGT Lazio bianco: fresco, sapido, beverino, un vino apparentemente facile che regala il meglio a tavola.

Cantine I Favati (Cesinali – Avellino)

Pietramara etichetta bianca, Fiano di Avellino DOCG 2010: piace molto questo Fiano che sa di agrume, frutta gialla acerba, erbe e soffi minerali. Bocca tipica, fresca, giovane.


Terrantica etichetta bianca, Greco di Tufo DOCG 2010: grande struttura che viene rimarcata da un impianto olfattivo che sa di miele, frutta gialla matura, ginestra, erba aromatica. Bocca armonica, elegante, di spessore.

SanPaolo (Tufo – Avellino)

Fiano di Avellino DOCG Lapio 2011: tanta frutta e struttura, in linea con i caratteri della zona. Giovane e ancora da "curare".

Fiano di Avellino DOCG Montefredane 2011: un Fiano minerale e fruttato che deve ancora crescere per essere equiparato ai più grandi della zona.

Greco di Tufo DOCG Montefusco 2011: diverso dal Greco precedente. Questo è più fresco e dinamico, grande agrume finale.

La sala. Fonte: Luciano Pignataro Wine blog


Grecomusc’ Campania IGT bianco 2010: questa è stata un pò la delusione della serata. Il Grecomusc’ è un vino che amo e che seguo da tanto e questa annata mi è sembrata più mansueta ed addomesticata delle altre. Non dico che il vino non c'è ma, rispetto al suo carattere "selvatico", questo bicchiere mi è sembrato troppo lineare, standardizzato e poco complesso. Ok, c'è sempre la bella vena minerale a condire tutto però... Spero solo che sia troppo giovane e che debba evolvere come sa.

Luigi Tecce (Paternopoli – Avellino)

Anfora 2009, vino da tavola da uve aglianico: quando da lontano ho visto Tecce col suo cappello radical-chic avrei voluto chiedergli il perchè di questo vino ma, visto il drappello di gente attorno, ho desistito. Sottolineando che amo Tecce e il suo Poliphemo, non comprendo le motivazioni che hanno spinto il bravo vignaiolo a vinificare un aglianico in anfora soprattutto in un periodo dove la terracotta è abbastanza inflazionata. L'aglianico di Tecce è troppo immaturo per poterlo giudicare, sa di DAS e terra e in bocca è tutto un mosaico da definire. Guardo il bicchiere e rimango dubbioso. Troppo. Magari me lo spiegherà Vincenzo la genesi di questo vino. Spero.

E' ora di andare via, il tempo è tiranno e le chiacchere certo non aiutano. Troppo i vini che non ho avuto il piacere di bere. Per chi volesse approfondire, però, c'è questo bell'articolo di Mimmo Gagliardi tutto da leggere.

Josko Gravner tra amore, odio e vecchie annate


Josko Gravner lo si ama indiscutibilmente perchè è un pioniere, un visionario e un ricercatore del vino e della figura ancestralmente collegata ad esso.

Josko Gravner lo si odia perché non gli si perdona che il suo vino, oggi, può sembrare uguale a tanti altri presenti sul mercato, lo si odia perché il suo vino a tavola può sembrare inabbinabile, perché può mancare di freschezza, perché troppo schivo, mentale.

Josko Graver, comunque la si pensi, genera emozioni.

E’ con queste pensieri che qualche giorno fa mi sono approcciato ad una nuova degustazione di “vecchie” annate di Gravner divise tra Chardonnay, Ribolla, Breg e Rosso che, come vedremo, tanto raccontano delle “sofferenze” enologiche dell’uomo Josko.

Chardonnay 1992: da subito iniziamo con un grande vino. Lo percepisco fin da subito visto l’assoluta eleganza sia al naso che in bocca. E’ uno chardonnay floreale e mistico, sa di ginestra e spezie indiane, poi arriva la nota minerale che sa di territorio. Bocca giovanissima, il vino entra, in punta di piedi si impossessa delle tue papille gustative e non lascia la morsa. Chiude sapido, fresco, fruttato, terso.


Breg 1992: cambiano registro, non solo con l’uvaggio, ma anche con il profilo gusto olfattivo che in questo vino è decisamente morbido, “dolce”, con note di miele, castagna ed erbe a costituire l’ossatura aromatica del Breg. In bocca è inaspettatamente guizzante, ha una vena acido sapida importante che, fortunatamente, tende ad addrizzare la beva verso una persistenza più che soddisfacente.


Ribolla 1999: si cambia registro, in tutto. Gravner nel 1997 abbandona la barrique e sceglie di usare la botte grande (30/35 hl), il torchio tradizionale, la pigiadiraspatrice. La Ribolla è il suo vitigno più amato, più coccolato. Il cambio di tendenza lo si intravede già dal colore del vino, poi lo si percepisce netto all’olfatto con un quadro aromatico più duro, austero. La Ribolla 1999 sa di fatica, ruggine, arancia amara, terra rossa, rame. In bocca è sicuramente ciò che voleva Gravner: trasformare un grande autoctono bianco in un vino che avesse struttura e forza di un grande rosso. C’è riuscito.

Ribolla 1999

Breg 1998: naso che sa di buccia di mandarino, cardamomo, caramella mou, mineralità austera. In bocca ancora una volta ti aspetti un vino stanco ed invece hai di fronte un liquido che invade il cavo orale, mette a folle in centro bocca per poi ripartire con una sgommata e non fermarsi più. Per qualcuno il vino della serata.

Breg 2001: ancora una rivoluzione, si torna indietro non di anni ma, forse, di millenni. Il vino ancestrale, la Georgia, il Caucaso e la voglia di ritornare a quello che fu e che non esiste più. Si passa all’anfora. Alla cieca, con i bicchieri neri stile evento sulla Vernaccia, diresti senza dubbio che questo è un vino rosso, al massimo un rosato di grande struttura. È un vino che sa di albiccocca disidratata, fragola, frutti di bosco, agrumi canditi. In bocca è ancora leggermente tannico, spiazzante, rotondo, finale di terra rossa e castagna.


Rosso 1990: eccoci ai rossi di Gravner anche se, dopo il precedente, potrei dire che ripartiamo con i rossi. Il Rosso Gravner, uvaggio di merlot e cabernet sauvignon, ha in questo 1990 un grande rappresentante. E’ un vino giovane, ancora ci inebria con profumi di frutta rossa, è integro nella sua struttura e nel suo giovanile equilibrio. Setoso, affascinante, chiude minerale e con ricordi vegetali. 


Rosso 1992: rispetto al precedente è un passo indietro sia al naso, ritroso, sia in bocca dove manca di grande complessità e persistenza. Nonostante tutto è un vino che non cede nulla all’età e che berrei anche ora.

Rosso 1994: tanta frutta e mineralità. Lo avrei capito se fosse un vino di tre, massimo quattro anni, ma da un prodotto di ben diciotto anni quasi grido al miracolo. Non trovo cedimenti su nulla. E’ un vino diretto, schietto, se avesse una maggiore complessità griderei al miracolo.

Rosso 1995: come bagnato nella piscina di Cocoon questo millesimo oltre al cesto di frutta rossa sa anche di fiori e spezie rosse. In bocca è fresco, teso, dinamico, nervoso come un bambino portato via dalle giostre prima dell’ultimo giro. La futura generazione potrà verificare a che punto sarà della sua evoluzione.

La batteria dei vini


"I miei vini degli ultimi anni non devono piacere, non hanno un gusto addomesticato, falso e velenoso di molti vini in commercio, quei gusti omologati, tutti uguali, a cui purtroppo ci stanno abituando. Dovranno passare parecchi anni prima che siano riconosciuti, ci si dovrà abituare alla loro sincerità, alla loro bontà, alla loro salubrità, al loro racconto, a profumi diversi, a una diversa struttura, una struttura autentica...”


Terroir Vino è da non perdere!!

Terroir Vino nasce da un'idea della Redazione di TigullioVino.it, punto di riferimento per l'informazione enogastronomica sul web in Italia da aprile 2000. L'evento consiste nella presentazione alla stampa specializzata, agli operatori ed ai lettori del sito, della miglior selezione di produttori e vini individuati negli anni attraverso il lavoro delle sue due commissioni degustatrici. In particolare, tra tutti i vini degustati, la selezione effettuata premia i produttori e i vini che, oltre all'alto livello qualitativo ed all'eccellente rapporto qualità/prezzo, siano anche riusciti a trasmettere un'emozione forte, il rispetto del vitigno e/o del territorio di provenienza. Non solamente e non necessariamente "vini moda" o "vini punta" quindi, bensì vini che meritano attenzione per la loro qualità, originalità e fruibilità.

Dopo le prime tre fortunate edizioni svoltesi in alcune tra le più belle locations della Riviera Ligure e dopo il fortunato passaggio a Palazzo Ducale, uno dei più prestigiosi edifici storici della città, dalla Sesta Edizione il meeting si è spostato nel cuore pulsante di Genova, il Porto Antico nel centro congressuale dei Magazzini del Cotone. Al "claim" della manifestazione - L'incontro tra il vino, le persone e il web - che sottolinea l'attuale e costante necessità di confronto tra produttori, operatori, pubblico e l'informazione indipendente di cui noi stessi siamo protagonisti attivi, si affianca il titolo "Terroir Vino", che mira ad enfatizzare il legame tra territori vitivinicoli su un terreno di confronto e dialogo comune.

Le aziende che fanno parte della rosa qualità a cui viene proposta la partecipazione al meeting, rappresentano il meglio di quanto degustato dalle nostre commissioni degustatrici dal 2000 ad oggi. Oltre ai nuovi espositori che di anno in anno vengono aggiunti alla rosa, le commissioni verificano anche i presupposti qualitativi per l'eventuale riconferma al meeting delle aziende già premiate in un'edizione precedente. Le aziende riconfermate, ricevono, di anno in anno un riconoscimento per la costanza qualitativa, mentre le nuove aziende sono premiate con una Menzione Eccellenza o Qualità / Prezzo, con il vino che gli ha fatto valere l'ingresso nella rosa qualità assoluta e/o qualità-prezzo di TigullioVino.it.

Modalità d'ingresso, orari e costi


Orari :
Dalle ore 10.00 alle ore 14.00, accesso riservato a stampa, blogger ed operatori su invito
Dalle ore 14.00 alle ore 20.00 apertura della manifestazione anche al pubblico
Chiusura ore 20.00 circa.
Costi :
Ingresso: 20 € (pass degustazione, calice, tracolla, catalogo espositori)
Servizio Bar: continuato, dall'apertura alla chiusura della manifestazione, a pagamento

Programma
  • Ore 09.30 : arrivo espositori e sistemazione nelle rispettive postazioni

  • Ore 10.00 : Apertura manifestazione a stampa, operatori e blogger con invito

  • Ore 14.00 - 20.00 circa : Apertura al pubblico

Premi speciali

Durante la serata verranno consegnati i seguenti premi:
  • Premio "Miglior vino" dell'anno

  • Premio "Miglior olio" dell'anno

  • Premio per il "Miglior vino per rapporto qualità / prezzo"

  • Premio "Grandi aziende"

  • Premio "Una vita per il vino"

  • Premio "Innovazione e web"

  • Premio "Garage Wines Contest"

Acquisti 

Durante la manifestazione, sarà possibile acquistare vini, oli e cibi presso quei produttori che si siano autonomamente attrezzati in tal senso anche ai fini fiscali. Sarà ovviamente possibile effettuare ordini o fissare incontri e appuntamenti durante tutta la giornata.

Informazioni generali su Terroir Vino, logistica

Direttore responabile : Filippo Ronco
Web : http://www.terroirvino.it
E-mail : info@terroirvino.it
Cel. +39 347 2119450
Fax +39 06 233 220 684
Skype: filippo.ronco
Twitter: http://twitter.com/filipporonco (Tags: #terroirvino, #vuu, #gwc, #bwd)

International Contacts
Mike Tommasi (italian, english, française)
E-mail : mike@tommasi.org
Phone : +33 609 670 940

Contatti stampa, ospitalità, inviti
Elena Padovani
E-mail : amministrazione@tigulliovino.it
Cel. +39 347 975 25 24
Fax +39 06 233 220 684

Da non perdere, il giorno prima, il Vinix Unplugged Unconference, ovvero uno spazio non ingessato dove professionisti ed appassionati si confronteranno sui temi più caldi del mondo dell'enogastronomia e delle nuove tecnologie.

Il programma è a questo indirizzo. L'unconference dura una giornata - una full immersion! - e si svolgerà domenica 10 Giugno 2012, dalle ore 11.00 alle ore 18.00 circa a Magazzini del Cotone.


Il Nicolas Joly pensiero è un atto di accusa alla moda del vino naturale?

Ad una recente intervista al RAW wine fair di Londra, il "pioniere" della biodinamica Nicolas Joly ha rilasciato una rovente intervista a The Drinks Business all'interno della quale alcuni capisaldi della moderna concezione di vino naturale vengono messi seriamente in discussione. Qualcuno sta ritornando sui suoi passi?
"Vino naturale è un concetto vuoto ideato per catturare un mercato"
 "Cosa è 'naturale'? Tutti i vini sono naturali. Se non fai niente in cantina si avrà un vino naturale, ma non sarà necessariamente un buon vino da bere"
 "I vini destinati ad essere spediti all'estero hanno bisogno dell'anidride solforosa per la protezione contro l'ossidazione, non possono sopravvivere senza di essa"

Nicolas Joly. Fonte:http://www.thedrinksbusiness.com

L'ES di Gianfranco Fino è un vino "convenzionale" creato dai blog? Parliamone...

Prendo spunto da questo post di Antonio Marino su Facebook. Antonio è un amico ed è molto competente però, come già sa, non sono d'accordo con lui sulla disamina sul vino in oggetto soprattutto perchè, a differenza di quel che scrive, lo spartiacque ancora una volta sembra essere la solita querelle convenzionale Vs naturale. Vabbè.


Il commento più interesssante e stuzzicante nel dibattito  arriva dal Sig. Rossi che con grande "competenza" parla dell'ES come di un vino piacione, sovraestratto e creato dai blogger

Se prendo il vocabolario e cerco la parola creare viene fuori questo: produrre dal nulla; dare origine e vita: Dio ha creato l’uomo.

Pertanto, secondo il Sig. Rossi, noi blogger saremmo delle entità sovrannaturali che, di punto in bianco, si uniscono per dar luce e "pompare" un vino senza storia pensato da un ufficio marketing che ci paga fior di quattrini per scrivere bene di quel vino.

Ecco, per me il wine blogger di oggi è esattamente l'opposto di quanto raccontato sopra perchè questa figura, più o meno autorevole, è nata proprio per "contrastare" l'egemonia dei soliti vini delle solite cantine osannate dai soliti giornalisti. 

L'ES, per dirla alla Ronco, non è altro che uno dei tanti vini scoperti "dal basso", cioè dai tanti appassionati che ogni giorno girano tra le tante piccole cantine italiane alla ricerca della chicca la cui scoperta spesso è condivisa in Rete all'interno dei forum di appassionati.

Gianfranco Fino, visto che ho ormai qualche anno di esperienza alle spalle, non è poi che l'ultimo di una serie di vignaioli che il mondo di internet ha scoperto e valorizzato. Qualche esempio? Miani e il suo Calvari, il Verdicchio Collestefano, il Kurni e tanti altri vini che, volenti o nolenti, sono diventati (meritatamente) talmente "cult" che alla fine sono stati inseriti nelle varie guide. 

Già, le guide. Penso di nuovo all'ES, ai riconoscimenti ottenuti quest'anno col 2009, e mi domando: davvero i wine blogger sono così bravi e potenti da riuscire a manipolare la volontà di Cernilli e Rizzari, tanto per fare un esempio, affinchè siano spinti inconscentemente a premiare questo Primitivo di Manduria sovraestratto, marmellatoso e di difficile abbinamento?

Prima di criticare un vignaiolo e il frutto del suo lavoro sarebbe sempre opportuno accendere quella parte del cervello chiamata buon senso e magari, perchè no, fare un salto giù in Puglia per capire quanta fatica ed etica c'è dietro quel vino che, lecitamente, potrà poi piacere o non piacere per milioni di motivi tutti riconducibili alla parola sovrana di ogni godimento personale: Gusto.


Memoriae, l'incontro tra la birra artigianale di Maltovivo e Feudi di San Gregorio

Luigi Serpe di Maltovivo, non lo scopro di certo io, è uno dei più bravi mastri birrai italiani e da tempo bevo con grande gaudio le sue splendide birre artigianali, Noscia su tutte.
Qualche tempo fa, durante la serata su Pizza e Slow Food tenuta alla Gatta Mangiona, Luigi mi ha omaggiato della sua ultima creazione: la Memorie.

"E' una birra che dovrebbe piacerti molto perchè ha delle sensazioni vicine al tuo mondo, il vino".


Tecnicamente la Memoriae, il cui significato è ben riconducibile nei ricordi esperienziali di Luigi, è una dark strong belgian ale maturata per un anno nelle barrique che hanno contenuto l'aglianico dei Feudi di San Gregorio, botti che, come mi spiega il produttore, volenti o nolenti cedono sicuramente qualcosa alla Memoriae creando un matrimonio perfetto tra birra e vino.

La Memoriae, prodotta solo in magnum e ancora non in vendita, ha profumi sicuramente affascinanti che ben si riconducono al suo colore ambrato e alle modalità di affinamento. L'olfatto, infatti, è tutto giocato sui toni scuri autunnali, è una birra che sa di sottobosco, frutta nera selvatica, legni nobili, frutta secca. 

E' una birra con un profilo "dolce non dolce", di grandissimo equilibrio ed eleganza che in bocca è anche dotata di buona persistenza
Qualcuno la chiama birra da meditazione, io la battezzerei come un piccolo grande capolavoro brassicolo irpino. Bravo Luigi!

Quando lo Champagne è sinonimo di Terroir

Armand de Brignac fa veramente Champagne per tamarri! L'azienda francese, purtroppo, fa parlare di sè più per il packaging delle sue bottiglie che per la qualità del liquido che c'è dentro. Prova ne la foto di sotto dove vediamo Don Johnson che tracanna champagne dalla bottiglia "Mida" da 30 litri che gli è costata, durante una cena a Londra, la cifra di 120.000 sterline, praticamente il prezzo di un monolocale in città.

Fonte: My Luxury
 
Con l'avvicinarsi dell'estate Armand de Brignac ha voluto di nuovo stupire il mercato (quale poi?) creando la Nabucodonosor of Armand de Brignac Rosé, la bottiglia più grande al mondo ed è l’equivalente di 20 bottiglie da 75 cl.
Realizzata in metallo opaco in nuance rosa, è stata presentata ufficialmente il 1° giugno al Private Members Club del Nikki Beach a St. Tropez.
 
Fonte: http://style.blogville.it
 
“Era il momento perfetto per noi per presentare il Nabucodonosor rosé come sinonimo d’estate“, ha spiegato il direttore commerciale di Armand de Brignac Philippe Bienvenu.
 
Scommetto che il mio amico Stefano di Remigio avrà corrotto i vari bodyguard per essere in prima fila per l'evento. Ora gli chiedo se si è fatto anche la doccia con questo champagne di territorio...

Addio ad Aldo Conterno

Fonte: La Stampa

Il vino, non mi stancherò mai di ripeterlo, va bevuto, non degustato. Ben vengano i giornalisti e i loro giudizi, ma io lavoro per il consumatore. Non mi piace neppure mascherare le annate, se il buon Dio ci avesse fatto tutti belli sarebbe stata una disgrazia...

Il vino dell'azienda Costa Archi per i terremotati

Gabriele Succi oltre ad essere un amico e un ottimo vignaiolo è anche una persona con un cuore grande come una casa, la stessa casa, la sua, che da qualche giorno sta "ballando" un pò troppo causa terremoto.
Per aiutare la sua gente, la gente dell'Emilia, Gabriele ha deciso di cedere tutto l'incasso derivante dalla vendita delle sue bottiglie alla popolazione terremotata.

Gabriele Succi

Ecco cosa scrive sul suo sito internet:

Chi acquisterà delle bottiglie dal sottoscritto, pagherà il prezzo che trovate qui meno un euro; di conseguenza:
Assiolo 2010 € 8,00, Monte Brullo 2007 € 14,00; Prima Luce e Beneficio 2008 € 11,50.

Perciò, non dovete fare altro che fare il conto delle bottiglie che desiderate acquistare e contribuire con la cifra che risulta secondo una delle modalità descritte sopra; dopo di che dovrete spedire una mail al sottoscritto al seguente indirizzo: aziendacostaarchi@yahoo.it con la scannerizzazione della ricevuta di pagamento (mi raccomando la causale) oppure la email nel caso di pagamento on line. 
Dovrete aggiungere anche l’elenco delle bottiglie da voi desiderate, il vostro nome e cognome con un recapito e le bottiglie vi saranno spedite a casa.

Il contributo che chiedo è riferito solo alle spese di spedizione che pagherete in contrassegno al momento del ricevimento del pacco; l’intero valore della bottiglia sarà devoluto per solidarietà alle zone disagiate a causa del terremoto.  Non ho ancora deciso fino a quando durerà la mia iniziativa, spero comunque di raggiungere una cifra importante.

Il suo vino, aggiungo io, è veramente buono per cui, aderendo all'iniziativa, farete del bene sia a voi che alle persone colpite dal sisma. 

Marta Valpiani tra tasting panel e Sangiovese di Romagna

Mi piacciono molto i tasting panel, mi piace vedere il vignaiolo che lancia il guanto di sfida ai vari wine blogger italiani non tanto per farsi lodare, anzi, quanto per capire, comprendere dove sta andando il suo amato vino.
L'ultima a capire l'importanza delle Rete per questo genere di cose è stata Marta Valpiani che nel 1999 fonda una cantina a conduzione familiare a Castrocaro Terme, nel cuore della Romagna. 
Marta e sua figlia Elisa sono oggi proprietarie di circa 6 ettari di vigneto ed uliveto che si affacciano sulla valle del Montone, a due tiri di schioppo dal mar Adriatico. I terreni sono prevalentemente argillosi ed in minima parte sabbiosi.

Il vino che mi è stato chiesto di testare è il Castrum Castrocari 2009 (100% sangiovese) la cui filosofia produttiva segue quella di ogni altro prodotto aziendale: vinificazione di ogni appezzamento ed ogni clone separatamente, criomacerazione con uso di ghiaccio secco, lunghe macerazioni sulle bucce (20 giorni per questo vino in particolare), lunghi periodi di affinamento in acciaio e in parte in barrique di 2° e 3° passaggio (in questo caso 30% della massa per 6 mesi) e successivo riposo in bottiglia per almeno 6 mesi.


Ho sottoposto il Castrum Castrocari al mio "classico" stress test: valutare il vino più volte a distanza di giorni per capire evoluzione e tenuta nel tempo.

GIORNO 1: appena stappato, ho trovato questo sangiovese di un bel colore rosso rubino con un naso abbastanza timido e reticente, qualcuno direbbe chiuso. Col tempo lievemente si apre ed escono aromi scuri di minerale e terra, di frutta nemmeno l'ombra e questo mi fa pensare che il vino abbia già subito una prima evoluzione nonostante la vendemmia non sia così lontana. 
Nota di merito: non ho sentito alcol in eccesso cosa che, spesso e volentieri, ritrovo in altri vini della stessa tipologia.
La bocca è molto meglio del naso, il vino è ben equilibrato, sapido e con tannini di ottima fattura che chiudono leggermente amarognoli nel finale.

GIORNO 2: dopo 24 ore il vino sembra aprirsi leggermente su note di frutta scura, percepisco netta la prugna e la mora di rovo. Rimane comunque netta la vena scura e minerale del sangiovese. Bocca coerente col primo giorno, non perde un colpo e nemmeno il finale amarognolo.

GIORNO 3: dopo 48 ore il vino rimane abbastanza integro, forse in bocca comincia a perdere un pò slabbrandosi nell'equilibrio ma accanto ad una costata di manzo ci sta un gran bene. 

GIORNO 4: il naso regge, lal bocca un pò meno ma devo dire che il vino mi ha sorpreso per tenacia. Difficile trovarne di così vitali in giro, anche tra i "blasonati".

Mi fermo qua con l'esperimento.  

Conclusioni: un sangiovese interessante che ancora deve esprimersi al 100% perchè lo vedo ancora troppo chiuso. Sono contento che Marta mi abbia fornito un'altra bottiglia di prova, la proverò a Natale per capire se e come si è evoluto il vino. Ci vediamo tra 6 nesi. Grazie!

Il Chianti Classico verso un riassetto della denominazione. Vi piace la nuova idea?

Giornata storica per il Gallo Nero: l’Assemblea dei soci riunitasi oggi presso la nuova sede del Consorzio a Tavarnelle approva a larga maggioranza le misure proposte dal Consiglio di Amministrazione del Consorzio per un riassetto della Denominazione che prevede la valorizzazione della Riserva attraverso nuove regole di produzione, la nascita di una nuova categoria di Chianti Classico che si posizionerà al vertice della piramide qualitativa ed il Gallo Nero che, dopo uno straordinario restyling, uscirà dalla fascetta di Stato per accresce la propria visibilità. 
Importanti novità anche per la movimentazione del vino sfuso. Il presidente Pallanti: “chiudo la mia Presidenza con un grande risultato. Un riassetto mirato al rilancio di questa prestigiosa denominazione con una virata decisa verso l’innalzamento della qualità”.
 
In un’Assemblea Generale che ha visto la maggiore partecipazione della base sociale degli ultimi 30 anni, i soci del Consorzio Vino Chianti Classico hanno approvato questa mattina una serie di misure che segnano una svolta storica nella Docg del Gallo Nero. Il pacchetto di modifiche del disciplinare è stato proposto all’Assemblea dopo un lavoro di oltre due anni portato avanti dal Cda del Consorzio, avvalendosi anche della collaborazione di esperti del settore esterni, e discusso con la base sociale in una serie di incontri e assemblee preparatorie negli ultimi mesi. 


Le modifiche al disciplinare del Chianti Classico approvate oggi interessano le diverse fasi della filiera produttiva, dalla produzione alla comunicazione del marchio e in particolare:
 
Piramide Qualitativa: è stata approvata la proposta di creare un vertice della piramide qualitativa del Chianti Classico che al momento esce sul mercato in due diverse tipologie: “Annata” e “Riserva”. Questa nuova tipologia di Chianti Classico, il cui nome sarà definito nei prossimi mesi dall’Assemblea, ha la particolarità di comprendere esclusivamente quei Chianti Classico che provengono da uve di esclusiva pertinenza dell’azienda. In questa nuova tipologia rientreranno solo i vini integralmente prodotti in azienda che quindi non si avvarranno in nessuna percentuale di uve o vini prodotti da altre cantine. Anche per quanto riguarda il periodo di invecchiamento le regole previste per questa tipologia mirano all’eccellenza qualitativa del prodotto: questa nuova categoria di Chianti Classico potrà infatti essere immessa sul mercato solo dopo 30 mesi successivi alla vendemmia, di cui tre di affinamento in bottiglia come per la “Riserva” il cui periodo di invecchiamento però rimane di due anni (12 mesi per l’annata).
 
Nuova “Riserva”: anche la Riserva, che rappresenta il 30% della quantità prodotta e il 40% del valore della denominazione, è stata interessata dal nuovo assetto. Se il periodo di invecchiamento rimane invariato la vera novità è rappresentata dal fatto che il produttore dovrà dichiarare la destinazione del prodotto (Annata; Riserva; nuova categoria) al momento della richiesta di idoneità. Il produttore dovrà in questo modo attuare una scelta più consapevole, decidendo già in fase di produzione delle uve quale prodotto dovrà essere destinato per le varie tipologie.
 
Restyling Gallo Nero: il marchio che dal 2005 rappresenta l’intera denominazione e che da allora è presente nella Fascetta di Stato per tutti i produttori di Chianti Classico (soci o non soci del Consorzio), sarà interessato da una rivisitazione grafica tesa a renderlo ancora più protagonista in ogni bottiglia di Chianti Classico. Proprio in questo senso si inserisce anche il nuovo posizionamento del marchio previsto dal riassetto: il Gallo Nero uscirà dalla Fascetta di Stato per essere posto sul collo della bottiglia.

Sono contento di aver portato a termine il mio mandato di presidente con questo importante risultato”, afferma Marco Pallanti, presidente del Consorzio. “Da tempo insieme al cda lavoravamo a questo riassetto per trovare la più alta condivisione in seno al corpo sociale. Un lavoro teso a far percepire al consumatore quell’innalzamento qualitativo conseguito dai nostri vini negli ultimi anni e che ci permetta di affrontare le nuove sfide del futuro con una serie di regole capaci di rendere il Chianti Classico più forte davanti alla crescente concorrenza internazionale. Anche le determinazioni dell’Assemblea relativamente al vino sfuso, che da oggi dovrà essere certificato prima di essere commercializzato, sono da interpretarsi in questo senso. Ringrazio il Cda per avermi aiutato in questi anni nel difficile compito di presidente di uno dei Consorzi di tutela più importanti del mondo. Ringrazio tutti i soci per averci sostenuto e aver compreso il grande sforzo di tutto il cda in questo progetto di riassetto”. 

Il 4 giugno l’Assemblea dei soci eleggerà il nuovo Consiglio di Amministrazione del Consorzio del Chianti Classico. 

La Vernaccia di San Gimignano ha una sua dignità. Sappiatelo!


Iniziamo da questa foto


E' con questo panorama che un piccolo gruppo di "talebani" del vino si sono riuniti pochi giorni fa per capire, scoprire e dare il giusto risalto ad uno dei vini bianchi storici italiani: la Vernaccia di San Gimignano, prima DOC italiana (1966)
Un primato ed un prestigio che oggi sembra non avere più senso visto che, soprattutto in Toscana, patria dei rossi, per la Vernaccia non sembra esserci molto spazio, soprattutto se non viene valorizzata e comunicata da chi di dovere (produttori e Consorzio).
Fortunatamente, qualcuno a tutto questo ha detto NO, sei aziende (Mattia Barzaghi, La Mormoraia, Cappella Sant'Andrea, Podere La Castellaccia, Signano e Il Colombaio di Santa Chiara) stanno reagendo a questa situazione di stallo cercando di gridare al mondo che ci sono, con tutta la bontà del loro vino.

Come raggiungere l'obiettivo prefissato? Semplice, fare organizzare tutto a Davide Bonucci, Simone Morosi e Mattia Barzaghi, scegliere un posto bellissimo come l'agriturismo Mormoraia, chiamare un manipolo di appassionati, giornalisti, wine blogger ed opinion leader e il gioco è fatto. 
Già, il gioco, perchè all'inizio si è davvero bevuto "giocando" con l'ausilio dei bicchieri neri da degustazione. Lo scopo era quello di "trovare", tra i vari vini versati, le Vernacce di San Gimignano, un modo come un altro per capire se il loro profilo aromatico e gustativo poteva essere ben definito all'interno di una batteria con alcuni mostri sacri come il Fiano di Picariello 2010, lo Sterpi 2009 di Walter Massa o il Rossese di Giovanna Maccario (unico grande rosso tra i bianchi).

Il "Black Wine Tasting"
Gente all'opera....

All'interno di questo blind test, due le Vernacce che sono state infilate, una in versione "base" ed una in versione Riserva. La prima era la Vernaccia di San Gimignano 2011 "Zeta" di Mattia Barzaghi, un vino fresco dotato di un'anima fruttata e minerale molto lieve ed elegante. Bocca tesa, agrumata, dotata di buona armonia e coerenza col naso.

Il secondo vino era l'Albereta Riserva 2009 de Il Colombaio di Santachiara, un vino dal potente soffio minerale e terziario che, dopo 8 mesi di barrique, forse risente un pò troppo del legno assorbito che, a mio giudizio, un pò comprime il vino che potrebbe esprimere ben altre potenzialità e complessità. Con qualche orpello in meno sarebbe davvero interessante.

La batteria dei vini della degustazione in nero

L'altra degustazione programmata era più classica, con bicchieri trasparenti anche se rigorosamente alla cieca come quella precedente. Dieci bicchieri per dieci vini di varie tipologie ed un unico quesito: capire anche stavolta se era possibile "isolare" la Vernaccia di San Gimignano che, ad una attenta analisi organolettica, difficilmente sbagliavi ad inviduare visti alcuni denominatori comuni compreso il leggero ammandorlato nel finale di bocca che ben inquadra una tipologia di vini mai strabordandi che giocano molto su un equilibrio ricamato tra frutta, fiori e minerali.

Tra i vari campioni degustati hanno lasciato una traccia in me: Vernaccia di San Gimignano "Ciprea" 2011 di Podere La Castellaccia che presentava un connubio aromatico tra frutta e fiori di bella piacevolezza e una bocca fresca e leggiadra.
Altro vino interessante della batteria era la Vernaccia di San Gimignano 2011 di Signano, azienda che ho anche avuto il piacere di visitare. Il vino è molto lineare, senza effetti speciali, dinamico, diretto e floreale quanto basta per berti una bottiglia anche da solo.
Ottima performance anche per la Vernaccia di San Gimignano "Selvabianca" 2011 de Il Colombaio di Santachiara che con i suoi aromi di fieno, erbe aromatiche e spiccata mineralità aveva un naso davvero emozionante. Bocca ampia, progressiva, persistente. Davvero una sorpresa.
La Vernaccia di San Gimignano 2011 La Mormoraia è più piena, densa, solare delle precedenti, si esalta in questi casi la componente fruttata del vino che alla gustativa non cede il passo e diventa di grande persistenza.

Le 10 bottiglie. Foto di Stefania Pianigiani

Tra aperitivi vari e altre piccoli degustazioni improvvisate durante la cena e il pranzo del giorno dopo, ho potuto apprezzare un'altra Vernaccia di carattere: il Rialto 2009 di Cappella Sant'Andrea, un vino di estrema complessità con note fumè, fiori gialli appassiti e di mandorla amara. In bocca è ampio, deciso, strutturato ma di grande equilibrio.  

Concludendo, visti i vari assaggi di Vernacce con qualche anno sulle spalle, posso tranquillamente affermare che questo è un vitigno che sopporta egregiamente l'invecchiamento. Anzi, direi che se affinate ad hoc, le Vernacce di San Gimignano risultano essere estremamente interessanti e con un bagaglio di complessità e piacevolezza degno dei grandi vini bianchi italiani come, ad esempio, Verdicchio e Soave. L'ho già detto, ancora non mi convincono al 100% le Riserve (la barrique segna troppo il vino nel breve periodo), mentre a mio modo di vedere le Selezioni, rappresentando veri e propri Cru, potrebbero rappresentare la strada maestra per i vignaioli di eccellenza di San Gimignano se, e solo se, si dà a questi vini il giusto tempo di affinamento in bottiglia.

Perchè, allora, non fare come fece Massa col Timorasso e uscire in commercio solo dopo almeno un paio di anni dalla vendemmia lasciando ai "base" il compito di calmare per un pò la richiesta di mercato? 

Domande alle quali, spero, avremo una pronta risposta da chi vuole, deve, valorizzare questo grande vitigno italiano.

Degustazione vintage: il Lancers Rosè

Quanti ricordi. Avevo forse 16 anni e con gli amici si andava ai primi pub di Roma dove accanto alle onnipresenti Guinness o Kilkenny si affacciavano questo simpatiche bottiglie colorate relativi a vini per me, per quel tempo, esotici. 

Per fare bella figura con le ragazze, per cercare di farle diventare un pò brille, le opportunità erano due a quei tempi: ordinare il Greco di Tufo dei Feudi di San Gregorio (scelta banale) oppure farsi portare a tavola una bottiglia del vino portoghese "di punta" per l'epoca, il mitico Lancers disponibile nella versione bianco (bottiglia verde) o rosè (bottiglia a metà strada tra il rosso e l'arancione). Durante quelle sere sembrava di bere il miglior vino del mondo, un lusso!


Proprio ieri, infatti, al supermercato mi è capitata davanti agli occhi una bottiglia di Rosè. Un tuffo al cuore, i ricordi della mia gioventù, le serate con amici che non vedo più da anni. E' stato un attimo acquistarla per capire, comprendere se quel vino che tanto mi aveva affascinato può ancora oggi, dopo tanti bicchieri, essere di mio gusto.

Aprendolo e versandolo nel bicchiere già si nota un colore diverso da tutti gli altri vini rosè che ho bevuto. E' un colore strano, quasi sintetico, mi ricorda quello del Fior di Fragola (per rimanere in tema vintage) dell'Algida, a metà strada tra il viola, l'aranciato e il rosso porpora.


Al naso le cose non migliorano. Inizialmente il vino ha delle strane puzzette non classificabili. Non può essere bret, non è un vino naturale, di che stiamo parlando? Boh! Poi, col tempo, si "apre" e fisso ed abbastanza intenso esce l'odore di fragolina sintetica che, questa volta, mi ricorda quello delle caramelle Charms che si reggevano in piedi solo per i tanti coloranti che avevano al loro interno. Insomma, sto Lancers ha un odore a metà strada tra la puzzetta e il dolciastro stucchevole.

Al sorso è lui, leggermente frizzante, beverino, facile, senza alcun cenno di complessità o persistenza. E' una bevanda che definirei al gusto vino con un alcol massimo di 10°.

Mi rattristo un pochino. Penso al passato, a quanto ho bevuto male. Oggi, l'esperienza e la consapevolezza, mi conducono altrove anche perchè, vista la qualità ed il prezzo di 5 euro, in Italia si beve molto di meglio. 

Tra un pò toccherà al Mateus. Non vorrà deludermi anche lui?!?!?