L'Osso San Grato Antoniolo e la sua verticale storica


Austero. Duro. Scontroso. Affascinante. Elegante. Sottile. Cervellotico. Mai urlato. Sinuoso e puttana quando vuole.

Parole, sensazioni che mi ruotavano in testa appena mi solo alzato dalla sedia per tornarmene a casa ancora carico di emozione per una verticale che difficilmente dimenticherò per il livello elevatissimo dei vari vini degustati che, tranne il tappo per il millesimo '83, hanno sfoggiato un carattere ed una qualità ai massimi livelli. Arduo, per chi ama i punteggi, trovare qualcosa al di sotto dei novanta punti.

La verticale completa
Altro pensiero che mi è venuto in mente durante la degustazione: nella annate fresche l'Osso San Grato, a mio parere, dà il meglio di sé coronandosi di un guscio granitico e di un basso profilo che rimandano alle prime parole di questo post. L'eleganza che ne scaturisce è unica ed inimitabile anche se, non so se è un limite, per percepirla devi entrare in sintonia col vino, amare le durezze, amare il nebbiolo nella sua espressione più gloriosa e sopraffina.

Nelle annate più calde, invece, il nebbiolo di casa Antoniolo diventa più accessibile, estroverso, ammiccante e popolare a causa di una immediatezza e di una espressività che rendono anche le vecchie annate, vedi 1997, ottime amanti per una notte spregiudicata.

Non ci resta che entrare nel dettaglio. 

Osso San Grato 1982 Antoniolo: questo millesimo, dopo la grande prova del Barolo di Borgogno degustato poco tempo fa, si conferma davvero grande anche in zona Gattinara. Il vino al naso si presenta di austera nobiltà, sa di cenere, ghisa, terra, cenni di vegetale e lieve salmastro. Bocca nebbiolesca di grande equilibrio, trama tannica fitta e vellutata, ancora fresco. Gli manca forse il guizzo del fuoriclasse ma è un nebbiolo chi si fa ricordare e che ricorderanno anche i miei nipoti. 


Osso San Grato 1983 Antoniolo: tappo. Sgrunt!

Osso San Grato 1989 Antoniolo: a due facce. Prima molto femminile, aperto e critallino con cenni di fiori rossi da diario, frutta disidratata, toni iodati. Poi, col tempo, si apre e diventa più maschile vestendosi di aromi di cenere, humus, grafite. Bocca di grandissimo equilibrio, snella, dritta e affilata. Ottimo!

Osso San Grato 1990 Antoniolo: forse un leggero sentore di tappo inficia l'olfattiva che si compone di caratteri cuoiosi e tabaccosi. Si sente sempre una nota fumè di fondo. In bocca invece è grintoso con un tannino che inizia a farsi grintoso. Bella struttura. Finale che sa di bosco e radici.


Osso San Grato 1996 Antoniolo: di nuovo un vino di fine femminilità con un quadro olfattivo giocato su note di geranio, vi ola, rosa, fruttini rossi, a cui seguono i soliti tocchi empireumatici e minerali. Bocca intensa, dinamica, caffettosa e con  un tocco di mallo di noce che accompagna la beva nella sua bella persistenza.

Osso San Grato 1997 Antoniolo: olfattiva dove domina la prugna, la ciliegia scura, la grafite, il cuoio. In bocca è ampio, complesso, rispetto all'annata precedente è più prepotente, di impatto, forse manca la sfericità e il senso etereo delle migliori annate ma, ad oggi, è al suo massimo ed è da bere senza esitazioni.

Osso San Grato 1998 Antoniolo: austero fin dal naso che percepisce aromi di radice, fiori amari, ferro, sangue, note fumè. In bocca è roccioso, vibrante, fresco, e si caratterizza per un grande allungo finale. Piaciuto molto.

Osso San Grato 1999 Antoniolo: un nebbiolo che sembra uscire da "The Mentalist" per quanto può essere cervellotico ed understatement. Eppure l'ho amato al primo sorso perchè, a mio giudizio, rappresenta tutto ciò che deve essere un nebbiolo di una grande annata. Ha una limpidezza, una regalità, una temperanza che è un inno al grande Gattinara di Piemonte. In bocca è di perfetto equilibrio con un tannino che definirei bordolese. Finale lungo e gessoso. Il mio vino preferito.


Osso San Grato 2001 Antoniolo: un grandissimo vino mignotta, ha tutto per farti dire che l'Osso San Grato di questo millesimo sia il migliore di sempre. Complessità, intensità, armonia. Poteva esser il numero uno della serata ma mi ha portato a letto troppo presto.

Osso San Grato 2004 Antoniolo: un inno alla durezza e all'introversione. Al naso e in bocca tornano le note da camino accompagnate da cenni ferrosi e di cuoio. Speri che prima o poi si aprirà ma per questo ci rivedremo tra una decina di anni.

Osso San Grato 2005 Antoniolo: l'unico che, forse, non ha raggiunto la piena sufficienza. Complice l'annata non felice, questo Gattinara soffre il confronto con gli altri vini della batteria per via di una struttura un pò scarna e da un sorso poco appagante. Lo vorrei risentire in un altro contesto.


Osso San Grato 2006 Antoniolo: le nuove annate di Osso San Grato, nonostante la giovane età, si mantengono sempre di grande equilibrio ed eleganza, Prova ne è questa 2006 che si conferma fresca di viola, rosa e frutta croccante a cui si aggiungono intarsi minerali di grande eleganza. In bocca è un bimbo col guanto di velluto che scorre e non va più via. Grande prospettiva.

Osso San Grato 2007 Antoniolo: somiglia moltissimo, in giovane, alla 2001 visto che in fatto di florealità e suadenza non è secondo a nessuno. Se acquisterà complessità aristocratica, il futuro sarà suo!


Le foto come al solito sono di Andrea Federici!

Il vino naturale è un'invenzione di marketing. Parola di Salvo Foti.


La disputa tra produttori laici e naturali si fa sempre più serrato. Dopo le recenti polemiche legate alla contrapposizione tra Vinitaly (ViViT), Cerea e Villa Favorita, è arrivata l'entrata a gamba tesa di Salvo Foti che, in una recente lettera inviata anche al blog di Luciano Pignataro, pone dei seri dubbi sulla naturalità del vino. 

Fonte: luxury24.ilsole24ore.com
Scrive Foti: Una vite senza la cura del viticoltore è in grado di dare uva, anche se il frutto sarà ben diverso da quello che noi vogliamo per fare un vino.
Il vino è un prodotto umano. Fatto dall’uomo, in cui egli da sempre ha messo tutto se stesso, il suo genio, la sua creatività, la sua passione, il suo estro, sacrificio e impegno nel produrlo. In certi casi anche la sua furbizia, ipocrisia, disonestà e scorrettezza.
   

In definitiva ognuno fa il vino che è.
 
Il vino è stato per l’uomo, oltre che alimento, bevanda, fonte di emozioni, appagamento dei sensi, in certi casi droga. E’ entrato sin dall’inizio dei tempi nella sfera emozionale e mentale dell’uomo. Prodotto mistico e misterioso, elevato a sangue di Cristo nella religione cattolica.


Nei tempi l’uomo ha adeguato e plasmato la pianta della vite, come meglio ha potuto e voluto, per fare vino, introducendola in quasi tutti gli ambienti da lui antropizzati. Di conseguenza ha prodotto tantissime tipologie di vino, che sono diventati tipiche espressioni di ambienti, di

vitigni e di civiltà umane. Differenti climi, terreni, vitigni, civiltà, ma un unico prodotto: il vino.

In verità il vino lo produce l’uomo, non la natura. Produrre un vino è un fatto umano non naturale.

Il vino “tutto natura” non esiste! E’ solo un’invenzione di marketing.

La “naturalità” di un vino può essere intesa come l’impegno da parte dell’uomo di intervenire il meno possibile con energie e prodotti esterni nella trasformazione dell’uva in vino, ma per far questo è importante avere, come materia prima, un’uva eccellente.

Il consumatore, l’appassionato di vino dovrebbe sempre pensare che dietro un vino non c’è un essere superiore, ma solo un Uomo.

Un vino è solo un vino, carico di significati, storia, cultura, civiltà e umanità, ma comunque resta un prodotto “umano” a cui dare solo la giusta importanza che merita.

Ognuno di noi ha la sensibilità, la capacità di capire un vino, basta avere cura di utilizzare in modo attento tutti i nostri sensi, la vista, l’olfatto, il gusto. Il consumatore dovrebbe essere solo curioso e attento, fidarsi del proprio gusto e piacere, invece di bere con il gusto degli altri.

Bere un vino solo perché di moda o perché il giornalista o l’esperto di turno ne parla o lo esalta è riduttivo. Alla fine il vino, come il cibo o, se volete, come la scelta del proprio partner, è qualcosa di molto personale e tale dovrebbe rimanere.

Se un vino piace a una persona non significa che debba piacere a tutti quanti, allo stesso modo se non piace. Bisogna degustare, bere con la propria testa, in libertà, sapendo sempre che, così come in amore, c’è un vino per ognuno di noi, basta trovarlo.

Il dibattito è aperto, avanti il prossimo 
Fonte: Luciano Pignataro 

Il mio Verdicchio al Vinitaly 2012


Le Marche sono una Regione veramente interessante e con tanti bravi professionisti che si occupano di fare promozione al vino. Questo lo si è notato anche allo scorso Vinitaly dove il padiglione ufficiale è stato impreziosito da una bella terrazza con tutti i vini in degustazione e con una serie di iniziative previste anche per noi wine blogger.


Appena salito in terrazza, tra le note di un dolce pianoforte e coccolato dall'accoglienza di tanti amici, alla vista di tute quelle etichette in degustazione libera ho esclamato:"Verdicchio, te m'hai provocato e io me te bevo!". 

Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico - "Selezione Gioacchino" Riserva 2006 - Garofoli: ripeto quanto già detto in precedente post. Trattasi forse del miglior bianco italiano al momento, un monumento al Verdicchio e al lavoro di questa azienda semi-industriale..... 

Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico - Manciano 2010 - Vallerosa Bonci: offre aromi dii fiori di campo, mandorla, agrumi, soffi di minerale bianco. Sorso equilibrato, sapido, teso, finale ammandorlato e minerale. 

Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico Superiore - "Santa Maria d'Arco" 2010 - Azienda Agricola Ceci Enrico: rotondo, sapido, sa di frutta primaverile ed esotica. Bocca coerente, finale giustamente amarognolo. Ottimo rapporto q/p. 

Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico Superiore - Tralivio 2010 - Sartarelli: naso che si apre su aromi di mela, pesca, ananas, fiori bianchi, gesso. Bocca sapida e minerale, molto fresca e con buona PAI. 

Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico Superiore - Cuprese 2010 - Colonnara: solita classe ed eleganza per un verdicchio che odora di biancospino, agrumi, cedro e tanta mineralità. Bocca gagliarda, appagante, pulita, persistente. Grande prova.  

Lo stand con sopra la terrazza
Verdicchio di Matelica - "Vigneti del Cerro" 2011 - Belisario : naso floreale, zucchero a velo, erbe. Bocca morbida, progressiva, finale lievemente sapido. 

Verdicchio di Matelica - "Cambrugiano" Riserva 2008 - Belisario: solito vino di grande struttura e complessità, lo preferirei un filo più esile ma, si sa, agli uomini piacciono le morbidezze. 

Verdicchio di Matelica 2010 - La Monacesca: caldo con intense note di anice, nespola matura, erbe, mandorla. Bocca di grande equlibrio, sapida, minerale. Piaciuto abbastanza.

A.Mazzoni e G. Garofoli, una garanzia per l'IMT
 Le ultime due foto sono tratte dal blog di Vincenzo Reda
 

Vinitaly 2012 con Cascina Garitina


Dopo mesi di chiacchere virtuali e scambi di post su Google Plus (dove siamo rimasti tre gatti) finalmente ce l'abbiam fatta. Verona è stato il luogo di incontro tra me, Stefy, Gianluca Morino e Monica Pisciella che abbiamo rivisto con molto piacere dopo la tappa di Verdicchio 2.0.
Un incontro, quindi, tra vecchi e nuovi amici sulla Barbera d'Asti che con molta fatica Gianluca sta rilanciando grazie anche alla sua carica di Presidente dell'Associazione Produttori del Nizza.

Vigne di inverno
Cascina Garitina è una azienda a conduzione famigliare che si estende per circa 24 ettari a cavallo dei Comuni di Castel Boglione, Castelnuovo Calcea, San Marzano Oliveto, Calamandrana.

I vigneti (70% barbera più piccole porzioni di dolcetto, pinot nero, brachetto, cabernet sauvignon e merlot) sono localizzati tutti in collina su terreni di medio impasto tendente all'argilloso e il clima è caratterizzato dal c.d. “Marin”, un vento costante proveniente dal mare (marin = mare) che favorisce un’ottima maturazione delle uve poiché aumenta l’escursione termica tra notte e giorno.

Vigne al sole
Bricco Garitta 2010 è la barbera d'Asti base dell'azienda che nasce da vigneti di oltre trenta anni di età. Sia al naso che in bocca il vino sprizza territorio ed austerità con una vena minerale ben definita ed una struttura ben bilanciata e finale sapido. Un ottimo inizio. Solo acciaio.

Il Villalta 2010 è la nuova barbera di casa Morino che ha voluto testare una vinificazione senza solfiti aggiunti e con l'ausilio di lieviti autoctoni. La sperimentazione, a mio parere, è stata più che positiva visto che il vino ha una complessità inaspettata e, così come fanno i grandi vini, muta continuamente nel bicchiere offrendo, minuto dopo minuto, sensazioni che vanno dal tostato ai fiori rossi per passare alla frutta croccante e alla nera mineralità. La bocca è decisa, tesa, vivace al punto giusto. Per me una strada da seguire con  interesse.


Il Caranti 2009 è una barbera d'Asti superiore nata da vitigni di circa 40 anni di età. L'impatto olfattivo è fruttato, complesso, con ciliegia, lampone e liquirizia in primo piano. In bocca è succoso, preciso, ben bilanciato e capace di un allungo davvero notevole. Elevazione in legno per 13 mesi.

Il Neuvsent 2007, barbera d'Asti superiore "Nizza", nasce da tre vecchi vigneti aziendali (1924-1949-1954) le cui uve indiscutibilmente offrono al vino grande profondità e complessità. Al naso si apre lentamente su sensazioni di mora, visciola, anice, chiodo di garofano, glicine, liquirizia, terra. La bocca è piena e calda, equilibrata da grande freschezza e ravvivata da un succo prolungato ed appagante. Se penso oggi al Neuvsent ho il ricordo di un grande vino che potrà dare ancora molto col passare del tempo. Elevato in legno per 16/18 mesi.

L'Amis 2007 (merlot 50%, cabernet sauvignon 35%, barbera 15%) rappresenta un blend tutt'altro che scontato e banale visto che nasche anch'esso da vigneti molto vecchi (la barbera è del 1960, il merlot del 1990 e il cabernet sauvignon del 1985 e 1993). Al naso è complesso e gioca su ritorni di frutta di bosco, ciliegia matura, spezie, tabacco e eucalipto. La bocca è caratterizzata da una vellutata tannicità e da una vena acido-sapida che ben supporta una struttura di grande impatto. Elevato in legno per 16/18 mesi.


Il nostro incontro termina con il Niades 2010, un brachetto d'Acqui molto interessante che diverge dalla maggior parte dei suoi colleghi per una austerità di fondo che non strizza moltissimo l'occhio al pubblico femminile che, come si sente dire, rappresenta la maggiore clientela per il Brachetto. Ok, il naso è tipico e si apre su toni di iris, rosa, fragolina, ribes ma la bocca, dotata di misurata effervescenza, tende ad equilibrare fin da subito l'attacco dolce iniziale dotando il vino di un equilibrio ben misurato che non stanca mai la beva. Piaciuto moltissimo.

Gianluca e i suoi grappoli
Con Monica cercheremo di portare Gianluca a Roma per un incontro sul Barbera. Lui non sa nulla per cui....acqua in bocca :-))

Louis Roederer Cristal 1990 e le false notizie


Per me è poco credibile che un essere vivente possa sborsare oltre 100 mila euro per una sola bottiglia di Cristal. 

A pensarci bene, però, se leggo la notizia che il poll...ehm...l'acquirente è un facoltoso saudita che ha voluto fare lo sborone all'interno di un esclusivo locale di Dubai quasi quasi ci convinco e mi faccio una grassa risata.

Fonte: Subito.it
La cosa che mi perplime, invece, è leggere sulla stampa e in vari siti internet che questa fantimatica bottiglia di Cristal 1990 abbia un costo di tale portata perchè di questo millesino esisterebbero solo altre due bottiglie nel mondo, una a New York e l'altra a Londra.

Ma chi le scrive ste cazzate? Basta fare un giro su Wine-searcher e capirete che di Cristal 1990 a 300 euro ne potete comprare una vagonata. 


Il Barolo di Borgogno tra passato, presente e futuro


PASSATO

Bartolomeo Borgogno ha creato la sua casa vinicola nel 1761 e già a quel tempo, nella notte dei tempi, l'obiettivo era quello di creare un grande vino. Prova ne è la scelta del Barolo, nel 1861, come bevanda per il pranzo celebrativo dell'Unità di Italia. Ma bisogna aspettare gli anni '20 del secolo scorso per avere la vera svolta grazie a quell'illuminato di Cesare Borgogno che fa conoscere il suo nebbiolo in tutta Europa spingendosi fino oltre oceano, Stati Uniti compresi. Alla morte di Cesare Borgogno la proprietà passa ai nipoti Ida e Franco Boschis e successivamente ai figli di questi, Cesare e Giorgio.

PRESENTE

Si chiama Oscar Farinetti che da qualche anno ha rilevato l'azienda con l'obiettivo dichiarato di non mutare ciò che Borgogno è stato nel tempo. Per cui, nonostante lo spirito imprenditoriale e moderno di Mr. Eataly, si va avanti con i lunghi affinamenti, le grandi botti di castagno e di rovere di Slavonia e con la centenaria consuetudine di mettere da parte consistenti quantitativi di Barolo delle annate più grandi, per un ulteriore affinamento la cui durata normalmente non è mai inferiore ai dieci anni. 
Il presente, il mio presente con Borgogno è rappresentato da quelle vecchie bottiglie e da Armando Castagno e Paolo Lauciani che ci hanno condotti per mano all'interno di una macchina del tempo chiamata Barolo Borgogno. La verticale storica prevedeva le seguenti annate: 1996, 1988, 1982, 1978, 1967 e 1961.

Foto: Andrea Federici
Barolo Borgogno Riserva 1996: annata austera queesta che dà vita a Barolo molto classici e di grande equilibrio. Al naso si conferma introverso, timido, è un nebbiolo lento a concedersi e la complessità aromatica, indubbia, va lentamente stanata. Si odono echi di sottobosco, fruttini croccanti, tabacco, fungo. Lentamente, col tempo, esce una avvolgente e sinuosa balsamicità accanto ad accenni di cipria e sali da bagno. La bocca è ovviamente austera, aristocratica, la freschezza iniziale del vino lascia subito il passo ad una sensazione sapida, decisamente salmastra che il naso aveva celato. Chiude lunghissimo su toni di arancia amara.

Barolo Borgogno Riserva 1988: quest'annata calda ma equilibrata regala un Barolo dal colore ancora vivissimo che stenta ad aranciarsi anche sull'unghia. Al naso esplode una meravigliosa florealità dove la rosa in tutte le sfumature la fa da padrone accanto a sensazioni meno esplosive di melograno, mineralità, miele di castagno e cenere. E' un nebbiolo coeso e compatto anche in bocca dove non cede nulla nonostante l'età. L'annata, ovviamente, regala una sensazione complessiva più morbida del precedente soprattutto nel tannino anche se l'acidità, sorprendentemente, è ancora tagliente e accompagna tutto il finale di beva che gioca su ritorni gessosi e fumè. 

Barolo Borgogno Riserva 1982: grandissima annata, talmente felice che, secondo Castagno, è possibile trovare sorprese anche dalle bottiglie di aziende ignote lasciate sopra al camino della casa di campagna. Mettendo il naso nel bicchiere capisci subito che tal nebbiolo è di altra dimensione, difficile mettere in ordine tutti i descrittori che, come una sinfonia, suonano all'unisono ognuno il proprio strumento emozionale. Potrei dire che abbiam sentito tutti l'odore del sottobosco, del muschio, dei legni aromatici, della frutta rossa ancora integra, il tamarindo, la pesca, la cera, la rosa canina, la castagna e poi, e poi, e poi. 
In bocca è un monumento al nebbiolo, dovremmo fargi un piedistallo e metterlo in piazza assieme al busto di Cavour. E' setoso, vitale, ha di tutto di più per essere condirato un inno al Barolo!

Foto: Andrea Federici
Barolo Borgogno Riserva 1978: l'annata un filo troppo calda fa intravedere il lato maturo di questo Barolo che vanta un profilo abbondante ma per nulla decadente. Al naso esce il lato esotico del nebbiolo, si odono sensazioni di pesca, miele di castagno, frutta rossa dolce, felce, pepe. In bocca è "piacione", ha tratti di pasticceria ma la struttura è bella ferma e solida e vanta un tannino ancora vibrante. Grandissima bevibilità. Da bere ora che è al suo picco di maturità.

Barolo Borgogno Riserva 1967: l'annata calda ma sostanzialmente equilibrata regala un bicchiere dove iniziamo ad intravedere il lato terziario del grande nebbiolo. E' un Barolo più scuro degli altri, senz'altro minerale, ferroso, ematico, la frutta non è più fresca ma in gelatina, ribes e prugna in evidenza. Col tempo il ventaglio aromatico si amplia ulteriormente regalando profumi di incenso e mirra, cenere, spezie orientali, tè nero.  Al palato è ancora vivacissimo con un tannino serrato anche se meno muscolare del '78. Dotato di  una buona dotazione acida chiude lungo su note di tè Lapsang Souchong e arancia amara.

Foto: Andrea Federici
Barolo Borgogno Riserva 1961: l'età viene avvertita solo parzialmente perchè questo Barolo di cinquanta anni suonati non mostra nulla di clamorosamente terziario. Mettendo il naso nel bicchiere subito veniamo pervasi da una nota di menta bianca poi, col tempo, arriva il muschio, la violetta essiccata, la corteccia aromatica, la gelatina di frutta, la mandorla amara, il dattero, la lavanda e, infine, tocchi di cipria ed essenze da trucco. Al palato ci sorprendiamo per la tattilità del tannino, per l'abbraccio glicerico e per la persistenza mentosa con finale di arancia amara e frutta rossa da diario. Una grande bottiglia per una grande emozione finale.

FUTURO

Fonte: arcante.wordpress.com
Questo è Andrea Farinetti, figlio di Oscar, appena 22 anni. Da poco è diventato l'enologo di Borgogno, la sua azienda di famiglia. A lui il compito di preservare la tradizione.


L'equazione sul vino di Jonathan Nossiter vi piace?


VINO CONVENZIONALE = TOSSICO

VINO BIOLOGICO = SPESSO SNATURATO

VINO NATURALE = RIGOROSO, SALUBRE E TERRITORIALE ANCHE SE IMPERFETTO

Mentre non sono d'accordo con lui nel ritenere tutto il vino convenzionale Tossico, parola che in italiano implica cose un pò troppo spiacevoli, sulla relazione tra vino biologico e naturale forse potrei dargli in parte ragiona perchè, purtroppo, le maglie dell'agricoltura biologica sono talmente larghe ed aggirabili che, alla fine, il vino BIO è più un prodotto legato al marketing che altro. 

Ecco esattamente ciò che scrive su Vanity Fair (perchè sempre sti giornali?): 

Attualmente in Italia esistono tre associazioni di vini naturali: viniveri.net, vinnatur.org e renaissance-italia.it. Naturali, non semplicemente biologici. È un concetto più forte, che implica un rispetto assoluto della terra, della vigna e del percorso in cantina della trasformazione dell’uva in vino, dove spesso i vini “solo” biologici sono snaturati con la chimica e un eccesso di tecnologia. I vini naturali sono più rigorosi e salubri, esprimendo con purezza il proprio territorio. Alcuni dicono che sono vini “sporchi”, non perfetti. Ed è pur vero che non rassomigliano a una bella donna ritoccata in photoshop. È proprio l’imperfezione che dà nobiltà al vino.

Siete d'accordo?

Fonte: Vanity Fair

Champagne e Rolls-Royce: binomio coatto?


Come trasmormare un'auto di lusso in una macchina per enocoatti. Questa Champagne & DJ Rolls-Royce non è altro che una Silver Shadow del 1977 modificata per ospitare 21 bottiglie di Champagne, 100 flutes ed uno stereo da oltre 1000 watt con casse acustiche piazzate sia sulla fiancata che al posto dei fari antinebbia. Il progetto è del designer Stef van der Bijl.




Se proprio deve valere il binomio bollicina-Rolls-Royce allora mi piace di più questo esemplare. Ricordate?

Foto tratte da Repubblica.it

Il vino naturale a Cerea 2012


La prima impressione dopo aver lasciato Cerea è che la manifestazione, organizzata dal Consorzio Vini Veri, rappresenta un bel punto di riferimento per ogni evento di vino visto che spazi, atmosfera e professionalità sono esattamente quelli che ogni buon appassionato sogna e si meriterebbe.

Già all'entrata il visitatore viene colpito dalla selezionata proposta di piccoli produttori di delizie gastronomiche. Io sono impazzito, ma non ero il solo, per i formaggi di Valle Scannese e per i tajarin di Mauro Musso.

La grande sala
Parlando di vini, tra i bianchi merita attenziona la vitovska di due produttori che non conoscevo: Zidarich e Vodopivec. Il primo ha presentato una interessante Vitovska 2006, minerale e sapida al punto giusto mentre il secondo mi ha impressionato per una Vitovska 2005 "base" (ha anche una versione in anfora) che con la sua complessità segna a mio giudizio un punto di riferimento per tale vitigno.
In Italia, Lorenzo Gatti ha proposto un'interessante tocai, campione di vasca, fresco, sapido e dal caratteristico finale ammandorlato. Bevibilità super come il prezzo finale.
 
Carolina Gatti
Tornando ai vini più "esotici", in Croazia Roxanich produce ottimi vini bianchi e rossi. Tra i primi segnalo l'Antica 2008, una malvasia (malvazija) in purezza che sa di ruggine, terra e soffi salmastri. Davvero curiosa e unica nel suo genere.

Grande protagonista della fiera è stato Bressan che, oltre ai grandi bianchi, ha presentato due rossi da paura: lo Schioppettino 2006, dal frutto suadente e dalla grande speziatura, e il Pignol 2000 (pignolo 100%) che, nonostante una certa ritrosia, esprime col tempo profondità e complessità, una rarità per questo vitigno spesso mal interpretato.

La panza de Bressan
Altra grande conferma, ma non ce ne era bisogno, è stato Roberto Bianchi e la sua Val delle Corti. La sua Riserva 2009 è da segnare come "grande vino" perchè è un sangiovese elegantemente minerale che fa della progressione gustativa il suo punto di forza. Grande anche la Riserva 2007, un vino dal cuore sangiovese che potrebbe diventare un riferimento per i Chianti Classico di pari annata.

Roberto Bianchi
Di A' Vita ho finalmente bevuto la Riserva 2008: la bella annata si conferma anche con questa versione di gaglioppo in purezza, meglio ricordarlo, che trovo rugginosa e graffiante. Da seguire nell'evoluzione.

Nel Lazio, oltre alla bella versione di "Priore Mozzatta" 2010 de La Visciola, segnalo una nuova entrata: l'Habemus dell'Agricola San Giovenale, un blend di granache, syrah e carignan che strizza più di un occhio alla filosofia del Kurni di Casolanetti visto che il vino glielo fa proprio lui. Pur essendo molto giovane a me è piaciuto parecchio, vedremo di seguirlo meglio nel tempo.


Parlando di Casolanetti e di Marche, la versione 2010 del Kurni l'ho trovata davvero grande e profonda, forse non sarà un vino che mette tutti d'accordo però è impossibile dire che questo millesimo non sia di grande piacevolezza. Stessa cosa per il Kupra 2009, sempre più mediterraneo.

Casolanetti in posa
Questi piccoli appunti di degustazione proseguono con i due grandi Barolo 2008 di Giuseppe Rinaldi, il "Ravera" e il "Cannubi" che, con diverse sfaccettature, rappresentano come al solito un inno al grande nebbiolo di Langa. Peccato che un altro grande barolista, Cappellano, quando sono passato era assente dal tavolo con sopra solo una bottiglia mezza vuota di Barolo  Chinato.

No, aspetto a chiudere perchè bisogna menzionare anche due ottimi vini dolci: il Passito di Pantelleria Ferrandes e la Malvasia delle Lantieri Passito di Punta dell'Ufala. Se il grande pubblico si accorgesse di loro per molte aziende blasonate sarebbero dolori...

P.s: peccato per Panevino, Colombu che quando son passato erano totalmente assenti dal banco, forse non sono venuti?

Vinitaly 2012: il vino del Lazio andrebbe trattato meglio


MODALITA' INCAZZAMENTO ON

Lo dico senza vergogna ma con tanta amarezza in corpo: dopo aver visitato il Vinitaly posso urlare a tutto il mondo che il padiglione del Lazio è il più brutto in assoluto!!!
Eppure le premesse sembravano ottime: banner sui vari siti/blog enogastronomici, un padiglione di 2400mq, un programma fitto con 50 incontri con 20 buyers internazionali provenienti da 15 paesi europei ed extraeuropei, tante parolone sulla qualità del vino del Lazio, tante speranze per il futuro.


La realtà, invece, è stata ben diversa. E' vero, il padiglione è grande e  ben visibile dall'esterno ma, nei fatti, internamente risulta povero, anonimo, privo di stand accoglienti ma "ricco" di box o recinti stile ikea con la targhetta sopra e, udite udite, equipaggiati con tanto di bicchieri ISO 9000. Questo nella foto!!!


Mi rivolgo a chi ha organizzato tutto questo, cioè all’assessorato regionale alle Politiche Agricole, alla presidente della Regione Renata Polverini e all’assessore regionale all’Agricoltura Angela Birindelli: cari organizzatori, forse non lo sapete perchè siete politici e fate un altro lavoro, ma un bicchierino del genere svilisce TUTTO il vino del Lazio che, tra le varie cose, non gode nemmeno di ottima salute e reputazione.

Non sapete, cari organizzatori, che tristezza mi è venuta quando ho visto i vostri e i nostri produttori che, disperati, arrabbiati, con la paura di fare figuracce con i tanto sbandierati buyer esteri, andavano in giro per la fiera ad elemosinare o, peggio, ad acquistare sottobanco i normali calici da degustazione. Cari organizzatori, in un mercato globale e concorrenziale come questo avete messo i vignaioli del Lazio in una situazione di Serie B mentre tutti gli altri espositori, potenziali concorrenti, si giocano tranquillamente l'accesso alla Champions League. 

Se ripenso alle Marche, ad esempio, vedo il faccione di Dustin Hoffman come testimonial ed una grande e splendida terrazza dove, coccolati da una bravissima pianista, si potevano degustare non stop più di 200 vini.


Nel Lazio, senza offesa, abbiamo Alex Britti e Vincent Candela (ex giocatore della Roma e ora presunto vignaiolo) come ospiti d'onore.
Vogliamo poi parlare delle degustazioni organizzate? Mentre in Campania si parla di confronto tra i vari terroir del Fiano, dalle nostre parti organizziamo "Il Bordeaux nel Lazio". Senza parole.


MODALITA' INCAZZAMENTO OFF

P.S: mentre scrivo leggo su Il Messaggero e su altri giornali che l'assessore Birindelli risulta sfiduciata da più parti politiche perchè le modalità di affidamento all'Ente Fiera di Verona delle attività di allestimento e organizzazione del padiglione della Regione Lazio al Vinitaly risultano poco chiare.
Secondo Giuseppe Parroncini, consigliere regionale PD, una scelta molto discutibile perchè fatta senza gara e per un importo vicino ai due milioni di euro.

Doppia figura di merda.


Cocktail col vino: ora ci si mette anche il Recioto...


Tempo di crisi e di cantine piene di vino, così anche uno storico marchio come la Masi Agricola ha deciso di ingegnarsi per far quadrare i conti. Come? Secondo il mio parere svilendo il Recioto Classico, storico vino della Valpolicella, per andare a creare quello che sarà chiamato Reciojito, una sorta di bevanda alcolica a base di Mojito e, appunto, Recio Classico Amabile degli Angeli.
L'idea dell'azienda, che non condivido, è quella di prestare il Recioto Classico all’happy hour lanciando un vino storico oltre i confini del fine pasto, solitamente invernale, o dell’abbinamento al dessert, entro cui l’abitudine l’ha collocato.
Il Reciojito potrà essere degustato al Vinitaly, dal 25 al 28 marzo 2012. 


 La mia domanda è: perchè? E, soprattutto, quando si arriverà al Barolito?

La ricetta del Reciojito

8-10 foglie menta
3 cl succo fresco lime non filtrato
3 cl simple syroup (zucchero liquido)
3 cl Rum Bianco (Brugal) 3 cl Amabile degli Angeli Recioto Classico Masi
Top soda
Spolverata di un cucchiaio di zucchero canna bianco
Decorare con un rametto di menta e una fetta di lime, servire in un bicchiere “tumbler". 
Fonte: Winenews

Nel Lazio il marketing del vino si insegna gratis agli imprenditori agricoli


Sono aperte le iscrizioni per il corso di formazione gratuito in marketing del vino ed enoturismo che si terrà presso la Cantina Cincinnato di Cori (LT) a partire dal mese di maggio. Il corso, finanziato dal Piano di Sviluppo Rurale del Lazio 2007-2013 avrà la durata di 135 ore e includerà insegnamenti riguardanti in particolare il marketing del vino, dalle scelte relative al prodotto fino alla comunicazione, l’enoturismo, la degustazione del vino, la commercializzazione del vino con attenzione anche all’export, la contrattualistica internazionale e le attività istituzionali internazionali, la sicurezza sul lavoro. Non mancheranno insegnamenti di informatica e di inglese commerciale/tecnico.

L’obiettivo è quello di fornire agli allievi tutti gli strumenti necessari per la promozione della propria attività vitivinicola e di ricezione enoturistica con attenzione anche all’utilizzo di internet e dei social network nella comunicazione aziendale e all’export. Le lezioni si terranno due volte a settimana e avranno la durata di 4 ore. Il corso è riservato a candidati in possesso dei seguenti requisiti: giovani agricoltori che abbiano conseguito la qualifica di Imprenditore Agricolo Professionale (IAP), addetti al settore agricolo con richiesta di iscrizione all’elenco di IAP, imprenditori agricoli professionali beneficiari della misura 311 del PSR, Addetti al settore agricolo e forestale  operanti in aziende agrituristiche, i componenti della famiglia degli addetti al settore agricolo e forestale, addetti al settore agricolo e forestale.

La domanda di ammissione al corso, redatta in carta semplice e con allegata la documentazione relativa al possesso dei requisiti richiesti, deve pervenire entro il termine improrogabile del giorno 30/03/2012 ore 17:00 presso la sede CIPA.AT LAZIO in Via Edoardo D’Onofrio, 57 00155 Roma tramite raccomandata con ricevuta di ritorno o in alternativa consegnate a mano. In questo ultimo caso il soggetto attuatore rilascerà, agli interessati, ricevuta recante la data di consegna. 

Per informazioni
CIPA.AT Lazio, Via Edoardo D’Onofrio 57, 00155 Roma  tel:  06/89020639 
fax. 06/4070750 email: info@cipaatlazio.it sito: www.cipaatlazio.it

Cooperativa Agricola Cincinnato a r.l.
Via Cori - Cisterna km. 2
04010 Cori (LT)

La Brasserie Cantillon tra naturalità, tradizione e rispetto del tempo - 2^ parte


 Per chi si fosse perso la prima parte cliccare qua

Nel magazzino delle botti, che hanno una capacità tra i 225 e i 500 litri, il mastro birraio riempie questi contenitori con il mosto raffreddato che, ad opera dei lieviti selvaggi, inizia la fermentazione spontanea. Inizialmente il processo di fermentazione è violento e visibile grazie ad una schiuma bianca che esce dal barile. In tali casi la perdita di mosto, mediamente, può variare tra i 5 e i 10 litri a botte.

Dopo tre-quattro settimane comincerà la seconda fase di fermentazione, molto più lenta e, scongiurato il pericolo esplosione del barile, questo verrà ora chiuso ermeticamente. Il Lambic è nato. La fermentazione, di una rara complessità, continuerà per almeno tre anni anche se il mastro birrario potrà usare il Lambic “giovane” (un anno) per elaborare birre come la Gueuze e la Kriek.

La bottaia. Fonte:homepage.mac.com
La prima non è altro che il prodotto finale di una miscela di Lambic di un anno, due anni e tre anni. I Lambic più giovani apporteranno gli zuccheri necessari alla “champagnisation” in bottiglia, mentre invece quelli di tre anni contribuiranno con il loro bouquet e la loro finezza. Il ruolo più importante del mastro birrario è quello gustativo: bisognerà infatti assaggiare il contenuto di una decina di botti al fine di sceglierne setto o otto in maniera da produrre una Gueuze di stile Cantillon.

La Kriek, invece, è una birra prodotta a partire da Lambic di due anni macerate con frutta a bacca rossa (lamponi, ciliegia o altri frutti). La macerazione, che avviene in estate, dura almeno tre mesi al fine di permettere alla birra di estrarre dal frutto tutto il suo gusto, aroma, colore e tenore zuccherino. Sarà quindi mescolata con un terzo di Lambic giovane

Tutte le birre prodotte sono poi filtrate per togliere i lieviti morti ed infine travasate in vasche d’acciaio per poi essere trasferite alla sala imbottigliamento dove la birra tappata con sughero naturale ed incapsulata. Da qui, le bottiglie passano finalmente in cantina dove avverrà il processo di rifermentazione in bottiglia, della durata di sei mesi circa, dovuto agli zuccheri presenti all’interno dei Lambic più giovani. Questo processo, simile agli spumanti e agli Champagne, avviene sia per la Gueuze sia per le birre aromatizzate alla frutta (kriek, framboise e vigneronne).

Botte in fermentazione. Fonte:mcduffwine.blogspot.com
La cantina di Cantillon può contenere fino a 13.500 bottiglie. All’interno del birrificio, inoltre, possiamo trovare altre due sale importanti. 
La prima è il Granaio che, adeguatamente aerato, permette di immagazzinare il frumento, il malto e il luppolo che, nella produzione di Lambic, per evitare che dia troppa amarezza alla birra viene invecchiato per circa tre anni.

Il Granaio. Fonte:howderfamily.com
L’altra sala è il locale di pulitura barili, un posto a prima vista tetro e ammuffito dal tempo, all’interno del quale le botti Cantillon vengono lavate in tre fasi: pulitura a mano, pulitura a vapore per eliminare ogni microrganismo presente nel legno e pulitura meccanica. In questa fase il barile, precedentemente riempito con acqua calda e catene dagli orli taglienti, viene installato all’interno di una macchina che gli imprimerà una rotazione che farà raschiare le catene alle pareti interne mentre, in contemporanea, l’acqua risciacquerà le stesse. Una volta terminata l’operazione, le botti verranno solforate affinchè nessuna muffa venga a formarsi.

Dopo tutto questo pistolotto birrar-educativo, avete voglia di bere una Cantillon? Sì? Bene, allora scegliete da questa lista la vostra tipologia preferita!

Gueuze: miscela di Lambic di uno, due e tre anni di invecchiamento. Sottoposta a rifermentazione in bottiglia. Birra di lunga conservazione.


Kriek: risultato della macerazione di ciliegie di Shaerbeek (varietà del Nord) dentro a del Lambic di due anni di invecchiamento (150 Kg per 500 litri) per 5-6 mesi. Messa in bottiglia con l’aggiunta di un 30% di Lambic giovane. Sottoposta a rifermentazione in bottiglia.


Rosé de Gambrinus: come la Kriek, ma al posto delle ciliegie sono usati i lamponi.

Vigneronne: assemblaggio di Lambic e chicchi di uva merlot (Bordeaux).

Fou’foune: assemblaggio di Lambic con albicocche della varietà “Bergeron”.

Grand Cru Bruocsella: Lambic di tre anni, selezionato per la qualità del colore, dei suoi aromi e del suo bouquet. Tutti gli zuccheri contenuti sono stati assimilati dai lieviti per cui non c’è rifermentazione in bottiglia.

Iris: prodotta partendo da malto della varietà pale-ale (colore più ambrato), l’Iris conserva il tocco tipico della fermentazione naturale, la complessità degli aromi e il gusto vinoso. L’uso di luppolo fresco comporta un tenore amaro molto fine.

Faro: Lambic al quale è stato aggiunto del caramello o dello zucchero candito. Questa birra addolcita non può essere conservata per più di 4 settimane. L’apporto dello zucchero provoca una fermentazione tale che la bottiglia potrebbe esplodere per colpa della pressione dell’anidride carbonica.

Le cuvées Lou Pépés: il Lambic tradizionale è una birra la cui fermentazione spontanea non può essere controllata dal birraio. Da una cotta all’altra una moltitudine di fattori influenzano il gusto o gli aromi del prodotto. Le miscele e gli assemblaggi sono quindi indispensabili per l’elaborazione di una birra dal gusto armonico. Le cuvées Lou Pépés si sottraggono da questi principi di fabbricazione. I Lambic vengono selezionati per la loro finezza e gli aromi. Con l’aggiunta di ciliegie e lamponi danno vita a una birra ben equilibrata e con grande presenza di frutta. Questi Lambic fruttati, così come quelli selezionati per la Gueuze Lou Pépés, sono rifermentati in bottiglia grazie all’aggiunta di un po’ di zucchero di canna. La spumantizzazione non è dunque, in questo caso, ottenuta grazia all’addizione di Lambic giovane. Le cuvées Lou Pépés Kriek e Framboise contengono fino a due volte più di frutta per litro di birra. I Lambic usati per la produzione di queste birre eccezionali provengono da un’unica cotta il che permette di millesimare ogni bottiglia.


Due note per chi ha intenzione di arrivare fino a Bruxelles per visitare Cantillon: la birreria è aperta tutti i giorni tranne la domenica dalle 9 fino alle 17. Il tour, dal costo di 6 euro, include una degustazione di due Lambic a persona che potrete gustare presso il beer-bar presente all’entrata. Ah, il costo delle birre qua è davvero irrisorio. Una Gueuze da 0.75 costa circa quattro euro.

Vi lascio con un cartello che ho trovato nella bottaia, penso che questo dica tutto, soprattuto per noi che amiamo anche il vino...

Fonte:ilviandantebevitore.blogspot.com

Quando lo Champagne ha il sapore della pipì..

 
Questa donna ha un problema

No, non è perchè ha dichiarato che beve regolarmente 4 bicchieri di pipì al giorno.

No, non è perchè beve pipì per lavarsi i denti, fare il bagno, umidificare gli occhi e le vie nasali e come tonico anti cancro.

No, non è perchè da quando ha iniziato, circa 4 anni fa, ha bevuto più di 3000 litri di pipì che, tra le varie cose, trova molto confortante.


Carrie, la donna canadese 53enne che ha confessato il suo vizietto alla trasmissione “My Strange Addiction" va aiutata perchè ha dichiarato che "il suo sapore, a volte salato, può anche assomigliare a quello dello champagne".

Le cose sono due: o questa tizia ha sempre bevuto ciofeche (cosa probabile) oppure, se fosse una professionista del metodo classico,dovremmo tutti rivedere il concetto di sapidità del vino. 

Ai poster l'ardua sentenza! :-)