Castel Schwanburg 1996, il Cabernet Sauvignon dell'Alto Adige come piace a me!

Nalles, piccolo paesino a pochi chilometri da Merano è famoso sia per essere situato sulla famosa strada romana Via Claudia Augusta, sia per il bellissimo e storico Castel Schwanburg o Castel del Cigno (schwan in tedesco significa cigno) citato già nel 1286 in un documento della Parrocchia di Bolzano come “Haus in der Gaul” (“casa nella stretta”) e appartenuto fin dal  dal XIV secolo al nobile casato dei Boymont-Payersberg.


Foto: www.burgen-adi.at
E il vino, in tutto questo, cosa c'entra?

Beh, forse non tutti sanno che il castello, oltre ad essere tuttora sede dell'omonima azienda agricola appartenente ai discendenti di Rudolf Carli, ha prodotto per vari anni uno dei migliori Cabernet Sauvignon italiani e la bottiglia aperta poco tempo fa con amici ne è una conferma.

Prima di incensare il vino come merita, vorrei subito tarpare le ali a chi sta già esultando per la notizia: è un vino che probabilmente non c'è più perchè il suo papà, Dieter Rudolph, è morto ben sette anni fa durante una immersione alle Maldive.

Personaggio appassionatissimo di vino e, per certi versi, visionario, Rudolph dopo gli studi in enologia ed una serie di esperienze lavorative a Bordeaux tornò nella sua Nalles con le idee ben precise: fare di Castel Schwanburg una sorta di Château bordolese in salsa sudtirolese.
Rudolph, perciò, modernizzò tutti i vigneti aziendale creando impianti molto più fitti allevati a Guyot e non con la classica pergola trentina, costruì nei primi anni '70 il primo impianto in di vinificazione in acciaio e termocontrollato in Alto Adige e, ovviamente, diede una sterzata anche ai criteri di affinamento del vino grazie all'introduzione delle barrique.



Il frutto di quel lavoro incentrato sulla ricerca dell'eleganza e che, ai tempi, contrastava con l'idea di produzione enologica dell'Alto Adige, l'ho potuto ammirare poco tempo fa quando ho aperto una bottiglia di Cabernet Schloss Schwanburg 1996 durante una cena al Salotto Culinario di Dino De Bellis.

Beh, lo ammetto, nella mia insensata avversione verso ogni tipologia di cabernet in purezza proveniente dall'Italia, ho ritrovato in questa versione il sorriso che mi mancava  legittimato da pirazine accuratamente addomesticate e slegate dall'immagine della peperonata classica che, spesso e volentieri, fa somigliare i vini di questa tipologia ad una confezione de I Grigliati Saclà!

Non solo. 

L'anima bordolese, avidamente ricercata da Rudolph, ritengo sia perfettamente evocata quando al naso, col passare del tempo, il cabernet sauvignon amplia il suo quadro aromatico temprandosi con un susseguirsi di note che vanno dal cuoio al cassis fino ad arrivare alla terra e al tabacco mentolato. Tutto questo senza spingere ed urlare.

La bocca, penso, sia il tocco di classe di questo vino, straordinaria per equilibrio composto da sapidità, tensione acida e, perchè no, muscoli definiti senza iniettarsi steroidi.

E', ad oggi, un vino sospeso tra la ragione e la follia, da bere tutto di un fiato. Mi domando perchè nessuno più abbia intrapreso questa strada, la via Maestra del Cabernet Sauvignon.

Un vino di Creta: Domaine Lyrarakis - Dafni 2012

Ogni tanto il mio amico Costas Linardos di Ellenika mi invita a degustare qualche bottiglia della sua Grecia e, come in passato, accetto sempre di buon grado visto che la sua selezione rompe spesso gli schemi del classico prodotto per turisti in vacanza.

Stavolta è il turno di un vino di Creta, un'isola che adoro e della quale ho già scritto in passato recensendo un paio di cantine locali.

Cercando un pò di notizie nei vari wine blog greci e, parlando con lo stesso Costas, ho scoperto che la produzione vinicola dell'isola è pari circa al 20% del totale nazionale e, storicamente, Creta è stata sempre vista come il gigante addormentato del paese. Infatti, da sempre, si è sempre puntato più sulla quantità che sulla qualità grazie anche alla presenza di numerose e grandi cantine cooperative che sfornavano tanto vino per il consumo locale e continentale. 
A Creta solo negli ultimi 30/40 anni si è cercato di invertire la tendenza puntando sulle numerose varietà autoctone anche se, purtroppo, chi ha cercato di lavorare bene ha dovuto fare i conti con un focolaio di fillossera che nel 1970 ha creato solo problemi a chi cercava di migliorare la viticoltura cretese.


Foto: sidedish.dmagazine.com
Vigneti. Foto: sito aziendale
E' proprio in quel periodo di fervore, siamo alla fine degli anni '60, che nasce il Domaine Lyrarakis un'azienda vinicola famigliare che fin da subito ha posto l'attenzione sulle varietà locali coltivate nei vigneti, 14 ettari in tutto piantati su terreno ghiaioso, che sorgono nel villaggio montano di Alagni (440m) che si trova a sud della città di Heraklion all'interno dell'AOC Peza.
Dalla fine degli anni Ottanta la loro attenzione si è concentrata sulla varietà rare ed autoctone di Creta: Dafni e Plyto per i vini bianchi (chiamati aziendalmente I Tesori di Creta) mentre a bacca rossa troviamo uve chiamate Kotsifali e Mandilari.  Presenti, come è facile pensare, anche alcuni vitigni internazionali come Syrah, Cabernet e Merlot che vengono usati esclusivamente come uve da taglio.

La nuova cantina (2004). Foto: sito aziendale
Il vino portato da Costas è un Dafni 2012. Sono particolarmente affascinato da questo vitigno, il cui nome significa alloro, perchè probabilmente stiamo parlando di uno dei vitigni più antichi del mondo visto che nel museo di Chania, a Creta, esiste un vaso di rame risalente all'età del bronzo con la scritta "Dafnitos Oinos" ovvero questo "vino da uve Dafni". 

Al naso, dove un breve inizio su uno stile agrumato/esotico che mi aveva lasciato un pò indifferente, si apre evocando quelle sensazioni di erbe aromatiche da cui trae il nome e dando una scossa mediterranea a tutto il complesso olfattivo che si arricchisce col tempo di aromi di fiori di arancio, lavanda e fervida mineralità.

In bocca esplode il carattere isolano del Dafni che muta la sua anima trasfigurandosi in un chicco di puro salgemma che rende la beva sapida e fresca grazie all'azione di un ritorno mentolato che spinge la persistenza fino a mete inaspettate. Teso, chiude austero e molto pulito. 

Che dire? Beh, un vino bianco non convenzionale che per circa 10 euro vi darà tante soddisfazioni. Potere dei vini della Grecia!


Sir Alex Ferguson mette all'asta i vini della sua cantina!

Inizialmente, erano una sorta di rito post partita coi colleghi allenatori, a cui lui offriva una bevuta in compagnia per dimenticare la partita appena disputata e loro, in cambio, lo omaggiavano con una bottiglia piena. E visto che tutto si può dire degli italiani tranne che non capiscano di vini, i preferiti di sir Alex Ferguson quando si trattava di alzare i calici erano non a caso Carlo Ancelotti (che ha raccontato di un’insospettabile passione scozzese per l’italianissimo Masseto) e Roberto Mancini (che era solito portargli del Sassicaia di eccezionale qualità). Poi nel 1991, complice un viaggio in Francia, sir Alex cominciò anche a collezionarle, quelle bottiglie così pregiate, giudicandolo un valido antidoto alle pressioni a cui era quotidianamente sottoposto facendo l’allenatore. Ma ora che in panchina non ci va più, ha deciso che è arrivato il momento di liberare la cantina e così il prossimo 24 maggio verranno messe all’asta le circa 5mila bottiglie di vino pregiato raccolte da Ferguson fra il 1986 e il 2013 e che comprendono anche quelle del 1999 (anno glorioso non solo per la vendemmia ma anche per il Manchester United, che conquistò uno storico – e per ora irripetuto – treble).

Bottiglia di Petrus 1988 - Foto:http://www.thestar.com.my/

UNA COLLEZIONE DA 3 MILIONI DI STERLINE — E per far contenta la signora Cathy, lo scozzese ha voluto svuotare pure la soffitta, aggiungendo così al lotto affidato a Christie’s anche numerosi cimeli autografati. Valutata dagli esperti 3 milioni di sterline in prevendita, la collezione Fergie è composta per il 75% dal Domaine de la Ronanee-Conti, un borgogna francese che a sentire il responsabile della casa d’aste per il settore vini, David Elswood “è probabilmente il vino più in voga del mondo e per questo potrebbe attirare l’attenzione non solo dei tifosi di sir Alex ma anche di tutti gli intenditori, in particolar modo sul mercato asiatico”. Ecco perché l’asta si terrà ad Hong Kong, dove verrà battuto però solo il 60% delle bottiglie, mentre un terzo sarà venduto a Londra a giugno e il restante 10% finirà online.

Imperiale di Sassicaia 2005 - Foto:http://www.thestar.com.my/

IL 1999 LA MIA ANNATA MIGLIORE — “Quando la gente mi chiede quale sia stata l’annata migliore della mia carriera da allenatore - ha spiegato Ferguson nell’unica intervista concessa alla casa d’aste per promuovere la vendita - rispondo che è stata senz’altro quella del 1999, che ha coinciso con un vino altrettanto speciale, un Romanee-Conti ’99. Collezionare vino mi ha permesso di avere un interesse al di fuori del calcio, che mi distraesse dalle pressioni a cui ero sottoposto, ma solo due o tre anni fa mi sono reso conto di quante bottiglie avessi raccolto e così, una volta andato in pensione, ho pensato fosse arrivato il momento buono per venderle”. E chissà che nel lotto non ci siano anche quelle sette casse di Chianti (una per ogni gol rifilato alla Roma nei quarti di Champions del 2007 all’Old Trafford) che gli spedirono degli anonimi tifosi laziali per celebrare l’evento o la bottiglia di Brunello che gli regalò Ancelotti nel 2005 dopo che il Milan eliminò lo United e che lui disse avrebbero aperto insieme una volta vinta la finale dai rossoneri contro i rivali di sempre del Liverpool: ricordate tutti come andò ad Istanbul, mentre della famosa bottiglia non se ne è più saputo nulla. In fondo, si beve (anche) per dimenticare.

Collezione di Petrus - Foto:http://www.thestar.com.my/
Articolo tratto integralmente da Gazzetta.it

Giulio Ferrari Riserva del Fondatore 2001

Premetto, a mio modo di vedere, che parliamo di uno dei pochi spumanti italiani metodo classico in grado di dare filo da torcere agli champagne dei nostri "cuginetti" francesi.
Il Giulio Ferrari Riserva del Fondatore è un cru, un blanc de blanc, di solo chardonnay, espressione di un vigneto di proprietà a Maso Pianizza, vicino a Trento, considerato unico per il particolar microclima che rende uniche le sue uve.


Maso Pianizza - Foto:http://www.viniesapori.net

La storia di questo spumante è affascinante. Convinto, per gli studi fatti in Francia, che un grande metodo classico può durare nel tempo come un grande rosso, nel 1972 Mauro Lunelli nascose, temendo di essere rimproverato dai fratelli Franco e Gino che guidavano l'azienda, alcune migliaia di bottiglie di Ferrari. Otto anni dopo, quelle stesse bottiglie, seguite giorno dopo giorno sempre di nascosto, vennero fatte degustare a tutta la famiglia. I giudizi furono talmente entusiastici che Mauro Lunelli fu costretto a scoprirsi con grande sorpresa e ammirazione da parte di tutti. Da allora, quelle bollicine furono chiamate con il nome del fondatore della casa e proposte sul mercato. Era il 1980. Il mito aveva inizio.



Il Giulio Ferrari Riserva del Fondatore 2001 nasce da un'annata di grande potenzialità, caratterizzata da un andamento climatico regolare che ha garantito, soprattutto in estate, elevate escursioni termiche nel vigneto con conseguente evoluzione ottimale dello chardonnay. A Maso Pianizza la vendemmia è iniziata il 22 settembre, oltre un mese dopo l'inizio negli altri masi di proprietà, a dimostrazione di quanto diverso ed unico sia questo cru aziendale dove l'uva ha tempi di maturazione più lunghi.

Lo spumante ha un perlage elegante e, una volta messo il naso nel bicchiere, la prima cosa che ti viene in mente è che questo grande metodo classico italiano ha una mineralità talmente definita ed irruenta che qualcuna la definisce come "sfacciata". Non solo. Il terroir di Maso Pianizza viene talmente fuori che, dopo qualche minuto, emergono note salmastre, saline, a cui seguono toni di agrumi, ghiaia e castagna oltre alla classica crosta di pane che, dopo tanti anni, è davvero quasi un ricordo.
In bocca è sapido, quasi salino, la mineralità si fonde poi con gli aromi agrumati, freschi e vellutati in un matrimonio dagli esiti sorprendenti. Finale equilibrato, elegante, lunghissimo. 
Lunelli punta molto su questa annata e non facciamo fatica a credergli.


Fonte: L'Arcante

Grazie dei grazie ma manca il terzo grazie per formare le Tre Grazie. Intanto grazie a Bibenda 7 per le risate anni '90!

Forse è la prima volta che creo un titolo così lungo che, probabilmente, l'indicizzazione di Google non gradirà. 
Così è la vita, non potevo trovarne uno diverso e, in questo, Bibenda7, la newsletter settimanale della neonata Fis, mi ha dato una mano e uno stimolo, causa risate, a non chiedere la mia cancellazione dalla loro banca dati. Su questo devo dire che sono bravi.....

Sul numero cento, l'ultimo, la mia curiosità mi ha fatto cliccare sull'immagine in cui c'era scritto Thank You. Mah, ho pensato, chissà chi vorranno ringraziare.....


Dopo un secondo ecco apparirmi la schermata. Non ci potevo credere ma l'ho letto tutta perchè pensavo che alla fine ci fosse il cartello Scherzi a Parte.

Abbiamo registrato testimonianze di grande apprezzamento della nostra iniziativa che ha consentito ai Soci della (neonata solo di nome) Fondazione di entrare per due giorni al Vinitaly gratis e senza fare la fila.

Non senza un certo orgoglio ci fa piacere riportarne alcune.

Romina > È stato utilissimo… un trattamento decisamente VIP!

Marina > Red Carpet, grazie a Fondazione Italiana Sommelier mi sono sentita una privilegiata!

Giulio > Direi che è stato più che utile, fondamentale. Grazie!

Stefano > Una carta vincente, direi. Nessuna fila! Ingresso riservato! Grazie!

Michela > Utilissimo. Personalmente ho risparmiato un sacco di tempo - prezioso - evitando tutta la lunghissima fila che c'era. Come sempre, Fondazione Italiana Sommelier ha dato qualcosa in più rispetto a tutti gli altri. Grazie.

Mario > Era molto trafficato per via delle persone no fondazione ferme all'entrata che attendevano non si sa cosa e rumoreggiavano perché non riuscivano a entrare.

Antonietta > È stato utilissimo! Nessun problema all’ingresso: appena mostrata la tessera sono entrata senza fare la fila. Grazie alla Fondazione Italiana Sommelier.

Marianna > Per la prima volta in tanti anni niente fila! Alla grande!

Rosa > Io ho provato prima dalle entrate laterali senza trovare il varco. Farsi dire dove poter accedere è stata un’impresa, ma poi ne è valsa la pena.

Giuseppina > Perfetto!

Paola > Perfetto! Senza file e con un’accoglienza autorevolissima.

Claudia > I Soci della Fondazione non fanno la fila ed entrano dall’ingresso Autorità!

Augusto > Entrare dal varco Autorità è stato un privilegio!

Alessandro > Appena mostrata la tessera, senza dire una parola ci hanno fatto passare.

Roberto > Avete fatto una cosa meravigliosa!

Francesco > Grazie, è stato come avere il Telepass!

Gianni > Sono entrato assieme al Ministro! Ingresso autorità!

Giada > Abbiamo evitato almeno un’ora di fila!

Luca > Il fatto di avere a disposizione un numero di telefono da chiamare in caso di problemi all’ingresso, mi ha dato sicurezza.

Mara > L’ingresso al Vinitaly mi dà sempre un senso di smarrimento, stavolta no. Grazie!

Foto: systemfailureb.altervista.org

Una grassa risata e uno spavento mi ha riportato in mente le logiche di promozione televisiva anni '90 (Wanna Marchi docet) dove, a fronte di una vendita di un prodotto o di un servizio, in trasmissione veniva proposto l'angolo delle testimonianze "reali" (?) dove tristi casalinghe o improbabili pensionati elargivano grandi ringraziamenti al prodotto di turno che in pochi giorni aveva avuto il merito di avergli migliorato la vita.

A me quel tipo di pubblicità testimoniale mi ha sempre fatto storcere il naso causa poca credibilità di quegli interventi che mi sono sempre chiesto se erano davvero così reali e sinceri come volevano farci credere.

In tempo di social media marketing mi chiedo che senso abbia riproporre una pubblicità del genere, vecchia e scarsamente credibile, che sembra far riferimento al vecchio proverbio "è come chiedere all'oste se il vino è buono".

Ahi, ahi, caro FMR!! 

Nel frattempo, aspettando che qualche povero sommelier diventi testimonial televisivo della Nuova Bellezza in salsa ricciana, vi ripropongo un grande spot dei Centri Dimagranti Sobrino. Sia mai che qualcuno tragga spunto....













Vinitaly 2014 e il peggior comunicato stampa dell'anno

L'avevo evocato pochi giorni fa tramite Twitter, aspettavo con ansia, tra le mille mail arrivate in questi giorni di Fiera, il comunicato stampa peggiore dell'anno in tema di vino ed argomenti affini.

Ed eccolo qua, è stato abbastanza facile individuarlo, leggetelo in tutta la sua "bellezza"!!!

Ciao Andrea,
temo che non sarà facile seguire qualche suggerimento da parte della nostra agenzia in fatto di nuove etichette e nuovi assaggi ma io ci provo ugualmente.

..........e poi non so se conosci i vini del XXXXX, uno dei nomi storici del Chianti Classico. XXXX presenterà in occasione di Vinitaly un nuovo assemblaggio che con le sue poche migliaia di bottiglie vuole rappresentare una piccola gemma delle vigne della proprietà. Il nuovo vino si chiama XXX, sarà annata 2009 e parlerà del territorio del Chianti Classico con le voci del Merlot, del Petit Verdot e del Syrah.

Ma sì, dai, parliamo della Toscana e del Chianti Classico con tre uve autoctone del luogo.....!!!!

MITICI!!!!

Foto: www.elencopsicologimilano.it

Tselepos Winery tra Driopi Rosé e Nemea Driopi

Avevo già parlato di questa importante azienda vinicola greca quando, con il mio amico Costas, avevo bevuto un ottimo Moschofilero prodotto da Yiannis Tselepos, un signore baffuto che ha avuto il pregio di salvare questo vecchio vitigno del Peloponneso dall'estinzione.

Passa qualche mese ed ecco che il mio amico greco "de Roma" mi porta a degustare altre due bottiglie di Tselepos, un rosé e un rosso a base di Agiorgitiko, uva considerata tra le migliori di tutta la Grecia il cui nome deriva da Agios Georgios (San Giorgio).
I vigneti, differentemente da quanto visto per le uve moschofilero piantate nella regione dell'Arcadia, si trovano nella zona viticola della Nemea (una delle più grandi in Grecia) caratterizzata da catene montuose che, pian piano, degradano in colline e pendii verdeggianti ricoperti da vigneti, situati ad altezze che vanno dagli 850 ai 200 metri s.l.m., dove l'Agiorgitiko è la varietà più coltivata.

Vigneti in Nemea

Dal vigneto aziendale di circa 9 ettari acquisito nel 2003 da Yiannis Tselepos, composto anche da vigne di oltre 50 anni di età, nascono i vini che ho in questo momento davanti a me, il Driopi Rosé 2013 e il Nemea Driopi 2012.

Il primo, la cui vinificazione prevede una macerazione sulle bucce per 36 ore, è un rosato abbastanza spiazzante per le diverse anime che lo compongono. Al naso, infatti, è abbastanza "scontato" con i suoi freschissimi aromi di caramella al lampone e fragolina di bosco. Il discorso però cambia totalmente al sorso dove si fa austero, diretto, minerale e con un finale sapido e persistente che, in qualche  modo, ridà punti ad un vino che si fa apprezzare se abbinato, come abbiamo fatto noi, anche ad una bella pasta all'amatriciana!


Il Nemea Driopi 2012, anch'esso 100% Agiorgitiko, si caratterizza per una fermentazione in acciaio e un successivo affinamento in barrique per 8-10 mesi. Il naso è ancora molto chiuso, deve aprirsi, e solo con un'adeguata ossigenazione riesco a percepire l'alito di un frutto scuro al quale sensazioni di radici, liquirizia e terra aggiungono adeguata e sperata complessità.
La bocca, più di tutti, svela l'estrema giovinezza del vino che in questa fase evolutiva è più verticale che orizzontale mantenendo una bellissima bevibilità. Sicuramente il tempo conferirà al sorso quel quid in più indispensabile per confermare all'Agiorgitiko quella fama che lo vede spesso collocato sul podio dei migliori vini della Grecia.



Spumante Nature Sergio Mottura 1996

Champagne, Franciacorta e Trentodoc.

Champagne, Franciacorta e Trentodoc.

Champagne, Franciacorta e Trentodoc.

Sempre le stesse zone, sempre gli stessi nomi con, a volte, qualche sterzata in zona Verdicchio.

La tradizione spumantistica italiana, per fortuna, è molto più ampia di quanto si possa credere e nel Lazio, nel nord della mia Regione, c'è un'azienda che oltre a produrre ottimi vini bianchi come il Poggio della Costa e il Latour a Civitella, dà vita ad un interessantissimo metodo classico chiamato semplicemente "Vino Spumante di Qualità" Nature Mottura.

Ritorno a parlare di questo vino dopo tanto tempo, era il 2010 quando su Percorsi di Vino raccontavo le impressioni della mia visita all'azienda con relativa degustazione di uno splendido Spumante "targato" 1992  che così descrivevo: "Metto il naso, sono consapevole che sto odorando un pezzo di storia, riconosco facilmente l’agrume candito, la cotognata, il sapido minerale, poi escono le arachidi, tocchi di camomilla. Non ha grandissima complessità olfattiva, non lo paragonerei ad uno champagne di pari annata ma è ugualmente emozionante. In bocca non tradisce, direi che migliora decisamente con una spina acida davvero importante che tiene su tutta la struttura del vino che al palato sa tanto di sassi e frutta gialla matura. Bella progressione finale".

Pupitre all'interno della cantina Mottura

Tutte queste sensazioni, questi ricordi, sono riaffiorati quando pochi giorni fa ho aperto una bellissima magnum di Spumante Nature Millesimato 1996 tenuta per troppo tempo in cantina in attesa dell'occasione giusta che, come spesso mi accade in questi ultimi giorni, è stata una cena al Salotto Culinario di Dino De Bellis.

Prima di passare alle impressioni gustative, però, una breve parentesi tecnica per capire la genesi di questo vino che, come leggiamo sul sito internet, è prodotto totalmente da uve chardonnay provenienti dal vigneto "S. Martino" impiantato su terreno argilloso di medio impasto nel 1979. La coltivazione segue regole biologiche: solo concimi organici (ricavati dai residui delle vinacce integrate con le fecce del vino) e prevenzione delle malattie crittogamiche con rame e zolfo. Nessun trattamento insetticida. 
La vinificazione avviene con spremitura soffice, decantazione dei mosti e fermentazione a temperatura controllata. Dopo la "presa di spuma" il vino matura sulle fecce per almeno cinque anni in antiche grotte scavate nel tufo con temperatura naturale e costante di 12°C. Dopo la sboccatura lo spumante riposa per almeno sei mesi prima di essere immesso in commercio.



Il 1996 che ho degustato con un pò di amici, sboccato nel novembre 2010, è uno spumante che ha sicuramente raggiunto il suo apogeo in quanto le durezze giovanili, la sferzante acidità data dal suolo di Civitella d'Agliano, sono ben più che domante da una morbidezza e da una cremosità che rende sia l'olfatto che la beva di estrema "golosità".
Il profilo aromatico, infatti, sa di mela golden, pera matura, fiori gialli appassiti, tocchi di pasticceria, fieno, frutta secca e pan di zenzero.
Al gusto l'equilibrio la fa da padrone e la cremosità dello spumante, unita a sensazioni di frutta secca, miele millefiori e vaniglia, ci accompagna verso un finale affatto scontato visto che la chiusura, sapida, ben bilancia la parte più "amabile" del vino.




Una grande spumante del Lazio di cui spesso si parla poco. Troppo poco!

Il vino in Scozia non è più fantasia - Rassegna Stampa Web

Cambia il clima nel Nord Europa: le estati sono più calde e lunghe, gli inverni più miti e piovosi. Così c'è chi pensa di approfittarne, anziché languire nella nostalgia delle brume antiche. 

Tra questi c'è lo scrittore Christopher Trotter, cultore delle tradizioni gastronomiche degli highlander, che ha pensato di metter su un'azienda vitivinicola nella contea di Fife, nella Scozia Sud-orientale. 

È la terra di Gordon Brown - l'ex primo ministro britannico; e di Adam Smith - l'economista del XVIII Secolo. Né l'uno né l'altro avrebbero mai pensato di bere un goccio di vino autoctono. Eppure - a partire da quello prodotto nella scorsa vendemmia - sarà possibile assaggiare lo "Chateau Largo". È prodotto dall'entusiasta neoviticoltore Trotter, che già pregusta l'avvento dei vini scozzesi nell'esclusivo regno di Bacco, finora appannaggio quasi esclusivo di culture agronomiche ben più meridionali e calde. 

Ma che vino è? 
Il bianco di mister Trotter è prodotto con una varietà di uva tedesca, il Solaris. Si tratta di un ibrido ottenuto dall'agronomo Norbert Becker nei laboratori di Friburgo, in Germania, nel 1975 e che ha ottenuto una specifica protezione varietale nel 2001. 

Foto: stuartfrew.wordpress.com

Conseguenze del clima che cambia 
Il cambiamento climatico è un "global issue", un tema globale che coinvolge tutti, cittadini e istituzioni. Ma in poche realtà politiche è sentito quanto in Scozia. Lassù, nel Nord dell'arcipelago britannico, il governo autonomo ha costruito un massiccio meccanismo di controllo del fenomeno e un vasto esperimento di comunicazione. L'agenzia scozzese di protezione ambientale, SEPA, offre una grandissima quantità di informazioni per i cittadini, gli operatori economici e gli amministratori locali. Coordina i servizi d'emergenza e indica soluzioni possibili per affrontare i cambiamenti indotti nell'ambiente.

Le temperature e il soleggiamento 
In base ai dati disponibili, nel corso dell'ultimo secolo in Scozia la temperatura media è cresciuta di oltre 1°C, e la tendenza è chiaramente al rialzo. Si tratta, nel medio termine e secondo gli scenari più pessimistici per quanto riguarda l'andamento delle emissioni di gas-serra, di una vera emergenza. Secondo la SEPA la Scozia rischia di riscaldarsi di 3,3-4,9 °C entro il 2050. 

Tra meno di quarant'anni, se lo scenario peggiore si avvererà, la vigna di Mr. Trotter sarà più rigogliosa e verde degli antichi vigneti del Chianti. Chissà se, per allora, anche gli scozzesi avranno imparato a fare il vino buono..

Jermann - Vintage Tunina 1997

Quando Silvio Jermann era già un grande del vino italiano io, a malapena, stavo iniziando a leggere e prime riviste sul vino cercando di comprendere i difficili e, a volte, strambi termini dell'enologia.
Quando Silvio Jermann aveva terminato gli studi di enologia, dapprima presso la Scuola di Enologia di Conegliano e poi, dopo un breve soggiorno in Canada, presso l'Istituto di San Michele all'Adige io non era ancora nato. Già, erano i primi anni '70 del secolo scorso e, assieme a Mario Schiopetto, il giovane Jermann stava rivoluzionando il concetto di vino friulano dando vita a prodotti dalla grande personalità.
Era il 1975, ed nato da qualche mese, quando il ventenne Silvio Jermann fece uscire in commercio la prima annata di Vintage Tunina il cui nome fa riferimento ad Antonia (in dialetto Tunina), precedente proprietaria del vigneto da cui provengono le uve che, si dice, fosse una delle amante più belle e povere di Giacomo Casanova. 
Il Vintage Tunina, da sempre, è un uvaggio (cioè le uve vengono vinificate assieme) di chardonnay, sauvignon, ribolla gialla, malvasia istriana e picolit anche se, e questo aneddoto ce lo racconta Cernilli, la prima annata uscì come.....Pinot Bianco! No, nessuna eccezione alla regola ma solo un "piccolo" sbaglio del vivaista di Jermann che anzichè pinot stava consegnando viti di chardonnay andando a comporre il mosaico della "mitica" vigna del Tunina localizzata sotto il Monte Fortino, a Villanova di Farra.
La ricetta originale del vino prevede una raccolta leggermente tardiva delle uve, una vinificazione che prevede la fermentazione malolattica e, cosa spesso travisata anche dai fini palati, un affinamento che NON prevede l'uso di barrique.

Silvio Jermann - Foto:http://www.empsonusa.com

Qualche giorno fa, con alcuni amici, bevuto il Vintage Tunina 1997. Quando uscì sul mercato avevo 23 anni e circa 40 quando preso la bottiglia dalla mia cantinetta termocondizionata e l'ho stappata.

Lo giuro, non avevo grandi aspettative sul vino o, meglio, storco sempre il naso quando stappo i c.d. "vini mito italiani" perchè mi è capitato di andare incontro a grandi delusioni. Già, sono un pò allergico alle aspettative date da un certo tipo di giornalismo.

Stavolta, invece, le cose sono andate nel verso giusto e davanti a me, ho un vino dal colore giallo paglierino brillante, carico, rilucente di vivida freschezza. Ed io che mi aspettavo un Tunina quasi ossidato.....


Anche al naso la terziarizzazione dei profumi che mi sarei aspettato è un lontano ricordo, il Tunina è ancora freschissimo, giovane, ricco di un quadro olfattivo dove le sensazioni di ginestra e sambuco si intrecciano con aromi più duri di calce e gesso. La frutta gialla, ben matura e succosa, arriva solo alla fine creando una cornice odorosa di grande eleganza.

La bocca, oh sì, è la bocca ad essere sorprendente perchè, nonostante i suoi 14 anni, il Tunina è ancora ricchissimo di tensione che crea strade alternative e parallele ad un equilibrio gustativo circense. Finale sapido, minerale, a tratti agrumato. 
Un vino immenso che sembra avvolto in un liquido amniotico che potrà preservarlo dal mondo esterno per chissà quanto tempo. 


Piccola curiosità finale: Luigi Veronelli, nel 1976, aveva descritto il Vintage Tunina come il "Mennea dei vini italiani". Il Maestro, come sempre, ci aveva visto lungo!



Giobatta Mandino Cane - Rossese di Dolceacqua Vigneto Arcagna 1989

Giobatta Mandino Cane ancora non l'ho incontrato personalmente ma, se giri per le impervie strade di Dolceacqua, non è difficile incontrarlo con la sua bicicletta nonostante abbia superato da un pezzo gli ottanta anni di età.

Da poco tempo ha lasciato la sua attività di produttore di vino, non ce la faceva più a gestire il lavoro e la fatica dei vigneti per tante ore. In Liguria, si sa, la viticoltura è eroica e quelle pendenze potrebbero fiaccare anche i più giovani. La burocrazia asfissiante e la crisi economica, poi, hanno dato il colpo di grazia finale e così, dopo quasi 40 anni, nel 2009, ha deciso di far uscire la sua ultima annata.

Mandino Cane, assieme a Nino Perrino, Mario Maccario, Enzo Guglielmi, Emilio Croesi, Rodolfo Biamonti, Arnaldo Biamonti, Renato Amalberti e Claudio Rondelli (mi scuso se ne dimentico qualcuno) è un vero e proprio caposaldo della denominazione e, senza paura di smentite, posso tranquillamente dire che l'attuale Rossese di Dolceacqua non sarebbe nulla senza il lavoro e la testardaggine di questo gruppo di pionieri che non hanno mai mollato, creando qualità, spesso sottovalutata, nonostante il mondo cercasse di cambiare il loro modo di produrre vino.

Una delle bottiglie della cantina

Si parlava proprio di questo, seduti al tavolo del Ristorante Hotel Terme di Castel Vittorio, mentre scorrevamo la carta dei vini curata da Claudio Lanteri che, amando il territorio più di se stesso, mantiene da anni una cantina "personale" che trasuda amore e storia. Gli avevamo chiesto di poter bere qualche vecchio Rossese di Dolceacqua e lui, col ghigno di chi la sa lunga, ci porta su, tra i vari, il Rossese di Dolceacqua Vigneto Arcagna 1989 di Mandino Cane

Senza passato non c'è presente nè futuro!

Al tavolo ci guardiamo tutti negli occhi. Cluadio legge nelle nostre menti, sa cosa vogliamo perchè ne parlavamo prima...


La sua veste cromatica color "moneta da cinque centesimi" non faceva presagire nulla di buono e anche l'olfatto, almeno inizialmente, non aveva una complessità da strapparsi i capelli. Non demordo e aspetto.

Nel frattempo ripenso a Mandino Cane, chissà cosa penserebbe di noi se sapesse che stiamo qua davanti alla sua bottiglia, estasiati, a contemplare il suo Rossese di Dolceacqua di quasi un quarto di secolo di età....

Amo quando lo scorrere del tempo non inganna le attese.

Il vino dopo circa mezzora si apre, la farfalla esce dalla crisalide e apre le ali. Non è tanto la parte olfattiva a disegnare arcobaleni terziari, quanto la gustativa che colpisce ed incanta per l'assoluta integrità del vino che è ancora scalpitante, pieno di un'energia che riempie il palato corroborato da una vivacità acida commovente. E' un vino che non ha perso ancora la giovinezza: fruttato, minerale e sapido, chiude lunghissimo.

Al tavolo ci guardiamo tutti, siamo quasi commossi e, nel mentre, guardiamo fuori dalla finestra. Vorremmo scorgere un uomo in bicicletta che ha donato al suo territorio, e alla storia, un piccolo grande capolavoro.

Grazie, da tutti noi.