Associazione Italiana Sommelier o Fondazione Italiana Sommelier. Facciamo chiarezza?

Ieri un pò tutti noi sommelier del Lazio ci siamo svegliati con una bella mail del Presidentissimo Ricci che così ci ha scritto:
Agli Amici Sommelier del Lazio

Carissimi,

il percorso che abbiamo compiuto in questi 23 anni qui nel Lazio come Associazione Italiana Sommelier Roma è diventato un fenomeno epocale, premiando così gli sforzi di chi ha voluto fermamente professionalità e qualità nella comunicazione efficace del Vino. Ma soprattutto il miracolo è avvenuto grazie al vostro Entusiasmo e alla vostra Passione nel sostenere ogni attività. Nulla si sarebbe realizzato senza i vostri copiosi suggerimenti. Idee, Riflessioni, Proposte sono state sempre colte per trasformarle in Progetti Iniziative Attività a favore della nostra Associazione.

Si sono così realizzati più di 200 Corsi per Sommelier con oltre 20.000 Allievi, oggi Sommelier, raggiungendo circa un milione e mezzo di presenze tra le varie attività di degustazione. Un Record!
E grazie a questo vostro grande contributo si sono da tempo accesi i riflettori sul nostro modo di divulgare la Cultura del Vino Italiano. Luci che hanno raggiunto le Istituzioni in Italia e nel mondo.
Tutto ciò ci ha fatto recepire un’implicita richiesta di continuare il nostro lavoro in una veste sempre più Istituzionale, sempre più disponibile a rappresentare questo meraviglioso Made in Italy che è il nostro Vino.
Per questo Motivo e con la consapevolezza dell’importanza del Lavoro svolto insieme in questi anni, dal 9 Dicembre 2013 Associazione Italiana Sommelier Roma aderisce alla Fondazione Italiana Sommelier, Ente appositamente costituito per elevare ancora di più lo spessore del nostro lavoro di divulgatori della Cultura del Vino e dell’Olio di qualità.
La Fondazione Italiana Sommelier avrà il Riconoscimento Giuridico dello Stato e l’Accredito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, nonché presso i Ministeri della Cultura, degli Esteri e delle Politiche Agricole.
La Fondazione, con Associazione Italiana Sommelier Roma, realizzerà il Corso di Qualificazione Professionale per Sommelier con il Riconoscimento Giuridico dello Stato, unico corso per Sommelier in Europa a possedere tale importante requisito.
La quota di Rinnovo all’Iscrizione scende dagli attuali 130 Euro a 100 Euro l’anno, pur continuando a garantire al Socio l’acquisizione di Sommelier Notizie per la partecipazione a tutte le Attività a Roma e nel Lazio per sé e per due suoi amici, di BIBENDA la rivista nata per rendere più Seducenti la Cultura e l’Immagine del Vino e BIBENDA la Guida ai Migliori Vini e Ristoranti d’Italia.
In allegato il modulo per il vostro Rinnovo, disponibile anche online su http://www.bibenda.it/rinnovo_iscrizioni_aisr.php
Vi auguro di partecipare a tutti i grandi momenti del Vino preparati per Voi nella nostra Regione, invio di Cuore gli Auguri più cari di un sereno Natale a voi tutti e ai Vostri cari con i quali vi auguro di bere le migliori bottiglie!
Franco M. Ricci

E' chiaro che da un pò di tempo Bibenda, Franco Ricci e l'AIS nazionale di Maietta non si amano più come una volta ma, a noi semplici utenti, questo deve interessare il giusto. Quello che importa, per amore di chiarezza e per ponderare future scelte, anche dolorose, è capire come stanno le cose OGGI in virtù della mail precedente che, magari per mie lacune, considero abbastanza fumosa e sibillina. 

Foto:www.winenews.it

Ciò che mi chiedo riguarda i rapporti tra la Fondazione e l'AIS nazionale di Maietta. La prima è autonoma rispetto all'Associazione della quale faccio ancora parte? Questa operazione è stata una forzatura di Ricci? L'AIS nazionale può lasciar fare ciò che vuole alla delegazione di Roma? Se Ricci esce dall'AIS perchè allora, creando confusione nell'associato, usa logo e scritta dell'Associazione Italiana Sommelier Roma e Lazio? I soldi del rinnovo a chi vanno?


Domande, tante domande, alle quali cercherò di dare risposte rapide. Maietta, intanto, su EnoRoma ha dichiarato pubblicamente che......


AGGIORNAMENTO: uscito editoriale di Maietta che potete leggere qua sotto

Che l’aria fosse cambiata l’avevo nitidamente percepito durante il recente Congresso AIS a Firenze, quando la mia relazione all’Assemblea Generale dei Soci è stata interrotta più volte dagli applausi, soprattutto quando ho detto che “l’AIS non è mai stata e mai vorrà essere un’Associazione elitaria” e, quasi al termine, quando ho annunciato che “l’orientamento del Consiglio Nazionale va verso l’emancipazione della componente editoriale.
C’è qualcosa di male quando un’Associazione ipotizza di camminare con le proprie gambe senza ricorrere a costose stampelle nient’affatto disinteressate? Eppure quest’annuncio ha aperto una frattura, presumo studiata da tempo, vista la rapida tempistica con cui si è palesata, con l’uscita dall’AIS della costola periferica della capitale.
In attesa che gli esperti di questioni legali dicano se è proprio ortodosso che siano i vertici di un’associazione regionale a decidere sulla testa dei propri affiliati – i quali, si badi bene, ancor prima di essere soci di una realtà territoriale, sottoscrivono l’adesione all’Associazione Italiana Sommelier (scritta proprio così, senza altre accezioni di luogo) –, un risultato l’abbiamo finalmente raggiunto: è la fine di un incubo.
Non c’è nulla di male se una persona, un gruppo di persone, un intero sodalizio decidono di intraprendere altre strade. È già successo in passato e chissà quante altre volte accadrà in futuro. L’autodeterminazione è una prerogativa assolutamente legittima. La prassi, ma ancora di più la correttezza, suggeriscono tuttavia che, prima di traghettare un’intera compagine di soci in un organismo nuovo, si chieda loro il parere. Magari attraverso un’Assemblea regolarmente convocata, spiegando bene che l’adesione ad un nuovo consesso comporta inevitabilmente l’incompatibilità con il precedente. Poi ciascuno farà consapevolmente le proprie scelte.
Abbiamo letto un proclama con i verbi declinati al futuro: “avrà”, “realizzerà”. Ben venga quindi chi avrà la possibilità di fare qualcosa per il mondo del vino, sebbene non si comprenda il motivo per cui tutte queste opportunità non siano state proposte e percorse in passato, in virtù del sempre decantato “fare squadra”. Come Associazione Italiana Sommelier vi diciamo semplicemente: cari Soci e cari Amici, potete stare tranquilli. Oggi abbiamo gli anticorpi, le risorse umane e quelle economiche per superare ogni criticità. Oggi l’AIS è più unita, coesa e orgogliosa che mai.
Fine di un incubo perché, per quanto ci riguarda, se il profilo della cultura del vino sarà da oggi magari meno seducente e meno patinato, sarà anche meno pomposo, meno saccente, meno arrogante e meno sbruffone. Prerogativa di chi è realmente competente e non deve mascherare altrimenti la propria insipienza. In questa circostanza l’Associazione Italiana Sommelier (scritta proprio così, senza altre accezioni di luogo), quella che in Italia e nel Mondo raccoglie circa 30.000 aderenti, farà meno fatica a spiegare all’esterno che alcune discutibili esternazioni, alcune rancorose ritorsioni, alcune inspiegabili decisioni, non appartengono al proprio patrimonio di valori.

Antonello Maietta

Il Turriga di Argiolas in 20 annate

Il Turriga, uno dei vini più premiati d'Italia, ha festeggiato a Roma il ventesimo compleanno con una storica verticale presso l'AIS Roma con la presenza di Francesca Valentina Argiolas e dello storico enologo Mariano Murru

Venti vendemmie, un vino e una storia famigliare da raccontare che inizia fra gli anni settanta e ottanta del novecento quando la Comunità Europea offriva incentivi per espiantare le viti. 
In Sardegna, quando era più facile ed economico espiantare viti, la famiglia Argiolas, capeggiata da Antonio, padre, patriarca e fondatore della cantina, decise di andare contro corrente  non solo decidendo di conservare ogni vitigno ma, inoltre, di produrre finalmente grandi vini di territorio.

Antonio Argiolas - Foto: http://www.unionesarda.it

Per raggiungere questo obiettivo Antonio, assieme ai figli Franco e Giuseppe, decide di investire pesantemente ammodernando l'azienda, compresi vigneti (gli impianti a tendone vengono rimpiazzati da quelli ad alberello) e processi di produzione, e puntando decisamente sulla riqualificazione dei vitigni autoctoni come il Cannonau, il Carignano, la Malvasia Nera e il Bovale.

Antonio e i suoi figli, in quel periodo, volevano anche di più: creare un vino in grado di confrontarsi con i grandi rossi italiani ma che nascesse dai vitigni tradizionali sardi. C'è una frase che Franco e Giuseppe usano per raccontare quei momenti:"Babbo voleva fare la Bottiglia!".

Quelli erano gli anni della nascita del mito del Sassicaia e chiamare Giacomo Tachis, enologo di Incisa della Rocchetta e grande amico degli Argiolas, fu una questione abbastanza scontata anche se, tutti gli attori, si presero tutto il tempo per avviare nel modo giusto il progetto che fin dall'inizio poteva contare su una terra unica e su persone di grande spessore e umanità come Mariano Murru che fin dall'inizio affiancò Tachis nel lavoro.

Franco e Giuseppe Argiolas - Foto:http://www.civiltadelbere.com
Mariano Murru - Foto: Unione Sarda

Il Turriga, fin dall'inizio, nasce come un efficace blend di Cannonau (85% circa), Carignano, Malvasia Nera e Bovale che nascono dai vigneti di Selegas che si trovano ad un'altezza di circa 200 metri s.l.m. su terreni di tipo calcareo costituiti da un'alternanza di marne, marne arenacee e arenarie fini. Le piante, oggi, hanno circa 40 anni. Le uve, una volta selezionate, vengono pigiate e fermentate a temperatura controllata 28-32° con una  macerazione che dura generalmente oltre due settimane. Affinamento in barrique nuove per 18-24 mesi e ulteriore invecchiamento in bottiglia per 12-14 mesi.

Durante la verticale storica, guidata da Paolo Lauciani e Daniela Scrobogna, abbiamo degustato le annate dal 1998 al 2008 con l'esclusione del millesimo '96 visto che nessun Turriga quell'anno è stato prodotto.

Turriga 1988: le prime annate, dicono, non andrebbero mai prese in considerazione perchè sono sempre frutto di esperimenti un pò empirici e, come ho letto da qualche parte, l'invecchiamento di questa annata è stato effettuato in una stanza refrigerata. Il vino, di un colore granato, si presenta all'olfatto bello come il sole che illumina la frutta mediterranea che ancora è ben avvertibile assieme a sbuffi mentolati e tabaccosi. Al sorso mi piace molto, è ancora integro, sapido, l'acidità è sferzante e ancora ben piantonata all'interno di una struttura affatto traballante. Progressione decisa, su ritorni di arancia amara ed erbe aromatiche. Se tutte le prime annate fossero così..

Turriga 1989: l'annata meno importante dà vita ad un vino meno solare e più introverso con sensazioni di carruba, legno e frutta matura a bacca nera. Al sorso è meno acido del precedente ma comunque salino. Pecca in persistenza scappando via troppo presto.

Turriga 1990: nella prima annata in cui Murro ha prestato collaborazione il vino si presenta più selvatico e irruento con nette espressioni di macchia mediterranea, iodio e terra. Sorso pieno dove sapidità e acidità sono il fulcro centrale attorno al quale girano le stesse sensazioni del naso. Rispetto al solito blend aumenta per questa annata la % di carignano.

Turriga 1991: rispetto al millesimo precedente ritrovo in questo vino maggiore eleganza con un impianto olfattivo che va dal cacao, alla scatola di sigari fino ad arrivare alla scorza di agrume rosso. Bocca vibrante, agrumata, e scia finale balsamica. 

Foto: http://www.cucineditalia.org
Turriga 1992: l'annata difficile mostra, come per la '89, un vino più chiuso, profondo, dotato di un frutto maturo deciso ma poco complesso. In  bocca è diretto, senza fronzoli e dotato di scia sapida. Troppo rigido. Un Turriga in tono minore?

Turriga 1993: olfattivamente è un vino che ha dei caratteri diversi rispetto ai precedenti per via delle note di oliva, salamoia, terra, china e ginepro e per un sorso più austero e dal tannino leggermente sgranato. Finale di liquirizia. Anomalo.

Turriga 1994: naso difficile da decifrare per via di una chiusura un pò troppo ostinata che stenta a far decollare i profumi che, solo dopo un'ora, cominciano a definirsi all'interno della famiglia della frutta nera matura. Anche in bocca il vino non è di grande complessità, è diretto, sapido, acido ma manca di mordente e di progressione. Altra annata non convincente.

Turriga 1995: dopo 2/3 annate non convincenti appena metti il naso in questo bicchiere ti rendi subito conto che la musica, finalmente, è cambiata. Profumi intensi, esuberanti di macchia mediterranea, brezza di mare, sabbia, roccia, iodio, pepe bianco e tanto, tanto altro ancora, una vera sintesi olfattiva del territorio. Anche bevendolo ti accorgi che ha una marcia in più per via della sua bocca tridimensionale che vibra e ti porta via con la sua scia salata e al tempo stesso agrumata. Grande annata per un grande bicchiere di vino!

Turriga 1997: altra grande espressione di Turriga che, rispetto alla '95, diventata ora pietra di paragone, è molto meno esplosiva e più giocata su un equilibrio su scala minore. Corredo aromatico che punta decisamente sulle bacche mediterranee per poi virare sulla torrefazione, sull'agrume rosso e sul balsamico. In bocca è decisamente ottimo anche se a mio parere è un vino da bere entro breve perchè ho paura che, come tutti i '97 degustati fino a data odierna, questo millesimo non abbia molto tempo davanti. 

Turriga 1998: altra versione "alternativa" di Turriga che si dota in vinificazione, così ci dice Murru, di uve quasi surmature. Risultato? Un Amarone di Sardegna un pò spiazzante che non so quando sia stato voluto.

Foto:www.vinoir.com
Turriga 1999: l'annata di passaggio, come la definisce Murru, va a definire un Turriga che ritorna austero, sanguigno, quasi autunnale. Scompaiono per questa volta le note mediterranee e balsamiche che spesso ritrovo nel vino. Al sorso è dotato di struttura quasi da Barolo col quale ha in comune un tannino graffiante e una sferzante vena acida. Finale grafitico, quasi fumè. Noir.

Turriga 2000: Difficili, tranne eccezioni, gli anni 2000 del Turriga. Questo discorso vale sicuramente per questa annata (calda) che va a qualificare un vino dove alcol e concentrazione sono due caratteri inequivocabili di questo Turriga che si completa aromaticamente con tratti di erbe essiccate e frutta matura. Bocca calda, avvolgente, si sente che è un vino un pò zoppo anche se il finale, grazie ad una buona acidità, è di discreto equilibrio.

Turriga 2001: ritorna l'eleganza e, per certi versi, la sfacciataggine del Turriga che è marino e territoriale nelle sue suggestioni di iodio ed acqua salmastra a cui aggiungerei cenni ben evidenti di arancia rossa, mirto e timo. Palato in trasognato equilibrio, un velluto animato da grande freschezza e pennellato da ad arte con evidenti richiamai di mare e luce. Bellissima prova per un vino senza eccessi.

Turriga 2002: vino di difficile inquadramento per via del suo carattere lento ad uscire. Scuro, dai tannini graffianti, sembra essere lì per esplodere ma, per ora, rimane contratto e sottile.

Turriga 2003: al naso ritrovo la frutta matura e polposa dell'annata 2000 senza però avere lo slancio. Al sorso è orizzontale, diretto, alcolico, più da mordere che da bere. Finale leggermente amaro.

Turriga 2004: con le ultime annate in degustazione il Turriga vira sostanzialmente verso sensazioni di frutta e spezie come in questo caso dove la loro sfacciataggine è davvero imperiosa grazie a ricchissime suggestioni di amarena, ciliegia Fabbri, mora, liquirizia, tabacco mentolato. Bocca caratterizzata da un martello tannico di grande vigore e con una persistenza, lunga, che ricorda il boero. Peccato per un amaro finale forse legato al legno non ancora digerito.

Turriga 2005: al naso offre intense note di mora matura, prugna, tabacco dolce, tanta balsamicità e un pò meno spezie del precedente. Al sorso conferma la struttura e la morbidezza data dal grande estratto e dall'alcol. Peccato per una nota leggermente "verde" nel finale che ne mina la persistenza.

Turriga 2006: rispetto al precedente è leggermente più contratto al naso ma al gusto è sicuramente migliore per via di un equilibrio migliore e per una maggiore bevibilità.

Turriga 2007: l'eleganza del Turriga sembra riemergere dopo anni in cui la potenza sembra essere stata la parola d'ordine. Meno estrattivo, si caratterizza per un sipario olfattivo doce e croccante di ribes e mora di gelso combinato con cenni di legno di cedro, spezie aromatiche e grafite. Bocca di grande classe, sapida, fresca, dal tannino vellutato e dalla persistenza fruttata. Meno invadente rispetto ai precedenti vini, è forse il Turriga anni 2000 per il quale prevedo un radioso futuro.

Turriga 2008: giovanissimo, sembra di mettere il naso in un cesto di ciliege mature con accanto mazzi di viole e radici di china. Sorso in cui la dolce e cremosa struttura viene interrotta da una vibrante carica tannica. E' il ventesimo Turriga prodotto, auguri!!

Foto:http://www.cucineditalia.org



Mercouri Estate - Daphne Nera 2009

Siamo alla quarta e penultima puntata del nostro viaggio nel vino greco di qualità in compagnia dell'amico Costas Linardos di Ellenika.it
Dopo tre vini bianchi, ognuno speciale ed ognuno con le sue caratteristiche, è giunta l'ora di provare uno dei tanti vini rossi che Costas distribuisce in Italia. "Ho scelto di farti bere questo vino - mi dice - perchè ha un certo stile italiano e proviene da una delle aziende più antiche di tutta la Grecia!".

Il vino, caratterizzato esteticamente da un'etichetta d'antan, è prodotto dalla Tenuta Mercouri, azienda situata nel  Peloponneso occidentale, sul pianoro del promontorio Icthìs, molto vicino al porto di Katakolo ed a una trentina di chilometri da Olimpia. Costas, che visita personalmente ogni azienda, riallacciandosi a quanto detto subito prima mi svela che:"....storicamente questa è una fattoria con una storia di oltre 140 anni nella produzione di vino, olio e, tanto tempo fa, uva passa di Corinto. Tutto, infatti, inizia nel 1864 quando Theodore Mercouri, imprenditore con molti interessi nel Nord Italia e, sopratutto, ad Alessandria d'Egitto, compra in Grecia il primo appezzamento di terreno che, qualche anno dopo, vedrà impiantato il primo vigneto che, reggiti bene, era di....Refosco. Direttamente dal Friuli. Il successo è quasi immediato visto che, qualche anno dopo, il vino viene esportato in tutta Europa grazie ai caicchi che partono dal piccolo porticciolo realizzato nell'insenatura antistante la fattoria".

Osservando questa immagine si può capire bene perchè il vecchio Theodore ha scelto questo posto per localizzare la sua azienda.





La  Tenuta, infatti, è inserita in un contesto ambientale davvero bello caratterizzato dal verde e dal blu del mare della baia "Chortais" (quell'isolotto che vedete si chiama "Corvo") e dal profumo di una moltitudine di cedri, querce ed oleandri interrotti ogni tanto da piante di mirto e lentisco. All'interno, accanto a piante di ulivo e vigneti, c'è la residenza familiare e la nuova cantina che, col tempo, ha sostituito i vecchi locali, costruiti nel 1930, caratterizzati per il tempo da una innovativa cantina con serbatoi completamente interrati.



Oggi, l'azienda è retta dai fratelli Basilio e Chris Kanellakopoulo, la quarta generazione della famiglia, che gestiscono circa 18 ettari di vigneto dove prevalgono due varietà a bacca rossa: lo "storico" Refosco, ancora a piede franco e suddiviso in due cloni (Refosco Mercouri e Refosco dal peduncolo rosso), e il greco Mavrodaphne.
Oltre a queste varietà, l'azienda nel tempo ha piantato, anche in via sperimentale, altre uve come Asyrtiko Robola (uve bianche autoctone greche), Viognier, Ribolla Gialla, Malvasia Aromatica Albarino (sempre bianche ma di origine francese, italiana e spagnola), Agiorgitiko Avgoustiatis (uve a bacca rossa greche) assieme a Merlot, Syrah, Mourvedre, Grenache e, badate bene, Sangiovese Negroamaro!




Dopo esser stato catapultato, sebbene solo virtualmente, all'interno del Peloponneso, è ora di bere il Daphne Nera 2009 prodotto totalmente da uva Mavrodaphne che, sottolinea Costas, è un vitigno autoctono della Acaia (Patrasso/Peloponneso nord occidentale) e dell'isola di Cefalonia usato tradizionalmente per la produzione di vini dolci di grande evoluzione. "Questo che stiamo bevendo - mi dice con orgoglio - è perciò una rarità ed è prodotta in circa duemila bottiglie".


Una volta versato nel bicchiere si nota subito che il ventaglio olfattivo è di meravigliosa aderenza al territorio da cui proviene questa uva visto che, in un gioco di rimandi, si percepiscono nettamente note vegetali di macchia mediterranea, tra cui spicca l'alloro ed il lentisco,  che col tempo si abbandonano a percezioni di frutta nera di rovo, patè di olive nere ed una gradevolissima vena salmastra che ricorda quanto il mare faccia da chioccia a questo vino.
Al gusto si propone in tutto il suo gioco tra morbidezza, muscoli, eleganza e struttura. In particolare, il tannino è perfettamente fuso e corroborato da una buona acidità che eleva il vino non rendendo mai la beva pesante. Anzi, il Daphne Nera è finto in un istante e, guardando Costas, ho esclamato:"Grazie per queste continue chicche!! Dovrebbero farti ambasciatore greco del gusto!!"

Nel frattempo, per chi vuole, il sito di Ellenika è pronto per svelare altri grandi prodotti della Grecia.




Cascina Cucco, terroir di Serralunga d'Alba

Cascina Cucco, azienda di Serralunga d'Alba appartenente ai fratelli Stroppiana, si è presentata poco tempo fa a Roma e, zitto zitto, Percorsi di Vino è andato a curiosare anche perchè, lo ammetto, non conoscevo molto questa realtà langarola. 
I vigneti, per un totale di circa 12 ettari, si estendono tra Serralunga (Cucco è uno dei Cru del territorio), Vughera (vicino al Cru Cerratti) e nel comune di Roddi d'Alba e sono piantati a nebbiolo, barbera, dolcetto, merlot, cabernet sauvignon e chardonnay.


L'entrata dell'azienda
In cantina, seguiti dall'enologo Giuseppe Caviola, si punta molto sulla tradizione anche se non manca un pizzico di modernità grazie ad un prudente uso di "legno piccolo".

La cantina

Guidati dal direttore commerciale Marco Taricco abbiamo degustato:

Cascina Cucco - Spumante Metodo Classico Brut (100% chardonnay): questo spumante, che rimane a contatto con i lieviti per almeno due anni prima di essere sboccato, si caratterizza per abbraccio minerale, sapidità e pura piacevolezza. Un aperitivo un pò diverso visto che questo è "made in Langa"!



Cascina Cucco - Langhe Cherdonnay 2012 (100% chardonnay): uno chardonnay piantato su un terreno da Barolo non può che essere di grande struttura e avvolgenza. Anima sapida e di frutta gialla matura senza cadere in sensazioni tropicali o scontate. L'acidità accompagna bene la beva. A Cascina Cucco ci credono in questo bianco e fanno bene. 3/4 mesi di affinamento in fusti piccoli.



Cascina Cucco - Dolcetto d'Alba 2102 (100% dolcetto): dolcetto veramente ben fatto, motli tipico, intenso, ottima espressione di frutta rossa, fiori e tocchi balsamici. Bocca suadente, di grande equilibrio, succoso, ha una beva davvero dirompente e a me piace davvero tanto. Prendete nota!!



Cascina Cucco - Barbera d'Alba 2012 (100% barbera): anche questo vino è molto tipico, è fragrante e vinoso, impregnato di tanta frutta rossa, netta, anche con fragranze rosa. Al sorso è fresco, vigoroso, di grande tensione. Buona le persistenza fruttata, polposa. Abbinato a tavola è un successo garantito.



Cascina Cucco - Barbera d'Alba Superiore 2011 (100% barbera): più profondo del precedente, si notano aromi di frutta nera, timo, erbe, soffi balsamici. In bocca è complesso, intenso, forse meno immediato del base del quale ho ammirato la "popolarità". Ancora nervoso dovrà affinarsi ancora per dare il meglio di sè. Affina per dodici mesi in piccoli fusti di rovere, parte nuovi, parte di secondo passaggio. 



Cascina Cucco - Barolo del Comune di Serralunga 2009 (100% nebbiolo): prodotto con uve provenienti dalla zona di Vughera in Serralunga d'Alba, è un Barolo "base" che gioca tutte le sue carte sulle espressioni giovanili del nebbiolo e sulla bevibilità che non è influenzata da troppi spigoli. Ha un buon rapporto q/p e può essere un primo approccio verso questa tipologia di vini.Matura per 24 mesi in botti tradizionali da 25 ettolitri per poi sostare 9-12 mesi in bottiglia prima di essere posto in commercio.



Cascina Cucco - Barolo Cerrati "Vigna Cucco" 2008 (100% nebbiolo): profondo, una perfetta miscela tra sentori di viola, menta, liquirizia, ciliegia matura, lampone. Struttura decisa, di personalità anche se ancora un pò troppo rigida. Tannini compatti ma di buona sartoria. Il tempo gli darà ragione. Affinamento in piccoli fusti di rovere francese dove sosta per 14 mesi, per proseguire poi, in botti tradizionali per altri 9-10 mesi. Segue l’imbottigliamento ed una maturazione di un anno in bottiglia prima di essere immesso in commercio.



Cascina Cucco - Barolo Cerrati "Vigna Cucco" Riserva 2007 (100% nebbiolo): è tutta un'altra storia con questo Barolo che, complice un maggior affinamento, fa emergere tutto il grande terroir di Serralunga d'Alba. Perfettamente integro e con sentori di frutti di bosco croccanti, ciliegia, rosa appassita, anice, menta, liquirizia, erbe selvatiche, rosmarino, lauro. Bocca in perfetto assetto, ricca di tannini maturi, sapidità e sferzante freschezza. Per chi ama il Nebbiolo e per chi deve farsene una ragione. Affinamento in botti tradizionali di rovere francese per 36 mesi. Segue l'imbottigliamento ed una maturazione di un anno in bottiglia prima di essere immesso in commercio. 



E ora....foto di gruppo con panorama mangereccio!!!



Domaine George Roumier - Chambolle-Musigny 2005

Bere George Roumier, mitico Domaine dell'AOC Chambolle-Musigny, significa innamorarsi della Borgogna, soprattutto se testi di persona la grandiosità dei suoi Grand Cru, ovvero il grandioso Bonnes Mares e il maestoso Musigny.
Per chi non vuole accendersi un mutuo per l'acquisto dei suddetti vini il consiglio è quello di virare decisamente verso le "Appellations" minori e, in questo senso, il suo Chambolle-Musigny è da sempre un porto sicuro anche se, volenti e nolenti, per l'acquisto di questo Village bisogna essere pronti a sborsare non meno di 100 euro. Sempre se la trovi...

Clicca sulla mappa per allargarla

Prendi l'annata 2005, ad esempio, una di quelle che farà storia.

Versa il vino nel bicchiere e ascolta i tuoi sensi.

Il naso è la quintessenza del pinot nero di Chambolle-Musigny, faresti l'amore con questi aromi tanto lussuriosi quanto sensuali. La frutta croccante è ai massimi livelli di setosità, la ciliegia che percepisci nel bicchiere è foderata di cachemire, la viola di sottofondo è di struggente avvolgenza. Un turbinio di essenze seducenti quanto la sirene mitologiche descritte da Omero nell'Odissea.
La complessità non è quella del Musigny Gran Cru ma, quello che c'è, basta e avanza per comprendere e per tirare una linea di paragone.


Al sorso il colpo di fulmine diventa indiscutibilmente amore, viscerale e carnale al tempo stesso, pensi di possedere il vino ma è lui a controllarti, soggiogarti, confonderti.
Tutto è misurato al millimetro, pensi al vignaiolo come ad un artigiano che disegna sartorialmente tutte le componenti morbide e dure del vino che disegnano un palato caratterizzato da equilibrio circense e da una progressione quasi subliminale.

Lo Chambolle-Musigny di Roumier è così signori, un vino di assoluta squisitezza e grazia, un vino acqua e sapone puro come il desiderio che soddisfa in maniera effimera quanto inesorabile i nostri bisogni edonistici.

Troppi 100 euro per un vino così?

Domaine Sigalas - Santorini 2012

Continua il viaggio nel mondo dei vini greci di qualità importati dal mio amico Costas Linardos di Ellenika.it che, conoscendo perfettamente i miei gusti in tema di bianchi, durante la bella degustazione che abbiamo tenuto presso Bancovino mi ha detto chiaramente che:"...questo è il tuo vino, lo so!"

All'inizio non capivo molto quelle parole ma poi, tirando fuori la bottiglia dalla cantinetta, ho capito che probabilmente aveva ragione. 

Un Santorini!

A molti questo nome farà tornare in mente l'estate, il sole, le vacanze e le bellissime casette bianche col tetto blu che troviamo in ogni cartolina del posto. 


Santorini - Foto:it.secondglobe.com 

A me, che sono malato di vino, Santorini fa rima con mineralità. Insomma, questa isola greca l'adoro da sempre per i suoi bianchi caratterizzati da spiccata durezza.

Costas mi apre una bottiglia di Santorini del Domaine Sigalas, importante realtà locale che è stata fondata nel 1991 grazie al coraggio di Paris Sigalas (attuale presidente), Christos arkozane e Yiannis Toundas i quali, dopo anni di puro artigianato, hanno realizzato nel 1998 la nuova cantina a Oia, nella parte settentrionale dell'isola di Santorini. 

Paris Sigalas
L'azienda, attualmente, coltiva ben 19 ettari di vigneto diviso in varietà autoctone ancora a piede franco come Athiri, AidaniMandilaria, Mavrotragano e Assyrtiko, quest'ultima coltivata in larga scala (rappresenta il 90% delle uve a bacca bianca prodotte) in quanto considerata di elevata qualità e storicità visto che ci sono ipotesi che la considerano l'uva della vecchia Calliste, l'isola che esisteva prima che la grande eruzione del 1627 a.C. creasse l'attuale isola.



Santorini, come mi conferma anche Costas, ha anche altre peculiarità nel campo vitivinicolo. La più importante, a mio giudizio, riguarda la forma di allevamento della vita che viene detta "a canestro" o, in greco, "giristi": come si può vedere dalla foto sottostante, i lunghi tralci della vigna vengono arrotolati per terra per proteggere i grappoli dal sole e dai venti carichi di sabbia e sale. Le rese, per questo motivo, sono estremamente basse e, di  media, non vanno mai oltre i 20-28 hl/ha.

Potatura a canestro
L'altra caratteristica di Santorini riguarda il suo terreno che, come facile pensare, è estremamente povero e caratterizzato quasi esclusivamente da sabbia con piccolissime percentuali di argilla. In particolare, il suolo è formato da magnesio e ferro che provengono dalla cenere vulcanica e dalla pomice che, per sue caratteristiche, ha anche la possibilità di trattenere l'umidità proveniente dal mare garantendo così alla pianta risorse idriche che, complice il clima arido e l'assenza di impianti di irrigazione, altrimenti non potrebbe avere.

Il suolo di Santorini

Tornando a bomba sul vino, il Santorini 2012 di Sigalas (100% Assyrtiko), le cui vigne a piede franco terrazzate risalgono la caldera fino ad un'altezza di 250 metri, si presenta come il figlio legittimo del terroir di provenienza e cioè un vino dalla sapidità travolgente e dalla durezza vulcanica con lievi ma suggestive note di agrumi del Mediterraneo. Non cercate morbidezze e "piacionerie" varie nell'Assyrtiko di Sigalas, la sferzante acidità lo fa scattare al palato come una agile centometrista mentre in chiusura la scia salata del vino, a tratti salmastra e solo in parte corroborata da cenni di pompelmo ed erbe aromatiche, rende il vino interminabile e talmente volubile che il ribere immediatamente diventa un'esigenza impellente. 
Vinificazione in bianco in tini d'acciaio inossidabile a temperatura controllata. Nessun passaggio in legno. Contenuto alcolico 14,5 gradi che, fatemi sottolineare, non viene percepito assolutamente.


Con Costas ed Emanuele Fiorettti di Bancovino abbiano abbinato il vino ad uno dei piatti più importanti della cucina romana: la classica Cacio e Pepe. Beh, mai abbinamento è riuscito così bene!!

Anche questo vino, se volete, lo trovate in vendita su Ellenika.it!



Vino? No, grazie, siamo italiani

Interessante articolo, uscito poco tempo fa su Newsweek, che dà evidenza di come in Italia sta cambiando radicalmente il mercato del vino nonostante il nostro Paese, così ben come si evidenzia, sia il maggior produttore con circa 45 milioni di ettolitri di vino prodotti con un consumo pro capite che non raggiunge i 40 litri di vino all'anno.

Nonostante questo, da molti anni, in Italia non si beve più come prima. Come spiegare tutto ciò?

Secondo Jancis Robinson, critica del Financial Times, la riduzione sta avvenendo in tutti i Paesi grandi produttori di vino come Spagna, Italia e  Francia. "Il vino - secondo la wine critic più importante del mondo - viene ormai visto come una persona anziana o come la bevanda del contadino mentre i suoi concorrenti, come birra, liquori e bevande gassate, grazie alla pubblicità hanno un'immagine più giovanile!".


Jancis Robinson - Foto:www.wineinvestment.com 

In Italia, secondo Newsweek, la contrazione dipende da vari problemi, in particolar modo di carattere sociale ed economico.
Nel primo caso bisogna considerare che ultimamente non esiste più il concetto di "classica famiglia italiana" che  si raduna attorno ad un tavolo bevendo mangiando e, al tempo stesso, bevendo la bottiglia di vino. Siamo tutti di corsa e anche i consumi ne risentono.

Ovviamente le maggiori colpe sono attribuite alla crisi economica e alla conseguente disoccupazione del Paese. Il vino, visto ormai come un bene di lusso, viene comprato di meno ed esce dal paniere dei consumi italiani. "Tu non morirai se non bevi vino", ha detto Sergio Esposito, CEO e fondatore di Italian Wine Merchants di New York.

I problemi del vino in Italia non sono solo legati alla nostra economia ma anche ad altri fattori come le normative anti alcol, che hanno portato ad una drastica riduzione del bere nei ristoranti, e la demografia attuale. L'Italia, sostiene la rivista americana, è una paese per vecchi e assieme alla Germania ha la percentuale più alta (20,6%) di cittadini sopra i 65 anni. Più si è vecchi e più ci si ammala e, di conseguenza, il medico allontana il consumatore dalla sua bevanda preferita: il vino.

Secondo Newsweek il consumo del vino in Italia è minato anche dall'esplosione del fenomeno della birra artigianale che fa concorrenza alla più famosa bevanda di Bacco. 
I microbirrifici stanno aprendo di continuo in Italia e, da poche unità di qualche anno fa, oggi si è arrivato a contare circa 450 produttori indipendenti che costituiscono l’1% per cento della produzione nazionale (il che vuol dire 300mila ettolitri) e il 2-3% del valore (secondo Assobirra, siamo sui 60milioni di euro).

Monica Larner, inviata italiana di The Wine Advocate sostiene che:"come residente del centro storico di Roma in questi anni ho visto nascere più pub che wine bar che spesso chiudono per poi riconvertirsi in Irish Pub...".


Monica Larner - Foto: revistaadega.uol.com.br 

Una economia in difficoltà, l'elevata disoccupazione, le normative stradali, i cambiamenti demografici e i nuovi trend in campo alcolico rappresentano tutti fattori che stanno minando la cultura del buon bicchiere di vino in Italia.

In uno scenario così lugubre quale sarà il futuro dei produttori italiani? Newsweek, ovviamente, prende a riferimento il mercato a stelle e strisce ed evidenzia che, per l'Italia, rappresenta uno sbocco fondamentale visto che lo scorso anno i nostri produttori hanno esportato circa 300 milioni di litri di vino negli Stati Uniti, cioè quasi un quarto delle importazioni totali. 
Su 230 milioni di adulti, il 44% beve vino e il 25% (ossia circa 57 milioni di persone) lo consuma regolarmente. Si tratta soprattutto dei cosiddetti “baby boeme” - di età compresa tra i 49 e 67 - e dei “millennial” - tra i 21 e i 36 anni - che rappresentano la fascia in prospettiva più interessante per la continuità di crescita futura.

Quindi, dopo "niente sesso siamo inglesi", si è creato davvero il nuovo stereotipo "niente vino siamo italiani"? Se qualche studioso o produttore volesse intervenire per dire la sua sull'argomento è ben accetto. Nel frattempo, per non sapere nè leggere nè scrivere, mi apro una bottiglia di vino italiano.....


Foto: http://www.lavocedelserchio.it