Il Wine Italy Tour Heres di Roma

Essere invitati da Heres fa sempre piacere perchè sai che alla fine della degustazione avrai bevuto bene godendo come un riccio. 
La loro selezione, specialmente quella che fa capo a Heres Import, è talmente di alto livello, a tratti inavvicinabile, che spesso le persone fanno la fila e sgomitano solo per quella. 
Come dargli torto se davanti a te si stappano senza problemi bottiglie di grande Champagne o Borgogna? Strano, ma anche io ho iniziato proprio da lì ......

Gli Champagne erano degnamente rappresentati da Pol Roger che proponeva ben quattro tipologie: Pure (non dosato), Brut Réserve, Blanc de Blancs Vintage 2002 e Brut Vintage 2002





La mia preferenza è andata sul Pure e sul BdB Vintage 2002, due prodotti, ovviamente, di diversa complessità ma caratterizzati da una acidità sferzante, tagliente così come piace a me. Vini che dissetano!

Si passa ai bianchi, si va verso i vini di Chablis, gli chardonnay venuti dal freddo come a qualcuno piace chiamarli. Il produttore di riferimento Heres è Billaud-Simon che ha portato a Roma ben cinque vini, partendo dal Petit Chablis 2011, passando per i vari Premier Cru 2010 ( Mont Milieu e Les Vaillons) per arrivare al grandioso Chablis Grand Cru Les Preuses 2010. Le mie preferenze? Il Petit Chablis è davvero agrumato e diretto, piacevolissimo d'estate, ma quando bevi il Grand Cru tocchi davvero alte vette. Didattico, per tutti quelli che lo chardonnay deve sapere di banana..




Gli altri due grandi bianchi della Borgogna facevano capo al Domaine Antoine Jobart. In degustazione il Bourgogne Blanc 2010 e il Meursault "En La Barre" 2010. Rispetto agli Chablis sono vini più rotondi, tridimensionali, mentali, confortevoli. 



La Borgogna, quella rossa, durante la manifestazione era in mano a Luca Santini che era spesso tallonato da questo "losco" figuro che ho ripreso di spalle. Il Maestro e l'Allievo, l'Allievo e il Maestro, chi ha superato chi?


Il pinot nero selezionato da Heres è senza dubbio il fiore all'occhiello dell'azienda. I nomi sono quelli che molti appassionati vorrebbero avere in cantina: Joseph Voillot, Domaine Chandon de Briailles, Bart, Rossignol-Trapet, Domaine d'Eugénie, Domaine des Lambrays, Chateau de la Tour. Non hanno portato tutto, mancavano ad esempio Fourrier e Mugneret-Gibourg, ma sono sopravvissuto lo stesso....

In rapida carrellata:

Da bere a secchi, ancora e ancora

Per chi vuole scoprire l'altra Borgogna...

La Borgogna per tutti a prezzi umani

Piccolo grande mostro

Piccolo grande mostro BIS

Un village da acquistare al volo

Quando l'altra Borgogna è grande Borgogna

Incantevole l'annata 2008

Soave ed intenso, è Lui!

Lascio la Francia non senza un senso di nostalgia ma i vini italiani selezionati dalla Heres sono di grande livello e ancora tutti da scoprire. Tanti gli assaggi fatti ma sul mio Moleskine l'asterisco è andato ai seguenti vini:

Una lama datata 2012. Da vasca.

incenso e polpa allo stato puro

Cinzia Merli non sbaglia un colpo. Quale scegliere?

Etna o grande Borgogna?

Il tempo a mia disposizione non era molto, tante le cose che ho saltato, tanti i produttori Heres che meriterebbero ulteriori approfondimenti. La prossima tappa del Wine Italy Tour Heres sarà a Milano il prossimo ottobre. Se siete da quelle parti non dovete mancare, io farò di tutto per esserci e per terminare il giro...


Poderi Sanguineto, viaggio nel Vino Nobile di Montepulciano che ci piace

Quando arriviamo a Poderi Sanguineto, Patrizia ci aspetta davanti all'entrata della cantina. E' vestita come l'abbiamo vista sempre, pantaloni e maglione color verde militare e scarponi. Lei e Dora, che non c'era e che probabilmente era a caccia, sono abituate a lavorare duro, tutti i giorni dell'anno, e la nostra visita non è che un piccolo intervallo all'interno di una giornata di lavoro che andrà avanti fino al tramonto.


Appena usciamo dalla macchina ci saluta cordialmente presentandoci orgogliosamente  Poderi Sanguineto, un piccolo mondo rurale di circa 35 ettari (quasi 4 a vigneto) dove il tempo scorre lentamente tra animali da cortile e vigne (e vino) da curare.
Non esiste una vera e propria zonazione dell'areale del Nobile di Montepulciano ma in tanti indicherebbero proprio Sanguineto, il cui nome deriva forse dal sangue versato da Romani ed Etruschi che proprio da queste parti consumavano epiche battaglie, come una delle migliore aree dove piantare prugnolo gentile anche se, in molti, negheranno la cosa.
Causa pioggia e terreno fangoso non possiamo passeggiare per il vigneto e così Patrizia ci fa entrare subito in cantina, la sua seconda casa, visto che è lei ad occuparsi della parte enologica affidando a Dora quella prettamente agronomica.

Il vigneto in lontananza
Dentro queste mura tutto è all'insegna della naturalità e della tradizione, si usano solo botti grandi di rovere e durante la vinificazione, tranne un pò di solforosa all'inizio, non si impiega alcun tipo di prodotto chimico, men che mai lieviti selezionati, e non viene effettuata alcuna filtrazione.

Le botti
Cinque minuti e siamo subito nella piccola sala degustazione. Patrizia ci apre il Rosso di Montepulciano 2011 e il Nobile 2010
Lo devo ammettere, inizialmente una certa "fretta" della proprietaria ci aveva fatto pensare che si volesse sbarazzare presto di noi, siamo arrivati alle 11.00 e già alle 11.15 eravamo a degustare il loro vino. In fin dei conti è sabato anche per loro, almeno così pensavo.

Patrizia si siede davanti a noi e prende tre bicchieri, ci guarda e ci sorride serenamente, forse ha finito ci studiarci e ha capito che non siamo così rompiscatole, forse si è tolta un peso di dosso terminando il classico tour aziendale che avrà fatto mille volte. Davanti ad un bicchiere di vino, in fin dei conti, tutte le barriere si abbassano!


Le chiedo la genesi di Poderi Sanguineto I e II. "Purtroppo Dora non c'è, altrimenti te lo spiegava lei, ma tutto questo lo si deve a suo padre Federico Forsoni che, negli anni '60, si è letteralmente indebitato per acquistare questo posto. Lavorando come mediatore di bestiame è transitato tante volte da queste parti e, alla fine, non ha saputo resistere a questa Terra che l'ha folgorato dal primo istante in cui l'ha calpestata.
Nel 1963 pianta la vigna che in gran parte vedete qua di fuori con l'unico scopo di produrre il vino per se stesso e per insegnare alla piccola Dora il rispetto della vigna e, di conseguenza, della Natura.
Nel 1987, quando arrivo io a Poderi Sanguineto, il signor Forsoni era morto da qualche anno e tutto era in mano a Dora che, in quel periodo, vendeva le sue uve, grandi uve, alle aziende del posto come Boscarelli, Romeo o Triacca. 
Dal 1997, poi, la svolta: parte del loro prugnolo gentile, mammolo e canaiolo, viene tenuto per esigenze "interne" mentre il resto viene venduto per finanziare l'acquisto delle attrezzature adatte a creare una nostra cantina e per imbottigliare la prima annata di Poderi Sanguineto I e II che esce in commercio nel 2001. Il sogno di produrre un grande Nobile di Montepulciano si era avverato!".

La conversazione sembra ora intrattenuta tra vecchi amici e, tra un aneddoto e l'altro, ci viene versato il Rosso di Montepulciano 2011, straordinario per espressione di frutto, freschezza e facilità di beva. Lo stile Sanguineto, la sua classe, è facilmente riconoscibile anche nel suo "base".


Patrizia è un fiume in piena, ci racconta delle litigate con Dora quando, durante la prima vendemmia, pensava avesse colto le uve ad un grado zuccherino sbagliato. "Dora ma che cavolo hai combinato? - le ripetevo precipitandomi in vigna - Sei sempre stata perfetta e sto casino proprio alla nostra prima vendemmia lo dovevi combinare???? Ho misurato le uve e hanno un grado alcolico di 18°!! Sapete una cosa? Alla fine mi ero sbagliata o, meglio, il misuratore si era sbagliato visto che alla fine, probabilmente la Natura ci ha messo lo zampino, quel vino aveva un grado alcolico di circa 13,5 gradi di alcol.....

Il secondo vino versato è il Nobile di Montepulciano 2010, sanguigno, profondo, floreale, minerale e, soprattutto, dotato di una leggerezza davvero inconsueta per questa denominazione fatta spesso di vini caricaturali. Anche in questo caso il timbro di Dora e Patrizia è presente più che mai e si chiama "beva compulsiva".

Il tempo scorre inesorabile e noi dobbiamo raggiungere Chiara Barioffi a Le Casalte, è quasi ora di pranzo ma rimangono dieci minuti per una domanda impertinente:"Patrizia sappiamo che producete anche un buon bianco.....non è che potremmo averne?"

Un sorriso e poco dopo arriva la bottiglia di Bianco Toscano 2011, un IGT composto da diverse uve tra cui malvasia bianca, malvasia verde, trebbiano toscano, grechetto e biancame. 
La storia di questo vino è abbastanza curiosa. Inizialmente era il vino della casa di Dora e Patrizia e veniva venduto qua nella zona ad amici ed appassionati locali. Poi, un giorno, viene in cantina l'importatore giapponese che, venuto a sapere di questo bianco ricercato, vuole assaggiarlo a tutti i costi. Ovviamente, piace da impazzire e vorrebbe prenderne qualche bottiglia. Patrizia, però, fa orecchie da mercante, troppo complicato e costoso imbottigliare ed etichettare poche unità del loro Bianco Toscano. L'anno dopo, lo stesso importatore riassaggia il vino e fa la stessa proposta:"Lo voglio prendere!!". Patrizia gli spiega i problemi che l'avevano fatta desistire anche l'anno passato ma lui, deciso, la blocca dicendole:"Aspetta, non ne voglio poche bottiglie, le prendo 2000...3000, va bene?". Il discorso cambia e così nasce quello che oggi è un grande bianco toscano del quale Dora e Patrizia conservano sempre qualche bottiglia per i vecchi clienti. 
Come dare torto a tutte le persone che amano questo vino? Il profumo è un intreccio aromatico di erba tagliata, frutta gialla matura, salvia, menta, ginestra. Bocca aromatica, fine, strutturata, di grande freschezza e sapidità. Patrizia ci fa un'ultima confidenza:"Con Dora, freddissimo, lo beviamo nelle calde sere d'estate, sedute qua fuori a goderci la brezza della sera. Stanche ma felici".


E' con questa immagine mentale che lasciamo Poderi Sanguineto il cui ricordo, indelebile, ci cullerà fino a quanto non ritorneremo da queste parti. Dora e Patrizia ci aspettano ancora. 

A presto!

Dora e Patrizia in un momento delle riprese del documentario Senza Trucco di Giulia Graglia

Robert Mondavi Private Selection Cabernet Sauvignon 2011

Degustato ieri durante un evento privato da Romeo.

Già le note di degustazione che si trovano sul sito internet non promettono bene

Aromas: Red cherry, red plum, and blackberry with a hint of spice
Flavors: Cherry and blueberry with smoky oak and vanilla
Texture: Smooth with a long finish


Il colore, a dire il vero, non era malaccio, un bel rubino chiaro molto brillante.

Il vero incubo non è stato tanto odorare il vino ma berlo. Ho in mente solo un sentore. Questo!


Niente, è più forte di loro, sò Ammericani!! 

Il Barolo Otin Fiorin Piè Franco-Michet 1999 di Teobaldo Cappellano


A chi di Guide si interessa:

Nel 1983 chiesi al giornalista Sheldon Wasserman di non pubblicare il punteggio dei miei vini. Così fece, ma non solo, sul libro Italian Nobile Wines scrisse che chiedevo di non far parte di classifiche ove il confronto, dagli ignavi reso dogma, è disaggregante termine numerico e non condivisa umana fatica. Non ho cambiato idea, interesso una fascia ristretta di amici-clienti, sono una piccola azienda agricola da 20 mila bottiglie l'anno, credo nella libera informazione, positiva o negativa essa sia. Penso alle mie colline come una plaga anarchica, senza inquisitori o opposte fazioni, interiormente ricca se stimolata da severi e attenti critici; lotto per un collettivo in grado d'esprimere ancor oggi solidarietà contadina a chi, da Madre Natura, non è stato premiato.
E' un sogno? Permettetemelo".

Un produttore che scrive questa parole sulla retro etichetta del suo vino farebbe sicuramente clamore ma, se si scopre che a volere quelle frasi è stato un grande vignaiolo di Langa come Teobaldo Cappellano, la presunta boria lessicale muore soffocata da ogni sua sillaba e tutto rientra nei canoni di un orgoglio contadino ormai desueto, lontanissimo dalle luci di una ribalta che non si pretende ma si conquista giorno dopo giorno con la Terra e il sudore.

Foto di quel gran Beone di Andrea Federici
Di questo Barolo esistono due tipologie: quella da vigne a piede franco chiamata Piè Franco-Michet (nebbiolo varietà Michet) e la versione da vigne a piede americato denominata Piè Rupestris-Nebioli 

Il Barolo Piè Franco-Michet 1999, per il degustatore più sensibile, è ad alto rischio Sindrome di Stendhal perchè dopo il secondo bicchiere, così come è successo a me, è facile provare gli stessi sintomi provati dallo scrittore francese che così descrisse il suo stato d'animo di fronte di fronte alle opere d'arte:"Ero giunto a quel livello di emozione dove si incontrano le sensazioni celesti date dalle arti ed i sentimenti appassionati. Uscendo da Santa Croce, ebbi un battito del cuore, la vita per me si era inaridita, camminavo temendo di cadere".

Il Barolo Piè Franco-Michet 1999 è profondo come gli abissi della nostra (in)coscienza, intenso come il rosso di un tramonto estivo, armonico come il suono di un violino d'orchestra ed elegante come un vestito sartoriale.


Foto di quel gran Beone di Andrea Federici
Sorso dopo sorso, attraversando descrittori e sensazioni infinite, il ricordo va ancora una volta a Baldo Cappellano, un uomo immenso, senza etichetta, che non ho fatto in tempo a conoscere se non per la sua eredità morale che prende sostanza e forma del suo grande nebbiolo di Langa. Grazie di cuore

Navelli, naturale come il verde di Abruzzo

Navelli vale il viaggio, da qualunque parte di Italia voi siate quell'angolo verde di Abruzzo è un piccolo paradiso che vale la pena scoprire non solo per un week end "a tutto vino" come questo passato.
Palazzo Santucci ci accoglie in tutta la sua bellezza e maestosità, chissà cosa penserebbe oggi Camillo Caracciolo, feudatario, vedendo la sua residenza trasformata per qualche giorno in un rifugio di enoappassionati di vino naturale.




Entriamo attorno alle 12 e siamo già affamati per cui la prima tappa, d'obbligo, la facciamo da Gregorio Rotolo che anche questa volta ha portato con sé dei formaggi strepitosi.




Iniziamo a bere. Prima di tutto gli spumanti dove, tra i vari, mi colpisce il Colfòndo di Casa Belfi che non tradisce le aspettative su questa tipologia ancestrale di Prosecco che avevo avuto modo di degustare varie volte in passato. Fresco, con sentori di mela verde e crosta di pane, è un ottimo compagno durante le torride serate estive.


Il "giro dei bianchi" dura almeno un paio di ore, non amo moltissimo i c.d. macerati ma due perle le ho trovate. Trattasi del Vermentino Colli di LuniPoggi Alti2011 di Casa Caterina e della Malvasia 2007 di Franco Terpin.


Il primo è un esempio di come il mare e le erbe aromatiche possano trasformarsi in vino mentre la Malvasia di Terpin è la dimostrazione di come un grande vino bianco possa celarsi al mondo solo dopo setti anni.
Interessante, cambiando stile di vinificazione, è stato l'assaggio del Pecorino 2010 di Emidio Pepe che, pur nella sua gioventù, colpisce per struttura e tipicità. Certo, il prezzo attorno alle 40 euro non è che giochi a suo favore...


Ultima segnalazione per i bianchi: con un pizzico di orgoglio non posso non elogiare Casale Certosa, piccola cantina del Lazio in conversione biodinamica, che ha una gamma di vini dal rapporto q/p davvero strepitoso. L'Alborea 2011, mix di grechetto e malvasia del Lazio, è un bianco davvero buono che ai profumi erbacei e fruttati unisce grande rotondità ed eleganza. 


Per quello che concerne i rossi, visto che siamo in Abruzzo, vorrei distinguere tra assaggi di Montepulciano e tutto il resto.
Il rosso più importante della Regione era declinato in tante espressioni e filosofie produttive caratterizzate da un unico comune denominatore: struttura e potenza gustativa.

Durante la manifestazione l'ennesima conferma è venuta dal Prologo 2010 di De Fermo che incanta sempre per sapidità e profondità gustativa. 


Se la bontà delle vecchie annate del Montepulciano di Abruzzo di Emidio Pepe non sono più una novità per i curiosi del vino, un certo stupore, almeno per me, è arrivato dalla Riserva 1999 di Praesidium che si presenta di grande balsamicità e con una nota salmastra di fondo a dargli carattere. Bocca, come al solito, lunga e carnosa.
Tenace e di buona prospettiva anche il Montepulciano di Nuvole e Pane anche se deve trovare ancora la strada dei migliori.

Altra sorpresa, sempre da montepulciano anche se in veste marchigiana, è venuta dall'Erasmo Castelli 2005 dell'azienda Maria Pia Castelli. Parlando con il responsabile commerciale (?) ho potuto capire perchè, già dal primo assaggio, questo vino mi è sembrato un "piccolo Kurni". Rese ridicole (35 quintali per ettaro) lunghe fermentazioni in tini di rovere ed affinamento in barrique nuove per circa due anni danno vita ad un piccolo mostro di concentrazione e profondità che si svilupperà solo nel corso dei prossimi anni. Proprio come il vino di Casolanetti.....


Tra gli altri rossi presenti a Navelli (non da vitigno montepulciano) grande goduria è arrivata grazie alla barbera di Nicoletta Bocca e Fabrizio Iuli.

L'Austri 2006 di San Fereolo, bevuto durante il bel seminario tenuto da Emanuele Giannone dal titolo Il Canto della Terra, dimostra come la barbera può diventare tutto meno che un vino semplice da bere nell'arco di un anno. Grande eleganza, complessità, austerità sono i tre aggettivi che mi sono venuti in mente appena ho bevuto il primo sorso. Un grande vino che conferma come la seta venga bene anche a Dogliani.


Foto: Andrea Federici
Fabrizio Iuli, così come Nicoletta Bocca, ha una gamma di vini di primo piano a larga maggioranza di barbera. Tra i vari mi ha impressionato per sostanza e profondità il Barabba 2007, barbera in purezza da vigne storiche impiantate dal nonno negli anni '30. Anche in questo caso, come detto per Nicoletta Bocca, parliamo di un vino godibilissimo ora ma che ha tutti i crismi per andare avanti ancora per moltissimo tempo. Fossero così tutte quelle che bevo....


L'ultimo assaggio lo dedico al Barrosu 2010 di Giovanni Montisci, un cannonau riserva che porta tutta la mediterraneità nel bicchiere. Anno dopo anno sempre più buono. Grazie a Riccardo La Ginestra che ce lo ha fatto degustare!


Foto: Vinoir.com


Alla prossima cara, verde e naturale Navelli!



VinNatur analizza i vini delle cantine associate e......

VinNatur sul proprio sito internet ha pubblicato, per il quinto anno consecutivo, i risultati delle  140 analisi effettuate sui vini delle cantine associate.

Da questa indagine interna è emerso che"nell’anno 2013, su un totale di 140 campioni analizzati 128 sono risultati completamente esenti da ogni tipo di pesticida, mentre i restanti 12 presentano residui di pesticidi. Un risultato già molto buono ma che non attende le nostre più positive aspettative.

L’analisi dell’anidride solforosa totale invece evidenzia che 52 vini hanno meno di 10 mg/l di anidride solforosa(la legge permette in questi casi di apporre in etichetta la dicitura “NON CONTIENE SOLFITI AGGIUNTI”), mentre i restanti 88 vini sono al di sotto dei 60 mg/l. Solo cinque casi, superano questo livello, rimanendo comunque sotto i 90 mg/l. Risultati che di anno in anno vedono una graduale diminuzione dell’uso della solforosa come conservante, grazie alla crescente cura ed attenzione nelle vinificazioni spontanee.

Questi sono nel dettaglio i risultati delle analisi:
- Totale campioni analizzati: 140
– Totale vini aventi residui di pesticidi: 12, di cui 9 italiani, 2 sloveni ed 1 francese.
– Numero di principi attivi riscontrati sui 12 campioni: 8 vini aventi un solo pesticida, 4 vini aventi 2 pesticidi.
– Media di mg/kg di residui riscontrati sui 12 campioni: 0,052 mg/kg (la normativa europea prevede in media un limite di 0,800 mg/kg)".


La notizia, se da una parte è da applaudire visto il bisogno di maggiore trasparenza che noi consumatori chiediamo di soddisfare, dall'altra non può lasciarmi del tutto indifferente perchè, nonostante la scarsa rilevanza statistica, il dato ci informa che il problema dei pesticidi nel vino, anche in Associazioni serie come questa, rimane. 

A freddo, mi vengono in mente due possibilità, entrambe disarmanti. La prima, tremenda ma possibile, è che tra questi produttori di vino c.d. naturali ci siamo degli impostori. Non sarebbe certo una novità, la moda richiama certe figure professionali camaleontiche.

La seconda possibilità, dolorosa, riguarda l'impossibilità da parte dei produttori di tenere pulite le loro vigne nonostante tutti gli sforzi. Se hai un vicino che lancia pesticidi con l'aereo, dico tanto per dire, difficilmente il tuo vigneto, magari in una giornata ventosa, non riceverà parte di quella merda.

Ovviamente, non ho la ricetta per risolvere il problema, come consumatore finale mi sono solo un pò tradito perchè non riesco ad essere tranquillo nemmeno in certi contesti. Vorrei essere maggiormente garantito, anche a livello giuridico, ma le fratture tra le varie Associazioni Naturali e l'incompetenza dei nostri politici non mi danno molto affidamento per il futuro.

Una richiesta, l'ultima: vorrei sapere quali sono i vini che hanno avuto questi problemi. Se li avessi in cantina saprei cosa farne...

P.S.: come previsto dalla Statuto di VinNatur, qualora si riscontrino residui di pesticidi all'interno dei vini di un associato per tre anni, questi verrà irreversibilmente allontanato dall'Associazione stessa.

L'Amarone della Valpolicella è salvo! Il Consorzio chiarisce gli equivoci...


Verona, 15 maggio 2013
 
“Nessun ampliamento della zona di produzione dell’Amarone e degli altri vini della Valpolicella,  nessuna apertura ad illegittime produzioni di pianura”: a dirlo Christian Marchesini, presidente del Consorzio Tutela Vini Valpolicella. La modifica al disciplinare di produzione proposta e approvata a larga maggioranza in assemblea dei soci il 10 maggio scorso, infatti, riguarda il comma 2 dell’articolo 4, mentre i confini della zona di produzione sono definiti nell’articolo 3 che mai nessuno ha pensato di cambiare.
 
Con la modifica adottata il Valpolicella, l’Amarone e il Recioto della Valpolicella docg continueranno ad essere prodotti esattamente dove vengono prodotti oggi; senza modifica circa 2/3 delle produzioni avrebbero corso il rischio di non essere più certificate.
 
Questo perché nella vecchia versione del comma 2 dell’articolo 4 si leggeva che “… sono da escludere, in ogni caso, ai fini dell’idoneità alla produzione …, i vigneti impiantati su terreni freschi, situati in pianura o nei fondovalle”. Quindi la modifica si è resa necessaria per correggere un vizio di forma del disciplinare, e per dare una maggior coerenza fra lo stesso e la fotografia reale dei vigneti da sempre esistenti in Valpolicella.
 
Finora la discrepanza, che era presente fin dal 1968 nel disciplinare di produzione dei vini Valpolicella dop, non era più che un refuso,  presente peraltro nei disciplinari di produzione di molti altri vini.
 
“La modifica al disciplinare, quindi – spiega Marchesini -, è stata deliberata all’unanimità dal Consiglio di Amministrazione perché necessaria per salvaguardare una situazione produttiva consolidata negli anni, ribadendo l’appartenenza di quelle aree alla zona di produzione riconosciuta. La maggiore vocazionalità, espressione di specifici terroir, è un’altra cosa, che dovrà essere discussa nel tavolo interprofessionale che è stato chiesto durante l’assemblea dei soci, e che vedrà la partecipazione di tutte le componenti della filiera, anche i piccoli produttori. Lì potrà essere fatta una discussione ampia, serena e ragionata sulla denominazione, che è patrimonio di tutti”.
 
“Allo stato attuale, tra l’altro – conclude il presidente del Consorzio - nessuno con onestà può negare che la qualità espressa dall’Amarone della Valpolicella nell’ultimo decennio è fortemente legata al territorio di origine nel suo insieme; merito di una vocazione diffusa di tutte le aree, ad una tradizione produttiva storicamente condivisa e alla riqualificazione dei vigneti portata avanti dai vitivinicoltori. Una situazione che ha avvantaggiato tutti, grandi e piccoli, famosi e non, sia dal punto di vista economico che d’immagine nel mondo”.
 
La modifica al comma 2 dell’articolo 4 di tutti i disciplinari di produzione delle quattro Doc/Docg non è stata l’unica approvata dall’assemblea dei soci. Periodicamente tutte le denominazioni vengono riviste per valutare incongruenze e obsolescenze frutto del passare del tempo o per introdurre elementi di attualità che le rendano adeguate ai nuovi contesti economici. In questa ottica, sono state introdotte sia altre modifiche al disciplinare dell’Amarone, sia variazioni a quelli del Valpolicella, del Ripasso della Valpolicella e del Recioto della Valpolicella docg.
 
Tra queste: l’introduzione della possibilità di utilizzare il tappo a vite per il Valpolicella Classico, Superiore e Valpantena, richiesto dai nuovi mercati e dagli stessi produttori; l’obbligo del 4° anno d’età del vigneto per poter produrre Amarone e Recioto della Valpolicella; la possibilità di procrastinare l’immissione al consumo dell’Amarone in casi eccezionali e limitatamente all’annata; la facoltà lasciata alle aziende di utilizzare nel Valpolicella Ripasso piccole percentuali di Amarone della Valpolicella a scopo migliorativo, salvo casi eccezionali in cui tale pratica si renda necessaria. 
 
 
Il Cda del Consorzio di Tutela Vini Valpolicella è costituito da Christian Marchesini, Daniele Accordini, Sergio Andreoli, Romano Dal Forno, Emilio Pedron, Marco Sartori, Lucio Furia, Luca Degani, Giannantonio Marconi, Giuseppe Nicolis, Vittorio Zardini, Luca Sartori, Bruno Trentini, Flavio Tezza, Dario Tommasi, Aleardo Ferrari, Maurizio Fumaneri, Franco Puntin.

L'Amarone della "pianura" della Valpolicella

In Toscana, zona di Montalcino, la battaglia ha come oggetto la quantità di sangiovese all'interno del disciplinare di produzione del Brunello. I puristi vogliono lasciare tutto così mentre i "progressisti" vogliono ampliare ad altri vitigni.
In Veneto, invece, la battaglia che vede distinti i nuovi guelfi e ghibellini del vino vede da oggi la distinzione tra viticoltori di collina contro quelli di pianura.


La notizia è di pochi giorni fa e ha fatto grande scalpore: il Consorzio lo scorso 10 maggio, a maggioranza e dopo un'accesa assemblea, ha modificato il vecchio disciplinare di produzione dell'Amarone, datato 1965, allargando la possibilità di produzione ANCHE alle uve provenienti da vigneti di pianura e fondovalle.

Le polemiche, ovviamente, non sono mancate. Quelle più motivate e sentite sono arrivate dall'Associazione delle Famiglie dell'Amarone d'Arte, che riunisce 12 produttori storici come Masi e Allegrini, la quale ritiene la modifica come di una sorta di condono tombale per chi purtroppo già pratica, indisturbato, una produzione mai consentita dal regolamento. La verità – sostiene Sandro Boscaini – è che, nonostante le nostre rivendicazioni, la politica di gestione non tiene più conto delle zone vocate e si adegua solo a minimi parametri di legge, a tutto svantaggio della riconoscibilità di uno dei vini simbolo del made in Italy nel mondo".

In sostanza, secondo l'Associazione, aver consentito di produrre Amarone anche da vigneti al di sotto dei 300 metri significa cambiare visione di lavoro passando da un approccio qualitativo, basato sulla vocazione del vigneto, ad uno quantitativo che vede il mercato come il principale obiettivo da soddisfare ad ogni costo.



La proposta, come riporta l'Arena, è stata rinviata al mittente visto che la maggioranza dell'Assemblea, che rappresenta l'80% della filiera, ha dato parere favorevole alla modifica del disciplinare che, secondo alcuni, non è altro che un atto formale con cui si mette in regola una pratica che già in tanti esercitavano.

In ogni caso, maggiori chiarimenti arriveranno dalla prossima conferenza del Consorzio che dovrebbe tenersi a giorni, forse oggi stesso.

In tale ambito una risposta adeguata se l'aspetta anche la Federazione Vignaioli Indipendenti della Valpolicella che, oltre ad aver chiedo un rinvio della votazione, chiede "delucidazioni sulla costituzionalità dell'articolo 16 dello Statuto del Consorzio su deleghe e voti, e che di fatto rischia di creare un "cartello" rendendo impossibile alle piccole cantine come le nostre di decidere del futuro delle nostre denominazioni."

La battaglia è solo all'inizio!



Lo Chenin Blanc della Loira alla corte dei TDC

Siamo a Gennaio e, forse, parlare di vini bianchi a qualcuno farà venire freddo ma, credetemi, possiamo fare un'eccezione per lo Chenin Blanc, uno dei grandi vitigni autoctoni francesi che in Italia, purtroppo, è ancora poco conosciuto.
Lo Chenin Blanc, vitigno originario dell'Angiò dove pare fosse coltivato già nel IX secolo, deve sicuramente il suo nome al lavoro di ricerca di Denis Briçonnet, abate di Cormery, che nel XV secolo nella proprietà di Mont-Chenin, sulle pendici dell’Echaudon, piantò alcune varietà di viti tra cui il Plant d’Anjou che ben presto si acclimatò con successo e che, verosimilmente, prese il nuovo nome di Chenin.
Oggi lo Chenin Blanc nella Loira è coltivato nelle zone di Anjou e Saumur e Touraine.
L’Anjou e Saumur hanno una AOC di ricaduta (Anjou), delle AOC territoriali come Coteaux-de-l’Aubance, Anjou Coteaux-de-la-Loire, Savenniéres, Coteaux-du-Layon, Saumur, Saumur-Champigny e tre AOC comunali (solo per vini dolci) denominate Bonnezeaux, Chaume e Quarts-de-Chaume.

Le denominazione Bonnezeaux e Quarts-de-Chaume sono famose per produrr grandi vini muffati grazie all'incontro dei fiumi Layon e Loira che creano le condizioni ideali per la formazioni delle nebbie propedeutice alla formazione della Botrytus.
Nella zona del Savennières, la più famosa per lo Chenin Blanc, si trovano i maggiori Cru: la Roche-aux-Moines e il Coulée-de-Serrant.
Piccola curiosità: la zona, geologicamente, vede suoli sono divisi in due categorie: “Anjou Noir” ovvero scisti e rocce primarie del Massicio armoricano e “Anjou Blanc” composto da rocce ricche di calcare. 

AOC Anjou e Saumur

La Touraine ha una AOC regionale Touraine divisa in nove AOC comunali: Bourgueil, Saint-Nicolas-de-Bourgueil, Chinon, Montlouis, Vouvray, Touraine-Azay-le-Ridéau, Touraine-Amboise, Touraine-Mesland, Touraine Noble Joué.
Zone di grande qualità per lo Chenin Blanc sono Vouvray e Montlouis
I suoli sono caratterizzati dalla presenza maggioritaria di tufo, con intrusioni di argilla, sabbia e talvolta silice.

AOC Touraine

Tornando a cose più "pratiche", assieme ad un nutrito gruppo di TDC abbiamo bevuto e, conseguentemente, scoperto le seguenti chicche:

Saumur Blanc Breeze 2001 - Clos Rougeard: iniziare la batteria con questi vino è un pò imparare a guidare una macchina partendo dalla Ferrari. Ha 13 anni ma non li dimostra, nè al colore che si mantiene vivissimo, nè all'olfattiva dove questo chenin blanc sembra appena svinato. Nettissima è la nota citrina, agrumata del vino a cui seguono i caratteristici aromi di mela, in questo caso grattata,  e acacia. Forse l'età viene tradita da una piccola sensazione di pasticceria ma si tratta di poco. Col tempo il vino si apre, muta, e diventa floreale, mettere il naso nel bicchiere significa entrare in un campo primaverile di fiori gialli. 
Al sorso il vino è teso, vibrante, ha tutta l'anima del vitigno e progredisce da manuale. Che volere di più?

Montlouis Les Choisilles 2010 2000 - François Chidaine: ci spostiamo a Vouvray ed in particolare nella piccola AOC Monlouis. Questo produttore, biodinamico dal 2003, coltiva solo chenin blanc con piante che vanno dai 40 agli 80 anni.  Questo vino, che non fa parte dei suoi Cru, ha un naso e uno stile che a qualcuno di noi ha ricordato quello di Gravner, sembra un vecchio Collio macerato con le classiche sensazioni di miele, castagna, camomilla. Questo naso "grasso" e un pò stanco si scontra con una bocca totalmente diversa, il sorso è acido, affilato, minerale.


Vouvray sec Clos Naudin 1998 - Philippe Foreau: sempre nella zona di Vouvray troviamo questp importante produttore che ha uno stile molto puro e scarsamente interventista. Naso intrigante e ancora giovanile, la purezza del frutto si intreccia con una fervida mineralità che a tratti si trasforma in salinità. Il tempo fa uscire una strana mediterraneità nel bicchiere visto che percepisco il cappero e l'oliva. Il miele esce col tempo. Al sorso il vino è leggermente seduto ma rimane comunque minerale ed ampio. Bella la persistenza finale.


Savennieres Coulee de Serrant 1989 - Nicolas Joly: ohhhhhhhh Joly, tutti ad aspettare il vino di questo importante produttore biodinamico e..............il vino è talmente strano ed evoluto che tanti decidono di dargli un bel NG. Non giudicabile da chi lo ha bevuto spesso e pensa che questo chenin blanc possa dare molto di più. Ok, ma come era sto vino? Colore oro quasi ambrato, naso tostato, caffettoso, qualcuno ha esordito dicendo che era un ottimo Caffè Borghetti. Col tempo evolve, sa di pan di zenzero, caramella d'orzo, futta secca per arrivare ad sentori da whisky torbato. Bocca leggermente slegata ma bella piena a compressa. Bottiglia sfigata? Boh, non so, dicono di sì e mi fido.

Foto: Andrea Federici
  
Saumur blanc L'Insolite 2009 - Domaine des Roches Neuves: Thierry Germain, giovane vignaiolo bordolese trapiantato in Loira dal 1991, conduce la sua azienda con metodi biodinamici. L'Insolite nasce da un piccolo vigneto di chenin blanc di circa 75 anni. L'uva trasportata in cantina subisce una fermentazione in botti di legno da 400 e 250 litri, un terzo di un anno e due terzi di due anni. Segue affinamento in botti grandi da 1200 litri per circa un anno. Il vino, a dire il vero, non mi ha entusiasmato moltissimo, ha grande verticalità, è acido e agrumato, teso, affilato ma, forse, un pò troppo monocorde. Sicuramente è giovanissimo, aspetteremo!

Foto: Andrea Federici