Symposio 2007 - Feudo Principi di Butera


Leggi Symposio e subito ti viene in mente il Vinitaly dello scorso anno dove Zonin, con un’abile e innovativa operazione di marketing, ha chiamato 13 wine-blogger, ristoratori, giornalisti ed esperti per dar vita al progetto Myfeudo che ha avuto come obiettivo quello di creare il primo vino “open source” ascoltando anche le opinioni di opinion leader e consumatori finali.


Il Symposio era già un vino progettato quando l’operazione Myfeudo è partita e così, dopo che i 13 partecipanti hanno avuto il piacere di degustarlo in anteprima durante l’ultimo Vinitaly, la tenuta siciliana di Zonin,  Feudo Principi di Butera, si è messa all’opera e ha prodotto circa 6000 bottiglie di quello che oggi è il Symposio 2007, blend composto dalle seguenti percentuali: 65% Cabernet Sauvignon, 30% Merlot e 5% Petit Verdot.
Versando il vino nel bicchiere si notano già dei lievi riflessi granato del colore, sintomo di un vino che sta evolvendo e che, data la giovane età, forse sta mettendo i capelli bianchi troppo presto.

Francesco Zonin
Il naso, inizialmente, è segnato da note scure di frutta di rovo, ribes, china, a cui fanno eco delle sensazioni dolci, legno o surmaturazione del frutto, che rendono meno elegante il quadro olfattivo. Col passare del tempo il vino cambia, si chiude, diventa quasi inaccessibile, timido, come se fosse ritroso, giustamente ritroso, a farsi analizzare da me. Solo dopo un’ora si apre di nuovo e tira fuori timide sensazioni di spezie dolci e grafite.

L'etichetta. Fonte: Enoiche Illusioni
In bocca purtroppo non ci siamo: se all’olfattiva potevo perdonare l’eccessiva dolcezza di certe note, al sorso il vino non convince per una intemperante “amarezza” di fondo che, dal mio punto di vista, non è legata ad aromi di liquirizia o radici ma, purtroppo, ad una presenza del legno che ancora deve essere equilibrata. Peccato.

Mi sarà capitata una bottiglia no? Cercherò di confrontare la mie impressioni con quanto scritto dagli altri wine blogger.
Se comunque il Symposio è questo, sono sicuro che Zonin potrà fare di meglio.

Percorsi Di Vino Wine Fest: il 30 Gennaio tutti a Roma

Percorsi Di Vino, il mio diario enologico di bordo, il prossimo 30 Gennaio compierà tre anni e per festeggiarlo sto organizzando una Wine Fest a Roma presso L’Incannucciata di Dino De Bellis (via della Giustiniana 5, Roma).

Saranno presenti i seguenti produttori di vino:

Bele Casel
Caparsa
Coletti Conti
Gianfranco Fino
Elena Fucci
I Botri di Ghiaccioforte
Le Macchiole
Le Ragnaie
Masciarelli
Monteraponi
Nanni Copè
Podere S.Lorenzo
Ronci di Nepi
Sergio Mottura
Tenuta S. Leonardo
Val delle Corti

Tutti assieme festeggeremo il wine blog con un pranzo conviviale (inizio ore 13.00) a cui seguirà un pomeriggio dedicato alle degustazioni libere e ai seguenti laboratori del gusto (gratuiti e aperti a tutti):

Ore 15.00: Apertura degustazioni libere con i vini dei produttori presenti

Ore 15.30: Il Terroir di Radda in Chianti (a cura dell’Enoclub Siena).

Ore 16.30: Presentazione progetto “Il PostVino” a cura di Fabio Cagnetti. Evento riservato a blogger, giornalisti ed operatori di settore. Durante la presentazione verrà degustata una verticale storica di Carema della Cantina Produttori Nebbiolo di Carema:

1970 etichetta bianca
1971 etichetta rossa
1974 etichetta rossa
1978 etichetta rossa
1978 etichetta bianca

Ore 18.00: Tutti i volti del Cesanese. Relatori: Anton Maria Coletti Conti, Pierluca Proietti, Andrea Petrini. Previsti ospiti speciali!

Ore 19.00: Wine Session a sorpresa.

Se vorrete passare a trovarmi anche solo per un bicchiere o per partecipare ai laboratori prenotatevi al 377/1615140 o info@percorsidivino.com

Marco De Bartoli: Marsala ha il suo faro!


Il navigatore satellitare impazzisce all’interno di tutte le stradine che compongono le varie contrade di Marsala, da soli non riusciamo a raggiungere Contrada Fornara Samperi ma, appena chiediamo in giro dov’è la casa Marco De Bartoli, tutti con grande curiosità ed orgoglio ci indicano la direzione esatta. Quel piccolo borgo disperso all’interno della Sicilia occidentale rappresenta da anni un faro per questa zona anche se, come sento dire da molti, spesso la tempesta e il mare grosso offuscano quella luce maestra.

Marco De Bartoli - Fonte: La Madia.it
Per capire bene chi è Marco De Bartoli basta leggere cosa ha detto ad Attilio Vinci nella biografia scritta per Veronelli.

Il mio primo lavoro nel mondo vinicolo è stato come tecnico nell’azienda di famiglia di mia madre. Le mie idee non erano condivise e allora, dopo alcuni anni, ho deciso di trasferirmi definitivamente al baglio Samperi, una nostra vecchia proprietà. Ho ripristinato il reparto di vinificazione mettendo a posto le cantine storiche. Nel 1980 ho accelerato il primo imbottigliamento del vino che in onore della contrada ho chiamato vecchio Samperi. L’ho presentato come vino di Marsala e non vino Marsala. Un impegno a combattere il declino dell’immagine di questo glorioso prodotto. Poi nel 1985 spinto da un desiderio di curiosità per il moscato passito di Pantelleria, ho imbottigliato il mio primo Bukkuram moscato passito

Qualcuno l’ha definito un pazzo perché si è messo a produrre Marsala negli anni più neri della tipologia, erano gli anni ’80, anni di Marsala all’uovo e di produzioni industriali di massa che hanno trasformato il vino italiano più famoso al mondo in spazzatura liquida.
De Bartoli non si arrende a questo schifo e, cercando di rilanciare tutta una denominazione, diventa nel 1993 presidente dell’Istituto Regionale del Vino e della Vite.
Forte del suo ruolo ha provato in quegli anni a parlare di qualità, vitigni autoctoni, fiere, sperimentazioni, associazionismo, ha strenuamente tentato di abbattere il muro di gomma e diventare finalmente ed oggettivamente il Faro


Sapete come è finita la storia? Una mattina del 1995 la Procura di Marsala lo accusa di sofisticazione. Ricorda lui stesso:“Quando è avvenuto il fattaccio io stavo prendendo quota. Dopo quindici anni di investimenti mi apprestavo a raccogliere i frutti. Sono stato colpito nel momento di maggiore crescita. Avrei festeggiato il fatturato più consistente della storia della mia azienda. Una cattiveria, la fine riservata in Sicilia a chi dimostra di sapere fare”.

Ha dovuto aspettare cinque anni per avere l’assoluzione: ci siamo sbagliati, il fatto non sussiste…
Deluso, arrabbiato ma non arreso, De Bartoli ha continuato da solo per la sua strada, sa perfettamente che a Marsala e nel Marsala dovrà contare solo sulle sue forze, una mosca bianca che ha spazzato l’infamia del sospetto producendo vini di straordinario spessore

Ad attenderci in cantina c’è la figlia di Marco De Bartoli, Giuseppina, due occhi azzurri tenaci e fieri che, assieme ai due fratelli, porteranno avanti la tradizione di famiglia, orgogliosamente coscienti di essere acqua nel deserto.
L'Azienda Agricola Samperi si compone di 25 ettari di vigneto di cui il vitigno principe è il Grillo, anche se non mancano vitigni come syrah e merlot col quale si produce il Rosso di Marco, un rosso fatto da De Bartoli per De Bartoli.

Il vigneto
Giriamo per la bellissima cantina, scopriamo botti vecchissime e bottiglie impolverate, tutto qua parla di storia, tradizione e qualità.
Entriamo in sala degustazione per scoprire tutte le declinazioni del Grillo, vero vanto dell’azienda Samperi.
Partiamo degustando “Grappoli del Grillo2008, un bianco secco monovitigno che ti parla di struttura ed identità territoriale: dentro quel bicchiere ci sono le saline di Marsala, c’è il mare, la frutta gialla che resiste al sole della Sicilia. Un sorso di grande carattere che si fa fatica a scordare.


Non ci giriamo troppo attorno, dopo aver degustato un ottimo Marsala Superiore Riserva 10 anni, è il turno del “Vecchio Samperi”, la luce calda del faro, il Marsala che reinventa il Marsala riportando l’immagine del vino a ciò che era una volta e alle parole di Luigi Veronelli che durante le degustazioni esclamava: “è arrivato il Marsala”.
Nessuna menzione in etichetta che si tratti di Marsala, De Bartoli nel 1983 rompe gli schemi e, soprattutto, rompe con un passato ed un presente fatto di prodotti ruffiani e di facile beva.

La vecchia cantina
Il “Vecchio Samperi”, il cui nome è una dedica alla contrada dove si trovano le cantine, è un vino ottenuto con l’antico metodo Soleras che, attraverso una sequenza di passaggi di piccole percentuali di vino più giovane in fusti che contengono vini più vecchi, permette di creare un’armoniosa mescolanza di annate diverse, dal gusto unico e inimitabile.
Non starò qua a tediarvi con mille descrittori, sappiate solo che questo vino, il Marsala per eccellenza, è tutto ciò che non avete mai bevuto, è l’anima e il corpo del Grillo e la passione, le lacrime e la terra di Marco De Bartoli.


Journey in the Italy of wines: l'Italia del vino con gli occhi di Robert Parker


Sarà italiano uno dei principali “Cicerone” che animeranno questo viaggio nella terra dove “tutte le strade portano al vino”: il professor Attilio Scienza, dell’Università di Milano e uno dei massimi esperti al mondo di viticoltura e “archeo-viticoltura” condurrà “Journey in the Italy of Wines”, serie televisiva americana a cui sta lavorando Antonio Galloni, il responsabile per gli assaggi dei vini italiani di “Wine Advocate”, la newsletter di Robert Parker, fra le più influenti testate di critica enologica al mondo. 
 
Attilio Scienza
Si tratta di una serie di viaggi che attraverseranno le antiche vie consolari romane, con fermate nelle aziende vitivinicole più importanti dell’Italia, per raccontare la varietà straordinaria del “giacimento enologico” del Bel Paese. A presentare questo articolato percorso dentro le mete più suggestive del “Vigneto Italia”, William Petersen, attore per molti anni protagonista nella serie televisiva Csi e appassionato di vini.
Ma il protagonista assoluto, evidentemente, sarà il vino e la sua capacità di raccontare dalle piccole aziende del Chianti, al caos moderno d New York o di Parigi, di come mille status symbol non valgono un po’ di Brunello di Montalcino del ’90, oppure, ancora, di come dalla Roma imperiale all’attualità, il vino ha dettato i “ritmi” della fede, della politica, e, persino della religione. O, infine, di come siano arroganti i vini attraverso 400 anni di storia e umili dopo 2000 anni di vita.
Passando da una cantina per una degustazione a una festa in un piccolo borgo, attraverso tutte le fasi della produzione del vino, “Journey in the Italy of Wines” è un nuova serie televisiva sulla eccellenza dei vini italiani. Si tratta di un viaggio di scoperta attraverso il Bel Paese di mazzi di fiori, le tradizioni e sapori. Un percorso che copre l’intero territorio italiano, le tradizioni culinarie, l’arte, la storia. Un itinerario attraverso i sapori, ideato per stimolare gli spettatori ad intraprendere un viaggio tra i filari e i vigneti più importanti del Bel Paese, per avvicinarsi ad un mondo ricco ma, spesso, non troppo conosciuto: quello del cibo e dei vini italiani: dal Brunello di Montalcino al Fiano, dalla Franciacorta all’Amarone, dal Barbaresco al Primitivo di Manduria.
Nella “Journey in the Italy of Wines” ci saranno visite in cantina, anche in vendemmia, documentando le varie fasi di lavoro. Saranno intervistati produttori, enologi e appassionati.
In Italia ci sono oltre 300 varietà di vite, un enorme produzione di vini a denominazione e ci sono decine e decine di cantine e aziende agricole stimate in tutto il mondo: “Journey in the Italy of Wines” andrà alla loro scoperta, passando da Antinori, Sassicaia, Caprai, Cinzano, Gancia, Argiano, Guicciardini Strozzi ..., solo per fare alcuni nomi.

Antonio Galloni
La serie dovrebbe comprendere 13 episodi della durata di 60 minuti commerciale (48 minuti netti). Gli episodi, girati in HD, saranno registrati in inglese, competenza e precisione sarà garantita attraverso la narrazione di esperti come il professor Attilio Scienza e il critico di “Wine Advocate” Antonio Galloni. In alcuni episodi saranno ospiti nomi di prestigio come Trudie Styler e suo marito Sting, Carole Bouquet, Mick Hucknall dei Simply Red, Richard Parson, ex presidente di Time Warner, Guy Hands di Terra Firma.
 
Focus - Le “tappe” del Viaggio nell’Italia del vino di Wine Advocate

Episodio 1 - “Via Salaria” da Roma attraverso il Lazio (Rieti) e le Marche (Ascoli Piceno) fino all’Abruzzo (Teramo)
Episodio 2 - “Via Cassia” da Roma attraverso il Lazio (Viterbo) e la Toscana (Arezzo, Siena, Firenze, Pistoia e Lucca) fino alla Liguria (La Spezia)
Episodio 3 - “Via Aurelia” da Roma attraverso il Lazio (Viterbo), la Toscana (Grosseto, Livorno, Pisa, Lucca, Massa Carrara), la Liguria (La Spezia, Genova, Savona) fino alla Francia (Nizza e Marsiglia)
Episodio 4 - “Via Appia” da Roma attraverso il Lazio (Latina), la Campania (Caserta, Napoli, Benevento), la Basilicata (Potenza), la Puglia (Bari, Taranto, e Brindisi) e dalla Campania (Benevento e Avellino), attraverso la “Via Appia Traina”, in Puglia (Foggia, Barletta, Bari e Brindisi)
Episodio 5 - “Via Popilia” dalla Campania (Caserta e Salerno) alla Calabria (Cosenza, Vibo Valentia e Reggio Calabria)
Episodio 6 - “Via Latina” da Roma attraverso il Lazio (Frosinone) e il Molise (Isernia) fino alla Campania (Caserta)
Episodio 7 - “Via Tiburtina Valeria” da Roma all’Abruzzo (Chieti e Pescara)
Episodio 8 - “Via Flaminia” da Roma all’Umbria (Terni, Perugia), alle Marche (Pesaro, Urbino), fino alla Romagna (Rimini)
Episodio 9 - “Via Postumia” dalla Liguria (Genova) attraverso il Piemonte (Alessandria), l’Emilia-Romagna (Piacenza), la Lombardia (Cremona), il Veneto (Verona, Vicenza, Treviso, e Venezia) fino al Friuli Venezia Giulia (Udine) e, inoltre, attraverso la “Via Fulvia” nel Piemonte (Alessandria, Asti e Torino)
Episodio 10 - “Via Emilia” dalle Marche (Rimini) attraverso l’Emilia Romagna (Cesena, Forlì, Ravenna, Bologna, Modena, Reggio Emilia, Parma, Piacenza) fino alla Lombardia (Lodi) e poi dalla Lombardia (Milano) al Piemonte (Vercelli), alla Val d’Aosta (Aosta) e al Veneto (Verona e Padova)
Episodio 11 - “Via Claudia Augusta” dalla Lombardia (Mantova) al Veneto (Verona) e al Trentino-Alto Adige (Trento) e dal Veneto (Venezia, Belluno) al Trentino-Alto Adige (Trento e Bolzano). E poi, attraverso la “Via Gallica” dal Veneto (Verona) fino in Lombardia (Brescia, Bergamo e Milano)
Episodio 12 - Sicilia e i suoi arcipelaghi
Episodio 13 - Sardegna 


Fonte: WineNews.it

Cannolo siciliano, I love You!


Sicuramente è il re dei dolci siciliani e in Italia, prima o poi, tutti hanno avuto a che fare con questa squisitezza.
Oggi, ancora una volta, mi trasformo in food blogger alla ricerca del vero cannolo siciliano.
Facendo una rapida ricerca ho saputo che un tempo era degustato solo nel periodo di carnevale proprio perché sembra essere nato per scherzo in un dimenticato monastero e successivamente prodotto dalle pasticcerie locali in ogni periodo dell’anno.
La leggenda narra che il termine “cannolo” prenda il suo nome dalla parola volgare “canna”, ossia “rubinetto” in siciliano: un motteggio carnevalesco del tempo faceva uscire dal rubinetto crema di ricotta al posto dell’acqua. Da qui deriva lo scherzo carnevalesco e l’impiego in quel periodo.

Trapani by night
Bene, vista la mia trasferta trapanese, pensate potessi non andare alla ricerca del miglior cannolo siciliano?
Le dritte che mi sono state date erano due: la prima portava a Trapani città, da Angelino, mentre la seconda dirigeva le mie papille gustative verso Dattilo, un paesino a 10 Km da Trapani.
Angelo Galati, detto Angelino, è un palermitano classe 1932 che ben 44 anni fa ha aperto a Trapani una delle prime rosticcerie della città. La bontà dei prodotti è stata tale che questi hanno subito conquistato i trapanesi e "Angelino" è diventato un punto di riferimento fisso per chiunque volesse gustare le pizzette, inimitabili, i calzoni, le iris arancine e qualunque altro prodotto di rosticceria. Nel 1996 "Angelino" ha inaugurato un altro punto vendita lungo il porto dove, affianco alla consolidata produzione di rosticceria, ha iniziato quella di bar e pasticceria dove possiamo trovare  anche cassate, strudel e cannoli.


Preso dalla fame atavica ho acquistato da Angelino il mio primo cannolo trapanese che, rispetto agli standard romani, è risultato davvero ottimo, abbondante e con una cialda che ho trovato dal sapore molte abbastanza deciso, a metà strada tra il dolce e il salato. Nessuna ombra di canditi o granelle varie.

Cannoli di Angelino
Dattilo, frazione del Comune di Paceco, tra i golosi di tutta Italia è famosa solo ed esclusivamente per i suoi cannoli, prodotti all’interno dell’Euro bar, il principale ritrovo del piccolo paese siciliano.
I cannoli, rispetto ad Angelino, sono più lunghi e stretti ((la scòrza è lunga da 15 a 20 cm con un diametro di 4-5 cm) ma al tempo stesso pieni zeppi di meravigliosa ricotta poco zuccherata, non setacciata e anch’essa priva di canditi. La cialda è eccezionalmente croccante e dal sapore meno invasivo rispetto a quella di Angelino. Su richiesta vi possono dare le cialde vuote e la ricotta a parte in un contenitore; ciò vi sarà utile se dovrete consumare i cannoli a distanza di qualche ora e quindi impedire che la cialda si ammorbidisca.

Cannoli di Dattilo
Ancora Dattilo

Confronto tra Angelino ed Euro Bar di Dattilo
Chi ha vinto la sfida? Euro Bar a mani basse, basta un morso per comprendere la differenza col resto del mondo e capire perché tutti i siciliani adorano questo bar e le sue specialità che, oltre al cannolo, riguardano le Pesche (due semigusci di morbida pasta da dolci che abbracciano il ripieno di ricotta), le Patate (una palla ricoperta di cacao con all'interno pasta reale e marron glacè) e i Carciofi (pasta sfoglia morbida ricoperta di scaglie di mandorle con ripieno di crema pasticcera e crema al cacao).

Altre specialità dell'Euro Bar


La storia del vino riparte da una grotta in Armenia


Una ricerca finanziata anche dalla National Geographic Society ha portato alla scoperta sensazionali: gli abitanti che polarono la caverna nei pressi del villaggio di Areni non siano stati soltanto i primi calzolai della storia, ma anche i primi produttori di vino visto che gli archeologi hanno rinvenuto una pressa per l'uva, recipienti per la fermentazione e la conservazione del vino, coppe nonché resti di graspe, semi e bucce.

Un torchio per il vino (davanti al cartello) e un recipiente per la fermentazione (a destra) scoperti durante gli scavi in Armenia.
Fotografia per gentile concessione di Gregory Areshian
"Si tratta della più antica e affidabile testimonianza di produzione vinicola”, afferma l'archeologo Gregory Areshian della University of California di Los Angeles (UCLA). "Per la prima volta, disponiamo di un quadro archeologico completo, risalente a 6.100 anni fa, di questo tipo di attività”.

La presenza di queste strutture è stata individuata per la prima volta nel 2007, quando iniziarono gli scavi co-diretti da Areshian e dall'archeologo armeno Boris Gasparyan al complesso di grotte Areni-1.
Nel settembre 2010 gli archeologi hanno completato lo scavo di una vasca (un tino), profonda una sessantina di centimetri, sepolta accanto a un recipiente di argilla, lungo circa un metro, dai bordi alti: manufatti che indicherebbero che gli antichi vinificatori dell'Età del Rame avrebbero schiacciato l'uva in modo tradizionale, ossia con i piedi, afferma Areshian. Dal recipiente d'argilla il succo d'uva sarebbe poi defluito nel tino, e lì sarebbe stato lasciato a fermentare, spiega l'archeologo.
Secondo la ricerca, appena pubblicata sulla rivista Journal of Archaeological Science, il vino sarebbe poi stato custodito in giare e l'ambiente fresco e asciutto della grotta - ideale per una cantina - avrebbe fatto il resto.

Tracce di vino

Per verificare che la vasca e le anfore custodissero effettivamente del vino, gli archeologi hanno sottoposto ad analisi chimiche dei frammenti di ceramica (che il radiocarbonio ha datato fra il 4100 e il 4000 a.C.) in cerca di residui. Le analisi hanno rivelato tracce di malvidina, un pigmento vegetale appartenente alla famiglia dei flavonoidi a cui si deve in gran parte il colore rosso del vino. "La malvidina è il miglior indicatore chimico a noi noto della presenza di vino”, dice Areshian. L'esperto di vino nell'antichità Patrick E. McGovern, archeologo biomolecolare alla University of Pennsylvania Museum di Philadelphia, concorda sul fatto che il ritrovamento testimoni una produzione vinicola. Un elemento però che avrebbe supportato maggiormente questa ipotesi sarebbe stato il ritrovamento di tracce di acido tartarico, un altro indicatore della presenza di vino: la malvidina, spiega lo studioso, è presente infatti anche in altri frutti dell'area, come la melagrana. 

Uva e raspi di 6.100 anni fa

Vino e DNA 

McGovern definisce la scoperta "particolarmente significativa perché suggerisce l'esistenza di una produzione vinicola su larga scala, che a sua volta implica il fatto che la vite fosse già stata domesticata". Questo perché la vite domestica (Vitis vinifera sativa) produce un maggior numero di grappoli rispetto a quella selvatica (Vitis vinifera silvestris) e quindi sono necessarie strutture più ampie per la loro lavorazione.
McGovern ha rilevato testimonianze archeologiche di vino (ma non di una cantina per la sua produzione) in Iran che risalgono a 7.000 anni fa - un millennio prima quindi del recente ritrovamento in Armenia. Ma la scoperta di quella che sembra una produzione vinicola con uso di vite domestica nell'attuale Armenia, spiega McGovern, sembra coincidere con gli studi genetici condotti in precedenza sulle varietà di uva coltivata, che indicavano proprio le montagne dell'Armenia, della Georgia e dei Paesi limitrofi come la culla della viticultura. Secondo McGovern, l'uva di Areni avrebbe avuto un gusto simile a quello delle antiche varietà georgiane indicate come "antenate” del Pinot Nero.

Antichi rituali

Mentre l'identità degli antichi produttori di vino (e di scarpe) resta un mistero, sembra probabile che la loro cultura comprendesse rituali in cui si beveva per onorare i defunti, afferma Areshian.
"Attorno alle strutture per la produzione di vino sono state rinvenute una ventina di sepolture. C'era un cimitero, e la produzione di vino nella grotta era legato a questo aspetto rituale”, ipotizza lo studioso della UCLA. Non a caso attorno e all'interno delle sepolture sono state rinvenute coppe per bere. McGovern conferma che esempi più tardi di riti funerari legati all'alcol sono stati rinvenuti in tutto il mondo. Nell'antico Egitto, ad esempio, "vi sono dipinti all'interno delle tombe che mostrano anfore piene di birra e di vino provenineti dal Delta del Nilo che vengono offerte ai defunti”.
I prossimi scavi ad Areni saranno rivolti all'individuazione di ulteriori legami fra le sepolture e la produzione vinicola, dice Areshian.

Antica pressa per il vino

La rivoluzione del vino

La scoperta è particolarmente importante, affermano gli autori della ricerca (diretta da Hans Barnard della UCLA e finanziata dal Committee for Research and Exploration della National Geographic Society), perché la produzione vinicola è considerata una svolta molto significativa da un punto di vista sociale e tecnologico nelle società preistoriche. La coltivazione della vite, spiega Areshian, annuncia l'avvento di nuove e più sofisticate forme di agricoltura. 
"L'uomo ha dovuto imparare il ciclo di crescita delle piante”, dice lo studioso. “Ha dovuto capire quanta acqua fosse necessaria, come impedire che i funghi danneggiassero il raccolto, e cosa fare con gli insetti che vivono sui grappoli. Il sito getta nuova luce sulle prime fasi dell'orticultura, su come nacquero i primi frutteti e vigneti”. L'archeologa Naomi Miller della University of Pennsylvania commenta che "da un punto di vita nutrizionale e culinario, il vino espande le risorse alimentari in quanto riesce a sfruttare l'uva selvatica, altrimenti acida e immangiabile. Dal punto di vista sociale invece l'avvento delle bevande alcoliche ha cambiato, nel bene e nel male, il modo in cui ci rapportiamo l'uno all'altro nella società”.

Lo Champagne Armand de Brignac torna a far parlare di sè


Si è fatto conoscere dal grande pubblico qualche anno fa grazie a Jay-Z che gli ha fatto una gran bella pubblicità all'interno del video "Show Me What You Got".


Era il 2006 e il noto rapper aveva appena rotto il suo sodalizio con Louis Roederer (ed il Cristal) dopo aver ritenuto razzista un'intervista di Frédéric Rouzaud, direttore della storica Maison, che sulla pagine del settimanale "The Economist" aveva espresso la sua opinione sul binomio champagne/cultura hip-hop tanto di moda a quei tempi.
Dopo quasi cinque anni il nome Armand de Brignac torna di nuovo sulle cronache dei principali wine blog non tanto per la sua comprovata bontà, tutta da decifrare, quanto per l'ennesimo evento mondano a cui il marchio francese si è legato. 

A Las Vegas, in occasione della festa di Capodanno del campione UFC dei pesi massimi Cain Ramirez Velasquez, è stata infatti venduta, per la cifra record di 100.000 dollari, una bottiglia da 30 litri (36 Kg di peso) del famigerato Brut Gold Armand de Brignac. 


Il Brut Gold pare sia la colonna portante della casa vinicola francese. Nato per l'inaugurazione della casa di moda Andrè Courrègues, il Brut Gold è una bottiglia rivestita da una lamina dorata, decorata con quattro etichette di peltro che vengono attaccate a mano sulla superficie, poi avvolta in un vellutato cuscinetto con il simbolo dell'Armand de Brignac. Il Brut contiene una miscela multi-vendemmia composta per il 33% da Chardonnay, 33% da Pinot Nero e 33% da Pinot Meunier.

Ah, per chi ama i concorsi, la rivista “Fine Champagne” ha recentemente eletto il Brut Gold  il migliore champagne del mondo, tra una selezione di oltre 1000 case vinicole.

Beaufort, dove sei? Mi manchi!!!

James Suckling e il Brunello 2006


Che si trattasse dell’ennesima annata del secolo non avevo dubbi, la cosa che ancora ignoravo è che James Suckling somiglia tremendamente a Brunetta in biondo.

Nella foto Suckling che degusta il Brunello con il proprietario di Valdicava....

La foto terribile è tratta dal blog del noto critico che questa volta ci delizia con una serie di constatazioni sul Brunello 2006 che, come sappiamo, vedrà l’anteprima il prossimo Febbraio a Montalcino.
Visto che l’articolo è in inglese cercherò di riassumere brevemente le principali “chicche” sparate dal buon James.

Dopo circa 140 degustazioni Suckling ha notato che il Brunello di questa annata sembra cambiare nel bicchiere trasformandosi in un vino dai caratteri ricchi e scuri come solo un grande Pinot Nero sa fare….


Degustando assieme a Giacomo Neri il Brunello Tenuta Nuova 2006 ha potuto constatare con  meraviglia che il colore del vino passava da un viola brillante ad un porpora più scuro ed intenso. Una volta decantato il vino è come se fosse uscito il genio della bottiglia…

Vabbè, direte voi, si sa che Casanova di Neri ama i sangiovese ricchi e scuri…

Il vero sballo arriva dopo quando il nostro critico indipendente, invitato a casa della famiglia Frescobaldi, scrive che il vice presidente dell’azienda, il dottor Lamberto Frescobaldi, gli ha confidato che il Brunello 2006 rappresenta la migliore espressione di sangiovese che la sua famiglia ha prodotto fin da quando produce vino (700 anni…!!).

Lamberto Frescobaldi avrà anche esagerato ma, proprio perché  si è sbilanciato così tanto, Suckling attribuisce al loro Brunelllo ben 100 punti!!

E 100 punti pure a Casanova di Neri, visto che il suo Brunello è cangiante e hanno visto anche il genio.

La cosa che mi chiedo è: non è che il Brunetta mesciato si è lasciato un pochino prendere la mano? I pranzi con i produttori possono essere fuorvianti per i giornalisti indipendenti...


Le donne forti del vino: Alessia Capolino Perlingieri


Forti, dinamiche, risolute, le donne del vino dell’ultima generazione sono davvero una forza. Marina Cvetic, Cinzia Merli Campolmi, Maria Pia Berlucchi, Elena Fucci, Silvia Maestrellli, Elena Martusciello, Donatella Cinelli Colombini sono le punte di diamante di una squadra tutta al femminile che da qualche tempo può vantare anche la presenza della meridionale Alessia Capolino Perlingieri che, dopo una brillante carriera nel mondo della finanza milanese, ha deciso di far ripartire da zero l’azienda di famiglia costretta a chiudere nel 1992, quando si chiamava Volla, nonostante i tanti riconoscimenti avuti.

La Masseria sede dell'azienda
Ci troviamo nel Sannio beneventano, a Castelvenere, e Alessia ci aspetta nel cortile della sua splendida masseria fortificata, oggi finemente restaurata, che un tempo fungeva da ex stazione di posta per i cavalli.
La grande volontà di riportare le cose ai fasti del passato e l’aiuto di Stefano Chioccioli in cantina hanno dato nuova linfa all’azienda che, negli ultimi 15 anni, ha acquisito via via nuovi terreni e costruito una moderna cantina, raggiungendo attualmente l’estensioni di circa 40 ettari di cui circa 22 a grano, 13 a vigneto e 5 a ulivo.
I vigneti si trovano a Solopaca, ad un’altitudine compresa tra i 200 e i 300 metri, e su terreni prettamente argillosi Alessia coltiva solo uve autoctone che comprendono varietà a bacca bianca (Greco, Falanghina e Fiano) e varietà a bacca rossa (Aglianico, Piedirosso, Sangiovese e Sciascinoso).

La delegazione campana delle donne del vino. La prima a sx é Alessia. Foto tratta dal blog di Pignataro.
Durante il nostro mini tour abbiamo potuto apprezzare sia la cantina, completamente interrata e dotata, di tini troncoconici di legno di Allier, per la fermentazione dei rossi,  e dei classici fermentino di acciaio per i bianchi, sia la vecchia bottaia che è stata abilmente ristrutturata e che si trova appena sotto il pavimento della casa di Alexia.
Alessia Capolino Perlingieri ha una gamma di vini davvero interessanti e territoriali ma, se dovessi consigliarvene uno, la scelta almeno per me pare scontata: bevete lo Sciascì.


Due vitigni, sangiovese (60%) e sciascinoso (40%) che creano un’alchimia enologica di grande impatto, struttura e carica aromatica che si fondono dando vita ad un vino fatto di guizzi floreali e vinosi che al gusto rimane più fruttato e gradevolmente rustico, un mix che a me piace da impazzire e che rende la bevuta sincera e senza troppi fronzoli.


Vecchie annate? No, grazie!


Interessante l'indagine realizzata da WineNews.it che ha tastato il polso delle vendite delle vecchie annate di vino all'interno delle principali enoteche italiane.
Secondo la ricerca gli italiani  continuano a preferire vini non più vecchi di cinque, massimo dieci anni.

“In Italia, c’è ancora grande confusione - spiega Francesco Trimani della famosa enoteca di Roma - su questo tema. Si confondono i vini da asta, i vini maturi, le vecchie annate e i vini da collezione. Noi abbiamo da qualche tempo cominciato a sperimentare la vendita di vini maturi da bere, non necessariamente dai prezzi stellari. Se, per esempio, affianchiamo ad un Chianti Classico 2006 o 2007, le annate oggi in commercio, sei o sette annate precedenti, il consumatore sembra gradire questo tipo di possibilità e comincia anche a comprare millesimi più vecchi”.
 
Le vecchie annate sono un prodotto che trattiamo soltanto marginalmente - afferma Paola Longo dell’Enoteca Longo di Legnano (Milano) - e solamente nei casi in cui ci è richiesto espressamente per occasioni quali i compleanni”. 
Non ho notato - sottolinea Maurizio Cavalli dell’Enoteca Cavalli di Parma - un aumento recente di interesse né tanto meno un aumento di vendite di bottiglie di vecchie annate. La mia enoteca è specializzata in bollicine e su questa tipologia bottiglie di dieci, quindici anni si vendono piuttosto bene, ma si tratta di una tipologia particolare. Altra storia è se parliamo, per esempio di un Barolo di 30 anni. In questo caso - conclude Cavalli - le richieste sono decisamente minime”.
 
Mi sembra di notare piuttosto una tendenza contraria - afferma Nicola Picone, patron dell’Enoteca Picone di Palermo - un aumento cioè della richiesta di vini sempre più freschi, di facile beva e poco impegnativi. Insomma, le vecchie annate non sono propri prese in considerazione”. 
Anche per Roberto Canali dell’Enoteca Beresapere di Perugia la vendita di bottiglie di vecchie annate è “decisamente marginale e riservata soltanto a pochissimi intenditori”.
Il mercato dei vini costosi è in crisi - afferma Pio Daniele De Lorenzo dell’Enoteca Nuvola di Foggia - e, quindi, la richiesta di annate molto vecchie è debole se non quasi inesistente anche per vini come Barolo e Brunello. Se mai vengono ricercate vecchie annate di Amarone, ma, sostanzialmente, sono una quota di vendita del tutto marginale”. 


La vecchia annata, evidentemente, rappresenta, nel caso che non sia conservata in modo adeguato un rischio e, peraltro, un rischio molto spesso assai caro. E’ un po’ questa semplice constatazione che guida le parole di Giovanni Valentini dell’Enoteca Valentini che si trova nella Repubblica di San Marino: “non esiste una richiesta specifica verso le vecchie annate, ancora sentite come bottiglie “rischiose”. Solo per i compleanni qualcuno ci chiede una bottiglia di quaranta o trenta anni di età”. 

Non mi sembra - spiega Francesco Bonfio dell’Enoteca Piccolomini di Siena e presidente di Vinarius, l’associazione che raccoglie la maggioranza delle enoteche italiane - che ci sia una particolare attenzione per le vecchie annate. E’ un tipo di mercato che va un po’ al di fuori di quello delle enoteche. Si trova soprattutto su internet ed è animato da una ristretta elite. Continua, invece, la richiesta della bottiglia legata all’anno di nascita, ma è un fenomeno marginale”. 

Vecchie annate? Ce le chiedono soltanto per i compleanni - sbotta Gianni Sarais dell’Enoteca Le Cantine Isola di Milano - non vedo francamente un aumento di richiesta di vini di vecchie annate. Se mai aumenta la richiesta di prodotti di tre o cinque anni al massimo”. 


C'è sempre l’eccezione che conferma la regola: “sì le richieste di annate vecchie, parlo di vini anche di trenta anni, sono aumentate, di pari passo con l’aumento della competenza dei miei clienti. Soprattutto, sono i vini francesi a ricevere maggiori richieste. Ma - conclude Luca Ghiotto dell’Enoteca Soavino di Soave (Verona) - anche se in espansione, si tratta sempre di una richiesta che proviene da una nicchia”.

Ma, concludo io, se le annate vecchie non si vendono non sarà perchè, più dell'ignoranza dei clienti,  i prezzi di vendita di queste bottiglie sono alle stelle? 

Fonte: Winews.it

Percorsi di...sapori trapanesi: ad Erice da Maria Grammatico


Oggi mi trasformo in food blogger e vi parlo un po’ delle delizie enogastronomiche della provincia di Trapani.
Iniziamo il viaggio da Erice, città mitica, si dice fondata da esuli troiani, posta sulla vetta dell’ omonimo Monte Erice, il nome deriva da Erix un personaggio mitologico, figlio di Afrodite e di Boote, ucciso da Ercole.
Ad Erice la visita comincia dalla Chiesa Madre, dedicata alla Vergine Assunta, che venne fatta costruire da Federico d’Aragona nel XIV sec. a scopo difensivo, come si può ben notare dalle forme massicce e dai merli che la decorano. La facciata presenta un rosone e un portico gotico aggiunto più tardi. L'interno è in stile neogotico. La torre campanaria si erge solitaria sulla sinistra, suddivisa in diversi livelli aperti da feritoie e belle bifore in stile chiaromontese.

Chiesa Madre

La torre
A qualche centinaia di metri dalla Chiesa, su Via Vittorio Emanuele, sorge uno dei tempio del gusto siciliani: la pasticceria Maria Grammatico.
Questa piccola grande donna ericina, classe 1940, ha una storia tutta particolare che vale la pena di far conoscere: all'età di undici anni entra al San Carlo, un istituto religioso di monache di clausura, che per sopravvivere ai duri anni del dopoguerra, produceva e vendeva dolci e biscotti preparati secondo antiche ricette. Maria rimane a lungo nel convento e nel frattempo, spiando le monache al lavoro, impara la loro antica arte pasticcera.

Maria Grammatico
Abbandonato il convento Maria decide di utilizzare quanto appreso e crea dapprima un negozietto provvisto soltanto di un forno a legna e, dopo lunghi anni di sacrifici, apre l’attuale pasticceria in via Vittorio Emanuele, seguita dopo qualche tempo dall'apertura della "Antica pasticceria del Convento", situata all'angolo della Piazzetta San Domenico.
Il suo piccolo laboratorio di pasticceria è rimasto quello di un tempo e, all’interno delle antiche vetrine in legno, c’è da perdersi tra frutta di marturana, mostaccioli, agnelli pasquali, dolci al liquore, cannoli e dolci di badia.





I dolci più popolari di Maria, e il mio palato ha capito ben presto perché, sono le Genovesi appena sfornate. Alla vista sembrano mini dischi volanti ripieni di crema pasticcera anche se i più esperti dicono che siano molto simili ai “minni di virgini” palermitani o le Panarelline di Genova che altro non sono se non tortine simili a queste (non solo nell’aspetto) ripiene di crema allo zabaglione.


La storia della vita di Maria Grammatico è stata raccontata in alcuni libri come "Bitter Almonds", scritto da Mary Taylor Simeti (pubblicato da William Morrow and Company Inc. di New York) e tradotto in italiano con il titolo di "Mandorle Amare" pubblicato da Flaccovio Editore, oppure in "Le Siciliane" di G. Pilati. All’interno di questo prezioso libro possiamo trovare ricetta interessante come quella per fare in casa le Genovesi. 

Prendete carta e penna.

Riscaldare il forno a 220° C.
Con le mani rotolare la pasta in salsicce di due cm di diametro. Tagliare in pezzi lunghi 8 cm, e stendere ciascuno con il matterello per formare rettangoli di 15 x 10 x ½ cm circa. Mettere 2 cucchiai di crema su metà d’ogni rettangolo, ripiegare l’altra metà, e premere tutto attorno ai bordi con le dita. Tagliare a cerchietto con uno stampino, un bicchiere o un tagliapasta. Posare su una teglia a distanza di circa 2,5 cm. Dorare nel forno circa 7 minuti.
Trasferire su una griglia e spolverare con zucchero a velo. È preferibile mangiarle mentre ancora tiepide.
Resa: circa 16 paste. 

Per la pasta frolla 
La pasta frolla varia da cuoco a cuoco, soprattutto per quanto riguarda la quantità del grasso impiegato e la leggerezza o pesantezza che ne consegue. Quella di Maria, ricca senza essere pesante, si presta sia alle genovesi che alla crostata con ottimi risultati.
250 g di farina di grano duro
250 g di farina tipo 00
200 g di zucchero
200 g di burro o margarina, tagliato a pezzi
4 tuorli d’uovo
Qualche cucchiaio di acqua fredda
Mescolare le due qualità di farina e lo zucchero in una terrina grande. Aggiungere i pezzetti di burro e incorporare con una lama da pasticceria o con due coltelli. Incorporare i tuorli uno alla volta, e aggiungere tanta acqua quanto basta perché la pasta si riprenda. Versare su una superficie infarinata e formarne una palla. Maneggiare la pasta il meno possibile, altrimenti la pasta verrà dura. Avvolgere la palla con la pellicola e lasciarla riposare in frigo per almeno 30 minuti prima di stenderla. La pasta cruda si mantiene per una settimana nel frigo o per un mese nel freezer. Questa ricetta è sufficiente per foderare una teglia di 28-30 cm in diametro. 

Per la crema pasticcera 
Questa crema, semplice e delicata, serve soprattutto come ripieno per le genovesi, ma Maria l’adopera anche per crostate.
2 tuorli d’uova
150 g di zucchero
40 g amido (di grano o di mais)
½ litro di latte
Buccia di mezzo limone, grattugiata
In un tegame pesante, sbattere insieme i tuorli e lo zucchero con una frusta. Sciogliere l’amido in mezzo bicchiere del latte, poi aggiungerlo al latte rimanente, mescolando bene. Versare il tutto lentamente nel tegame con i tuorli, mescolando bene con la frusta.
Cuocere a fiamma bassa, mescolando continuamente, per 10-12 min. finché non diventi molto spesso, come un budino. Incorporare la buccia grattugiata.
Versare in una terrina e coprire con la pellicola, facendo si che la pellicola posi direttamente sulla crema, e lasciare raffreddare. Conservare in frigo per un massimo di 3 giorni. Se si dovesse separare, lavorare con la frusta finché non torni omogenea.
Resa: mezzo litro circa.


Se  non vi sentite troppo appesantiti dalla grande abbuffata di dolci ericini potete continuare la vostra passeggiata fino ad arrivare al Castello di Erice dal quale si può godere una splendida veduta che spazia dalla città di Trapani e le sue saline all’arcipelago delle Egadi ed attraverso l’agro ericino fino a Capo San Vito. Il castello venne fatto costruire nel XII secolo dai Normanni sulle vestigia di un preesistente tempio dedicato a Venere Ericina. 
Il maniero è protetto da possenti mura e da torri più avanzate, note come Torri del Balio, e i numerosi rimaneggamenti che lo hanno interessato nei secoli non hanno purtroppo conservato la costruzione fortificata originaria. Nel recinto del tempio ancor oggi esistente, divenuto coi Normanni la sede del Governatore, si riunivano i naviganti e tutti coloro volessero ingraziarsi Venere. 
Il cortile, o Themenos, è oggi tornato alla luce dopo il crollo di parte della fortezza normanna. Molto suggestiva anche la cordonata a gradoni della parte alta della roccaforte, da attribuirsi ad Antonio Palma nel Seicento.


Fonti: www.civiltaforchetta.it, www.mariagrammatico.it, www.wikipedia.it