Il mondo del vino italiano secondo Carlin Petrini


E' notizia di qualche ora fa, anche la Marchesi de' Frescobaldi annuncia che il 2010 sarà la solita grande annata.
Il Direttore di produzione Lamberto Frescobaldi col sorriso a 100 denti annuncia che "se l'andamento climatico restera buono, potrebbe essere un'annata memorabile come l'85 e il '97, con vini molto equilibrati, tannini levigati e buone acidita".
 

Ci risiamo, la solita tiritera estiva. Fortuna che a dare voce a tutti noi che amiamo il vino e sappiamo davvero le cose come stanno ci pensa, tra gli altri, Carlin Petrini.
Sulle pagine di Repubblica il patron di Slow Food non le ha mandate a dire a tutti questi industriali e maghetti del vino che col loro operare distruggono la passione dei veri vignaioli. E la nostra.

Ecco i punti principali del suo intervento:

Da inizio agosto è partito il tam tam mediatico e si sono alzate inopportune grida di giubilo per il sorpasso di produzione degli italiani sui francesi. Secondo i dati diffusi da alcune associazioni di categoria risulta che la produzione di vino italiano potrebbe (e l'uso del condizionale è d'obbligo) segnare un aumento fino al 5%.......

Oltre a non appassionarmi più di tanto, trovo questa sfida anche un po' inutile. Una vendemmia si giudica, come mi insegnano i miei amici viticoltori, non solo dopo aver portato le uve in cantina, ma alcuni mesi dopo.

Il fatto che la vendemmia sarà ricca non mi conforta più di tanto se questa abbondanza non farà che aumentare il processo di svendita del vino sfuso che è gia in corso da più di un anno a questa parte. Le settimane che precedono la vendemmia sono le più febbrili per i mediatori del vino che per conto dei grandi commercianti e imbottigliatori girano le cantine italiane a caccia dell'affare. 

Da una parte trovano produttori che non essendo riusciti a vendere il vino che avevano prodotto sono obbligati a svuotare la cantina per fare spazio al nuovo raccolto e dall'altra un mercato che sta richiedendo vini dal basso costo e non fa così tanto caso alla qualità di quello che consuma.

Carlin Petrini
Ma quali sono le cause di questa situazione così deprimente? Diciamo che il governo del limite, che dovrebbe regolare il mondo agricolo, è andato a farsi benedire. Sono quindici anni che predichiamo nel vento dicendo che le viti vanno piantate solo nelle zone ad alta vocazione evitando di aumentare a dismisura le superfici vitate. Tutto inutile. Il Barolo, il Barbaresco, il Brunello hanno raddoppiato le bottiglie in commercio nel giro di un decennio. L'Amarone è passato da quattro milioni di pezzi agli attuali sedici.

Ma in cosa consiste questo governo del limite nel settore vitivinicolo? Semplice: nei momenti in cui il mercato tira occorre contenere i nuovi impianti e non esagerare con l'aumento dei prezzi; nei momenti di crisi bisogna ridurre la produzione dei vini di eccellenza e salvaguardarne il prezzo.
In Italia si è fatto l'esatto contrario. Molti dicono che le diverse categorie di produttori (vignaioli, industriali, commercianti) sono tra loro inconciliabili. In realtà in un momento così drammatico, i vigneron italiani dovrebbero prendere esempio dai cugini francesi: qualche anno fa, in un momento di vacche magre, i produttori di Champagne decisero di diminuire la produzione del 30%. 
Tutti uniti: vignaioli, cooperative sociali e industriali. In Italia manca una visione comune, una politica di sviluppo che riesca a mettere d'accordo un mondo lacerato da troppe divisioni e incapace di dialogare per gestire al meglio la situazione economica e, se fosse possibile, progettare seriamente il futuro. Una scelta come quella francese sarebbe non solo auspicabile, ma anche possibile, perchè i produttori potrebbero declassare una parte dei loro grandi vini potendo contare su denominazioni meno importanti che in gergo vengono chiamate di ricaduta: basti pensare al Langhe Nebbiolo, al Rosso di Montalcino o di Montepulciano, così come al Valpolicella Rosso.


Bisogna tutelare i nostri grandi vini come veri patrimoni nazionali e la loro gestione non dovrebbe ricadere nelle mani di pochi imbottigliatori pronti a speculare quando il mercato è in affanno. Gli stessi produttori dovrebbero limitare la loro produzione unicamente alle zone più vocate, ai cru storicamente riconosciuti come tali, e ai vigneti con piante più vecchie. Altrimenti l'eccellenza rischia di essere svilita e assistiamo così alla vendita di bottiglie di Barolo a 8 euro negli autogrill italiani, presi d'assalto in questi giorni da vacanzieri frettolosi.
Questa deriva è manna per commercianti spregiudicati e industriali a cui non interessa la qualità, non mette ansia alle grandi firme (che magari svendono le eccedenze sotto banco), ma distrugge il prestigio dei grandi vini e mette in ginocchio le miriadi di piccoli e medi produttori che, in questi ultimi vent'anni, hanno realizzato il rinascimento del vino italiano. Per la prima volta in tanti anni ho sentito invocare un po' di grandine per ridurre le eccedenze, magari nelle vigne dei vicini.

Il suo pensiero è  anche il mio pensiero e spero sia anche il vostro.

Fonte: Repubblica.it

Percorsi di Agosto: a Taurasi per la XI Fiera Enologica Taurasi Docg – Taurasi (Avellino) – Dal 13 al 15 agosto 2010


Ogni giorno, dal 13 al 15 agosto, degustazioni, laboratori del gusto, musica live con due palchi – uno presso Porta Maggiore, l’altro in Largo Mangiante – dove si alterneranno i vari gruppi ospiti, convegni, banchi d’assaggio, visita alle cantine e ai vigneti, area enogastronomica con stand delle aziende vitivinicole, spettacoli itineranti e mostre fotografiche, per tre giorni che, anche quest’anno, richiameranno migliaia di appassionati. 


Basti pensare che l’evento in questi anni ha tagliato il traguardo delle 300mila presenze, con una media di 30mila visitatori a edizione. Motore di questo evento, da sempre, il vino e la sua “cultura”, elementi di punta dell’economia campana. Il vino, il Taurasi in particolare, come solido punto di riferimento per l’intero territorio e testimone di una produzione di eccellenza che ne ha segnato la storia e ancora potrà caratterizzarne il futuro, con attente politiche di valorizzazione e predisponendosi ad aperture, confronti e collaborazioni continue, come da sempre è nello spirito della Fiera.

A Taurasi il vino lascia la propria impronta in tutti i sensi, negli incontri scientifici tra operatori del settore, specialisti ed enologi, nelle degustazioni guidate e in generale nei momenti di riflessione, di svago e cultura che ne caratterizzano le giornate. Una manifestazione dai grandi numeri, che attira in pochi giorni migliaia di visitatori, allegramente mescolati ad esperti, appassionati, aziende, studiosi, operatori, professionisti del settore. Una manifestazione da undici anni ricca di contenuti, di attività e soprattutto di passione, valore aggiunto che da solo è in grado di trasformare una festa in evento. 

Castello Marchionale

Si comincia venerdì 13 agosto con il Taurasi Tour, servizio transfer da tutta la Campania in programma ogni giorno dalle ore 10 alle 12.30 e dalle 15 alle 18 con visita alle cantine e vigneti con possibilità di pranzo negli agriturismi e ristoranti di Taurasi (contatti 388.7001516 – info@thewinebus.it). 
Alle 18, presso il Castello Marchionale, sede dell’Enoteca regionale, il convegno di apertura dedicato all’enoturismo, alla presenza di rappresentanti istituzionali ed esperti del settore. Alle ore 20.30, al Castello, degustazione guidata di Taurasi Docg e, alle 20.45, sempre presso il Castello, laboratorio del gusto con abbinamenti cibo-vino a cura dell’Associazione “Mesali”. Sempre alle ore 21, presso il Castello, si apriranno gli spazi dell’Associazione Italiana Sommelier, di Slow Food, i banchi d’assaggio dei vini d’Irpinia e i banchi di assaggio dei vini della regione ospite, che quest’anno è la Puglia. 
Nel centro antico, dalle ore 21, in programma live music, il duo mimo “Burlò e Momò”, spazi espositivi e artigianato locale, stand enogastronomici, spettacoli itineranti e mostra fotografica di Carmine Sandoli. 
Alle ore 21 via alla musica live con Flash Dance School presso il palco di Porta Maggiore, a seguire, alle 21.30, i Pratola Folk, alle 22, al palco di Largo Mangiante, il Complesso del Carlino e, alle 22.30, sul palco principale di Porta Maggiore, i Tarumba.

Sabato 14 agosto si comincia sempre la mattina con il “Taurasi Tour”. Alle 20.30 al Castello continuano le degustazioni guidate di Taurasi Docg, i laboratori del gusto e i banchi d’assaggio, mentre nel centro antico, dalle ore 21, ancora live music, il duo mimo “Burlò e Momò”, spazi espositivi e artigianato locale, stand enogastronomici, spettacoli itineranti e mostra fotografica di Carmine Sandoli. Alle ore 21, presso il palco di Porta Maggiore, la “Tau Band”, mentre alle ore 22, sul palco di Largo Mangiante, i Zeketam. Alle ore 22, a Porta Maggiore, Massimo Ferrante e ‘E Zezi, formazione inedita frutto di un progetto musicale che si esibirà per la prima volta in Irpinia.

Domenica 15 agosto in mattinata continua il “Taurasi Tour” e, alle ore 18, presso il Castello, si terrà la presentazione del libro “Intrighi – Carlo Gesualdo tra musica, amore e morte” di Giovanni Savignano. Alle 20.30 al Castello appuntamento con le degustazioni guidate di Taurasi Docg, i laboratori del gusto e i banchi d’assaggio, e centro antico dalle ore 21 spazio alla live music, al duo mimo “Burlò e Momò”, spazi espositivi e artigianato locale, stand enogastronomici, spettacoli itineranti e mostra fotografica di Carmine Sandoli. Alle ore 21 al palco di Porta Maggiore i Fluido Ligneo, mentre alle 21.30, al palco di Largo Mangiante, la Shabadà Orchestra. A seguire Valerio Ricciardelli e, alle ore 22.30, gran finale a Porta Maggiore con Raiz e Radicanto, altro progetto musicale inedito di scena a Taurasi.


A Taurasi, è bene ricordarlo, si viene per divertirsi, per avvicinarsi al vino e al suo affascinante universo in maniera positiva e pulita. In Fiera è quindi bandita qualsiasi esasperazione nell’uso e nel consumo di alcol. L’organizzazione è stata tra le prime in Italia a promuovere campagne informative e di sensibilizzazione in tal senso e a farsi portavoce dei valori veri che ruotano attorno alla tradizione vitivinicola e alla produzione enologica.

UFFICIO STAMPA

XI FIERA ENOLOGICA

Tel. 320.4332561 – 339.8685903 – 392.9866587

E mail: fieraenologica2010@libero.it

Per informazioni

Pro loco Taurasi: www.prolocotaurasi.it

Pensieri di Agosto: la bruttezza delle etichette del vino

Continua il viaggio di Percorsi di Vino alla scoperta delle più originali etichette di vino.
 
Non vi aspettate stavolta nulla di simile a quanto abbiamo visto per Château Mouton Rothschild, oggi ho deciso di fare un passo indietro e pubblicare la TOP 5 delle peggiori etichette a livello internazionale (per l’Italia faremo un discorso a parte). 

Al primo  posto metterei questa:


E’ l’etichetta di un merlot della Romania prodotto dalla Vampire Wine. Esaminando il sito non possiamo che complimentarci anche per le altre bottiglie prodotte. In particolare meriterebbe una degustazione la Dracola…

Dracola
Al secondo posto mettiamo l’etichetta di un tempranillo spagnolo, distribuito dalla catena di supermercati Sainsbury's, sopra la quale è stata stampata la ricetta del pollo alla castigliana con paprika. Volete abbinarlo o no questo vino??!?!?!?!?

Etichetta Avanti

Etichetta dietro

Al terzo posto un’etichetta macabra di un’altra azienda californiana.


Se notate bene c’è una tigre che si lecca le labbra e per terra c’è il taccuino degli appunti e il cappello della persona che è stata mangiata dalla tigre. Da rimarcare anche la scritta “Bloody Good White”.

Al quarto posto un’etichetta natalizia di un merlot californiano. Oh, poi non dite che non vi fornisco idee originali per le prossime feste:


Al quinto posto, last but not the least, la “famosa” Fat Bastard Wine Company vi propone l’etichetta del suo chardonnay. Tutto un programma a cominciare dal nome, no?



Fuori concorso questo Sangiovese californiano dal nome Cane Felice…….


Dom Perignon, 300 anni dopo


Era il 1668 quando ad un fraticello astemio di nome Dom Perignon, economo dell’abbazia di Hautviller, venne attribuito il più arduo dei compiti: togliere dai vini della Champagne le bollicine, apparente difetto che li rendeva fuori moda e scarsamente apprezzati dall’alta aristocrazia francese che preferiva molto di più i vini fermi della Borgogna. 
Sembra strano ma è così, ai francesi non piaceva lo Champagne così come lo conosciamo noi, ci volle un po’ di tempo e la volontà di Luigi XIV di copiare i “vini frizzanti” dell’alta società inglese ai tempi di Carlo II, per far cambiare rotta al lavoro del frate permettendogli finalmente di dar vita a quel vino che gli fece esclamare davanti a tutti gli altri monaci: «Venite presto, fratelli, sto bevendo le stelle.


Colmo di gioia, il cellérier dell’abbazia cominciò a fare esperimenti di vinificazione fino a che, da gran conoscitore di uve e terroir qual’era, non si inventò la prima cuvèe andando a mescolare più vini base derivati da diversi vitigni, vigneti e annate al fine di creare un nuovo vino che sia superiore a ognuno dei suoi componenti. 
Chissà se, a quel tempo, poteva immaginarsi il futuro successo dello Champagne, chissà se ride o piange a vedere quaggiù schiere di sommelier decantare quella strana bottiglia che porta il suo nome, chissà se, trecento anni dopo, il Dom Perignon 1964 che ho nel bicchiere è minimamente simile a quello da lui “inventato”. Chissà.


Di certo il nostro fraticello non conosceva il biscotto Plasmon, il torroncino alle mandorle o la caramella mou, non poteva sapere che il suo vino invecchia bene, benissimo, fornendo emozioni a distanza di anni.  
on poteva sapere che mettendo il naso riesco a sentire il caffè, gli agrumi canditi, la frutta secca, il caramello e la pesca, sì la pesca, quello stesso frutto che, insieme alla cannella e all’acquavite “bruciata”, rappresentava la ricetta segreta, confidata in punto di morte al suo successore, per ottenere un grande Champagne. 


Bere questo 1964 non vuol dire solo appropriarsi di un tocco di storia del vino ma, soprattutto, far propri i sogni e le speranze di quel fraticello francese perché davvero, ancora dopo 300 anni, quelle bollicine mi hanno permesso, anche solo per un secondo, di poter vedere le stelle.

Letture di Agosto: il vino in Iraq

Interessante questo articolo scritto da Riccardo Lagorio che ci porta in Iraq dove, all'interno dei monasteri cristiani, si produce ottimo vino. Leggiamo questi splendidi appunti.

Probabilmente sono trascorsi 8000 anni da quando le popolazioni della Mesopotamia iniziarono a spremere uva, attendere un conveniente periodo per la fermentazione del mosto ed infine utilizzarne il risultato per cerimonie civili e religiose.

Nasceva così, grazie all’operosità di archetipi vignaioli, la cultura di uno dei prodotti più consumati al mondo, prendeva corpo il vino più antico al mondo, celebrato da assiri e hittiti. Malgrado i periodi bui di repressione cristiana – la più recente ha coinciso con il governo di Saddam Hussein, che mise al bando i costumi, finanche alimentari, della cittadinanza caldea e maronita del Kurdistan iracheno, che ha per capitale Erbil - sopravvive nei monasteri e nelle comunità cristiane l’usanza di produrre il vino.

Riccardo Lagorio
Se per i monasteri è quasi d’obbligo poter contare su un quantitativo ancorché minimo del prezioso liquido per celebrare il mistero dell’eucarestia; per i contadini è fonte di reddito integrativo alla frutta ed alla verdura che dalle colline prende la strada delle città.
Peraltro nelle scarse fonti letterarie del VII secolo, prima dell’avvento della religione islamica, c’è evidenza di diffuso consumo d’alcool nei territori musulmani al tempo di Maometto, prima che lo stesso le dichiarasse haram (tabù).

Accanto allo scritto di Al Bukhari che registra un elevato numero di bevande alcoliche presenti nella penisola arabica, il lavoro di Omar Ibn al Khattab descrive bevande ottenute fermentando uva, datteri, orzo, frumento o miele.

I villaggi di Dhok, Haudian, Diana e Sersenk, a circa 400 chilometri da Erbil, e di Koisangiak, a 200 chilometri dalla capitale, sono tra i maggiori centri produttori di vino mentre la scuola di Shaklawa, diretta da monaci e che dista meno di un’ora e mezza di strada da Erbil, si distingue per la lunga tradizione di produzione di vino, accertata da oltre cinquecento anni.
Si può affermare senza errore che i maggiori produttori di vino in Iraq e in Mesopotamia sono proprio i monaci che vivono nei monasteri ed utilizzano il vino anche come strumento di ospitalità ai visitatori.

Akram Sliwa Sheer conduce uno dei tanti negozietti di alcolici che si possono trovare nel quartiere di Ankawa vicino alla chiesa dedicata a San Giuseppe, ma soprattutto intrattiene regolari rapporti con i piccolissimi produttori di vino delle colline anche grazie all’esperienza pastorale del fratello nel monastero di Shaklawa.

Sono gli stessi cittadini a volere aperti i loro negozi tradizionali. In quest’area di Erbil, dove vivono perlopiù cristiani, si sono sempre venduti alcolici – dice - il governo attuale ci ha dato la possibilità di mantenere i nostri negozi; anzi stanno nascendo dei pub dove possiamo ritrovarci senza nessun pericolo perché i potenziali contestatori non hanno accesso”.
Nel suo negozio, come negli altri negozi della città che vendono alcolici, non è possibile trovare in vendita vino iracheno, ma dopo una amichevole chiacchierata Akram non esita a offrire tre tipologie di vino rosso che proviene dal nord del Paese.

Non è data sapere la varietà di uva utilizzata, ma solo che si tratta di black grapes, uva nera. Esiste un’altra tipologia di uva (il termine varietà sarebbe in questo caso troppo… sofisticato) denominata king grapes, che ha bisogno di più lavoro per crescere e con quella, dice, si produce pochissimo vino.

Momento di degustazione
 Alle temperature estive che sfiorano i 50 gradi l’uva ottiene un elevato grado zuccherino. I vini sono presentati in improbabili bottiglie, usate originariamente per contenere arak od ouzo greco, whisky o altro ancora, chiuse ermeticamente da tappi a vite.

Il primo che è stato per così dire stappato proviene dalle uve dell’orto del monastero di San Mattia a Bahshika, nel nord dell’Iraq.
Porta colore rosso intenso con riflessi mattonati, piacevolmente speziato di cannella e noce moscata al naso, alla bocca è vigoroso, imponente, piacevolmente grondante di susina appassita e lampone.

Il vino del secondo bicchiere è dell’orto della chiesa di Alkosh, all’interno della zona protetta di Ninive.
Il liquido è denso, seducente, dal colore rosso intenso inaccessibile quasi. Ha poco più di un anno di vita.
L’olfatto è impressionato dal profumo di nocciola e frutta secca, scorgo un vago aroma di pepe e rosa che si dilata in bocca, la corteggia, la conquista, la penetra con ruvida grazia.
Il gusto è lungo, infinito, di elevata alcolicità ammorbidita dal grado zuccherino.

Il terzo vino proviene dalle campagne di Shaklawa; ha cinque anni ed è considerato da Akram un vino prezioso.
Il colore è ambra, sul fondo della bottiglia si scorgono sedimenti. Il naso percepisce le note alcoliche amplificate poiché manca del tutto della armonia dei precedenti bicchieri.
Si distingue per l’abboccato secco e le evidenti note alcoliche che lungi dall’essere stucchevoli conquistano per semplicità e compostezza.

Malgrado la piacevolezza dei vini, stiano tranquilli i vignaioli italici: non potranno mai temere la concorrenza dei monaci iracheni sotto il profilo commerciale.
Tuttavia questi elaborati enoici sono un appuntamento culturale imperdibile per raccontare la storia e la vita attuale delle comunità cristiane del Kurdistan iracheno, un orgoglioso drappo sventolato per esibire la propria tormentata appartenenza religiosa.

Pensieri di Agosto: Marco Caprai e la crisi del Sagrantino di Montefalco


Marco Caprai
Marco Caprai usa l'ironia per spiegare la crisi profonda del settore vitivinicolo umbro. L'inventore del Sagrantino usa una frase cara a Tomasi di Lampedusa, principe di Salina per fotografare il momento:
"Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi."

Ma che c'azzecca il Gattopardo col vino umbro?

"Qui da noi in questi anni tutti hanno pensato che solo cambiando i presidenti di vari consorzi presenti sul territorio si potesse reggere l'urto della crisi e ridare fiato ad un settore che continua a vivere un momento difficile. Ho usato l'ironia per spiegare la crisi che questo settore così importante per l'Umbria sta vivendo. Il territorio non attrae più perché in questi anni la politica non è riuscita a vendere il prodotto "vino umbro". Non c'è stato un progetto unico, non c'è stata una campagna pubblicitaria in grado di vendere il sistema Umbria nel suo insieme. I singoli produttori sono stati lasciati soli a vendere il loro prodotto, in una guerra tra poveri che non ha portato da nessuna parte."

Marco Caprai è duro:

"i presidenti dei consorzi cadono come birilli, qualche consorziato esce e la macchina va avanti convinta che i problemi non ci sono o se ci sono basta un cambio di presidenza per risolverli."

Ma allora che fare? Qual è la via maestra per promuovere il vino umbro?

"La via maestra è promuovere il vino umbro, appunto. Non il singolo vino. Per esempio Sagrantino, Grechetto o Orvieto. É qui che la politica ha fallito. L'America investe sul vino californiano, la Francia sul Bourdeaux. Territori vastissimi che presentano una serie di vini pregiati promossi all'interno di un progetto unico complessivo. Noi invece ci presentiamo alle fiere nazionali e internazionali con singole etichette che se riescono a far colpo è solo per una botta di fortuna, non per un progetto alle spalle. É la guerra dei poveri insomma."

Caprai entra poi nello specifico.

"a Montefalco, la metto sul paradosso, la piglio a ridere per non piangere: siamo in mano a una politica gattopardesca che spera attraverso l'erga omnes, cioè l'imposizione a tutti i produttori delle regole e dei controlli indipendentemente che siano o meno soci del consorzio - di tappare i buchi di bilancio e di evitare di dare troppe spiegazioni."

Ma così, sottolinea Caprai, non si può andare avanti.

"Serve un colpo di reni, serve un azzeramento della situazione, ma se a Montefalco "governano" i Gattopardi il cambiamento non ci sarà e la crisi diverrà irreversibile. Le responsabilità ricadranno sugli autori di questo disastro dal quale né le istanze di governo locale né la Regione Umbria possono chiamarsi fuori, ma i danni li pagheremo tutti. 
É auspicabile arrivare a una politica seria del settore in grado di vendere e promuovere l'Umbria come sistema complessivo. In questi anni la Regione ha speso sul vino tanti soldi ma senza criterio, senza una strategia. Serve una logica d'impresa, diminuire per esempio le produzioni e le rese, dare garanzie di restare sul mercato a chi ha investito, puntare sulla qualità. 
Spendere meno ma su progetti precisi, misurati. Gli operatori non possono essere lasciati soli, serve una politica seria, vera di supporto. Ai consorzi in questi anni è stato detto "armatevi e partite", ma divisi non si fa sistema. 
Faccio un esempio di come la politica abbia fallito. Ultimamente un milione e 800mila euro di fondi "ocm" riservati al vino sono ritornati indietro perché è stata sbagliata la programmazione"


Pensieri di Agosto: le mie alternative al vino monodose


Premessa: non mi sono fissato col vino monodose e non sto facendo una campagna contro la aziende che producono prodotti di questo tipo anche perché, in alcuni casi, hanno una funzionalità che difficilmente la singola bottiglia può sopperire. 

Detto questo, ed essendo un fautore del vino sfuso di qualità, sto cercando di capire, in base alle mie esigenze di consumatore appassionato, come soddisfare la mia esigenza di bere un solo bicchiere di vino. 

Se sto a casa non ho dubbi, apro una bottiglia decente, verso un bicchiere di vino e per non far ossidare quello che rimane utilizzo la “pompetta salvavino” che metterà il prezioso nettare sottovuoto e, quindi, al riparo dall’ossigeno. 

Pompetta Salvavino
Se sono in centro città preferisco, anziché scartare una confezione di merlot delle Venezie di chissachì, entrare in una enoteca o wine bar e farmi versare un bicchiere di vino del quale almeno conosco produttore e annata. 

Wine Bar
Ma se sono fuori città, magari in campagna o al mare, come posso soddisfare il mio desiderio? 

Portandomi vino monodose oppure, ed ecco la lampadina, usando la Bag-In-Box “modificata”. 

Il sistema Bag-in-Box, inventato per la prima volta nel 1955 da William R. Scholle per trasportare gli acidi della batterie scariche,  è costituito in una sacca in plastica alimentare dilatabile ed elastica, provvista di uno speciale rubinetto di spillatura, che viene inserita all’interno di una scatola di cartone variamente personalizzabile. Questo tipo di imballo permette di spillare il vino un po’ alla volta, mentre la sacca si restringe senza che si creino all’interno bolle d’aria. In tal modo il vino è al sicuro dall’ossigeno e si conserva bene anche per molti giorni dopo l’apertura della confezione. In Italia lo conosciamo grazie a Ronco o Tavernello. 

Il sistema Bag-In-Box
L’idea che avevo in mente non era però un contenitore di cartone rigido ma qualcosa di più flessibile e trasportabile e, comunque,  meno ingombrante. Forse, e dico forse, quello che cercavo si è concretizzato con questo modello di packaging. 

La sudafricana “The Company of Wine People” ha messo in commercio una specie di sacchetto da due litri, simile a quello per la ricarica dei saponi, contenente vino bianco, rosè o rosso della gamma Versus. 



Perché l’idea mi piace e può rappresentare un buon punto di partenza?

Per varie ragioni: è lo stesso produttore che confeziona il suo vino, non ci sono intermediari e i prezzi sono più contenuti. 
Altro vantaggio: essendo comoda da trasportare, anche se meno leggera della confezione monodose, la “busta” può essere utilizzata per soddisfare sia l’esigenza di un singolo utente, ovvero bersi solo un bicchiere di vino, sia di più persone che dovranno fare a meno di portarsi molteplici confezioni singole risparmiando, sicuramente, anche bei soldini. 

Ho qualche dubbio sulla conservazione anche se, essendo flessibile al 100%, potremmo tenere lontana la confezione da fonti di luce e di calore usando pochissimo spazio (utile in questo clima estivo la borsa frigo). 

Sottolineando col sangue che sto parlando di vino quotidiano da bere entro pochissimo tempo, quanto scritto sopra rappresenta per voi un vaneggiamento da calura estiva oppure qualcosa di buono c’è in questi pensieri di inizio Agosto?

Ho sognato la prossima vendemmia


Ho fatto un sogno.

Ho sognato che a cena accendevo la TV e mi ritrovavo il conduttore del telegiornale che parlava della prossima vendemmia.


Ho sognato delle immagini dove una persona senza volto parlava, parlava, parlava e concludeva il suo sermone dicendo che, se saremo fortunati, nel 2010 l'Italia tornerà ad essere il maggior produttore di vino al mondo scavalcando la Francia.

Ho sognato che il sosia di Bobby Solo parlasse subito dopo di export e di quanto fosse "fico" diventare i primi al mondo. Strani discorsi per uno che dovrebbe parlare di anni '60. Conoscete per caso un gruppo di quei tempi che si chiama "Assoenologi" capitanato da un certo Giuseppe Martelli?


Ho fatto un incubo, la vendemmia 2010 è stata catalogata come ottima.
Chi mi aiuta a svegliarmi?


Misurare l'alcol nel sangue con iPhone? Ora si può!


Il nostro peggior incubo da venerdì scorso di chiama Codice della Strada.
 

Le nuove norme, infatti,  non fanno sconti a nessuno, soprattutto per chi assume alcol, principale causa, insieme alla distrazione e alle droghe, degli incidenti mortali sulla strade italiane.  
In particolare le disposizioni appena varate prevedono un divieto assoluto di bere per i giovani che hanno la patente da meno di tre anni e per tutti coloro che lavorano al volante: autisti, tassisti, camionisti potranno essere licenziati per giusta causa se pizzicati “ubriachi” alla guida. 
 
Il disegno di legge si arricchisce anche di nuovi vincoli per i locali pubblici che avranno il divieto di vendita degli alcolici dalle tre alle sei di mattina, con deroghe solo per Ferragosto e Capodanno, unici giorni, aggiungo io, dove è possibile ubriacarsi legalmente di notte. Mah!
Il codice della strada non risparmia nemmeno i ristoranti che dovranno obbligatoriamente possedere un etilometro da mettere a disposizione dei clienti che vorranno testare, se lo vogliono, il loro grado alcolico prima di tornare a casa.

Tenere costantemente sotto controllo il nostro grado alcolemico è il nuovo diktat per tutti coloro che, per passione o per lavoro, bevono vino.
 
I più tecnologici possono soddisfare questa nuova esigenza tramite telefono. Avete capito bene. 
Da qualche tempo, infatti, i possessori di iPhone possono dotarsi di iBreath, un simpatico accessorio all’interno del quale dovremmo soffiare per capire, tramite il display del telefono al quale è collegato, se siamo o meno in grado di affrontare il ritorno a casa. 

iBreath
Se proprio non vogliamo spendere i 79 dollari per l’acquisto di iBreathe l’alternativa è quella di scaricare Buzz Buddy. Inserendo il proprio sesso, peso e scegliendo il tipo di bevande assunte ( birra, vino, cocktail o whisky.) il programma proporrà :
•    grafico in tempo reale della concentrazione di alcool nel sangue
•    allarme se la concentrazione supera lo 0.08%
•    visualizzazione di un pulsante per chiamare un taxi


Il prezzo è di 0,99 dollari nell’app store anche se la stima è non è certo accurata.

E' stata la settimana........



Grande interesse ha destato il tasting panel di Oneglass, uno dei tanti vini monodose in circolazione. Non sapete ancora di che si parla? Cliccate qua!

Ma non è finita. Sul vino monodose e la sua preistoria ho fatto un articolo che reputo interessante.

E per finire....Tapping panel con Procork!!!

Ah, e qui si è parlato di me e d iuna delle cene che ogni tanto organizzo con amici...

Leggi e fai tutti i commenti che vuoi....


Letture estive di vino


Tempo di letture d’estate su Percorsi di Vino, soprattutto il venerdì, quando già stiamo pensando al mare e al classico gossip da ombrellone. 
Se volete qualche notizia leggera tanto per fare chiacchiericcio “on the beach” non perdetevi le seguenti righe. 

La prima bomba estiva riguarda il mondo della moda e, in particolare, quel Roberto Cavalli che da un jeans e una maglietta è passato al vino. Già perché il nostro stilista possiede la Tenuta degli Dei, bella realtà chiantigiana all’interno della quale produce due rossi: un Toscana IGT chiamato “Tenuta degli Dei” da uve merlot, cabernet sauvignon, cabernet franc, petit verdot ed alicante, il vino base dell’azienda, e il Cavalli Collection, il vino esclusivo, prodotto in quantità limitate ed avente la stessa tipologia di uve. 

Roberto Cavalli
Che c’è di strano? Semplice, che la bottiglia è in stile Cavalli, per cui, secondo me, mooooolto “tamarra”. La confezione regalo, in particolare, non si può vedere con quel ghepardato che fa molto “babbiona di alto rango che non capisce na sega di vino ma lo beve solo perché è Cavalli e fa fico tra le amiche”. Giudicate voi! Ah, ultima cosa. Il vino è stato recensito da un note giornale enologico: Playboy….. 

Confezione regalo
Parliamo ora di quello che sto ribattezzando “marketing champagnaro senza pudore”, ovvero come cercare di vendere più bottiglie di champagne turando il naso e non solo.
Questa settimana parliamo di Dom Perignon, storica Maison francese che ha deciso di rendere omaggio all'icona della pop art Andy Warhol con delle bottiglie che riprendessero lo stile e i colori che hanno reso celebri le opera dell'artista. 

Andy Warhol
L'omaggio a Andy Warhol rappresenta sicuramente un tentativo, da parte dei produttori di bollicine più amati al mondo, di rinnovare l'immagine dell'azienda dandole un tocco fashion e innovativo. 
L'edizione, ad edizione limitata, sarà disponibile solo fino alla fine dell'anno e unicamente in Spagna presso 4 rivenditori accuratamente scelti (Barcellona, Madrid, Ibiza e Marbella). 

Lo champagne "incriminato"
Abate Perignon e sig. Warhol, se da lassù ci vedete, potete mandare una folgore a chi si inventa ste cose? Ma subito però, il prossimo passo, in nome del trendy and fashion, potrebbe essere lo champagne tagliato con la tequila!

I vini monodose. Origine e sviluppo di un prodotto di (in)successo?


Oneglass non è altro che l’ultimo tentativo di introdurre sul mercato vino in confezione monodose.   

L’idea originale di chiudere il vino in buste di vario materiale forse è nata nel 2006 con “PocketWine”, progetto di Sara Lavagnoli, che si proponeva sul mercato con una confezione a forma di calice, con un apribottiglie posto nella parte superiore che sta a indicare il punto di apertura, che avviene a strozzo. 

Una confezione di PocketWine

Le differenze rispetto a Oneglass? PocketWine fornisce informazioni anche sulla cantina di produzione e viene (veniva?) venduto su scaffale o banco in confezioni di cartone contenenti 36 monodose da soli 5 cc (bicchiere scarso di vino).
Non ho trovato il prezzo per singola confezione ma è facile immaginare che sia più economico di Oneglass. 

Poi venne il Gruppo Coltiva con il suo QB, Quanto Basta, una minibottiglia di vetro che contiene l’esatta quantità di vino consentita per non incorrere in contravvenzioni per eccessivo uso di alcol. 
Il packaging, non certo esaltante, ricorda la caraffa delle osterie, a forma di clessidra, con tappo comodamente richiudibile (bonus). Sono previsti formati da 20 cc, per i vini frizzanti come Lambrusco e Prosecco, e da 25 cc per i vini fermi come Sangiovese di Romagna o Nero d’Avola. 

Quanto Basta

A prescindere dalla qualità del vino, l’unica differenza rispetto a Oneglass riguarda la confezione, in vetro, adatta a soddisfare anche le esigenze di due persone sedute a tavola.
Il vero concorrente di Oneglass però arriva dall’estero e si chiama Al Fresco Wine che, nel 2007 il Tulipak, un bicchiere in plastica resistente sigillato con un tappo in alluminio simile a quello dello yogurt riempito con Chardonnay e Shiraz australiano e  un rosè californiano sotto l’etichetta della Trencherman. 

Il Tulipak

Tappandomi per un minuto il naso vediamo di trovare qualche vantaggio: velocità di servizio, peso ridotto, riciclabilità totale del contenitore, uso in luoghi affollati (centro di Roma) dove il vetro non è consentito, possibilità di fuoriuscita del liquido e di rottura del bicchiere ridotte al minimo. 
Svantaggi? Bere un vino in un bicchiere di plastica preconfezionato rappresenta per me la morte civile della bevanda. Ma si sa, io non faccio parte del loro target…
Voi che ne dite? Quale idea vi stuzzica di più?

Ma quale tasting....oggi è tempo di "tapping panel"!!!


Ormai il marketing ha scoperto da tempo che internet rappresenta uno strumento efficace per compiere indagini di mercato a basso costo ed alto valore aggiunto per cui oggi, tra i vari blog e social network, c’è tutto un proliferare di giudizi su un’ampia gamma di prodotti, anche tappi di sughero. Avete capito bene.
Il sugherificio veneto qualche tempo fa ha lanciato su Vinix un’iniziativa, chiamata “tapping panel", con la quale si dovrà valutare, dal punto di vista tattile e visivo, il tappo dello Shiraz Mount Avoca 2007, un vino australiano del cui contenuto mi occuperò in seguito.
Ma perché lanciare un’iniziativa così per un tappo in sughero? Perché dicono che  è speciale, forse rivoluzionario.

Dal sito internet leggo che il tappo è prodotto dalla Procork ed è dotato ai due lati di una membrana protettiva formata da cinque strati ognuno con uno scopo preciso: regolazione dell’ossigeno, ritenzione dell’umidità, prevenzione delle contaminazioni e mantenimento del gusto. La membrana lascia passare una quantità controllata di ossigeno e contemporaneamente blocca il passaggio d’umidità. In questo modo riesce a evitare fenomeni ossidativi e riduttivi, che pregiudicano il gusto dei vini, e prevenire le contaminazioni da TCA, che provocano il fastidioso sentore di tappo senza la percentuale di irregolarità organolettiche che causa il sughero.

La membrana
Veniamo alla parte pratica. 

Analizzando la bottiglia la prima cosa che noto è la capsula, in materiale adesivo (!!!), che nella parte superiore riporta la scritta "nonsaditappo.it", il blog ufficiale del sugherificio veneto. Sicuramente tutto benaugurate anche se spero per loro che sia scritta che adesivo siano là solo per questo panel.

Una volta aperto il vino, la cosa che salta subito agli occhi è chiaramente il tappo in sughero che, diversamente dagli altri, ha alle sue estremità questa pellicola protettiva lucida che, se non conosci la filosofia Procork, potrebbe creare nel consumatore medio reazioni poco entusiasmanti nei confronti del vino che, per via dello strana chiusura lucida, potrebbe essere rimandato indietro.


Altra cosa che salta subito all’occhio è che il mio tappo, nella parte inferiore, era macchiato dal vino, in maniera uniforme, per circa 3-4 mm fornendo un effetto non del tutto naturale, comunque diverso dagli altri tappi in sughero di elevata qualità. Era, come dire, tutto troppo perfetto, sembrava disegnata quella macchia di vino. 
Ora non so se questo è un bene o un male, non sono affatto un esperto, però la sensazione era di un qualcosa che aveva bloccato artificialmente, come una barriera, il vino. Il sughero è un materiale poroso e questa cosa, ripeto, mi è sembrata forzata.

Il tappo colorato
Altra piccola considerazione finale: il tappo sembra di buona fattura, mi è stato confermato che trattasi di sughero monopezzo, però esteticamente, e parlo della parte non trattata con la membrana, non mi convince totalmente. 
E' troppo patinato, e il fatto che le due estremità abbiano una pellicola dello stesso tipo rende il tutto troppo artificiale. Il sughero è un materiale naturale ma quel tappo, non solo a me, è sembrato un pò "bionico".

Tappo sezionato
Magari la Procork starà pensando che non ci capisco una mazza di tappi e che quello che sto scrivendo era esattamente il fine ultimo di produzione, per cui abbiate pietà di me :-))

Ah, un consiglio: cambiate il vino che c'è dentro, una vera spremuta di legno...

Dalla Cantina Cremisan nasce il vino che unisce Betlemme e Gerusalemme


Bellissimo articolo tratta da Affari Italiani che vorrei condividere con voi. Il vino può essere anche speranza di pace.

Nell'area tra Betlemme e Gerusalemme, s'incontra Cremisan: qui da 125 anni anni c'è chi unisce passione e competenza per dare un sapore di pace a una terra in cui da decenni non scorre latte e miele, ma violenza e divisione.

Vigneti terrazzati e la Cantina Cremisan

Immerso nella collina, all'ombra di ulivi secolari e di una grande pineta, Cremisan ha una storia più antica del conflitto israelo-palestinese. Nel 1863 don Antonio Belloni, sacerdote ligure missionario in Terra santa, inizia la sua opera di cura e aiuto di ragazzi orfani a Beit Jala, nell'area di Betlemme. Don Antonio riesce ad acquistare quattro grandi terreni a Betlemme, Beit Jemal, Cremisan e Nazareth. 
Sono gli anni in cui cresce nel mondo la presenza della famiglia religiosa fondata da don Bosco e dedicata ai giovani. Don Belloni ne approfondisce il carisma e decide di diventare salesiano, donando alla congregazione anche le terre in cui aveva cominciato la sua opera. 
A fine Ottocento a Cremisan viene aperto un centro di formazione che nel 1957 diverrà istituto teologico internazionale, attivo fino al 2004. Ma oltre alla cultura, don Belloni ha distillato anche vino, creando una cantina e iniziando la produzione vinicola. 

Una scommessa che potrebbe sembrare azzardata in una terra a larga componente islamica. Il progetto, invece, ha richiamato in questo secolo esperti e coltivatori locali e internazionali, permettendo di dare lavoro a numerose famiglie. 
La Cantina Cremisan
Lo spiega don Luciano Nordera, sacerdote veneto che da 24 anni vive e lavora a Cremisan: “Perché in un centro di spiritualità c’è una cantina? Don Belloni stesso l'ha fondata nel 1885, nelle grotte naturali della zona, e dopo quattro anni la trasferì dov’è oggi. Essa doveva finanziare la costruzione della casa di Cremisan e dar lavoro ai palestinesi, aspetto sociale sempre mantenuto. A Betlemme il sacerdote costruì anche un forno che ancora oggi garantisce ogni giorno il pane a famiglie in difficoltà”. “All'interno della cantina -  continua don Luciano - lavorano in modo stabile circa 25 operai cristiani e musulmani. Altre 25 famiglie collaborano nelle fasi di realizzazione di grandi progetti, come il terrazzamento di nuovi vigneti, la raccolta della nostra uva, delle olive e la rivendita del vino”.

Lavoratori qualificati, ottimi vitigni, selezione accurata dell'uva sono i tre segreti con cui don Luciano spiega la qualità dei vini Cremisan, che alla base hanno la scelta di una “coltivazione biologica, non chimica”. 
La selezione dei vitigni Hamdàni-Jàndali, Daboùki e Bàladi e il lavoro dell'enologo Andrea Bonini e dell'agronomo Roberto Paglierini, insiema ai coltivatori locali, hanno prodotto ottime annate di vini e creato una rete di distribuzione internazionale. 
Attraverso il sostegno del VIS, della provincia di Trento e di vari sponsor, alcuni giovani palestinesi hanno studiato nuove tecniche di coltivazione nelle cantine di san Michele all'Adige. I vini bianchi e rossi, da tavola e da dessert (David’s Tower, Cabernet Sauvignon, Merlot, Chardonnay, Malvasia), insieme al brandy e al succo d'uva – a Cremisan si producono anche olio d'oliva, aceto, noci e mandorle –  sono stati presentati con successo all'ultima edizione di Vinitaly nel mese di aprile.

Etichetta

Grazie alla cooperazione italiana e all’associazione tedesca per la Terra Santa sono stati fatti grandi lavori di terrazzamento, che devono ancora essere completati. 
Tra i progetti in cantiere, la sostituzione delle attrezzature ormai obsolete. Cremisan non è però un'oasi nel deserto: il monastero è collocato all'interno della Green Line, i confini dei Territori palestinesi stabiliti dopo la guerra dei Sei giorni nel 1967. L'area è però stata annessa giuridicamente alla municipalità israeliana di Gerusalemme. 
Nel mese di marzo l'esercito ha avviato la costruzione del Muro nella zona di Beit Jala, lambendo i vigneti di Cremisan e centinaia di ettari dell'area. Un comitato popolare che riunisce centinaia di palestinesi, israeliani e attivisti internazionali organizza ogni settimana manifestazioni nel vicino villaggio di al-Walaja, di fronte ai bulldozer al lavoro. Le proteste internazionali potrebbero spingere Israele a modificare il tracciato del Muro nell'area. Affinché la prossima vendemmia non sia l'ultima.