di Luciano Pignataro
L’ultima volta che abbiamo provato il 2006 è stato appunto tre anni fa, prima dell’inizio del Covid e della fine della favola del neoliberismo che tutto aggiusta e tutto fa progredire, il tapis roulant economico della globalizzazione.
Sempre straordinari questi Fiano perché, tanti per cominciare, ormai li apro con la stessa sicurezza con cui potrei aprire un Aglianico: non c’è più dubbio sulla tenuta del vino nel tempo. Di più: non c’è alcun dubbio sulla crescita olfattiva e gustativa. Se abbiamo potuto godere di vini anni ’80 di Mastroberardino vent’anni dopo, tanto più il problema non si pone adesso che molti hanno iniziato a ragionare sui tempi lunghi. Guido Marsella per primo, un anno dopo la vendemmia 1997, ossia nel 1998, e poi due anni a partire dalle 2013.
La 2006 di presentava all’inizio come una annata più diluita, mezzo grado dichiarato in meno rispetto a quella precedente. Beh, nel corso del cammino di questo vino non abbiamo potuto far altro che godere della sua tenuta e della sua inarrestabile crescita fino ad una strepitosa magnum stappata, appunto, nel settembre 2019.
Questa bottiglia esce invece dal cappello a cilindro di Nando Salemme, grandissima cantina nella sua osteria Abraxas a Pozzuoli, ove si beve e si gode sempre buon prezzo. Il Fiano di Avellino di Marsella non teme di arrivare dopo uno Champagne, o un rosso. Tanta è la sua struttura, anche in una stagione più debole come questa, da appagare le sensazioni tattili del palato a tutti i livelli. Al naso prende corpo l’idrocarburo che in ogni degustazione fa pronunciar la parola Riesling ma che a me riporta in mente i bagni nel porto che facevo da bimbo.
Immutata la freschezza che trascina il vino velocemente, immersa nelle buone sensazioni di mela matura, un po’ di miele millefiori, zafferano, sino alla chiusura piacevolmente amara. Un grande vino, un bianco chiamato a fare la storia enologica in un settore che ha in Italia ancora troppi bevitori distratti dalla Borgogna.
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