Di Roberto Giuliani
Mi ha sempre affascinato il percorso di Mario Zanusso, iniziato con
papà Ferdinando negli anni '90, quasi 30 anni durante i quali ha visto gli
effetti delle mode sul vino friulano e delle altre regioni. Mode che né suo
padre prima, né lui dopo hanno seguito, non certo perché immuni dalla necessità
di vendere per vivere, ma consapevoli che se avessero seguito la corrente,
avrebbero perso la fondamentale opportunità di capire fino in fondo le
potenzialità dei vigneti e delle uve di cui disponevano.
La sperimentazione è stata lo strumento necessario per prendere
consapevolezza, per inquadrare cosa potevano dare il friulano, la ribolla, la
malvasia, il verduzzo, il merlot, quale fosse il percorso ottimale per portare
nel vino i profumi e i sapori della loro terra.
Mario Zanosso |
Certamente i viaggi effettuati infinite volte in Francia, l'aver
approfondito la conoscenza di grandi vini friulani di aziende come Gravner,
Schiopetto, Jermann, Ronchi di Cialla, Abbazia di Rosazzo, e poi in Piemonte e
Toscana, sono stati un arricchimento importantissimo. Il fatto di fare vini
sempre più bevibili, meno alcolici, meno potenti, mentre molti altri produttori
facevano esattamente il contrario, la dice lunga sulla loro filosofia, sulla
visione del vino non come mito modaiolo, costruito per prendere premi o
conquistare mercati, ma come espressione vera di un linguaggio proprio e
inimitabile, frutto della simbiosi fra vigneto, microclima, uomo e cultura.
Difficile
non rimanere colpiti dai vini dei Zanusso, il San Pietro in particolare mi è
sempre piaciuto per questa sua indole schietta e riconoscibile, che nel 2016 si
identifica nelle evidenti note floreali, nel richiamo alla mandorla e alla
nocciola, nelle sfumature agrumate di lime, ananas e cedro, nella profondità
minerale.
La spiccata freschezza e la leggiadria del sorso, senza per questo
mancare di spessore, mettono in evidenza gli aspetti migliori del friulano, il
fondo salino accentua il gusto stimolando la voglia di berne ancora, senza mai
stancare.
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