Di Luciano Pignataro
Tanti bianchi resistono, il Fiano di Avellino evolve grazie alle
caratteristiche del vitigno che fanno del tempo non un ostacolo da superare
anno dopo anno ma un alleato. Non avevamo dubbi di trovarci di fronte ad una
bella esperienza quando ci siamo trovati di fronte a questa bottiglia uscita
dalla cantina lucana di Peppe Misuriello, patròn dell’Antica Osteria Marconi di
Potenza che ha appena preso in gestione Locanda Severino a Caggiano. Da sempre
nel mondo del vino, prima con l’enoteca poi con il ristorante, Peppe è stato
uno di quelli che ha comprato senza esitazione quando lo si poteva fare senza
fare mutui in banca e, soprattutto, tra i pochi ad avere il vizio di conservare
vecchie bottiglie.
Ecco allora
da dove esce questo bianco irpino nella bottiglia renana, poi andata in disuso
perché non si trovava con le moderne geometrie commerciali. Peccato, perché
quando te la trovi di fronte pensi subito di bere un bianco importante. Nel 1993
non esisteva Facebook, per comunicare si usava il telefono e l’Italia stava
appena per imboccare la strada del declino mentre il mondo del vino andava in
direzione esattamente opposta nonostante tutto: investimenti a lungo termine,
ricerca, miglioramenti e innovazioni in campagna e in cantina, cura della
presentazione delle bottiglie e delle cassette. Una rivoluzione insomma, che ha
visto coinvolta tutta la viticultura italiana da Nord a Sud in un moto unico e
che ancora oggi fa del vino la punta di eccellenza dell’agroalimentare.
La cosa
impressionante di questa bottiglia è che non è stata progettata per essere
bevuta dopo un quarto di secolo, per la verità nemmeno dopo un anno. All'epoca
si usciva in commercio il prima possibile e questa base, dalle sei alle
settemila lire poi diventate 6-7 euro, non aveva alcuna presunzione. La grande
intuizione della famiglia Mastroberardino fu di comprendere che Lapio era una
zona vocata e i contadini furono incoraggiati a piantare il Fiano.
Già il
tappo, perfetto e intero, annuncia l’integrità del vino che si presenta di un colore
giallo paglierino carico ancora vivo. I profumi sono tipici del Fiano di
Avellino invecchiato: frutta bianca evoluta, note fumé e di idrocarburi, tono
della beva sapido e amaro, nessuna dolcezza ma tanta freschezza che regge bene
il corpo del vino mantenendolo in gran forma.
L’ennesima
dimostrazione delle enormi potenzialità di questo vitigno coltivato in Irpinia,
zona di freddo da sempre molto vocata. Siamo convinti, infatti, che siamo
appena al dieci per cento di quello che si potrebbe fare anche se in tanti
ormai escono dopo almeno un anno dalla vendemmia. Cosa manca per mettere a
reddito enologico questo patrimonio? Anzitutto un uso del legno graduato e ben
studiato, l’individuazione dei Cru e la capacità di stoccaggio di almeno un
anno.
Bevute come
questa del 1993 oltre ad avere la capacità di trasmettere emozioni e piacere,
spingono appunto a queste riflessioni.
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