Abbiamo fatto una bella chiacchierata a 360° con Giovanna Morganti, nota produttrice chiantigiana (Podere Le Bonce), fautrice dei vini naturali e in prima fila quando nacquero le prime sigle di quello che poi è diventato un vero e proprio settore del vino italiano. Con lei abbiamo toccato sia il tema vini naturali che il cambio climatico, passando attraverso riflessioni profonde sul ruolo di un produttore di vino.
Winesurf: “Partiamo da tuo padre Enzo Morganti, che ha fatto un bel pezzo di storia non solo di San Felice ma del Chianti Classico. Dal punto di vista del fare vino ti ha insegnato qualcosa, e cosa in particolare?”
Giovanna Morganti “Mi ha insegnato la sacralità della cantina. Era bello da piccola stare con lui in cantina, magari aspettando Giulio Gambelli. Capire che il nostro lavoro non finiva alla vendemmia ma ce n’era un altro pezzo da fare dopo. Da un punto di vista enologico invece non siamo mai andati molto d’accordo perché lui era figlio di un’epoca anche un po’ troppo interventista e lavorava in aziende dove c’erano dinamiche diverse da quelle che poi ho seguito io. Più che aspetti tecnici babbo mi ha insegnato un’etica.”
W. “Da quanti anni produci vino?”
G.M. “Le Trame (il suo vino più famoso) è nato nel 1990 ma ho iniziato a lavorare nel 1984.”
W. “Ottima annata per iniziare…”
G.M. “Sai che mi ricordo ben poco di quell’anno?”
W. “In Toscana Fu una delle vendemmie più tragiche del secolo scorso.”
G.M. “Mi ricordo solo che far maturare le uve nelle zone alte del Chianti Classico era un vero problema.”
W. “Come ti definiresti come produttrice di vino?”
G.M. “Coraggiosa, rigorosa, curiosa, e sempre con tante domande che non hanno risposte certe.”
W. “Qual è la cosa che in vigna ti dà più gioi e quella che ti fa più arrabbiare?”
G.M. “Forse sembrerò un po’ troppo romantica però mi dà gioia lo starci: a me toccare le viti e vederle sane piace tantissimo. Quello che mi fa arrabbiare sono le “incomprensioni”: cioè vedere che siamo in un momento di passaggio che è epocale, specie nel mio caso dato che ho vigne di trent’anni e quindi in un momento delicato, e non capire, con sicurezza, cosa fare.
W. “Credi che il Chianti Classico, con le UGA e la Gran Selezione, stia seguendo la strada giusta?”
G.M. “No!”
W. “Mi immaginavo questa risposta. Perché?”
G.M. “Perché è una cosa fatta a tavolino, di testa, non fa crescere il territorio, non fa crescere il Chianti Classico d’annata che a sua volta è quello che dovrebbe far crescere il territorio e allontana ancora di più le aziende dal fare buona agricoltura.”
W. “Ce la fai, il più brevemente possibile, a tracciarmi le evoluzioni nel mondo dei vini cosiddetti naturali negli ultimi 20-25 anni?”
G.M. “Il movimento dei vini naturali è nato alla fine del secolo scorso da un impulso venuto dalla Francia. Riuniva i biodinamici italiani insieme a tante altre realtà: all’inizio era molto bello perché metteva insieme situazioni di rispetto ecologico, cioè di voler fare una viticoltura e un’enologia sana e metteva assieme anche ideologie più sociali o se vuoi politiche. C’era un filone piemontese, uno friulano, uno toscano. Realtà e persone molto diverse, per esempio Angiolino Maule e Teobaldo Cappellano. Poi quando è nato l’interesse sono arrivati i protagonismi e si è perso un po’ il senso comune. L’evoluzione attuale è autoreferenziale, moltissimi pensano di essere già arrivati.”
W. “Arrivando a oggi le varie associazioni di vini naturali riescono ad andare d’accordo?”
G.M. “Non credo. Nel mio caso io ne sono fuori ma ho tanti amici all’interno e ho abbastanza il polso della situazione. Secondo me non c’è più nemmeno l’energia del disaccordo e mi sembra che un po’ tutti si siamo chiusi nel loro piccolo mondo e alla fine le associazioni si rianimano solo un mese prima di andare al Vinitaly e questo fa tristezza. Naturalmente non puoi non considerare la parte commerciale ma mi pare che alla fine tutto finisca lì. Anche il fatto che Vinnatur si faccia certificare mi sconcerta, perché eravamo partiti per essere contro alle imposizioni e certificazioni. Stiamo andando in una direzione contraria rispetto a quella iniziale. Anche i pensieri un po’ più ribelli sono sponsorizzati dalle grandi aziende. C’è una grande passione,a parole, per il mondo green, con ognuno che vede il mondo green in maniera diversa.”
W. “Passiamo oltre: la vendemmia 2023 ha messo a dura prova ogni categoria di produttore: credi che vendemmie del genere portino con sé un messaggio di cambiamento e se si quale?”
G.M. “Certamente, portano un’evidenza di un sistema estremamente fragile e sto parlando del sistema vigneto e del rapporto agricoltore-vigneto. Per essere ottimisti dovremmo fare punto e a capo, poi però queste cose vanno elaborate e purtroppo gli agricoltori hanno spesso una memoria molto corta e magari sono già pronti a partire per la nuova annata sperando non si ripresentino le condizioni passate. Poi non so quanto questa forte incidenza della peronospora lasci delle informazioni così importanti anche se dovrebbe essere così. Il sistema pianta ha mostrato una fragilità incredibile mentre noi produttori mostravamo un’ignoranza mostruosa, non sapevamo proprio a che santo votarci. Poi erano anni che la peronospora non dava molta noia e quindi eravamo tutti rilassati, però siamo stati impreparati rispetto a un cambiamento stesso della malattia e della sua intensità. In testa poi io ho messo in fila tutte le falle del sistema: la non adeguata attenzione ai trattamenti, al periodo di copertura, ai prodotti che si usano, ai quantitativi, ai dosaggi e altro. Alla fine diventa tutto un po’ dogmatico. Non si possono utilizzare più di tot chili di questo o di quello ma alla fine è un modo di fare superficiale. Poi c’è anche la fortuna, il famoso fattore C. che è fondamentale.”
W. Sono passati 10 anni da “resistenza Naturale” il film di Nossiter, credi che sia servito? E a cosa?
G.M. “Credo sia servito di più Mondovino, che fu più un film di rottura, denunciava i limiti evidenti di un certo modo di fare vino. Eravamo all’inizio del movimento dei vini naturali e servi molto tra noi. Resistenza Naturale, anche se in Italia è stato visto di più ha fatto un servizio di divulgazione, ma il suo limite è che si posto in qualche modo in una posizione troppo dualista, troppa differenza tra bene e male. Quando Stefano Bellotti fa vedere le due zolle di terra, dicendo che una è buona e l’altra no è un messaggio deciso ma alla fine non so quanto serva.”
W. “Molti anni fa lessi un racconto di fantascienza ambientato in un pianeta estremamente ostile alla vita umana. L’unica base umana era circondata da ogni tipo di pericolo mortale: piante, animali, l’aria che si respirava, tutto. Poi un gruppo di umani riesce ad andare in missione fuori dalla base e si accorge che mano a mano si allontanava dalla base il pianeta non mostrava più l’aggressività di animali e piante ma anzi era molto ospitale. Secondo te noi esseri umani oggi, siamo quelli dentro la base attaccati da ogni parte, siamo il pianeta che si difende da attacchi esterni o cosa?”
G.M. “Abbiamo la presunzione di determinare tante cose poi invece chissà qual è il disegno. poi però penso che come risposta non è sufficiente anche se il disegno va quasi certamente verso una sorta di distruzione e noi dobbiamo uscire dall’idea che noi siamo i protagonisti di questo mondo. Forse partecipiamo all’esistenza dell’universo per un piccolissimo spazio.”
W. “Marie Curie disse che nella vita non c’è niente da temere, solo da capire. Tu credi di aver capito i processi naturali all’interno del tuo microcosmo o hai ancora molto da capire. Inoltre c’è qualcosa che ti fa veramente paura?”
G.M. “Ho paura che questi processi siano molto veloci e che in tempi brevi si farà molta fatica a fare il nostro lavoro. Nel mio caso sono maggiormente esposta perché ho un’azienda piccola con i vigneti tutti assieme, ad alta densità, con quella che un tempo definivamo “bellissima esposizione” e in una zona poco piovosa.”
W. “In borsa direbbero che non hai diversificato abbastanza.”
G.M. “Esatto. Diciamo che ho diversificato tanto ma in un unico luogo e questo mi rende molto fragile.”
W. “Ma hai mai pensato di mollare qui, nel Chianti Classico e andare a produrre da altre parti?”
G.M. “Tante volte, quasi tutti i giorni. Se potessi avere il teletrasporto porterei questa vigna e questo luogo sicuramente al sud. Mi sono impallinata da tempo del Molise perché sono una nostalgica e quindi voglio cercare dei luoghi dove ancora esistono paesi dove c’è una struttura sociale, dove ci sono agricoltori.”
W. “Dove si ricrea il mondo che c’era al tempo di tuo padre nel borgo di San Felice.”
G.M. “Esatto. E’ un’idea estremamente emotiva e non credo che alla fine sia così facile. Nel sud sono attratta anche dalla Sicilia.”
W. “Attratta dall’Etna?”
G.M. “Dall’etna no perché c’è già andata un sacco di gente: è ovvio che gli alberelli etnei mi appassionino, però sono attratta dalla parte più a sud dell’Isola. Poi per me l’Etna è un luogo da visitare, da frequentare per prendere un po’ di energia vulcanica ma non ci starei. Ogni tanto ho pensato a Pantelleria, ma forse è più un’idea di fuga perché poi i luoghi per fare questo lavoro li devi proprio vivere. Ogni tanto mi viene anche la passione e la voglia di misurami con un vino bianco, perché è proprio un’altra cosa.”
W. “A questo punto ti mancherebbe solo la bollicina.”
G.M. “Di quella non me ne importerebbe niente, non mi è mai venuta voglia di farla.”
W. “Ma ormai la bollicina rosé da sangiovese in Chianti Classico la fanno in tanti.”
G.M. “Se devo arrivare a quel punto mi trasferisco veramente in Molise o magari potrei fare altre forme di agricoltura. Noi viticoltori siamo molto concentrati sulla vigna, siamo monotematici e quando vedo dei bei campi di grano mi viene voglia di uscire da quella che potrei definire ossessione di coltivare una sola specie.”
W. “Un altro , non ricordo chi, disse che la vita è come uno specchio, ti sorride se stai sorridendo. Quando ci entro la tua vigna di sorride?”
G.M. “Mmmmmm non sempre e devo dire che anch’io le sorrido poco.”
W. “Vi guardate un po’ in cagnesco…”
G.M. “Ma mai in opposizione, diciamo come compagne di viaggio, però preoccupate, tutte e due. Non la vivo assolutamente come una nemica. Siamo compartecipi di una serie di problematiche da affrontare. Poi dopo ogni vendemmia la guardo con grandissima gratitudine comunque sia andata.”
W. “Cosa pensi dei vitigni PIWI?”
G.M. “Ne penso malissimo, perché credo sia una grandissima scorciatoia. Non sono contraria agli incroci perché gli uomini li hanno sempre fatti per risolvere problematiche di selezione. Non sono oscurantista ma sono contraria perché credo porti verso un mondo di specializzazione, mentre noi bisogna abbracciare la complessità e la diversità. Certo, fai meno trattamenti contro la peronospora però poi ci possono essere altre malattie che te non conosci e che possono arrivare successivamente: inoltre li vogliono inserire anche in zone che non hanno grandi problemi con la peronospora. Forse sarebbe meglio studiare e fare degli atti agricoli che ci proteggano di più da queste malattie. Credo anche che ci sia un modo di arrivare ai PIWI lungo e corretto, come in Germania dove ci hanno studiato molto, ma in Italia penso sia solo una scorciatoia.”
W. “Parliamo di un tema che tocca di lato il mondo dei vini naturali, Il vetro leggero. Quanto pesano le bottiglie che usi? Come vedi questa lotta contro lo spreco e l’inquinamento inutile e cosa pensi dei produttori naturali che usano bottiglie di 700-800 grammi?”
G.M. “Ci sono contraddizioni strane. Bisogna capire il senso del vetro pesante: se mi serve perché devo invecchiare un vino e quindi mi va a salvaguardare dalla luce etc può anche andare, ma spesso viene scelto il vetro pesante per motivi commerciali, che rappresentano in maniera statica e vecchia la qualità di un vino. Bisogna anche dire che spesso nelle bottiglie molto leggere la qualità del vetro è scarsa.”
W. “Da diverse parti, anche direttamente da produttori chiantigiani, si afferma che il Chianti Classico si sta spopolando: chi ci vive e ci lavora vuole andarsene e viene sostituito da turisti mordi e fuggi.”
G.M. “La vedo come una cosa preannunciata e fa tristezza vedere paesi diventati luoghi che ospitano un turismo nemmeno così ricco, e non parlo solo dal punto di vista economico. Un turismo che si accontenta di piatti e cibi non certo di livello, che non entra in relazione con la produzione locale. Come detto mi fa molta tristezza. Sono molto sensibile a questo tema perché il borgo di San Felice è stato uno dei primi ad essere stato svuotato per trasformarlo in un relais chateau. In passato è stata una delle mie grandi battaglie e volevo coinvolgere tutti gli operai di san Felice che ci vivevano.”
W. “Che anni erano?”
G.M. “Poco prima che morisse mio padre, quindi fine anni ottanta e io addirittura volevo fare l’occupazione del borgo. Babbo allora mi disse di non rompere le scatole, che occupando un borgo non si cambiano le sorti del mondo. In quegli anni si pensava che il turismo avrebbe risolto un’infinità di problemi, dando lavoro e prospettive future, ma poi questa cosa non si è avverata e ha provocato anche uno svuotamento dei luoghi. Pensa che oggi un problema veramente serio delle aziende agricole è quello di trovare manodopera e se alle persone non crei una situazione possibile e vivibile la manodopera non la trovi.”
W. “Allora devi ricorrere alle squadre esterne”
G.M. “Le squadre hanno un loro senso, io non sono contraria. Ma anche quelli che lavorano in questi gruppi poi vanno ad abitare nel Valdarno o comunque fuori dal Chianti Classico, dove possono pagare affitti umani e spendere meno per tutto. Occorrerebbe ripensare profondamente a tante cose perché quando si parla di rispetto per un territorio c’è anche questo aspetto da mettere in prima fila.
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