di Carlo Macchi
Iniziamo la serie di interviste di Winesurf dedicate alle donne del mondo del vino, con Donatella Cinelli Colombini, vulcanica produttrice sia a Montalcino che in Val d’Orcia, tra le creatrici di importanti associazioni come il Turismo del vino e le Donne del vino. L’intervista ci ha portato a toccare temi generali e personali, con alcuni aneddoti veramente incredibili.
Winesurf. “Partiamo da tua madre che scrisse un libro dal titolo “Il vino fa le gambe belle” e narra storie di 60/70 anni fa, quando ancora il vino non era quel fenomeno quasi di massa che è oggi. Da allora quali credi siano stati i principali cambiamenti nel mondo del vino in generale e nel territorio del Brunello in particolare?”
W. Che ormai sono una netta minoranza?
D.C.C. “Sono molto meno di prima diciamo che gli “alloctoni” saranno attorno al 65/70% più o meno.”
W. “Hai detto una cosa che mi ha stupito: 300 cantine attive, produttrici, con marchi: una marea su un comune piccolissimo, ma andiamo alla seconda domanda. La vecchia frase dietro a un grande uomo c’è una grande donna è ormai strausata e anche la battuta che dietro ad una grande donna c’è una grande colf. Ma dietro ad una grande donna come te chi c’è?”
D.C.C. “Ma quale grande donna? Comunque indubbiamente mio marito Carlo è stato una figura importante. Mi ha sempre sostenuto senza mai essere invidioso. Mi ha aiutato tanto, non solo concretamente per la parte finanziaria ma anche psicologicamente, perché sapere che c’è una persona che ha fiducia in te, all’inizio, è veramente importante.”
W. “All’inizio soltanto, dopo no?
D.C.C. “Anche dopo, credo. Dopo si acquisisce anche più fiducia ma all’inizio ti vengono dubbi del tipo: Ora metterò sul lastrico tutta la famiglia?”
W. “2008 brunellopoli, crisi americana dei subprime, poi disputa tra 100% sangiovese o no: tanti errori dal punto di vista della comunicazione e problemi di mercato. Nonostante questo il Brunello, da allora, è cresciuto in maniera esponenziale, perché?”
D.C.C. “Brunellopoli l’ho vissuta in modo strano perché nel 2008 ero Assessore al Turismo a Siena. Dal punto di vista politico in Toscana in quel momento eravamo senza assessore regionale e con al governo Berlusconi, di altro schieramento politico. La Provincia e la Camera di Commercio ricevevano ispezioni quasi tutti i giorni. Mi trovavo sul fronte istituzionale, con riunioni dove mi proponevano liste, che non capivo da dove venissero fuori, di aziende che non erano conformi. Inoltre il Ministro Zaia voleva chiudere la questioni a tutti i costi perché temeva che la situazione del Brunello portasse a bloccare tutte le esportazioni di vino negli Stati Uniti. Ci sono stati momenti molto difficili, come quando ci fu il sequestro da Banfi, che proprio non sapevi cosa fare. Pensa che il giorno dopo il Palio arrivarono in elicottero Zaia e l’Ambasciatore Americano. Zaia andò dal Procuratore della Repubblica e dato che ero Vicepresidente dell’Enoteca Italiana, fui incaricata di intrattenere l’Ambasciatore, che era convinto che fosse un complotto dei comunisti contro gli interessi americani. Oggi sembrano novelle. Ma rimane il fatto che Brunellopoli è stata forse una fortuna, perché ha spinto i produttori a impegnarsi nei vigneti molto di più, così da ottenere dei grandi risultati. Poi c’è stata anche la “spintarella” del cambiamento climatico che ha dato una bella mano. Ci sono comunque due concomitanze che portano alla fortuna del Brunello: una quantità piccola e circoscritta di bottiglie (si parla di massimo 9 milioni) ma molto prestigiosa, così da attrarre capitali e ambizioni. Montalcino è come un centro sportivo di alto livello, dove formano quelli che vanno alle Olimpiadi: tu che sei un talento vai lì ad allenarti perché sai che poi otterrai molto di più in termini di risultati.”
W. “Domanda dovuta: il mondo del vino è più maschilista adesso o negli anni ottanta/novanta del secolo scorso?”
D.C.C. “Era molto più maschilista prima anche perché oggi ci sono molte più donne nel mondo del vino. Se partiamo dai dati che abbiamo adesso in mano le donne guidano circa un terzo delle cantine italiane, per precisione il 28%. Percentuale che corrisponde anche a quella delle aziende agricole dirette da donne. Se andiamo a vedere i dati generali dell’agricoltura la superficie di aziende dirette da donne è il 21%, perché mediamente le aziende guidate da donne sono più piccole di quelle maschili, ma questo 21% produce il 28% del PIL agricolo, quindi sono più performanti di quelle maschili. Se parliamo invece solo delle aziende vinicole vediamo che in vigna e in cantina le donne sono circa il 14%, quindi sono minoritarie sia nei numeri che nei ruoli. Invece dove le donne sono molti forti è nei settori nuovi: nel commerciale sono un po’ più del 50% (addetti e manager), nel marketing e nella comunicazione sono la stragrande maggioranza, oltre il 70% e così nel turismo enoico. Questo fa si che crescendo nei settori strategici, quelli dove il vino è più vicino al consumatore finale, sono cresciute di importanza e di retribuzioni e di quelle che potremmo definire prospettive politiche.”
W. “Ma al punto di vista di mentalità generale oggi il mondo del vino è più aperto verso le donne o è sempre rimasto al passato?”
D.C.C. “Dato che tra i consumatori di fine wines è cresciuta notevolmente la quota femminile questo porta ad un ribilanciamento nel settore produttivo. Abbiamo dati statunitensi dove la remunerazione è un dollaro all’uomo e 90 centesimi alle donne, ma nel wine businness ci sono 96 centesimi alle donne per un dollaro di retribuzione maschile: è il settore più vicino al gender equity.”
W. “Qual è stato il commento o la frase più maschilista che ti hanno rivolto nel tuo ruolo di produttrice di vino?”
D.C.C. “E’ brutto dirlo perché riguarda il settore di mio marito, quello delle banche, ma quando una donna, accompagnata da un uomo, parla con un responsabile di una banca, quello guarda l’uomo e la esclude quasi automaticamente.”
W. “Premio Casato Prime donne: credi che nel mondo del vino ci sia abbastanza cultura o lo vedi come un mondo che usa poco o niente messaggi culturali?”
D.C.C. “In generale i giovani studiano poco, imparano con altri strumenti, non con lo studio come noi possiamo intendere e ho dei dubbi sulla sopravvivenza del concetto di cultura come la intendiamo noi, cioè sull’approfondire il concetto di essere umano, sul senso della vita.”
W. “Una visione molto umanistica.”
D.C.C. “Oggi come oggi tendenzialmente c’è un livello culturale molto più “spiccio” e si vede bene nel turismo: se andiamo a vedere quali sono i luoghi più ricercati per visite non troviamo i musei ma luoghi che in qualche modo rappresentano delle esperienze: per esempio il più ricercato e quello che in Baviera viene chiamato “Castello di Ludwig” (Castello di Neuschwanstein. n.d.r.). In Asia sono molto ricercati luoghi che celebrano fumetti e cartoons. Su un altro registro mi ha colpito che uno dei luoghi più visitati in Olanda sia la casa di Anna Frank, quindi un luogo dove c’è una storia importante alle spalle.”
W. “E nel mondo del vino, dal punto di vista culturale, tutto questo cosa diventa?”
D.C.C. “Il mio giudizio è piuttosto negativo: si studia poco, s legge poco, si vanno a vedere le cantine di altri cercando però più una chiave di successo che uno stile del fare. Studiare come faceva Giacomo Tachis per intendersi, uomo che ha studiato tutta la vita, è un approccio ormai abbandonato.”
W. “A questo proposito, Il giornalismo enoico in Italia fa più cultura, informazione, o comunicazione?”
D.C.C. (ci pensa un po’) “Fa comunicazione!”
W. “Sul totale quanto conta la comunicazione 80%? 90%?”
D.C.C. “Il grosso è composto da degustazioni di vino, punteggi, descrizioni di vini, luoghi, persone. “
W. “Invece che differenze vedi tra il giornalismo enoico italiano e quello estero?”
D.C.C. “All’estero c’è una fetta importante di giornalisti che vengono dal giornalismo, come la Monica Larner o da lauree in letteratura come la Kerin o ‘Keefe. Poi ci sono quelli specializzati nel settore della distribuzione vendita del vino che è un po’ il taglio dei Master of Sommelier.”
W. “Donne del vino e Turismo del vino, due associazioni a cui hai dato e stai dando molto. Quale di queste due entità oggi reputi più importante in questo momento?”
D.C.C. “In questo momento direi il Turismo del vino, se però ingrana la marcia! Siamo in un momento molto, molto complicato: basta andare a Venezia o in Piazza della Signoria a Firenze anche solo una volta per rendersi conto di quanto le città siano assediate e asfissiate dall’overtourism. Bisogna riuscire in ogni modo a trasformare il turismo da ricchezza diffusa a ricchezza sostenibile, che non trasformi i luoghi in delle Disneyland di loro stessi. L’enogastronomia ha un ruolo determinante in questo, ma solo nel momento in cui faremo spaghetti al pomodoro perfetti più che inventarci un piatto improbabile con cinquanta ingredienti quasi introvabili. Non è una cosa intuitiva e semplice da fare, però trasformare i ristoranti in posti rappresentativi della cultura materiale del luogo è fattibile e porterà una ricchezza sicura per un ciclo di anni lunghissimo ma, ripeto, non è per niente semplice. Il turismo è una macchina veloce, è un business almeno 6 volte più grande rispetto al vino, siamo a circa 1500 miliardi contro 250. Per dare un’idea Expedia e Booking spendono su Google 10 miliardi di dollari all’anno di advertising. Si parla di un miliardo e mezzo d viaggiatori, che costituiscono un’opportunità ma anche un rischio. Per esempio Montalcino è cambiata tanto ed è sul limite di diventare un “turistificio”, la Disneyland del Brunello. Per arginare questo fenomeno bisogna intervenire subito e non mi sembra, a livello politico, che la nostra ministro Santanchè sia in grado di farlo.”
W. “Qual è il vino che ti ha reso più orgogliosa?”
D.C.C. “Sicuramente il Cenerentola.”
W. “Un’annata particolare o il Cenerentola come idea fatta vino?”
D.C.C. “Il Cenerentola non è ancora quello che voglio io: stiamo lavorando molto al miglioramento dei vigneti ma qui (al podere il Colle a Trequanda n.d.r.) è molto più difficile fare vino rispetto a Montalcino, dove il terreno è più semplice da capire. Qua è molto più complicato, a partire dal trovare i portainnesti giusti. Per arrivare dove voglio io ci vorranno ancora degli anni.”
W. “E invece il vino che non avresti mai voluto fare?”
D.C.C. (Ci pensa un po’) “Questa è un po’ una cosa mia: non amo i vini dolci e i rosati.”
W. “I consumi diminuiscono, specie per i vini rossi, specie negli Stati Uniti: qual è secondo te la ricetta giusta per far bere più vino rosso nei prossimi anni?”
D.C.C. “Bisogna fare un passo indietro: secondo me quando l’uva arriva in cantina non bisogna toccarla più. Dobbiamo lavorare in vigna per ottenere quelle caratteristiche per un vino che sia vicino al consumatore moderno. Faccio ancora un passo indietro: si dice, e credo sia vero, che il vino è un’espressione culturale, come la musica: quando noi ascoltiamo la registrazione di un brano, per esempio, di Beethoven, capiamo immediatamente se è una registrazione di cinquanta anni fa o di venti o è attuale. Beethoven è sempre lo stesso ma è suonato in un modo diverso. Col vino è lo stesso: oggi noi abbiamo davanti consumatori che mangiano meno salato, meno dolce, meno grasso, in quantità inferiori e in maniera più fusion. Bisogna riuscire ad arrivare nella vigna e non in cantina a vini che siano adatti a questo tipo di consumatore. Questo vuol dire che quando io ci metto un giorno per convincere l’agronomo che il terreno con la giacitura perfetta, che è sempre stato nei suoi sogni, non va più bene è una grande fatica. Oggi il sole è diverso, la temperatura è diversa e bisogna pensare ad un luogo e un modo diverso di piantare le vigne, ad un portainnesto diverso, ad un modo diverso di coltivare la vigna.”
W. “Comunque non è che si possa mettere, come dice il mio caro amico Peter Dipoli, un cric sotto i vigneti e alzarli.”
D.C.C. “Ma le puoi ripiantare in un posto diverso, mentre mi sembra che gli agronomi continuino ad amare luoghi con le stesse caratteristiche del passato.”
W. “Poco tempo fa abbiamo fatto qui da te una bellissima degustazione di passiti, vini certamente non molto consumati in questi anni: secondo te quale tipologia vedi veramente in crisi e quale avrà il futuro più roseo?”
D.C.C “Vin Santo e vini dolci passiti sono in grossissimo affanno per molti motivi, però abbiamo il dovere di difenderli. Credo invece che se noi lavoriamo bene, ma proprio bene, stando attenti a molti fattori, in primis acidità, vedo in Toscana una prospettiva anche per i vini bianchi.”
W. “Stati Uniti, Inghilterra, Germania, Giappone, Cina: dove è più facile vendere vino?”
D.C.C. “Negli Stati Uniti!”
W. “E perché?”
D.C.C. “L’Inghilterra, dopo la Brexit, sta andando incontro ad una crisi ancora più grave di quella attuale. La Cina è un mercato dove un produttore non guadagna mai perché ti chiedono aiuti e incentivi continuamente, ma quando smetti di darglieli ti tocca a cambiare importatore. Il Giappone è un mercato forte, molto forte, ma è anche un mercato storico: quindi ci si lavora bene ma bisognava entrarci 25-30 anni fa. In Germania… hanno cinque modi per dire sconto.”
W. “Qual è l’insegnamento che hai trasmesso a tua figlia Violante e ti rende più orgogliosa”
D.C.C. “Credo di averle trasmesso, oltre alla convinzione dell’importanza di lavorare con serietà e impegno, anche credere che non basta lavorare per sé ma bisogna anche impegnarsi per gli altri, dedicarsi all’associazionismo, fare un passo indietro quando c’è chi ha bisogno di aiuto. Sapere che il proprio successo non si misura in soldi o in bottiglie vendute ma nel sapere che hai fatto la differenza anche per gli altri.”
W. “Invece qual è il difetto peggiore che le hai trasmesso?”
D.C.C “Diciamo che, come me, è un po’… brusca, non è molto femminile nel senso tradizionale del termine.”
W. “Se volessi comprare un’azienda di vino in quale territorio la sceglieresti?
D.C.C “Ci sono due zone che mi affascinano molto, per motivi diversi: la prima è le Marche e sono anche una fanatica supporter di Ampelio Bucci. Secondo me il Verdicchio può avere dei potenziali di invecchiamento straordinari e anche dei potenziali di miglioramento straordinari. Un’altra zona che mi affascina molto è il Vulture, perché a me piacciono le zone vulcaniche alte. In questo senso anche se la zona dell’Etna mi piace molto avrei però molta paura, almeno dando ascolto a quanto si sente dire e si legge relativamente alla criminalità organizzata sull'isola. Nel Vulture invece non penso ci sia questo problema e inoltre l’aglianico è un vitigno che amo.”
W. “Cosa bevi a tavola, il vino di Trequanda o di Montalcino?”
D.C.C “A tavola non beviamo mai i nostri vini. Preferisco i bianchi perché con un rosso mi sembrerebbe di essere al lavoro. Mi ha veramente impressionato il Timorasso: sembrava ci fosse solo Walter Massa e invece ho trovato tanti produttori che fanno ottimi vini. Altra zona che mi ha colpito è la Côtes du Rhône, dove sono stata di recente: credevo che fare Syrah fosse semplice, tipo produrre Cabernet Sauvignon e invece quando ci siamo trovati a degustarne tanti mi sono resa conto che arrivare a produrre ad altissimi livelli è difficilissimo. Per esempio il livello di Chave è completamente diverso da tanti altri vini che abbiamo assaggiato. Per certi versi mi impressionano tanti vini spagnoli. Alla fine da noi, di una zona estera, finisci per assaggiare sempre le solite cose ma poi quando la visiti ti rendi conto delle grandi diversità, di come sia un universo molto complicato e avresti bisogno di tanto tempo per capirla. Certe volte scopri dei vini incredibili, come quelli da vigneti centenari dell’Argentina: vini eccezionali che danno delle grandissime emozioni. Certe volte assaggiando in maniera bendata determinate zone alla fine ti accorgi che hai preferito è un vino che ha una grande reputazione”
W. “In questo caso non ti viene da pensare che, in un territorio che non conosciamo bene, ci piacciono più i vini che abbiamo già assaggiato in altre occasioni. Che, insomma, la memoria ci faccia preferire qualcosa di già “ascoltato”?”
D.C.C “Quasi sempre è così. Aggiungo che noi bisogna riabituarci ad usare più l’olfatto: le soglie di percezione nostre sono migliori di quelle dei cosiddetti nasi elettronici. Noi ci fidiamo troppo poco del naso e troppo della bocca.”
W. “Sono d’accordissimo e devo dire che mia moglie ha un naso finissimo, incredibile.”
D.C.C. “Pensa invece che mio marito, durante il covid, si era abituato agli acquisti online: trovandosi di fronte a scelte sconfinate comprava le cose più strane, per esempio i vini dell’Himalaya oppure fenomeni di marketing di caratura mondiale come quel vino australiano che ha sull’etichetta facce di 19 ergastolani: metti davanti all’etichetta il cellulare con Q-code e loro parlano. Però è un vino cattivissimo!"
W. “Adesso devi fare la delatrice: dimmi i nomi di alcune importanti donne del mondo del vino che, secondo te, dovrei intervistare.”
D.C.C “Tra le nuove generazioni Elisabetta Pala, che ha lasciato l’azienda di famiglia e si è creata la sua cantina: vini di un altro pianeta. Poi dovresti intervistare Elena Fucci, che all’inizio ha avuto un coraggio da leone. Poi, Silvia Fuselli, che da calciatrice in Serie A è diventata vignaiola a Bolgheri. Su un livello diverso ti consiglio di intervistare Roberta Corrà, Direttore Generale di GIV: è una fuoriclasse. Poi la Ruenza Sant’Andrea, presidente del Consorzio Vini di Romagna, anche lei bravissima, e la nuova enologa dell’Ornellaia, Denise Cosentino.”
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