di Stefano Tesi
Quando, per puro diletto e quindi senza taccuino di scorta né velleità tecniche, vai a trovare degli amici con altri amici (tutti del settore del vino, ma questo è un destino fatale!), pur confidando di bere buone cose non ti aspetti di trovare ad attenderti un vecchio Brunello stappato a tempo debito e pronto per il calice. E se invece lo trovi, compiacimento a parte, due sentimenti ti solleticano.
Da un lato la curiosità di riassaggiare un grande vino da invecchiamento di un’annata ormai antica (4 le stelle attribuite all’epoca alla vendemmia) e per di più nel formato che dovrebbe esaltare al massimo proprio la vocazione alla lunga sopravvivenza. Da un altro il timore che, come talvolta spesso accade, certi millesimi di quella denominazione e certe annate di quel periodo storico si rivelino deludenti, stanche, non di rado esauste, con buona pace dello spreco di astri sanciti al momento del rating e delle ottimistiche previsione di una vita centenaria.
La bottiglia che bel bella mi aspettava era una magnum di Tenuta Friggiali Riserva 1999, una delle due proprietà montalcinesi (questa ha una serie di vigne degradanti dai 450 ai 250 metri sul versante sud-ovest di Montalcino; l’altra è invece Pietranera, dalle parti della Velona) della famiglia Peluso Centolani. Con mia grande consolazione, i dubbi sono stati subito fugati e la curiosità appagata.
Il vino era integro già nel colore, fitto e pieno, con un leggerissimo accenno di unghia granata. Integro e intenso anche al naso, di primo acchito quasi compatto direi, con un frutto maturo ma ancora pimpante, lacerti di freschezza, una vaga speziatura e una composta coda terziaria che dava al tutto una complessità misurata, niente affatto senile. E anche in bocca ho ritrovato un Brunello vivo, tutto da bere, senza cedimenti, anzi sorprendentemente giovanile nella sua composta rotondità, pur in un’importanza e in una struttura di fondo innegabili. Qualità che hanno agevolato assai il consumo conviviale, dialettico, puramente edonistico e senza liturgie a cui nella circostanza la bottiglia era stata destinata. Ma, ciononostante, rimasta capace di tenere desta l’attenzione dei commensali sul bicchiere.
Bene in tutti i sensi insomma.
Quanto in generale alla stappatura delle vecchie bottiglie, inclusa l’ipotesi di trovarle non più buone, bisognerebbe forse recuperare la componente ludica di tutto questo, per invogliare la gente a ravanare meglio nelle proprie cantine. Ma se ne parla un’altra volta.
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