di Carlo Macchi
Bastava guardare l’etichetta di questo Chianti Classico per farsi un’idea della vendemmia 1989, sicuramente una delle peggiori dal 1970 ad oggi. L’etichetta, che riusciva a far leggere a malapena solo il nome della cantina e l’annata, ricordava molto da vicino l’uva che in quella tremenda vendemmia arrivava in cantina, sotto giornate di pioggia.
La 1989 è stata una vendemmia lontana anni luce da quelle attuali: intanto il Chianti Classico era un vino molto poco conosciuto nel mondo e incominciava in quegli anni ad affacciarsi con successo sul mercato internazionale. Nel territorio del Chianti Classico le strade bianche erano la maggioranza e anche per arrivare da Poggerino, dal giovanissimo Piero Lanza, i chilometri di sterrato non erano pochi. Le cantine non erano certo quelle di oggi, dove la pulizia e la tecnologia dettano legge, e già questa piccolissima cantina di Radda in Chianti era quasi una mosca bianca in quanto a (semplici) attrezzature di cantina.
Ma la cosa veramente diversa era il clima. Anche se arrivata tra due grandi vendemmie (1988-1990) la 1989 non fu solo un’annata fredda e piovosa ma fu figlia di un periodo che, tolto le due annate suddette, rappresentò quasi una miniglaciazione chiantigiana. Dal 1986 al 1995 solo due annate su dieci ebbero clima favorevole, le altre furono nella migliore delle ipotesi fredde o fresche, se non anche piovose. Quindi alcolicità basse (12° era già un bel risultato per la zona di Radda, e non solo) acidità alte, vini piuttosto scontrosi nei primi anni e possibilità di invecchiamento per i vini base quasi non considerate. Solo oggi, riassaggiando i vini di quel periodo, si scoprono delle vere chicche, anche e soprattutto nei chianti classico “base”, quei vini fatti bene e non gravati dal peso delle prime esperienze con la barrique.
Questo 1989, aperto quasi per scherzo, si è presentato sin da subito in ottima forma: aromi terziari sviluppati (terra bagnata, funghi, tartufo) ma nessun segno di ossidazione o di cedimento. La stessa cosa in bocca, dove un’acidità ancora pimpante dettava le regole a tannini oramai soffici ma vivi e dove il poco alcol dava una sensazione di rotondità subito però affiancata e superata da un’elegante sapidità.
Tanto di cappello a Piero Lanza, perché un vino del genere fu allora un difficile ma meraviglioso punto di partenza per la realtà che oggi è Poggerino.
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