di Roberto Giuliani
Chi conosce Ciriaco Cefalo e suo figlio Antonio, sa bene che in casa I Capitani, i vini bianchi sono trattati alla stregua dei rossi, concepiti per durare nel tempo. Il problema è sempre stato quello di doverli valutare giovani, appena usciti, perché è quello il momento in cui devi scriverne, affinché qualcuno poi possa trovarli in commercio. Così è accaduto molte volte che con Antonio ho dibattuto sulla questione, poiché un bianco come il Faius, che nell’annata 2013 era composto da fiano al 50% e greco e falanghina per la restante parte, maturati in barrique per circa 8 mesi, dà il meglio di sé dopo almeno 4-5 anni. Un peccato per chi approccia questo vino con l’intento di berlo appena acquistato.
Azienda Famigliare! |
Del resto non si può pensare di lasciarlo in cantina per anni, invenduto, anche perché, soprattutto con i bianchi non c’è ancora oggi né una ristorazione illuminata né un sufficiente numero di consumatori disposti ad acquistarli con un’annata “vecchia”. Così, l’unico lavoro che quelli come me possono fare è, quando è possibile, raccontare questi vini “prima e dopo”, in modo da offrire una lettura ad ampio spettro delle loro caratteristiche nel tempo.
E il Faius 2013, Irpinia DOC, non può non essere raccontato, sono vent’anni che conosco l’azienda e so bene di cosa è capace questo vino. Anche questa volta non mi ha deluso, rivelando una ricchezza e una profondità da vero cavallo di razza. Impressionante quanto è espressivo dopo solo pochi minuti dall’averlo versato nel calice: spazzata via la fisiologica riduzione, emerge un quadro che spazia da melone galia e albicocca canditi a scatola di sigari, dalla mandorla tostata al miele di zagara e castagno, fino a slanci verso i tropicali mango, papaia e guava, ma si potrebbe andare avanti per molto perché è davvero complesso. Il tutto estremamente vivo, non ossidato o stanco, percezione che non cambia all’assaggio (rigorosamente sopra i 13 °C), dove la base acida che lo ha sorretto in questi 8 anni è ancora percepibile, ben fusa con la polpa che ne trae vantaggio scansando eccessi terziari che ne determinerebbero la possibile discesa.
Invece tutto è in sintonia, direi armonico, integro e generoso, come non sarebbe mai potuto essere nel 2015, quando è uscito. Del resto o iniziamo a capire una volta per tutte che in Italia ci sono fior di vini bianchi longevi, o tanta meraviglia non la troveremo mai.
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