A Volterra, alla scoperta dei vini di Monterosola!


di Stefano Tesi

Chi fa questo mestiere non deve mai fermarsi alle apparenze, anche se a volte queste sembrano messe lì per non farti guardare oltre. Non è certamente il caso di Monterosola, l’azienda volterrana che sono riuscito a visitare qualche settimana fa dopo infiniti tira e molla pandemici.


Sebbene anche qui, a fianco del vino, di cose da osservare ce ne siano molte: da un’architettura imponente che non tutti apprezzano (ma costruita interamente con una pietra rara, il panchino di Pignano, un materiale antico a km zero) a una cantina gravitazionale, operativa dalla vendemmia 2018 e realizzata per intero all’interno di un’intercapedine d’aria con pompe di calore che servono l’intera struttura, da almeno un paio di scorci cartolineschi (siamo a 440 metri s.l.m. e nei giorni fortunati si vedono i monti della Corsica innevati) alle famose installazioni di Mauro Staccioli da toccare praticamente con mano.


Gli occhi del cronista invece, prima di dedicarsi agli assaggi, sono caduti su due dettagli senza dubbio meno glamour, ma assai importanti: l’interessante esperimento, condotto con le università di Pisa e di Bologna, della semina sotto i filari del trifoglio sotterraneo permanente per l’inerbimento (tutti i 125 ettari dell’azienda, dei quali 23 a vigneto, sono certificati biologici fino all’imbottigliamento, ma in etichetta il bollino non è ancora rivendicato) e 4 ettari di oliveto che, oltre alle classiche varietà Frantoio, Leccino e Pendolino, comprende anche il Lazzero della Guadalupe, una rara cultivar locale salvata dall’estinzione.


Da quando, nel 2013, Monterosola è stata acquisita dalla famiglia Thomaeus (industriali svedesi di origine scozzese, ndr) – dice il general manager Michele Senesi, che mette nel racconto anche il coinvolgimento di chi è nato e vive a pochi km da qui – sono cambiate molte cose rispetto alle origini. Dal 2015, in particolare, quando fu decisa la costruzione della nuova cantina e un progressivo cambio stilistico dei vini che, sotto la guida di Alberto Antonini, nostro enologo fin dal 2008, ha visto ovviamente una decisa svolta tre anni fa, con l’entrata in funzione della nuova cantina”.


Cambio che è molto evidente nei bianchi, aggiungiamo noi, ed è ancora in divenire nei rossi, alcuni dei quali risentono della passata impostazione e della vecchia cantina. 
Ecco perché, ad esempio, ci ha convinto il Per Terras 2018, un Toscana IGT, 100% Cabernet Franc da vigne nuove fatto in botte grande: nella sua evidente gioventù ha un tratto varietale molto marcato, esuberante sì ma niente affatto invasivo ed anche in bocca ha una levità quasi croccante che, tutt’altro che banale, lo rende viceversa sciolto e sapido.


Bene anche l’Indomito 2016, Toscana IGT al 75% di Syrah e al 25% di Cabernet Sauvignon, vino molto centrato e compatto, elegante e piacevole al naso, con una bocca opulenta, goduriosa, importante ma non – fondamentale! - noiosa nè prevedibile.


Ci sono piaciuti un po’ meno, per la mera questione stilistica legata all’uso massiccio del legno, il Corpo Notte 2016, Toscana IGT al 70% di Sangiovese e al 30% di Cabernet Sauvignon, e il Canto della Civetta, Toscana IGT Merlot al 100%.


Merita invece di essere atteso il Crescendo 2016, Toscana IGT al 100% Sangiovese che, sebbene per impostazione e struttura ricalchi e forse perfino superi i due precedenti, ha le qualità per ingentilirsi e mettere a freno certi eccessi.

Decisamente più agili i bianchi.

Il Cassero 2019, IGT Toscana al 100% di Vermentino, ha un bel naso pulito e varietale, a tratti quasi pungente, mentre in bocca è salato, molto netto, solido e piacevole.


Più evoluto e complesso il Per Mare 2018, Toscana IGT al 100% Viognier: un oro limpidissimo e brillante per un naso delicato, appena metallico, accenni di pietra focaia e olio minerale, mentre in bocca ha un lungo finale amarognolo.


Sullo stesso livello si colloca il Primo Passo 2018, Toscana IGT al 40% Grechetto, al 40% Incrocio Manzoni e al 20% Viognier, con un naso elegante e asciutto ma discretamente fruttato, mentre al sorso rivela grande lunghezza, bella acidità e una sapidità che sconfina nell’amarognolo.


Chi passa da Volterra ci faccia un pensierino: si può fermarsi, degustare, visitare ed acquistare direttamente.

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